Italiani attenti, la ricetta tedesca vi farà finire come la Grecia, di Angela Nocioni

CON UN COMMENTO DI GIANNI MULA.

 

 

 

 

 

 

Italiani attenti, la ricetta tedesca vi farà finire come la Grecia

di Angela Nocioni

Con un commento di Gianni Mula

 

Gianni MulaRiprendiamo l’intervista di Angela Nocioni a Roberto Lavagna, il ministro del miracolo argentino che in tre anni, dal 2002 al 2005, fece rinascere l’economia argentina dal disastro nel quale l’aveva portata l’ossequio ai diktat della finanza internazionale (con la collaborazione attiva di Mario Blejer, alias Superbonus nelle sue collaborazioni al Fatto Quotidiano, che nel 2001 era l’uomo del Fondo Monetario Internazionale a Buenos Aires e che i lettori di questa rubrica conoscono dall’articolo Sulle attuali risse tra economisti). È un’intervista chiara e illuminante sulle prospettive attuali dell’economia, perfettamente in linea con le posizioni di Paul Krugman e di tutti gli economisti non impegnati a ripetere, contro ogni evidenza, le ricette del pensiero unico dell’adorazione del libero mercato.
Vorrei anche segnalare la mia speranza che la pubblicazione di quest’intervista, assieme a quella dell’articolo di Paul Krugman Obama, niente accordi con i repubblicani (11 novembre, edizione cartacea), segnali finalmente la disponibilità del Fatto Quotidiano ad aprirsi a un confronto reale tra economisti su che cosa bisogna fare oggi in Italia. Sarebbe una disponibilità importante perché il confronto politico esca dalla vuota contrapposizione tra slogan e affronti finalmente, nel concreto, il problema di quali misure economiche vadano introdotte e quali invece vadano assolutamente evitate (prendendo magari ad esempio la sensibilità mostrata dal governo argentina, e poi da Obama in una situazione analoga, quando sospese gli sfratti nel caso di un’unica abitazione).
In genere le posizioni politiche e sociali del Fatto Quotidiano rispettano la realtà, senza fare sconti né a destra né a sinistra. Mi piacerebbe capire perché fanno un’eccezione nel caso della politica economica, con le posizioni di Stefano Feltri, responsabile del settore, che razzolano relativamente bene, dando voce ai colpiti dalla crisi, e predicano molto male, dando per scontata la validità del pensiero unico e accettando implicitamente che le medicine amare imposte dall’Europa abbiano senso, quando invece sono assolutamente insensate. E, naturalmente, con lo spazio e l’attenzione dedicati a economisti come Boldrin, Zingales ecc. che devono essere ancora in lutto per la mancata vittoria di Romney.
Questa crisi economica è il frutto dell’avidità, oltre il limite dell’autolesionismo, delle istituzioni finanziarie mondiali, che sono state capaci di riversare fiumi di denaro nella campagna elettorale americana per evitare che rinnovasse il suo mandato un presidente come Barack Obama, un centrista in termini politici italiani ed europei, solo perché aveva dichiarato l’intenzione di spostare parte del peso dei sacrifici sulle spalle di coloro che guadagnano quanto lui o più di lui. Non rendere chiaro ed evidente questo fatto significa tagliare le gambe alla possibilità che in Italia si affermi una coalizione maggioritaria diversa da quella disposta a sostenere un Monti bis, posizione che oltretutto non mi sembra molto in accordo con la linea politica complessiva del Fatto.
Buona lettura!
Gianni Mula

“Attenzione, se continuate a fare quello che vi chiede la Germania rischiate di fare la fine della Grecia”

Intervista di Angela Nocioni (Il Fatto Quotidiano.it, 11 novembre 2012,) a Roberto Lavagna, il “ministro del miracolo” che ha risollevato dal baratro l’economia dell’Argentina: “Prima di tagliare il Welfare colpire i settori improduttivi”. Dopo il crac del 2001, Buenos Aires rifiutò i diktat dell’FMI: “Per esempio decidemmo di bloccare gli sfratti per non mandare sotto i ponti migliaia di persone”.

Roberto Lavagna è l’economista che traghettò l’Argentina fuori dalla drammatica crisi esplosa nel Natale del 2001 (leggi il suo ritratto). Fu lui a governare l’emergenza. Nominato ministro dell’economia subito dopo il tracollo di Buenos Aires – con il Pil precipitato del 20%, i conti correnti congelati dalle banche e buona parte della classe media finita a rovistare nei cassonetti della spazzatura –riuscì a risollevare le sorti di un Paese dato ormai per spacciato, applicando ricette economiche finalizzate innanzitutto a restituire potere d’acquisto alla popolazione. “El ministro milagro” lo chiamano (anche i nemici) a Buenos Aires. Ora dice di noi: “Tagliare il welfare non vi farà uscire dalla crisi, o andate a disturbare settori improduttivi e prendete i soldi da lì, o vi ritroverete come Atene”.

Quali settori improduttivi?

Voi non potete giocare con la svalutazione della moneta come facemmo noi nel 2002 in Argentina perché avete l’euro e fate bene a tenervelo caro. Però potete decidere di avere il coraggio di intervenire con tagli molto precisi e molto decisi nei settori meno legati alla crescita. Penso per esempio alle spese per la Difesa. Solo quando c’è potere di acquisto c’è aumento della domanda e come si esce dalla recessione se non si pensa ad aumentare la domanda di beni e servizi da parte della popolazione? Quale senso economico ha distruggere il welfare state per tutelare gli interessi di settori di potere che non producono ricchezza? Pensare che uscirete dalla crisi attuando le politiche che vi raccomanda la troika è un errore gravissimo. Credere che si recupera competitività riducendo il potere di acquisto della popolazione è folle. Vi va male? Se seguite quelle ricette vi andrà peggio.

Quali delle richieste della Banca centrale europea, dell’Unione europea e del Fondo monetario internazionale non la convincono?

Finora mi pare che l’unica cosa concreta fatta in Europa sia stata il salvataggio delle banche. Guardate la Grecia. Lì c’è stato un drastico intervento europeo. Eppure Atene va verso un 2013 con il Pil precipitato, gli indici di disoccupazione e di povertà vanno peggio di come andavano prima del drastico intervento europeo. Perché non viene messa in discussione l’efficacia dell’intervento? Si chiede al governo greco invece di aumentare la politica delle lacrime e sangue. Cosa ha salvato lì il piano di salvataggio europeo? Ha salvato l’esposizione di alcune banche. L’esposizione delle banche in Grecia è diminuita del 60%. E’ l’unica cosa che è stata fatta. Si è privilegiato il salvataggio di quel settore. Si è fatta una scelta specifica, si è salvato l’interesse di un particolare settore di potere.

Era possibile non farlo?

Con la quantità di soldi che si è spesa si poteva salvare parte dell’economia al collasso. Ma guardate quanto si è speso per salvare le banche dei Länder tedeschi che stavano messe male tanto quanto le Caixas spagnole. Perché si parla tanto dei buchi delle Caixas spagnole e non di quelli enormi delle banche dei Länder tedeschi ripianati dalla signora Merkel? Mistero.

Che cosa contesta esattamente alla gestione tedesca della crisi europea?

L’egoismo e la miopia. La sintesi della situazione europea l’ha fatta Helmut Kohl quando ha detto: ‘Finora si trattava di europeizzare la Germania, ora si sta tentando di germanizzare l’Europa’. Che voi seguiate la strada indicata dalla Germania conviene alla Germania, non a voi.

Ma davvero crede che il welfare così come l’abbiamo conosciuto finora possa essere mantenuto?

Ci sono sprechi ed eccessi nel welfare europeo, certo. Ma non si può cominciare a tagliare da lì. Chi va a tagliare i costi del welfare, per farlo con autorevolezza, deve essersi reso prima credibile politicamente prendendo i soldi ai settori di potere improduttivi. Non ci vuole un genio dell’economia per fare cassa tagliando salari pubblici e pensioni.

Quali degli strumenti usati in Argentina per uscire dal tracollo del 2001, ritiene utili nella crisi europea attuale?

Lasciamo perdere le ovvie differenze e guardiamo alle similitudini tra le due situazioni. Sinceramente, le somiglianze tra la Grecia di oggi e l’Argentina di allora sono preoccupanti. La troika chiede ad Atene, e rischiate che tra poco chiederà a voi, le stesse cose che il Fmi chiese a noi dieci anni fa. Se l’avessimo seguito alla lettera, non ci saremmo mai più ripresi. In Argentina la prima richiesta del Fmi durante la crisi economica fu di ridurre le spese per i salari pubblici e per le pensioni del 13%. La prima richiesta fatta alla Grecia è stata di tagliarli del 14%. Noi avemmo il coraggio di dire no a richieste pressanti che ci arrivavano dagli organismi internazionali.

Quali?

Banche e imprese straniere ci chiedevano il pagamento di un’indennità, il “seguro de cambio”, che serviva a rimborsare i profitti persi a causa della svalutazione della moneta. Pagarlo a una sola impresa avrebbe voluto dire sborsare 500 milioni di dollari dalla cassa statale. Dicemmo di no. Altro esempio: decidemmo di sospendere gli sfratti nei casi di unica abitazione. Il Fmi ci disse che era una violazione del principio capitalistico della difesa della proprietà. Trovo che sia un assurdo economico, oltre che un grave attentato alla sicurezza sociale, mandare a vivere sotto ai ponti migliaia di persone. Comunque una decisione simile, pochi anni più tardi fu applicata negli Stati uniti senza scandali. Perché in casi di crisi, l’eterodossia diventa regola. Solo che negli Stati uniti sono stati più abili di noi e la decisione non ha fatto scandalo. Anzi, non ha fatto neanche notizia.


 

 

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