La storia di un’invasione turistica e del nostro ‘servaggio’ attraverso i master plan della Costa Smeralda, di Sandro Roggioi

Il nostro titolo sostituisce quello dedicato da La Nuova Sardegna del 21.12.2012 all’istruttivo articolo dell’architetto sassarese.


Extralarge o light, i sogni e le polemiche del Master plan, di Sandro Roggio

21.12.2012

Master plan è un titolo importante. Fuori dall’Italia si dà preferibilmente agli atti di governo del territorio convalidati dalle istituzioni. In Sardegna è associato da qualche decennio a ogni proposta dell’impresa voluta dall’ Aga Khan (evoca strategie aziendali progredite ed evita la poco elegante denominazione “lottizzazione a scopo edilizio”). La storia della Costa Smeralda è anche segnata dai vari tentativi di farsi approvare programmi di crescita inammissibili, master plan alleggeriti via via che le norme urbanistiche si sono evolute. Con lentezza, ma nel senso di una maggiore tutela del paesaggio grazie a importanti leggi statali. Insomma le idee di espansione di quella splendida parte di Gallura hanno fatto i conti con i tempi della maturazione della cultura del paesaggio. Poco sviluppata nei primi anni Settanta, quando il primo (più sconsiderato che impudente) programma di fabbricazione del Comune di Arzachena è coincidente con le attese del principe ismailita: che per questo mette a disposizione il suo progettista Luigi Vietti, architetto di successo negli anni ’30 . La previsione per 370mila vani-abitanti sembra un’allucinazione (complici le luci psichedeliche del tempo?). Finirà fortunatamente in archivio e senza etichette, anche per l’allarme lanciato da Antonio Cederna sul “Corriere” tra il ’70 e il ’72. Il titolo di master plan – tra il 1979 e il 1983 – spetta al successivo disegno in una fase di incertezza normativa. Notevole il ridimensionamento del primo programma. Si tratta per 6milioni di metri cubi (un terzo delle precedenti previsioni abitative) confermando l’intento di acquisire un sovrappiù di titoli per edificare. La scelta dell’impresa di accordarsi direttamente con la Regione (un governo di sinistra al quale subentra un pentapartito a guida Dc) provocherà il noto cortocircuito: la contrarietà del Comune, il ricorso al Tar, la bocciatura e il naufragio del progetto. Un nuovo master plan in itinere dovrà essere ulteriormente ristretto: specie per le disposizioni della legge 431/1985 che impongono alle Regioni l’adozione di misure di salvaguardia del territorio. La Sardegna lo fa nel ’93 ma con piani paesistici adattabili all’anatomia delle speculazioni predilette, come i moderni materassi che prendono la forma del corpo. E infatti cassati per grave difetto di tutela dalla giustizia amministrativa che accoglierà il ricorso di Gruppo di intervento giuridico- Amici della terra. Così anche questa proposta – passata, oplà, da 6 a 2 milioni di mc – ammette la sconsideratezza delle precedenti, ma è ancora difforme dalle regole erga omnes. E riecco la pretesa di un trattamento ad hoc: invocato da molti per aprire, grazie alla forza della Costa Smeralda, un primo varco in Gallura. E quindi dappertutto. Non mancano per questo rovinoso obiettivo le adesioni autorevoli, alcune inspiegate (nel 1997 l’Università di Sassari patrocina un convegno nell’aula magna, trasformato in uno spot improvvido per l’impresa edilizia).Finisce più o meno qui, con l’insuccesso di questo terzo cimento, l’epoca della Costa Smeralda di Aga Khan già defilato dopo la vendita a Starwood. Il gruppo dal quale Tom Barrack acquisisce, a ridosso delle elezioni regionali vinte da Soru nel 2004, la maggioranza del patrimonio. E mentre giunge ad approvazione il Codice dei beni culturali e quindi il piano paesaggistico oggi vigente. Barrack vola basso mentre tratta e conclude il passaggio di proprietà a Qatar che nel mutato clima politico annuncia il quarto giro: un master plan “mini” secondo i resoconti di queste settimane. “Mini” rispetto ai precedenti extra large ben al di fuori delle regole, proprio come quest’ultimo che limita le esigenze a 600 mila mc inammissibili secondo il Ppr. C’è chi festeggia per il nuovo corso annunciato, e pure tra quelli che non ne ricaveranno nulla c’è buonumore. E il frutto del solito clima abilmente alimentato. Come prima dell’abrogazione del regime feudale, con ritardo in Sardegna, quando i feudi passavano di mano e ai sudditi si faceva sperare ogni volta la munificenza del nuovo barone, meno gabelle più grano per tutti. Crederci è servito a non cedere alla disperazione. Così degli avvicendamenti di proprietari in Costa Smeralda si è sempre preferito dare una rappresentazione compiacente. Si è salutato con rimpianto chi lascia, pure se indebitato (?), e accolto con fiducia il nuovo investitore pronto a rivendere con un pacco di nuove concessioni edilizie. Sia Barrack che lo sceicco sono banchieri a caccia di opportunità nel Mondo (spesso comprano debiti); ma la Sardegna, prigioniera di un format, preferisce presentarli come affabili benefattori invaghiti della trasparenza del mare e del vermentino. Umanizzare una merchant bank è più difficile che mitizzare un principe amico della Gallura scortato da amici finanzieri inglesi. Ma ci si prova. Il master plan è una sceneggiata che si rinnova come un voto, per tramutare un business nella scelta affettiva di una multinazionale. E la crisi favorisce la diffusione di versioni agiografiche di ogni affare, tanto compiacenti da sconfinare nell’ entusiasmo per l’alterazione delle coste sarde – beni d’interesse nazionale: come rallegrarsi della soprelevazione della Ca’ d’ Oro veneziana, della crescita edilizia ai bordi di Pompei, della cessione di Pincio-Villa Borghese ai palazzinari romani o dei corridoi degli Uffizi fiorentini a McDonald’s. Per cui riecco la retorica abusata dell’ impatto light sul paesaggio, i volumi edilizi sono un velo, “spalmati” come la Nutella, e la terra eccedente è un sistema di parchi che occulta i guasti. Si decantano le grandi utilità oltre la Gallura e per tutti i sardi, perché l’emiro ha un cuore e investirà dappertutto nell’isola, coprirà con i suoi aerei le rotte negate, aprirà una università per il turismo e risanerà il fallimento di Don Verzè nel costruendo l’ospedale a Olbia (trasporti, istruzione, sanità – servizi sui quali Stato e Regione balbettano). E’ la propaganda che serve a Cappellacci pronto a stendere il Ppr come un tappeto. Lo stesso film dopo 50 anni, ma gli attori hanno la schiena sempre meno dritta e si capisce dai dettagli. Almeno il presidente Corrias riceveva l’Aga Khan a Cagliari, Cappellacci va fino a Doha per giurare fedeltà.

 

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