L’ETERNA NOSTALGIA DELLA CHIESA PER IL POTERE, di Vito Mancuso

Il cardinale Scola, lo Stato laico e la libertà religiosa, in  LA REPUBBLICA, 7  dicembre 2012.

E’ tradizione che i di­scorsi tenuti il giorno di  Sant’Ambrogio dagli arcivescovi di Milano siano caratterizzati da una profon­da attenzione all’ attualità so­ciale e politica. È il caso anche del discorso tenuto ieri a Mi­lano da Angelo Scola, nel qua­le il cardinale è giunto a pro­nunciare parole molto pe­santi.

Parole a mio avviso poco fondate, su un tema di  straordinaria delicatezza quale quello della lai­cità e della aconfessionalità dello Stato. Scola è partito da molto lontano, dall’anno 313, visto che l’anno prossimo saranno 1700 anni da quell’Editto di Milano con cui Costantino e Licinio posero fine alle  persecuzioni contro i cristiani. Scola non esita a cele­brare tale editto come “l’atto di nascita della libertà re­ligiosa”. È doveroso chiedersi per chi tale libertà nac­que, e la risposta corretta è per i cristiani, i quali, da per­seguitati sotto alcuni imperatori romani (in particolare Decio, Valeriano e Diocleziano) iniziarono a godere li­bertà di culto e poterono professare pubblicamente la loro religione. Ma alla loro libertà non seguì la libertà di altri. lo penso quindi che non sia corretto da parte di Scola elogiare cosi tanto l’Editto di Milano senza nep­pure ricordare l’Editto di Tessalonica dell’imperatore Teodosio del 380 con cui si toglieva la libertà di religio­ne ai pagani, cui seguirono tra il 391 e il 392 i Decreti teodosiani che mettevano al bando ogni forma di sacrificio pagano, anche in forma privata, compresi i culti dei la­ri e dei penati che da secoli gli abitanti della penisola ita­lica praticavano nelle loro case. È vero che Scola scrive che l’Editto di Milano fu un “inizio mancato” , ma non si può sorvolare in questo modo cosi leggero su secoli e se­coli di sanguinosa intolleranza cattolica, generata da tale editto e dal matrimonio con il potere imperiale che  esso comportava. La cosa era del tutto chiara già a Dan­te Alighieri: “Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, non la tua conversion, ma quella dote che da te prese il primo ricco patre” (Inferno XIX, 115-117) .laddove tra i mali procurati dall’ alleanza con il potere politico oltre alla corruzione della Chiesa vi sono le sanguinose per­secuzioni contro ogni forma diversa di religione, in particolare contro i catari, i valdesi, gli ebrei.

 

La storia insegna che si dà libertà religiosa solo nella misura in cui lo Stato non si lega a nessuna religione particolare, solo se sì pone di fronte ai suoi cittadini con l’in­tenzione di rispettare tutti, minoranze comprese, solo se pratica quella forma di neutralità cosi esplicitamen­te criticata dal cardinal Scola nel suo discorso di ieri, Per Scola infatti occorre “ripensare il tema della aconfes­sionalità dello Stato”, facendo in modo che lo Stato pas­si da una visione pluralista a una

Visione culturalmente in grado di sostenere le “dimensioni costitutive dell’esperienza religiosa: la nascita, il matrimonio, la generazione, l’educazione, la morte”: insomma i cosiddetti valori non negoziabili tanto cari a Benedetto XVI, cioè vita, scuola, famiglia, da intendersi alla maniera del Magistero cattolico attuale (che non è detto coincida con il vero senso del cristianesimo).

Prova ne sia proprio il tema della libertà religiosa, la     quale, se giunta a essere un patrimonio della dottrina sociale della Chiesa, è solo grazie alla lotta in favore dei diritti umani da parte della laicità illuminista. La libertà religiosa è stato il dono della laicità al  cristianesimo. Senza, lo Stato laico, senza la sua volontà di rispettare le minoranze come quelle dei valdesi e degli ebrei, dando  loro gli stessi diritti della maggioranza cattolica, la Chie­sa non sarebbe mai giunta al documento Dignitatis hu­manae del Vaticano II che apre finalmente la gerarchia cattolica alla. libertà religiosa, dopo ben 1573 anni (distanza temporale tra la Dignitatis humanae del 1965 e l’ultimo decreto di Teodosio del 392)! Per rendersene conto   è sufficiente leggere, i documenti pontifici che durante la modernità condannavano aspramente la lotta dei laici e di alcuni teologi a favore della libertà religiosa, come, per esempio le parole di Gregprop XVI che nel  1832 bollava la libertà religiosa come deliramentum o le parole di Pio IX nel 1870 o quelle di Leone XIII nel 1888.

Scola ha ragione nel dire che “il nostro è un tempo che domanda una nuova, larga cultura del sociale e del politico”. Ma questa larghezza della mente e dell’anima dovrebbe riguardare davvero tutti, anche la Chiesa cattolica, la quale non può limitarsi a rimpiangere Costantino e Teodosio e magari a cercare candidati politici che ne  ricalchino le orme.

 

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