La laicità delle dimissioni di Papa Ratzinger, Alfonso Gianni

Direttore della Fondazione Cercare Ancora. Pubblicato su HUFFINGTON POST : 11/02/2013 14:19

L’annuncio dell’abbandono del Pontificato da parte di Papa Benedetto XVI viene accolto in queste ore constupore da un lato e con dileggio dall’altro. Certamente dietro questa storica decisione vi è la consapevolezza di condizioni di salute che, qualunque sia la loro causa, impedivano a Ratzinger di svolgere appieno il suo ruolo.

Tali condizioni erano ormai note e evidenti anche a chi non gli stava vicino. Certe “trame oscure” ambientate in Vaticano e che hanno riempito per mesi le cronache giornalistiche, trovano una spiegazione alla luce di una già iniziata competizione per una successione che molti sentivano imminente.

Per cui suonano abbastanza false le dichiarazioni del cardinal Sodano sul “fulmine a ciel sereno”. Delle possibili “dimissioni” del Papa, negli ambienti vaticani se ne parlava da tempo come di una possibile eventualità, per quanto teorica. Da qui a vederla realizzata il passo non è breve. Ma in ogni caso il gesto va preso molto sul serio, perché denso di significati che travalicano l’ambito ecclesiale.

Casi come questo si contano sulle punta delle dita di una mano. Non ricordo nomi famosi, se non nel “gran rifiuto” di Celestino V, che Dante stigmatizzò senza pietà ne La Divina Commedia (“Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto/ vidi e conobbi l’ombra di colui/ che fece per viltade il gran rifiuto” Inferno III, 58-60). Oppure bisogna fare riferimento a opere di fantasia, come il papa del bel film di Nanni Moretti, cui va ormai riconosciuto di non essere nuovo a opere profetiche, come Il caimano.

Del papato di Benedetto XVI non posso conservare un buon ricordo. E’ stato un intellettuale di spessore certamente, ma profondamente conservatore sia nelle questioni più squisitamente teologiche che nel campo dei diritti civili. Il suo tentativo di fare fronte al declino dell’egemonia cattolica, specialmente nelle società a capitalismo maturo, ha più spesso privilegiato argomentazioni reazionarie in senso filosofico e politico, evitando qualunque operazione di apertura.

Tuttavia questo suo gesto si pone in controtendenza con il bilancio del suo stesso papato. E’ un atto profondamente laico, di chi considera l’esercizio del ruolo di papa come una funzione, non come un’investitura personale. Ratzinger interpreta una funzione, non la impersona, fintanto che è in grado di esercitarla a dovere; non lega la sua esistenza terrena a quella funzione e viceversa non la trascina con sé nella tomba. Tralascio di addentrarmi, per dichiarata modestia conoscitiva, sulle possibili implicazioni dottrinali di un simile atto. Penso che sull’argomento ne leggeremo a vagoni nelle prossime settimane, appena i vari interpreti del pensiero cattolico avranno superato lo sbandamento iniziale.

Insisto invece sulla profonda umanità di questo gesto che parte dal riconoscimento dell’intima fragilità psicofisica dell’uomo che nessuna fede o ideologia può sublimare. In un uomo che appariva in ogni suo gesto così altero, questo atto di umiltà lo avvicina alla condizione umana contemporanea. E’ un atto contro il mito della eterna giovinezza, di cui si abbevera la società del capitalismo maturo per moltiplicare le possibilità di consumo delle sue merci. E’ un gesto che rivaluta la consapevolezza e la saggezza dell’abbandono della vita attiva, quando le forze inevitabilmente ci abbandonano e le nuove condizioni dischiudono per noi la stagione del ricordo e della riflessione.

Se anche nel mondo della politica qualcuno seguisse il giusto insegnamento di questo atto, ne trarremmo tutti migliore vantaggio. So bene che non avverrà. Il pessimismo della ragione mi spinge a credere che dall’altra parte del Tevere si è soliti raccogliere solo le lezioni peggiori, quelle che fanno più comodo alla perpetuazione del potere temporale in ogni sua forma.

 

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