A proposito del Sulcis: verità che è bene richiamare …, di Salvatore Cubeddu
A proposito del Sulcis: verità che è bene richiamare …,
di Salvatore Cubeddu
Sono qui, sono attesi, c’è la ressa per incontrarli. Da più di tre anni non vedevamo in Sardegna tre ministri ‘governanti’, tutt’insieme. Berlusconi aveva abbandonato la Sardegna. Dopo un anno arriva infine un messaggio dal governo di Monti.
Le aspettative, immense. Le risposte saranno sicuramente insoddisfacenti. Non c’è un grande giro di idee sul futuro, neanche dalle parti del Sulcis, e il rischio di vendere a gente di fuori il territorio è un’abitudine, mentale prima di tutto. All’abbandono da parte dello Stato – e ad una comunque assente sua politica industriale – si congiunge poi una disarticolazione del governo della Regione che fa vergogna e spavento. I Sardi sono debolissimi nelle loro giuste rivendicazioni verso lo Stato italiano. Questi, che ormai variamente ci sfrutta e ci asservisce. Cappellacci e la sua maggioranza rappresentano una carta screditata nei confronti dell’esterno. Fa anche lui vertenze, invece di governare o andarsene.
Scrivo mentre i ministri Barca, Passera e De Vincenzi sono in macchina verso il Sulcis, l’ultima tellus geografica, economica e socio-politica dell’Italia in Sardegna. Ultima: lontananza fisica, rispetto a Roma. Economica: per reddito ed occupazione. Politica: adesioni al berlusconismo in crisi persino di una classe operaia disperata. Ma tellus italiana, da quando Carbonia è stata fondata e da subito si è imposta quale nucleo principale di questa zona della Sardegna. L’Italia ha una responsabilità particolare nei confronti di Carbonia, indipendentemente dai regimi e dalla fedeltà della popolazione ai suoi governanti. Fascismo/antifascismo, democrazie/comunismo, sardismo/berlusconismo, centrodestra/centrosinistra: non è quello il problema principale. Che è, invece, quello della sopravvivenza di un corpo venuto dall’esterno al servizio di finalità estranee al contesto territoriale. Si potrebbe parlare persino dei precedenti antichi di questa storia di appropriazione similcoloniale del più importante giacimento minerario del Mediterraneo. Ma tutta la vicenda è misurabile oggi, nel suo finire, da parte della nostra generazione che ha assistito all’epilogo di una vicenda millenaria di sfruttamento esterno e di abbandono.
Il lettore forse non ha il tempo di leggere un lungo scritto. Questi nostri sono tutti titoletti di un discorso che deve prevedere anche i commenti degli esclusi, gli altri disperati territori sardi, i loro documenti invidiosi, i messaggi lanciati ai loro capi di Cagliari, frustrati come e più di loro. Quella al Sulcis va letta come una risposta alla gravità della situazione (ma chi può stabilire nei nostri territori il parametro della gravità della fame?), alla originalità-durata-determinazione delle lotte (ma quella della Vinyls di P. Torres è stata forse meno brillante e seguita, in Italia e persino in Europa?), ma anche a questo dato, Carbonia città italiana, della quale la patria prima o poi deve farsi carico.
Tutta la storia della Sardegna all’interno dell’Italia repubblicana è segnata dal problema di Carbonia, basti sfogliare a caso un’annata dell’Unione sarda. Il viaggio ministeriale di oggi ripete altri viaggi, quelli che portarono prima alla centrale dell’Enel (e relative grasse pensioni agli ex-minatori) e, successivamente, alla costruzione del polo dell’alluminio attraverso il “piano Piccoli” (1072). Di esso è frutto fondamentale la prima lavorazione dell’alluminio, quella appena chiusa da parte dell’Alcoa (già Alluminio Italia e, prima, Alsar – alluminio sarda: i nomi dicono tutt la sua storia…). Quell’azienda è giustamente il simbolo del territorio, per i suoi lavoratori rimane ora l’unico punto fermo.
Ma il fallimento della politica che ne è stata all’origine era già scritta nella nazionalizzazione italiana dell’energia elettrica nella metà degli anni sessanta, che chiuse l’azienda regionale dell’elettricità (ERSAE), e nel privilegio accordato alle seconde e terze lavorazioni dell’alluminio – quelle con il maggior lavoro aggiunto ed occupazione – collocate dalla aziende pubbliche nel Nord Italia, soprattutto nel Veneto. Porto Vesme, come polo integrato, nasce abortito. Conserverà il ruolo di produzione primaria, quella ad alto capitale e costi energetici, con scarsa occupazione e forte impatto ambientale. Con la rinuncia ormai quasi ventennale ad un ruolo imprenditoriale da parte dello Stato, ed i sostanziosi benefits offerti ad una Alcoa globale, il ruolo del polo industriale sulcitano è stato ulteriormente marginalizzato. Certo, esistono oggettivi problemi di economia di scala e di costi dell’energia, ma sicuramente esistono anche gravi problemi di usura degli impianti, dovuti al loro invecchiamento ed allo sfruttamento finale di un’azienda che da anni si era proposta di fare le valigie. Ma in questi mesi nessuno (né l’azienda, né il Ministero, né gli assessorati regionali, e neanche i sindacati) hanno spiegato alla pubblica opinione la reale condizione degli impianti, la loro vetustà ed il valore degli investimenti necessari per proiettarli nel futuro (parlare di tre anni è prendersi in giro…).
Se può servire … ho seguito per più di dodici anni (1976 – 1989) i lavoratori dell’Alcoa partecipando alle trattative locali e romane. Tutte queste osservazioni li ho espresse con altri e le ho scritte, discusse con i lavoratori e con le controparti aziendali e istituzionali. Inutilmente. In Sardegna (e, forse, non solo…) si vive per il giorno-dopo-giorno, si mettono delle pezze ai problemi, senza veramente affrontarli. Si è andati avanti così a partire dal 1978, fino al disastro attuale. Ma la morte era stata annunciata, la malattia mortale più volte individuata, le cure prospettate. Ci sono nomi e cognomi dei responsabili. Purtroppo non esistono pene per i più gravi tra i peccati della storia. I peccati di omissione.
By bruno, 14 novembre 2012 @ 00:03
Finalmente, almeno lo spero, ad iniziare da questa vicenda del sulcis, la CSS prova a comportarsi da sindacato sardo, a non andare più in coda ai sindacati italiani di sardegna. Lo aspettavo da tanto. Probabilmente mi iscriverò, semprechè la CSS decida di essere il sindacato dei sardi, nettamente distinto da quelli italiani, anche, o forse soprattutto, dentro l’amministrazione regionale.
E semprechè si diano da fare perchè l’assemblea costituente per lo statuto e lo statuto stesso non siano appannaggio dei sindacalisti italiani di sardegna amici di cubeddu.