E se il Papa si fosse dimesso per arrivare santo agli occhi di Dio? , di Paolo Gambi

Pubblicato su HUFFPOST: 11/02/2013 13:25

“Un fulmine a ciel sereno”. Così il decano del collegio cardinalizio, cardinal Angelo Sodano, ha commentato la notizia della decisione di Benedetto XVI di lasciare il pontificato. Quando si è nel mezzo di una tempesta, in realtà, non è così strano che si scatenino anche i fulmini. E il cielo non era così sereno. Non agli occhi di alcuni “profeti”. Come Mons. Bettazzi, che ancora un anno fa aveva avanzato alcune ipotesi di dimissioni del Papa, nonostante le smentite di Padre Lombardi.
Ma prima di tutti era stato Antonio Socci, vox clamantis in desertoa più riprese iniziate nel settembre del 2011, a sostenere che il Papa si sarebbe dimesso.

Perché dunque queste dimissioni, che segnano un evento storico dalla portata inaudita? Si scateneranno interpretazioni a sfondo politico, economico, complottistico, di certo verranno tirati in ballo, come spesso a sproposito, Opus Dei, Massoneria, IOR. Persino le elezioni politiche italiane. Avanziamo un’altra ipotesi. Joseph Ratzinger si è dimesso per salvare la propria anima e prepararla all’incontro con Dio. E probabilmente gli ambienti vaticani non sono il luogo migliore per perseguire questo scopo. D’altra parte anche il più famoso dei predecessori che hanno segnato lo stesso cammino, Celestino V, lo fece “per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della plebe [di questa plebe], al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta”.

Certo è che Benedetto XVI stava canonizzando Antonio Primaldo e i suoi 800 concittadini, uccisi il 14 agosto 1480 dai Turchi per aver rifiutato di abbandonare la propria fede, e una valenza simbolica anche l’occasione dovrà pur averla. Turchi in vista non ce ne sono, ma motivi e persone per perdere la fede forse ce ne sono di più. Anche e soprattutto per un pontefice che vive in Vaticano. Alla vigilia della sua elezione, il 18 aprile 2005, davanti a tutto il collegio cardinalizio, parlando di preti teologi e vescovi li definì “sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina”. E ancora “La piccola barca del pensiero di molti cristiani” disse Ratzinger in quella memorabile messa, “è stata non di rado agitata… gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale, dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via”. Una critica feroce allo sbandamento della Chiesa. Che ricade sulle spalle del Pontefice.

Pochi giorni prima, scrivendo il testo dell’ultima Via Crucis di Giovanni Paolo II, parlò di “quanto Cristo debba soffrire nella sua stessa Chiesa. Quante volte si abusa del santo sacramento della sua Presenza… Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c’è in tante teorie… Quanta sporcizia c’è nella Chiesa e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!”. Tanto che non risparmiò la condanna: “Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le nostre grandi parole, i nostri grandi gesti. Abbi pietà della tua Chiesa”.

Nel corso del pontificato se l’è presa con i dotti e i teologi, che sono “penetrati nei dettagli della Sacra Scrittura, della storia della salvezza, ma non hanno potuto vedere il mistero stesso, il vero nucleo: che Gesù era realmente Figlio di Dio, che il Dio trinitario entra nella nostra storia, in un determinato momento storico, in un uomo come noi. L’essenziale è rimasto nascosto!”.
Ha dovuto continuamente redarguire “i suoi”, ricordando per esempio come “la Chiesa non agisce per estendere il suo potere o affermare il suo dominio, ma per portare a tutti Cristo, salvezza del mondo”, e ancora si legge che “Benedetto XVI ha affermato chiaramente che la Chiesa non può ricercare il potere, ma deve concentrarsi sull’annuncio di Cristo, anche se questo implica il martirio”. Ha voluto affermare, con Paolo VI, che la Chiesa deve essere povera e libera “per riuscire a parlare all’umanità contemporanea”. Ha dovuto ricordare ai preti che “devono favorire l’unità e la comunione di tutti i fedeli, e per questo devono mantenersi lontani dalla politica, che è il campo d’azione dei laici”. Ma la sua era una guerra di Davide contro Golia.

È stato circondato da complotti come nessun Papa forse dai tempi del Rinascimento, ha subito, come nessuno prima, un massacro mediatico per il quale bisognerà individuare responsabilità e soluzioni. Fare il Papa non deve essere affatto facile. Né umanamente, né cristianamente. All’ombra di queste dimissioni risuonano le parole, che oramai hanno 1500 anni, del santo Papa Gregorio Magno, che si lamentava perchè “sotto le spoglie del governo ecclesiastico” si sentiva “coinvolto dai flutti di questo secolo, che di frequente mi sommergono”. Ma risuonano ancora di più quelle del bolognese Prospero Lambertini, eletto Papa proprio con il nome di Benedetto XIV a metà “700: “Invidiamo la sorte de’ primi papi che non erano occupati in altro che nella religione ed infine, morendo per essa, si guadagnavano il paradiso. Oggi gli interessi del secolo sono talmente misti con gli affari spirituali che i papi – volendo maneggiare i secondi che a loro appartengono – restano imbarazzati dai primi che non sono di loro ispezione; e, se non muoiono martiri, vivono, però, martirizzati, ma di un martirio che non serve per il paradiso”.
E come può un Santo sopportare tutto questo?

 

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