Dieci infallibili modi per far confusione sul Concilio Vaticano II. John W. O’Malley
Dieci infallibili modi per far confusione sul Concilio Vaticano II.
John W. O’Malley - 4 febbraio 2013 – (americamagazine.org)
I grandi eventi non sono semplici da interpretare, quindi non è sorprendente che oggi vi sia disaccordo su come interpretare il Concilio Vaticano II. Qui io voglio rovesciare il problema e indicare come non interpretarla. (Naturalmente, i lettori più attenti capiranno da soli che questo è solo un modo subdolo di suggerire le interpretazioni preferite.) Alcuni di questi principi che proporrò, infatti, riguardano direttamente soltanto gli storici o teologi, ma i problemi che ne sono alla base, tuttavia, dovrebbero essere fonte di preoccupazione per tutti i cattolici che hanno a cuore il patrimonio del Concilio. Questi 10 principi esposti in negativo sono semplicemente una maniera un po’ ruvida di ricordare a noi stessi di ciò che è in gioco nelle controversie sull’interpretazione del Concilio.
1. Insistere che il Vaticano II era solo un Concilio pastorale. Questo principio è sbagliato per due motivi. In primo luogo, non tiene conto del fatto che il Concilio ha insegnato molte cose – ad esempio la dottrina della collegialità episcopale, per esempio, che non è cosa da poco. È stato quindi un concilio dottrinale oltre che pastorale, anche se ha insegnato in uno stile diverso dai Concili precedenti. In secondo luogo, il termine può essere utilizzato per suggerire che gli insegnamenti del Concilio sono sostanzialmente passeggeri perché i metodi pastorali cambiano a seconda delle circostanze. Consapevolmente o inconsapevolmente, di conseguenza, definirlo “pastorale” relega il Concilio a uno stato di seconda classe.
- Insistere che è stato un episodio nella vita della chiesa, non un evento. Questa distinzione conta in certi ambienti. La sua importanza si spiega con un esempio: a un’insegnante è stato concesso un anno sabbatico che lei trascorre in Francia. L’esperienza allarga la sua prospettiva. Lei torna a casa arricchita, ma poi riprende la sua routine precedente. Il suo anno sabbatico è stato un episodio. Ma supponiamo che, invece, le venga offerto un posto come preside in un istituto diverso dal proprio. In questo nuovo lavoro lei si dà da fare, lascia l’insegnamento, acquisisce nuove capacità e nuovi amici. Questo è un evento, una svolta significativa nella sua vita.
3. Bandire l’espressione “spirito del Concilio”. Certo, l’espressione è facilmente manipolabile, ma dobbiamo ricordarci che la distinzione tra spirito e lettera è venerata nella tradizione cristiana. Dobbiamo pertanto essere restii a gettarla nel cestino della carta straccia. Ancora più importante, lo spirito, rettamente inteso, indica i temi e gli orientamenti che hanno dato al Concilio la sua identità, perché non si trovano in un unico documento, ma in tutti o quasi tutti. Così, lo “spirito del Concilio”, mentre è solidamente basato sulla “lettera” dei documenti del Concilio, trascende ognuno di essi in particolare. Ci permette di vedere il messaggio principale del Concilio e la rotta che esso ha tracciato per la chiesa, che è stata per molti aspetti diversa da quella precedente.
4. Studiare i documenti singolarmente, senza considerarli parte di un corpus integrale. Non posso nominare tutti coloro che insistono su questo principio, ma è stato l’approccio standard per i documenti da quando il Concilio si è concluso. Naturalmente, per comprendere il tutto bisogna prima capire le varie parti. Quindi, lo studio dei singoli documenti è indispensabile ed è il primo passo nella comprensione del corpus complessivo. Troppo spesso, tuttavia, anche i commentatori si sono fermati a questo stadio e non andati a indagare quanto un testo specifico abbia contribuito alla dinamica del Concilio nel suo complesso, vale a dire, al suo “spirito”. Senza troppo fatica è facile (e indispensabile) vedere la relazione fra temi particolari e quadro complessivo, per esempio tra il documento sulla libertà religiosa e il documento sulla chiesa nel mondo contemporaneo.
5. Studiare gli ultimi 16 documenti in ordine di autorità gerarchica, non secondo l’ordine cronologico della loro approvazione al Concilio. I documenti, ovviamente, hanno vari gradi di autorità (le costituzioni sono più importanti dei decreti, i decreti più importanti delle dichiarazioni). Ma questo principio, se trattato come esclusivo, ignora la natura contestuale dei documenti del Concilio, cioè, la loro interdipendenza, il come si siano appoggiati l’uno all’altro nel loro viaggio attraverso il Concilio. Il documento sui vescovi, per esempio, non poté essere introdotto nel Concilio prima che il documento sulla chiesa fosse sostanzialmente definito, soprattutto per l’importanza cruciale della dottrina della collegialità che veniva discussa nella costituzione dogmatica sulla Chiesa. I documenti, dunque, venivano parafrasati, presi in prestito da e adattati gli uni agli altri, lungo tutto il Concilio. Così essi formano un tutto coerente e integrale e devono essere studiati in questo modo. Essi non sono una manciata di documenti separati. Giocare con uno dei documenti, quindi, è giocare con tutti quanti. (Purtroppo, l’ultima edizione della traduzione più diffusa dei documenti del Concilio, a cura di Austin Flannery, OP, li stampa in ordine gerarchico, non cronologico).
6. Non prestare attenzione alla forma letteraria dei documenti. Una caratteristica che distingue chiaramente il Vaticano II da tutti i concili precedenti è il nuovo stile in cui sono formulati i suoi decreti. A differenza dei precedenti Concili, il Vaticano II non ha operato come un organo legislativo e giudiziario nel senso tradizionale di tali termini. Ha stabilito alcuni principi, ma non ha prodotto, come i concili precedenti, un corpo di ordinanze prescrittive o proscrittive di certi modi di comportamento, stabilendo sanzioni per il loro mancato rispetto. Non ha processato alcun ecclesiastico né ha emesso verdetti di colpevolezza o innocenza. Ha usato un vocabolario nuovo per i Concili, un vocabolario pieno di parole che implicano collegialità, reciprocità, tolleranza, amicizia e ricerca di un terreno comune. Per comprendere il Concilio è necessario, anziché ignorare questa caratteristica, spiegare e analizzare la forma letteraria dei suoi documenti.
7. Attenersi strettamente agli ultimi 16 documenti e non prestare attenzione al contesto storico, alla storia dei testi o delle controversie che li riguardano durante il Concilio. Questo principio permette ai documenti di essere trattati come se stessero a galla da qualche parte fuori del tempo e del luogo di redazione, e permette di interpretarli di conseguenza. Ma solo esaminando le difficoltà che il decreto sulla libertà religiosa, per esempio, ha attraversato durante il Concilio, al punto che sembrava che non sarebbe stato approvato, si può capire il suo carattere innovativo e la sua importanza per il ruolo della Chiesa nel mondo di oggi. Inoltre, ci sono documenti ufficiali oltre quei 16, che sono fondamentali per comprendere la direzione che il Concilio ha preso, come l’indirizzo di Giovanni XXIII all’apertura del Concilio, «Si compiace la Chiesa Madre,” e il “Messaggio al Mondo”, che lo stesso Concilio ha pubblicato durante i suoi lavori. Questi due documenti aprirono al Concilio, per esempio, la possibilità di preparare il documento “La Chiesa nel mondo contemporaneo”.
8. Proibire l’uso di fonti “non ufficiali”, come ad esempio i diari o la corrispondenza dei partecipanti. Certo, i testi finali e il multivolume Acta Synodalia, pubblicato dalla Sala stampa vaticana, sono e devono restare il primo e più autorevole di riferimento per l’interpretazione del Concilio. Ma i diari e le lettere dei partecipanti forniscono informazioni che mancano nelle fonti ufficiali e, a volte, spiegano meglio le, spesso improvvise, svolte del Concilio. Far uso di tali documenti non è una novità negli studi accademici. I redattori della magnifica collezione di 13 volumi di documenti concernenti il Concilio di Trento, la Tridentinum Concilium, non hanno esitato a includere diari e corrispondenze, che si sono rivelati indispensabili per comprendere quel Concilio e sono stati utilizzati da tutti i suoi commentatori.
- Interpretare i documenti come espressioni di continuità della tradizione cattolica. Questo principio è corretto e deve essere riaffermato come guida di massima, ma non deve essere applicato in un modo che esclude ogni discontinuità, cioè, tutti i cambiamenti. È assurdo credere che nulla è cambiato, niente è accaduto. Papa Benedetto XVI, il 22 dicembre 2005, ha fornito una correzione di tale maniera di interpretazione esclusiva, quando ha detto nel suo discorso alla Curia romana che ciò che era necessario per il Concilio Vaticano II era un “ermeneutica della riforma”, che ha definito come un “insieme di continuità e discontinuità a livelli diversi …. “
10. Fare della propria valutazione del Concilio una profezia che si autoavvera. Questo principio non riguarda tanto fare cattive interpretazioni del Concilio quanto usare le proprie valutazioni per determinare come il Concilio sarà applicato e ricevuto. Il principio è pericoloso nelle mani di chiunque, ma particolarmente pericoloso nelle mani di coloro che hanno il potere di rendere la loro valutazione un ordine. A questo proposito “lo slogan del partito” nel romanzo di George Orwell 1984 centra il problema: “Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato.”
John W. O’Malley, SJ, professore universitario nel dipartimento di teologia alla Georgetown University, è autore de I primi gesuiti e di Che cosa è successo al Vaticano II (Vita e Pensiero – Milano)