La sovranità del Popolo sardo riprende il cammino
Il comitato per l’Assemblea costituente è stata sentita dalla Commissione ‘autonomia’ del Consiglio: sintesi dell’incontro. Le proposte di legge.
Giovedì 25 ottobre 2012,a partire dalle ore 17, la 1° Commissione “autonomia” del Consiglio regionale della Sardegna ha ricevuto una delegazione del Comitato per l’Assemblea Costituente del Popolo sardo.
Della commissione erano presenti: On. Paolo Giovanni MANINCHEDDA, presidente, On. Pietro COCCO Vice Presidente, On. Tarcisio AGUS segretario, On. Roberto CAPELLI. On. Mariano Ignazio CONTU, , On. Rosanna FLORIS, On. Gabriella GRECO, On. Vittorio Renato LAI, On. Antonio PITEA, On. Giulio STERI. Erano assenti: . On. Michele COSSA (sostituito dall’on. Pierpaolo Vargiu), On. Angelo Francesco CUCCUREDDU, On. Renato SORU.
Del Comitato partecipavano: Mario Medde (segr.gener. della Cisl sarda), Michele Carrus (segr- reg- Cgil), Terenzio Calledda (segr. Reg. Uil), Giacomo Merloni (segr. gen. CSS), Oriana Putzolu (segr. reg. Cisl), Vanni Lobrano (preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Univ. di Sassari) Salvatore Cubeddu (dirett. Fondazione Sardinia).
AVVISO AL LETTORE. La riunione era a porte chiuse e veniva registrata, non era prevista la presenza della stampa. Rispettando la riservatezza, qui si riferisce quanto affermato in quella sede dall’autore di questo articolo. Il presidente e i commissari intervenuti si sono limitati a rivolgere delle domanda alla delegazione del Comitato, che aveva introdotto ponendo due quesiti fondamentali: l’assemblea costituente deve decidere sullo statuto ma pure della forma di governo della futura regione; di fronte all’attacco governativo alla loro specialità, i Sardi devono difendere le proprie istituzioni e, attraverso una vera assemblea decisionale (e non solamente consultiva nei confronti del Consiglio regionale) devono decidere in tempi brevi e in forma partecipata e rappresentativa il proprio futuro. Mettiamo qui di seguito le domande e le risposte senza indicare i nominativi di coloro che le hanno poste.
Le domande della Commissione:
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- come chiamare l’assemblea che scriverà lo Statuto dopo che, sei mesi fa, la Corte costituzionale italiana ha bocciato il testo e la dicitura della Valle d’Aosta?
- Quante persone la devono comporre?
- D’accordo per l’elezione a sistema proporzionale puro, ma: i componenti dell’Assemblea costituente devono essere eletti in un unico collegio o suddivisi nelle quattro o nelle otto province?
- Deve esserci un compenso e di quanto?
- La futura assemblea deve elaborare documenti o scrivere un articolato legislativo?
- Deve porsi l’ineleggibilità dei componenti dell’assemblea alle successive elezioni regionali?
Sono intervenuti tutti i componenti della delegazione, i quali (in sintesi) hanno risposto affermando che:
- all’assemblea – chiamata con un nome che eviti la semplice consultazione da parte del Consiglio regionale – si deve pensare come all’organismo che individua il futuro della Sardegna e che intraprende la scrittura del nuovo patto costituzionale con lo Stato italiano;
- la sua composizione deve porsi quale riferimento una rappresentatività che finora ha penalizzato, nelle elezioni regionali e politiche, le zone interne della Sardegna ed i piccoli comuni;
- i collegi sono da preferire alla lista unica;
- il comitato non ha mai trattato del compenso, la cui dimensione non può che rapportarsi alla disponibilità dell’impegno;
- l’assemblea deve arrivare a scrivere l’articolato del nuovo Statuto-Costituzione della Sardegna;
- Dati i loro compiti, non possono essere eleggibili né i consiglieri regionali né i parlamentari;
E si è aggiunto: i lavori devono iniziare e concludersi possibilmente entro questa legislatura regionale. Occorre utilizzare le prime elezioni referendarie o politico-amministrative per eleggere i componenti dell’assemblea. Essa continuerebbe i lavori anche in presenza di decadenza anticipata della legislatura. Una durata credibile è quella dei sei mesi.
Nella riunione non sono stati affrontati snodi importanti quale quello dell’ineleggibilità dei componenti il Consiglio delle Autonomie, dato che l’assemblea costituente deve decidere anche il loro futuro ruolo all’interno delle istituzioni della Sardegna. Non si è discusso dell’eventualità di rendere operativa l’assemblea in una sede differente da Cagliari, ad esempio ad Oristano. Qualcuno intende porre vincoli di genere e di età, dimenticando che i padri costituenti dovranno qualificarsi per competenza e saggezza.
Al Comitato sono state consegnate le proposte di legge sull’Assemblea Costituente presentate da gruppi di consiglieri e dai gruppi consiliari. Li rendiamo disponibili al lettore.
XIII LEGISLATURA
PROPOSTA DI LEGGE N. 37
presentata dal Consigliere regionale
FLORIS Mario – CHERCHI Oscar
il 5 ottobre 2004
Istituzione della Convenzione Costituente del popolo sardo
RELAZIONE DEL PROPONENTE
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La presente proposta di legge regionale per la Convenzione Costituente del popolo sardo è sta-ta predisposta in stretta connessione politica ed ideale con la proposta di legge costituzionale dello Stato, di costituzione della Comunità autonoma della Sardegna, nel testo del Presidente Emerito della Repubblica, Senatore a vita Francesco Cossiga, sardo e “nazionalitario” al Senato della Repubblica.
Una proposta formale al Parlamento nazionale per la costituzione di una Assemblea Costituen-te del popolo sardo potrebbe trovare enormi e non superabili ostacoli nel carattere necessariamente centralista di alcune forze politiche tanto che l’iniziativa legislativa del Consiglio regionale non ha trovato, finora, la doverosa accoglienza in sede parlamentare.
Per questo occorre, come auspicato da Francesco Cossiga, un’iniziativa anche solo politica dal basso che apra un tavolo di trattativa tra i rappresentanti della Sardegna e il governo centrale.
La presente proposta di legge prevede l’istituzione con legge regionale di una “Convenzione Costituente” del popolo sardo nell’unica forma che al Consiglio regionale della Sardegna è possibile e cioè come organo di studio e propositivo nei confronti del Consiglio regionale stesso. La sua composizione, prevista all’articolo 2, è però tale da dare a quest’organo senza poteri costituenti veri e propri una valenza di costituente politico-culturale di grande significato civile e di forza morale.
ding=”10″ width=”90%” border=”1″> TESTO DEL PROPONENTE | TESTO DELLA COMMISSIONE | |
Art. 1 Istituzione e compiti 1. Quale istituzione di diritto pubblico regionale è istituita la “Convenzione Costituente del popolo sardo”. 2. La Convenzione Costituente del popolo sardo ha il compito di formulare, a titolo propositivo, sotto il nome di “Costituzione della Comunità autonoma della Sardegna”, o “Noa Carta De Logu de Sardigna”, il progetto di nuovo Statuto della Regione autonoma della Sardegna, da sottoporre al Consgilio regionale della Sardegna per le iniziative di sua competenza e salvo la sua piena autonomia decisionale. |
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Art. 2 Composizione 1. La Convenzione Costituente è formata da: a) i membri del Consiglio regionale della Sardegna; b) i deputati e i senatori del parlamento nazionale eletti o nati in Sardegna o da almeno un genitore sardo; c) i membri degli altri Consigli regionali, eletti fuori dalla Sardegna, purché nati in Sardegna o da almeno un genitore sardo; d) i Presidenti dei Consigli provinciali della Sardegna e tre membri eletti nel loro seno, con voto limitato a due, da ciascun Consiglio provinciale; e) i Presidenti dei Consigli comunali dei Comuni capoluoghi di provincia e tre membri eletti nel loro seno, con voto limitato a due, dai Consigli comunali dei capoluoghi di Provincia; f) i sindaci dei Comuni capoluoghi e i Presidenti delle Province; g) dieci membri eletti per ciascuna provincia, con il metodo proporzionale d’Hondt, da un’assemblea provinciale dei consiglieri comunali della Provincia, esclusi quelli dei Comuni capoluoghi di Provincia; h) i rettori e i presidi delle Facoltà delle Università di Cagliari e di Sassari e della Libera Università nuorese; i) gli Arcivescovi e i Vescovi della Sardegna che ne abbiano avuto l’autorizzazione dalle competenti autorità ecclesiastiche; l) dieci esperti, elettori in Sardegna o nati in Sardegna o almeno da un genitore sardo, eletti dal consiglio regionale con il metodo proporzionale d’Hondt. |
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Art. 3 Convocazione e nomina 1. Spetta al Presidente del Consiglio regionale convocare entro dieci giorni dall’entrata in vigore della presente legge regionale, in date comprese tra il ventesimo e quarantesimo giorno successivo alla stessa data di entrata in vigore, le assemblee che devono procedere alle nomine dei membri della Convenzione Costituente di loro competenza. 2. I membri della Convenzione Costituente sono formalmente nominati, con suo decreto, dal Presidente del Consiglio regionale. 3. Spetta al Presidente del Consiglio regionale convocare, insediare e presiedere, nel luogo e nella sede da lui scelta, la prima riunione della Convenzione Costituente. |
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Art. 4 Norme regolamentari interna della Convenzione Costituente e sua sede 1. Per quanto attiene all’istituzione e all’elezione degli organi interni della Convenzione Costituente e per il disbrigo dei suoi lavori, si applica un apposito regolamento emanato dal Presidente del Consiglio regionale sulla base del regolamento interno del Consiglio regionale e ratificato dalla Convenzione Costituente nella sua prima riunione. 2. Sempre nella sua prima riunione, la Convenzione Costituente elegge i suoi organi interni ad eccezione del Comitato di cui all’articolo 5. 3. Sempre nella sua prima seduta la Convenzione Costituente approva, su proposta del Presidente del Consiglio regionale, il luogo e la sede dei suoi lavori. |
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Art. 5 Comitato di Presidenza 1. Si proposta del suo Presidente, formulata dopo consultazioni interne, la Convenzione Costituente nomina nel suo seno un Comitato di Presidenza costituito di 25 membri, con il compito di formulare all’assemblea una completa ed organica proposta di “Costituzione della Comunità autonoma della Sardegna”, da sottoporre all’esame e al voto dell’assemblea stessa. |
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Art. 6 Termine dei lavori 1. La Convenzione Costituente termina i suoi lavori e trasmette la sua proposta o le sue proposte, insieme ai suoi atti, al Consiglio regionale e si discioglie entro un anno dal suo insediamento, salvo proroga con legge regionale. |
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Art. 7 Norma finanziaria 1. Ai membri della Convenzione Costituente, e in particolare ai membri del Comitato di presidenza e dell’Ufficio di presidenza spettano gettoni, anche differenziati, di presenza ed il rimborso delle spese di viaggio e soggiorno. 2. Le spese per l’attuazione della presente legge sono valutate in complessivi euro 500.000 e in ragione di euro 250.000 per ciascuno degli anni 2004 e 2005. 3. Nel bilancio della Regione per il 2004 e nel bilancio pluriennale per gli anni 2004-2006 sono apportate le seguenti variazioni: In aumento 01 – PRESIDENZA DELLA GIUNTA UPB S01.013 Consiglio regionale 2004 euro 250.000 2005 euro 250.000 2006 euro —– In diminuzione 03 – BILANCIO UPB S03.006 (voce 4, Tabella A della legge finanziaria) 2004 euro 250.000 2005 euro 250.000 2006 euro —– |
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Progetto di legge n. 1521
Proposta di legge costituzionale d’iniziativa del Consiglio regionale della Sardegna
Presentata il 14 agosto 2001
Procedura di adozione del nuovo Statuto speciale per la Sardegna mediante istituzione dell’Assemblea Costituente sarda
Art. 1
1. Al Titolo VII della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), è aggiunto il seguente articolo:
“Art. 54-bis. Per l’adozione di un nuovo Statuto speciale ai sensi dell’articolo 116 della Costituzione, il Consiglio regionale può deliberare, con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, l’istituzione di una Assemblea Costituente regionale. In tale caso, il potere di iniziativa legislativa di cui all’articolo 71 della Costituzione e all’articolo 54 del presente Statuto è esercitato, nella materia statutaria, dall’Assemblea Costituente regionale e il nuovo Statuto è adottato con le procedure stabilite dall’articolo 138 della Costituzione e dal presente articolo.
Il nuovo Statuto speciale non deve contrastare con il principio di indivisibilità della Repubblica. Non si considerano contrastanti con l’indivisibilità della Repubblica le disposizioni statutarie volte a definire i rapporti tra Stato e Regione secondo princìpi federalisti in un quadro di solidarietà nazionale.
L’Assemblea Costituente regionale è eletta a suffragio universale e diretto, con sistema proporzionale, secondo modalità disciplinate dalla legge istitutiva, che determina la composizione dell’Assemblea in un numero compreso fra i trenta e i sessanta componenti, stabilisce i casi di ineleggibilità e di incompatibilità e le norme fondamentali di organizzazione e di funzionamento dell’Assemblea. L’Assemblea Costituente regionale elegge un Presidente ed un Ufficio di presidenza, composto secondo criteri di proporzionalità, e adotta un proprio regolamento interno.
Le proposte di legge in materia statutaria possono essere presentate all’Assemblea Costituente regionale da ciascuno dei suoi componenti. Possono presentare proposte all’Assemblea Costituente, entro trenta giorni dal suo insediamento, i consiglieri regionali e la Giunta regionale; sono trasmesse all’esame dell’Assemblea Costituente le proposte di legge di iniziativa popolare in materia di revisione statutaria eventualmente presentate al Consiglio regionale entro il medesimo termine.
Entro sei mesi dall’insediamento l’Assemblea Costituente regionale approva a maggioranza assoluta dei votanti gli articoli del nuovo Statuto speciale e trasmette l’articolato al Consiglio regionale, che entro i successivi quarantacinque giorni ha facoltà di formulare osservazioni e proposte sul nuovo Statuto. Entro i successivi trenta giorni l’Assemblea Costituente esamina le eventuali proposte modificative trasmesse dal Consiglio regionale, approva definitivamente il nuovo Statuto speciale a maggioranza assoluta dei propri componenti e lo trasmette al Parlamento. La legge regionale istitutiva può dettare norme in materia di perentorietà dei termini per le attività dell’Assemblea previste dal presente comma e dal sesto comma.
Qualora le Commissioni parlamentari competenti, durante l’esame antecedente la prima deliberazione di cui all’articolo 138 della Costituzione, formulino osservazioni sul nuovo Statuto, l’Assemblea Costituente delibera entro trenta giorni dal ricevimento delle stesse, a maggioranza assoluta dei componenti, gli eventuali emendamenti e li trasmette alle Camere, dandone contestuale comunicazione al Consiglio regionale.
Le Camere possono approvare il nuovo Statuto speciale senza modificazioni rispetto al testo trasmesso dall’Assemblea Costituente regionale, ovvero possono respingerlo.
La legge costituzionale di approvazione dello Statuto speciale non è sottoposta a referendum nazionale.
L’Assemblea Costituente resta in carica per dodici mesi dal suo insediamento, salvo che il Consiglio regionale, in relazione agli adempimenti di cui al sesto comma, non ne deliberi, con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, la proroga per un periodo non superiore a sei mesi. Decorsi i predetti termini, tutte le funzioni dell’Assemblea Costituente sono esercitate dal Consiglio regionale. Si applicano anche in tale caso le disposizioni di cui al presente articolo in ordine alla procedura di approvazione parlamentare del nuovo Statuto.
Commissione parlamentare per le questioni regionali
Resoconto di mercoledì 20 novembre 2002
Mercoledì 20 novembre 2002
Presidenza del Presidente VIZZINI
IN SEDE CONSULTIVA
(A.S. 619 e A.C. 1521) CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA – Procedura di adozione del nuovo Statuto speciale per la Sardegna mediante istituzione dell’Assemblea costituente sarda.
Prosegue l’esame sospeso nella seduta del 5 novembre scorso.
IL PRESIDENTE ricorda che, nella seduta del 5 novembre scorso, la Commissione non era risultata in numero legale in occasione della votazione sul parere predisposto dal relatore onorevole Nuvoli.
Il relatore NUVOLI illustra nuovamente uno schema di parere del seguente tenore: «La Commissione parlamentare per le questioni regionali, esaminati i disegni e le proposte di legge in titolo, per quanto di propia competenza, esprime parere favorevole sul disegno di legge costituzionale A.S. 619 e sulla proposta di legge costituzionale A.C. 1521 entrambi recanti: Procedura di adozione del nuovo Statuto speciale per la sardegna mediante istituzione dell’Assemblea Costituente sarda>».
Il deputato Potenza, a nome della componente UDEUR – Popolari per l’Europa del Gruppo MISTO, si dichiara favorevole all’istituzione dell’Assemblea Costituente sarda.
Il deputato OLIVIERI chiede la verifica del numero legale.
Il PRESIDENTE, chiede la verifica del numero legale, dà atto che la Commissione è in numero legale.
Posto ai voti, il parere sopra riportato risulta approvato a maggioranza, dopo che il deputato OLIVIERI ha espresso voto contrario.
CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XIII LEGISLATURA
PROPOSTA DI LEGGE N. 22
presentata dal Consigliere regionale
ATZERI – SCARPA
il 1° settembre 2004
Istituzione di una Assemblea costituente per la redazione del nuovo Statuto speciale della Sardegna
RELAZIONE DEL PROPONENTE
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L’articolo 54, comma 1, dello Statuto speciale per la Sardegna prevede che i titolari dell’iniziativa per la modificazione o la revisione organica dello Statuto siano il Consiglio regionale o almeno ventimila elettori.
Ciò non impedisce che venga eletta un’Assemblea costituente a livello regionale sulla base del sistema proporzionale, che il progetto di Statuto sia sottoposto al parere del Consiglio regionale, rivisitato dall’Assemblea costituente, e quindi approvato dal Consiglio regionale e trasmesso al Parlamento per l’esame in doppia lettura, secondo quanto previsto dall’articolo 138 della Costituzione.
L’Assemblea costituente non rientra tecnicamente nella struttura degli organi fondamentali del Consiglio e della Giunta regionale: ossia è un organo che al di là degli organi fondamentali della Regione, per comune consenso della dottrina, la Regione può costituire. Esso è fondamentale per la fissazione dei contenuti del nuovo Statuto, ma la procedura che si segue è quella statutariamente e costituzionalmente prevista.
ding=”10″ width=”90%” border=”1″> TESTO DEL PROPONENTE | TESTO DELLA COMMISSIONE | |
Art. 1 Istituzione di un’Assemblea Costituente 1. In armonia con l’articolo 3 della Legge Costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2 e con la Legge Costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, il Consiglio regionale istituisce un’Assemblea costituente del popolo sardo allo scopo di redigere un nuovo Statuto speciale per la Sardegna. |
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Art. 2 Principi 1. In considerazione delle peculiarità di carattere storico, istituzionale, economico, etnico, linguistico, culturale, nonché della condizione di insularità e della particolare collocazione geografica della Sardegna nel Mediterraneo, i lavori dell’Assemblea costituente dovranno tener conto dei seguenti principi: a) lo Statuto speciale anche in conformità ai principi di diritto internazionale e comunitario, contempla potestà legislative – da esercitare in via esclusiva ovvero in concorso con lo Stato – anche in deroga alle competenze riservate a quest’ultima; per l’esercizio di tali potestà vanno garantite corrispondenti risorse finanziarie; b) lo Statuto deve determinare una forma di governo e dei principi di organizzazione e funzionamento della Regione in modo da coniugare le esigenze di stabilità con quelle di rappresentanza; c) lo Statuto configura una nuova procedura per l’adozione delle norme di attuazione quali strumenti di collegamento tra Stato e Regione e di risoluzione di specifiche problematiche; d) lo Statuto valorizza il piano di rinascita della Sardegna di cui all’articolo 13 della vigente carta statutaria; e) lo Statuto è adeguato alle previsioni della riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, in quanto più favorevoli, con leggi regionali da approvarsi a maggioranza qualificata entro tre anni dall’entrata in vigore della Legge Costituzionale n. 3 del 2001; f) entro sei mesi dalla data di entrata in vigore delle leggi regionali di cui al punto e), la Regione Sardegna determina, d’intesa con lo Stato, le risorse umane, i mezzi finanziari, i beni e gli strumenti organizzativi necessari ad esercitare le nuove competenze; g) la Repubblica deve garantire alla Sardegna la coesione ed il riequilibrio economico-sociale attraverso un nuovo sistema finanziario e fiscale, responsabilizzante e solidaristico, che preveda anche una politica di sgravi fiscali e di realizzazione di zone franche, sino al perseguimento dell’autosufficienza finanziaria, in un quadro di sostegno al mezzogiorno, alle isole e alle altre aree svantaggiate del paese; h) la Regione partecipa alla formazione della volontà dello Stato con riferimenti ai trattati internazionali che incidano nelle materie di sua competenza nonché in relazione ai trattati istitutivi dell’Unione Europea, agli atti da questa emanati ed alla formazione dei suoi organi, conformemente ai principi di coesione, di democraticità e di sussidiarietà, con la previsione che la Regione possa concludere accordi con gli stati membri dell’Unione Europea e i loro enti territoriali. |
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Art. 3 Elezione dell’Assemblea Costituente 1. Le modalità di elezione dell’Assemblea costituente saranno stabilite con legge regionale basata sul sistema proporzionale. |
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Art. 4 Consultazioni 1. Il progetto di legge in corso di adozione da parte dell’Assemblea costituente sarà oggetto di consultazione con le autonomie locali, con le organizzazioni sindacali, con la Confindustria, con le università di Cagliari e Sassari, nonché con tutti i soggetti pubblici e privati che possano offrire un effettivo contributo. |
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Art. 5 Procedura di approvazione 1. Il progetto di Statuto sarà sottoposto al parere del Consiglio regionale. 2. Entro trenta giorni l’assemblea legislativa approverà e trasmetterà il progetto elaborato dall’Assemblea costituente, al Parlamento che lo approverà secondo la procedura di cui all’articolo 138 della Costituzione. 3. Lo Statuto sarà sottoposto a referendum confermativo di cui al comma 3 della Legge Costituzionale 22 novembre 1992, n. 1. |
CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XIV LEGISLATURA
PROPOSTA DI LEGGE N. 352
presentata dai Consiglieri regionali
VARGIU – COSSA – DEDONI – FOIS – MELONI Francesco – MULA
il 17 gennaio 2011
Istituzione dell’Assemblea costituente per la riscrittura dello Statuto regionale sardo
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RELAZIONE DEL PROPONENTE
Il dibattito sulla revisione dei contenuti dello Statuto speciale per la Regione autonoma della Sardegna ha ormai radici antiche.
Già nel 1996, il Consiglio regionale della Sardegna iniziò a confrontarsi con le procedure di revisione costituzionale nazionali e regionali, attraverso una proposta di legge nazionale (la n.12 del 18 settembre1996) che, primo firmatario Massimo Fantola, impegnava il Parlamento nazionale a scegliere la via della Costituente per le modifiche costituzionali che vennero effettivamente portate a compimento negli anni successivi.
La ratio che ispirava sin da allora il Movimento per la Costituente affondava le proprie radici nella convinzione che un atto di riforma così profondo delle legge quadro che governa il nostro ordinamento dovesse obbligatoriamente passare per un processo di consapevolezza popolare che costituisse il sentimento di base di ogni attività di modifica.
Lo stesso spirito che era alla base di quella proposta di legge nazionale, nella legislatura regionale successiva (1999-2004), portò alla nascita di un’azione consiliare bipartisan, alla quale corrispose un grande movimento popolare diffuso nella società civile sarda, che individuò nell’Assemblea costituente per la riscrittura dello Statuto di autonomia lo strumento irrinunciabile per dare nuove regole alla carta dei diritti e dei doveri dei sardi e per dare nuove basi ai rapporti della Sardegna con l’Italia e l’Europa.
Il Movimento per la Costituente, dopo lungo dibattito consiliare, ottenne un risultato storico il 31 luglio 2001, riuscendo a far approvare una proposta di legge nazionale che stabiliva le modalità di riscrittura dello Statuto di autonomia attraverso un’Assemblea costituente elettiva, il cui deliberato sarebbe stato sottoposto al Parlamento nazionale a cui era però riservato soltanto il ruolo di approvare o bocciare la proposta proveniente dalla Sardegna.
In altre parole, qualora la proposta di legge nazionale fosse stata approvata dal Parlamento, attraverso l’Assemblea costituente, i sardi avrebbero potuto confezionare una propria proposta di modifica dello Statuto sulla quale il Parlamento italiano avrebbe avuto soltanto la strada dell’approvazione integrale o del rigetto.
In questo modo sarebbe stato sancito, anche proceduralmente, il ruolo centrale e sostanzialmente non sindacabile dell’Assemblea costituente sarda, rappresentativa in modo compiuto della sovranità popolare sarda.
Come è noto a tutti, per motivi in parte legati alla complessità delle procedure di approvazione parlamentare della proposta di legge nazionale approvata dal Consiglio regionale, in parte sicuramente maggiore per la scarsa coesione e per la scarsa determinazione delle forze politiche sarde nel difendere nazionalmente l’opportunità creata dal Consiglio regionale, la proposta si arenò nel percorso in commissione parlamentare e non venne mai affrontata dall’Aula.
In questo modo, la Sardegna perse un’occasione irripetibile per partecipare da protagonista assoluta alla fase di rinnovo degli statuti regionali che prese l’avvio negli anni successivi e che ancora oggi, dopo dieci anni, non vede nella nostra Regione alcun risultato concreto.
Nella successiva legislatura regionale (2004-2009) la maggioranza di governo di centrosinistra scelse per la riscrittura dello Statuto una strada affidata ad una sorta di commissione indicata dal Consiglio regionale (la Consulta per il nuovo Statuto della legge regionale del 18 maggio 2006) che, in realtà, non vide mai la luce in quanto non convinse mai interamente tutti gli attori della politica isolana.
In quella legislatura, i Riformatori rimasero invece solidamente ancorati al proprio progetto di Assemblea costituente elettiva e presentarono in tal senso un’ennesima proposta di legge finalizzata alla nascita dell’Assemblea costituente.
Tale proposta veniva reiterata dai Riformatori anche nell’attuale XIV legislatura (proposta di legge nazionale n. 4, primo firmatario Vargiu).
Il mantenimento di tale indirizzo propositivo non discende da una sorta di innamoramento delle proprie posizioni politiche storiche, ma deriva dalla valutazione sempre attuale che un’iniziativa di riforma così carica di suggestioni e di risvolti sociali ed economici per il futuro della Sardegna non possa essere affidata all’organo legislativo (il Consiglio regionale) che deve già provvedere all’ordinaria attività di legiferazione, e non possa che essere affidata ad un organismo straordinario sia nei meccanismi di elezione, che nel ruolo, che possa dedicarsi in modo esclusivo a tale attività raccogliendo e portando a sintesi tutte le spinte di innovazione e modernizzazione istituzionale che provengono dalla società sarda.
In altre parole, soltanto un’Assemblea costituente eletta a suffragio universale ci appare in grado di suscitare quel coinvolgimento popolare che è oggi più che mai indispensabile per conferire adeguata autorevolezza e spessore al complessivo progetto di cambiamento della carta fondante della convivenza civile in Sardegna.
È assai difficile che il Parlamento regionale sardo, diviso da battaglie di schieramento legate alla politica quotidiana e impegnato in una complessa e difficile azione legislativa ordinaria, possa trovare la coesione complessiva e l’equilibrio super partes che appare invece indispensabile per riscrivere con equanimità e respiro epocale le norme condivise del nuovo Statuto speciale.
Ci sembra altresì indispensabile che l’Assemblea legislativa che lavorerà in maniera costituente debba avere quella specifica delega del popolo sardo che appare indispensabile a conferirle l’autorevolezza necessaria a svolgere un lavoro che oggi, in tempi di federalismo spesso malinteso, possa consentire di scrivere norme che permettano di raggiungere un nuovo rapporto di piena dignità con lo Stato italiano.
Soltanto l’elezione diretta dell’Assemblea costituente ci sembra, inoltre, che possa rappresentare lo strumento democratico per canalizzare gli entusiasmi e le aspettative che il Movimento per la Costituente è riuscito negli anni ad accendere nei sardi, riuscendo nella difficilissima opera di coinvolgere larghe parti del sistema produttivo, sindacale, associativo della Sardegna nella difficile responsabilità di discutere insieme al mondo della politica il futuro dello Statuto sardo.
Partendo da tali considerazioni, appare dunque quasi superfluo sottolineare i motivi per cui, dopo quindici anni dalla propria originaria proposta, i Riformatori rimangono convinti della bontà delle proprie iniziative a sostegno dell’Assemblea costituente.
Semmai, ci sarebbe da svolgere più di una riflessione sui ritardi e sulle incertezze nella condivisione di questa progettualità che sono alla base dei ritardi con cui oggi la Sardegna affronta il tema della propria autonomia, in un contesto nazionale radicalmente mutato rispetto agli anni Novanta, con il rischio serio di non riuscire a difendere adeguatamente i diritti di cittadinanza del proprio popolo.
È infatti del tutto evidente come l’originaria proposta di un’assemblea costituente che lavorasse in base ad una sorta di delega costituzionale ricevuta dal Parlamento, sia diventata assai meno praticabile per effetto del dibattito nazionale sul federalismo, che ha reso negli anni assai più debole la posizione delle regioni meno forti economicamente.
È per questo che i Riformatori, pur non abbandonando la strada maestra della proposta di legge nazionale di elezione di un’assemblea costituente con deleghe parlamentari, con realismo affiancano a tale progetto (che in assoluto resta ancora oggi il più valido) quello subordinato, contenuto nella presente proposta di legge che è indirizzato all’elezione di un’assemblea costituente per la riscrittura dello Statuto, la cui istituzione è sin d’ora nella piena disponibilità del Consiglio regionale, che si occupi esclusivamente di redigere il nostro nuovo Statuto di autonomia.
Tale Assemblea verrà eletta a suffragio universale, con sistema proporzionale, garantendo la piena rappresentatività di tutte le sensibilità della società sarda.
Il suo deliberato verrà sottoposto all’approvazione preliminare del Consiglio che, dopo l’approvazione definitiva da parte dell’Assemblea costituente, lo invierà al Parlamento nazionale perché compia il suo percorso di revisione costituzionale.
Pur consapevoli della maggior tortuosità di questo percorso rispetto alla strada maestra di una Costituente che si propone con dignità paritaria al Parlamento nazionale, siamo però convinti che la presente proposta consenta comunque di salvaguardare un percorso di coinvolgimento e partecipazione popolare che ci appare davvero indispensabile perché lo Statuto proposto al Parlamento possa davvero avere il pieno sostegno dell’intera Sardegna, indispensabile a conferire spessore ed autorevolezza al suo testo.
Nella storia dei Riformatori, il sentimento che è alla base della condivisione popolare cresciuta intorno alla proposta di Assemblea costituente ci convince che non ci troviamo di fronte ad un mero strumento per la realizzazione della nostra autonomia.
La Costituente può essere molto più di uno strumento perché può diventare la sede in cui realizzare il percorso di condivisione e di scelta che è oggi alla base del superamento di vecchie e inadeguate logiche di schieramento, per ritrovare condivisione di valori e certezza di regole in grado di produrre il complessivo progetto di innovazione, cambiamento e modernizzazione di cui la Sardegna ha vitale necessità.
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ding=”10″ width=”100%” border=”0″> TESTO DEL PROPONENTE | |
Art. 1 Partecipazione popolare 1. La riscrittura dello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna avviene attraverso strumenti che garantiscono la massima partecipazione popolare.
Art. 2 1. Ai fini della riscrittura dello Statuto speciale, la Regione autonoma della Sardegna istituisce l’Assemblea costituente del popolo sardo.
Art. 3 1. L’Assemblea costituente del popolo sardo per la riscrittura dello Statuto di autonomia è composta da cinquanta membri, eletti a suffragio universale diretto, con sistema elettorale proporzionale, con liste contrapposte su collegio unico regionale. I casi di ineleggibilità e incompatibilità sono quelli disciplinati dalla vigente normativa per l’elezione del Consiglio regionale. 2. Il relativo turno elettorale è indetto con decreto del Presidente della Regione e si svolge entro i centoventi giorni successivi all’approvazione della presente legge, secondo le norme stabilite dal Consiglio regionale con specifica legge regionale.
Art. 4 1. L’Assemblea elegge al proprio interno un Presidente e adotta un regolamento che disciplini il proprio funzionamento.
Art. 5 1. Ciascun componente dell’Assemblea costituente ha titolo per presentare proposte in materia di Statuto. 2. I consiglieri regionali in carica e la Giunta regionale possono altresì presentare proprie proposte in materia di modifica dello Statuto, entro i primi trenta giorni dall’inizio dell’attività dell’Assemblea costituente. 3. È altresì previsto che l’Assemblea esamini eventuali proposte di legge di iniziativa popolare che giungano entro lo stesso termine dei trenta giorni.
Art. 6 1. L’Assemblea costituente approva il testo della proposta di nuovo Statuto entro sei mesi dal proprio insediamento e indica uno o più relatori per la successiva fase presso il Consiglio regionale.
Art. 7 1. Il testo approvato viene trasmesso al Consiglio regionale che lo discute e lo approva entro i successivi quarantacinque giorni.
Art. 8 1. Il testo approvato dal Consiglio regionale ritorna presso l’Assemblea costituente che lo approva definitivamente entro i successivi trenta giorni, con voto espresso dalla maggioranza assoluta dei suoi componenti e lo trasmette nuovamente al Consiglio regionale che, senza ulteriori possibilità di modifica, lo approva a maggioranza assoluta dei propri componenti e lo trasmette al Parlamento per le finalità di cui agli articoli 138 della Costituzione e 54 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Regione autonoma della Sardegna), e successive modifiche. |
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CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XIV LEGISLATURA
PROPOSTA DI LEGGE N. 29
presentata dai Consiglieri regionali
SANNA Giacomo – DESSÌ – MANINCHEDDA – PLANETTA – SOLINAS Christian
il 17 giugno 2009
Istituzione di una Assemblea costituente per la redazione del nuovo Statuto speciale della Sardegna
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RELAZIONE DEI PROPONENTI
L’articolo 54, comma 1, dello Statuto speciale per la Sardegna prevede che i titolari dell’iniziativa per la modificazione o la revisione organica dello Statuto siano il Consiglio regionale o almeno ventimila elettori.
Ciò non impedisce che venga eletta un’Assemblea costituente a livello regionale sulla base del sistema proporzionale e che il progetto di Statuto sia sottoposto all’approvazione del Consiglio regionale e trasmesso al Parlamento per l’esame in doppia lettura, secondo quanto previsto dall’articolo 54 dello Statuto speciale sardo.
L’Assemblea costituente non rientra tecnicamente nella struttura degli organi fondamentali del Consiglio e della Giunta regionale: ossia è un organo che, al di là degli organi fondamentali della Regione, per comune consenso della dottrina, la Regione può costituire. Tale organo è fondamentale per la fissazione dei contenuti del nuovo statuto, ma la procedura che si segue è quella statutariamente e costituzionalmente prevista.
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TESTO DEL PROPONENTE | |
Art. 1 Istituzione di un’Assemblea costituente 1. In armonia con l’articolo 3 della legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano), e con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), il Consiglio regionale istituisce un’Assemblea costituente del popolo sardo allo scopo di redigere un nuovo Statuto speciale per la Sardegna.
Art. 2 1. In considerazione delle peculiarità di carattere storico, istituzionale, economico, etnico, linguistico, culturale, nonché della condizione di insularità e della particolare collocazione geografica della Sardegna nel Mediterraneo, i lavori dell’Assemblea costituente tengono conto dei seguenti principi:
Art. 3 1. L’Assemblea costituente regionale è composta da quarantacinque membri ed è eletta a suffragio universale e diretto, con sistema proporzionale e con voto libero e segreto attribuito a liste di candidati concorrenti. 2. L’elezione dell’Assemblea é disciplinata dalla legge regionale 6 marzo 1979, n. 7 (Norme per l’elezione del Consiglio regionale) cui si applicano, in deroga, i seguenti principi: 3. È elettore ed eleggibile alla carica di componente dell’Assemblea costituente chi è iscritto nelle liste elettorali della Regione; per i cittadini emigrati si applicano le disposizioni vigenti in materia. 4. Valgono per i componenti dell’Assemblea costituente le cause di incompatibilità e ineleggibilità previste per i consiglieri regionali dalla legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale), salve le deroghe di cui ai commi 5, 6 e 7. 5. Non rientrano tra le cause di incompatibilità e ineleggibilità a componente dell’Assemblea costituente quelle stabilite ai numeri 5), 7 ), 8), 9), 10) e 11) del comma 1 dell’articolo 2 della legge n. 154 del 1981 e ai numeri 1), 2) e 3) del comma 1 dell’articolo 3 della medesima legge. 6. La carica di componente dell’Assemblea costituente è compatibile con la carica di sindaco, senza che rilevi il numero di abitanti del comune. 7. Non sono eleggibili alla carica di componente dell’Assemblea costituente gli assessori e i consiglieri regionali in carica.
Art. 4 1. Il progetto di legge in corso di adozione da parte dell’Assemblea costituente è oggetto di consultazione con le autonomie locali, con le organizzazioni sindacali, con la Confindustria, con le Università di Cagliari e Sassari, nonché con tutti i soggetti pubblici e privati che possano offrire un effettivo contributo.
Art. 5 1. Entro sei mesi dalla sua elezione l’Assemblea costituente approva un progetto di statuto, il quale viene sottoposto all’approvazione del Consiglio regionale. 2. Entro trenta giorni il Consiglio regionale lo esamina e predispone una proposta di statuto da sottoporre al Parlamento, che lo approva secondo la procedura di cui all’articolo 54 dello Statuto speciale.
Art. 6 1. Le spese previste per l’attuazione della presente legge sono valutate in euro 2.500.000 per l’anno 2009. 2. Nel bilancio della Regione per gli anni 2009-2012 sono apportate le seguenti variazioni: in diminuzione UPB S08.01.002 2009 euro 2.500.000 mediante riduzione della voce A della tabella A allegata alla legge regionale 14 maggio 2009, n. 1 (legge finanziaria 2009); in aumento UPB S01.01.001 2009 euro 2.500.000. |
CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XIV LEGISLATURA
PROPOSTA DI LEGGE N. 352
presentata dai Consiglieri regionali
VARGIU – COSSA – DEDONI – FOIS – MELONI Francesco – MULA
il 17 gennaio 2011
Istituzione dell’Assemblea costituente per la riscrittura dello Statuto regionale sardo
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RELAZIONE DEL PROPONENTE
Il dibattito sulla revisione dei contenuti dello Statuto speciale per la Regione autonoma della Sardegna ha ormai radici antiche.
Già nel 1996, il Consiglio regionale della Sardegna iniziò a confrontarsi con le procedure di revisione costituzionale nazionali e regionali, attraverso una proposta di legge nazionale (la n.12 del 18 settembre1996) che, primo firmatario Massimo Fantola, impegnava il Parlamento nazionale a scegliere la via della Costituente per le modifiche costituzionali che vennero effettivamente portate a compimento negli anni successivi.
La ratio che ispirava sin da allora il Movimento per la Costituente affondava le proprie radici nella convinzione che un atto di riforma così profondo delle legge quadro che governa il nostro ordinamento dovesse obbligatoriamente passare per un processo di consapevolezza popolare che costituisse il sentimento di base di ogni attività di modifica.
Lo stesso spirito che era alla base di quella proposta di legge nazionale, nella legislatura regionale successiva (1999-2004), portò alla nascita di un’azione consiliare bipartisan, alla quale corrispose un grande movimento popolare diffuso nella società civile sarda, che individuò nell’Assemblea costituente per la riscrittura dello Statuto di autonomia lo strumento irrinunciabile per dare nuove regole alla carta dei diritti e dei doveri dei sardi e per dare nuove basi ai rapporti della Sardegna con l’Italia e l’Europa.
Il Movimento per la Costituente, dopo lungo dibattito consiliare, ottenne un risultato storico il 31 luglio 2001, riuscendo a far approvare una proposta di legge nazionale che stabiliva le modalità di riscrittura dello Statuto di autonomia attraverso un’Assemblea costituente elettiva, il cui deliberato sarebbe stato sottoposto al Parlamento nazionale a cui era però riservato soltanto il ruolo di approvare o bocciare la proposta proveniente dalla Sardegna.
In altre parole, qualora la proposta di legge nazionale fosse stata approvata dal Parlamento, attraverso l’Assemblea costituente, i sardi avrebbero potuto confezionare una propria proposta di modifica dello Statuto sulla quale il Parlamento italiano avrebbe avuto soltanto la strada dell’approvazione integrale o del rigetto.
In questo modo sarebbe stato sancito, anche proceduralmente, il ruolo centrale e sostanzialmente non sindacabile dell’Assemblea costituente sarda, rappresentativa in modo compiuto della sovranità popolare sarda.
Come è noto a tutti, per motivi in parte legati alla complessità delle procedure di approvazione parlamentare della proposta di legge nazionale approvata dal Consiglio regionale, in parte sicuramente maggiore per la scarsa coesione e per la scarsa determinazione delle forze politiche sarde nel difendere nazionalmente l’opportunità creata dal Consiglio regionale, la proposta si arenò nel percorso in commissione parlamentare e non venne mai affrontata dall’Aula.
In questo modo, la Sardegna perse un’occasione irripetibile per partecipare da protagonista assoluta alla fase di rinnovo degli statuti regionali che prese l’avvio negli anni successivi e che ancora oggi, dopo dieci anni, non vede nella nostra Regione alcun risultato concreto.
Nella successiva legislatura regionale (2004-2009) la maggioranza di governo di centrosinistra scelse per la riscrittura dello Statuto una strada affidata ad una sorta di commissione indicata dal Consiglio regionale (la Consulta per il nuovo Statuto della legge regionale del 18 maggio 2006) che, in realtà, non vide mai la luce in quanto non convinse mai interamente tutti gli attori della politica isolana.
In quella legislatura, i Riformatori rimasero invece solidamente ancorati al proprio progetto di Assemblea costituente elettiva e presentarono in tal senso un’ennesima proposta di legge finalizzata alla nascita dell’Assemblea costituente.
Tale proposta veniva reiterata dai Riformatori anche nell’attuale XIV legislatura (proposta di legge nazionale n. 4, primo firmatario Vargiu).
Il mantenimento di tale indirizzo propositivo non discende da una sorta di innamoramento delle proprie posizioni politiche storiche, ma deriva dalla valutazione sempre attuale che un’iniziativa di riforma così carica di suggestioni e di risvolti sociali ed economici per il futuro della Sardegna non possa essere affidata all’organo legislativo (il Consiglio regionale) che deve già provvedere all’ordinaria attività di legiferazione, e non possa che essere affidata ad un organismo straordinario sia nei meccanismi di elezione, che nel ruolo, che possa dedicarsi in modo esclusivo a tale attività raccogliendo e portando a sintesi tutte le spinte di innovazione e modernizzazione istituzionale che provengono dalla società sarda.
In altre parole, soltanto un’Assemblea costituente eletta a suffragio universale ci appare in grado di suscitare quel coinvolgimento popolare che è oggi più che mai indispensabile per conferire adeguata autorevolezza e spessore al complessivo progetto di cambiamento della carta fondante della convivenza civile in Sardegna.
È assai difficile che il Parlamento regionale sardo, diviso da battaglie di schieramento legate alla politica quotidiana e impegnato in una complessa e difficile azione legislativa ordinaria, possa trovare la coesione complessiva e l’equilibrio super partes che appare invece indispensabile per riscrivere con equanimità e respiro epocale le norme condivise del nuovo Statuto speciale.
Ci sembra altresì indispensabile che l’Assemblea legislativa che lavorerà in maniera costituente debba avere quella specifica delega del popolo sardo che appare indispensabile a conferirle l’autorevolezza necessaria a svolgere un lavoro che oggi, in tempi di federalismo spesso malinteso, possa consentire di scrivere norme che permettano di raggiungere un nuovo rapporto di piena dignità con lo Stato italiano.
Soltanto l’elezione diretta dell’Assemblea costituente ci sembra, inoltre, che possa rappresentare lo strumento democratico per canalizzare gli entusiasmi e le aspettative che il Movimento per la Costituente è riuscito negli anni ad accendere nei sardi, riuscendo nella difficilissima opera di coinvolgere larghe parti del sistema produttivo, sindacale, associativo della Sardegna nella difficile responsabilità di discutere insieme al mondo della politica il futuro dello Statuto sardo.
Partendo da tali considerazioni, appare dunque quasi superfluo sottolineare i motivi per cui, dopo quindici anni dalla propria originaria proposta, i Riformatori rimangono convinti della bontà delle proprie iniziative a sostegno dell’Assemblea costituente.
Semmai, ci sarebbe da svolgere più di una riflessione sui ritardi e sulle incertezze nella condivisione di questa progettualità che sono alla base dei ritardi con cui oggi la Sardegna affronta il tema della propria autonomia, in un contesto nazionale radicalmente mutato rispetto agli anni Novanta, con il rischio serio di non riuscire a difendere adeguatamente i diritti di cittadinanza del proprio popolo.
È infatti del tutto evidente come l’originaria proposta di un’assemblea costituente che lavorasse in base ad una sorta di delega costituzionale ricevuta dal Parlamento, sia diventata assai meno praticabile per effetto del dibattito nazionale sul federalismo, che ha reso negli anni assai più debole la posizione delle regioni meno forti economicamente.
È per questo che i Riformatori, pur non abbandonando la strada maestra della proposta di legge nazionale di elezione di un’assemblea costituente con deleghe parlamentari, con realismo affiancano a tale progetto (che in assoluto resta ancora oggi il più valido) quello subordinato, contenuto nella presente proposta di legge che è indirizzato all’elezione di un’assemblea costituente per la riscrittura dello Statuto, la cui istituzione è sin d’ora nella piena disponibilità del Consiglio regionale, che si occupi esclusivamente di redigere il nostro nuovo Statuto di autonomia.
Tale Assemblea verrà eletta a suffragio universale, con sistema proporzionale, garantendo la piena rappresentatività di tutte le sensibilità della società sarda.
Il suo deliberato verrà sottoposto all’approvazione preliminare del Consiglio che, dopo l’approvazione definitiva da parte dell’Assemblea costituente, lo invierà al Parlamento nazionale perché compia il suo percorso di revisione costituzionale.
Pur consapevoli della maggior tortuosità di questo percorso rispetto alla strada maestra di una Costituente che si propone con dignità paritaria al Parlamento nazionale, siamo però convinti che la presente proposta consenta comunque di salvaguardare un percorso di coinvolgimento e partecipazione popolare che ci appare davvero indispensabile perché lo Statuto proposto al Parlamento possa davvero avere il pieno sostegno dell’intera Sardegna, indispensabile a conferire spessore ed autorevolezza al suo testo.
Nella storia dei Riformatori, il sentimento che è alla base della condivisione popolare cresciuta intorno alla proposta di Assemblea costituente ci convince che non ci troviamo di fronte ad un mero strumento per la realizzazione della nostra autonomia.
La Costituente può essere molto più di uno strumento perché può diventare la sede in cui realizzare il percorso di condivisione e di scelta che è oggi alla base del superamento di vecchie e inadeguate logiche di schieramento, per ritrovare condivisione di valori e certezza di regole in grado di produrre il complessivo progetto di innovazione, cambiamento e modernizzazione di cui la Sardegna ha vitale necessità.
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TESTO DEL PROPONENTE | |
Art. 1 Partecipazione popolare 1. La riscrittura dello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna avviene attraverso strumenti che garantiscono la massima partecipazione popolare.
Art. 2 1. Ai fini della riscrittura dello Statuto speciale, la Regione autonoma della Sardegna istituisce l’Assemblea costituente del popolo sardo.
Art. 3 1. L’Assemblea costituente del popolo sardo per la riscrittura dello Statuto di autonomia è composta da cinquanta membri, eletti a suffragio universale diretto, con sistema elettorale proporzionale, con liste contrapposte su collegio unico regionale. I casi di ineleggibilità e incompatibilità sono quelli disciplinati dalla vigente normativa per l’elezione del Consiglio regionale. 2. Il relativo turno elettorale è indetto con decreto del Presidente della Regione e si svolge entro i centoventi giorni successivi all’approvazione della presente legge, secondo le norme stabilite dal Consiglio regionale con specifica legge regionale.
Art. 4 1. L’Assemblea elegge al proprio interno un Presidente e adotta un regolamento che disciplini il proprio funzionamento.
Art. 5 1. Ciascun componente dell’Assemblea costituente ha titolo per presentare proposte in materia di Statuto. 2. I consiglieri regionali in carica e la Giunta regionale possono altresì presentare proprie proposte in materia di modifica dello Statuto, entro i primi trenta giorni dall’inizio dell’attività dell’Assemblea costituente. 3. È altresì previsto che l’Assemblea esamini eventuali proposte di legge di iniziativa popolare che giungano entro lo stesso termine dei trenta giorni.
Art. 6 1. L’Assemblea costituente approva il testo della proposta di nuovo Statuto entro sei mesi dal proprio insediamento e indica uno o più relatori per la successiva fase presso il Consiglio regionale.
Art. 7 1. Il testo approvato viene trasmesso al Consiglio regionale che lo discute e lo approva entro i successivi quarantacinque giorni.
Art. 8 1. Il testo approvato dal Consiglio regionale ritorna presso l’Assemblea costituente che lo approva definitivamente entro i successivi trenta giorni, con voto espresso dalla maggioranza assoluta dei suoi componenti e lo trasmette nuovamente al Consiglio regionale che, senza ulteriori possibilità di modifica, lo approva a maggioranza assoluta dei propri componenti e lo trasmette al Parlamento per le finalità di cui agli articoli 138 della Costituzione e 54 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Regione autonoma della Sardegna), e successive modifiche. |
CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XIV LEGISLATURA
PROPOSTA DI LEGGE NAZIONALE N. 14
presentato dai Consiglieri regionali,
STERI – BIANCAREDDU – CAPPAI – CONTU Felice – OBINU – CAPELLI
il 25 ottobre 2011
Introduzione, nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), dell’articolo 54 bis concernente “Istituzione di un’assemblea costituente per la riscrittura dello Statuto – Carta costituzionale del popolo sardo”
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RELAZIONE DEI PROPONENTI
Il dibattito sull’autonomia speciale, riconosciuta alla Sardegna con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, inizia immediatamente dopo la presa di coscienza del ruolo che la Regione doveva esercitare in seno alla comunità isolana e nell’ambito dello “Stato” regionale quale configurato dalla Costituzione.
È utile ricordare brevemente le fasi più importanti del dibattito che ha condotto, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, alla piena consapevolezza che l’autonomia regionale era insufficiente a risolvere i complessi problemi della società, dell’economia e dell’autogoverno della Sardegna.
Con l’entrata in vigore della Carta costituzionale è stato profondamente mutato il sistema politico-istituzionale con la previsione dell’istituzione dell’ordinamento regionale.
Sia pure nelle contraddizioni e ambiguità dell’originario disegno costituzionale, il ruolo assegnato alle regioni nella trasformazione del precedente assetto statale appariva delineato con sufficiente chiarezza: esse avrebbero dovuto far parte di un sistema in cui i poteri locali, dotati di una loro autonomia, risultassero ben distinti ed eventualmente contrapposti al potere statale, capaci di essere “l’istituto storico della libertà politica” (Fulvio Dettori, Lo statuto sardo. Il disegno autonomistico e la sua attuazione).
Nel disegno costituzionale le regioni erano considerate non già entità subordinate e sussidiarie rispetto allo Stato-persona, bensì entità autonome poste sullo stesso piano dell’apparato centrale. L’articolo 5 della Costituzione stabiliva che fosse compito del potere statale riconoscere e promuovere le autonomie locali e adeguare i principi e i metodi della legislazione nazionale alle esigenze di autonomia e di decentramento.
La Carta costituzionale prefigurava, dunque, lo “Stato regionale” compartecipe, unitamente allo Stato, della potestà legislativa e amministrativa, individuata per materie, fino ad allora riservate al potere centrale.
Si ponevano, così, le premesse per una rivoluzione dei rapporti tra Stato governante e società governata, in cui le regioni, insieme agli altri enti locali, avevano il compito di scardinare il modo di essere unilaterale dello Stato creando rapporti di integrazione, se non di identificazione, tra Stato e società. La Regione doveva svolgere, cioè, un ruolo politico di mediazione fra i pubblici poteri, onde consentire che l’assunzione delle decisioni per la comunità fosse equamente distribuita e diffusa in tutto il territorio.
L’autonomia politica che la Costituzione aveva riconosciuto alle regioni si può sintetizzare in quattro diverse figure, tra loro complementari: 1. l’autonomia statutaria; 2. l’autonomia legislativa; 3. l’autonomia amministrativa; 4. l’autonomia finanziaria.
Oltre queste caratteristiche comuni a tutte le regioni, la Sardegna era qualificata anche come una Regione a Statuto speciale, ai sensi dell’articolo 116 della Costituzione, al pari della Sicilia, della Valle d’Aosta, del Trentino-Alto Adige e del Friuli Venezia Giulia.
Tali regioni, fin dalle previsioni del vecchio testo costituzionale, godevano di un regime differenziato rispetto a quello previsto per le regioni di diritto comune; in particolare, con riferimento all’autonomia statutaria, mentre le regioni ordinarie avevano uno statuto deliberato a maggioranza assoluta dal Consiglio regionale ed approvato con legge ordinaria del Parlamento, ai sensi del vecchio testo dell’articolo 123 della Costituzione, le regioni a statuto speciale avevano uno statuto approvato con legge costituzionale, che godeva, quindi, di una maggiore forza nel sistema delle fonti giuridiche.
Con riferimento alla potestà legislativa e amministrativa, il disegno costituzionale originario, prevedeva che alle regioni venissero attribuiti poteri individuati e circoscritti facendo riferimento a materie che, per il loro significato giuridico, dovevano essere intese in modo assai ampio e organico (agricoltura, urbanistica, industria, turismo, ecc.).
In altri termini, i settori costituzionalmente riservati all’intervento delle regioni erano individuati facendo riferimento non già a competenze (ossia ad atti il cui contenuto è preliminarmente circoscritto e delimitato in maniera puntuale e specifica), ma ad attribuzioni, a sfere di attività di carattere generale che dovevano comprendere tutte le competenze inquadrabili in ogni materia. All’interno di tali materie, i poteri delle regioni dovevano essere sostitutivi e riservati rispetto a quelli dello Stato, il quale però poteva sindacare le scelte compiute dalla Regione nell’esercizio dell’attività legislativa e del conseguente indirizzo amministrativo.
Questo, tuttavia, non significava per lo Stato l’impossibilità di intervenire nell’ipotesi in cui il potere regionale travalicasse i limiti costituzionalmente stabiliti. Allo Stato veniva, infatti, riconosciuto il potere di dettare i principi fondamentali cui le regioni dovevano ispirare l’attività legislativa e amministrativa nelle materie loro attribuite. Con riferimento alle regioni a Statuto speciale, i poteri regionali non dovevano essere vincolati al rispetto dei criteri direttivi imposti dallo Stato, ma al più vasto e generale limite dei principi dell’ordinamento giuridico.
Altri vincoli, giuridici e politici, condizionavano l’attività regionale: sul piano giuridico le regioni dovevano legiferare nel rispetto degli obblighi internazionali assunti dallo Stato e dei principi delle grandi riforme economico-sociali deliberate in sede nazionale; sul piano politico, invece, la loro azione doveva rispettare gli interessi nazionali. L’inosservanza di tali limiti consentiva al Parlamento di intervenire per impedire l’entrata in vigore della legge regionale che fosse in contrasto con gli interessi generali del Paese.
L’originario intento del legislatore costituente di realizzare uno “Stato regionale” veniva, invece, contraddetto dall’indirizzo politico adottato dal Governo e dalle burocrazie statali, che si manifestava in modo assai restrittivo rispetto all’autonomia regionale.
L’originaria concezione dello Stato come “Stato regionale” veniva volutamente accantonata per circa vent’anni, nel caso delle regioni di diritto comune, o completamente stravolta in senso antiautonomistico, nel caso delle regioni a statuto speciale.
Lo strumento utilizzato dal potere centrale per ridimensionare il ruolo e il potere delle regioni era rappresentato dalle norme di attuazione dei rispettivi statuti che avveniva attraverso l’emanazione di decreti legislativi atipici, predisposti da un’apposita commissione ed emanati dal Governo, con cui lo Stato trasferiva alle regioni a statuto speciale le funzioni amministrative, gli uffici e il personale, necessari al concreto esercizio delle loro competenze.
L’attribuzione allo Stato della competenza all’emanazione di tali decreti di attuazione, collegata all’interpretazione secondo cui il valido esercizio delle competenze, anche normative, delle regioni fosse subordinato alla previa emanazione delle norme di attuazione medesime, ha fornito allo Stato un efficace strumento di compressione dell’autonomia regionale, permettendogli di procrastinare l’effettivo trasferimento alle regioni delle funzioni ad esse attribuite dagli statuti.
La tecnica utilizzata per privare le regioni dei poteri costituzionalmente riconosciuti era quella del ritaglio: lo Stato, cioè, individuava i settori di ciascuna materia regionale che dovevano essere disciplinati in maniera unitaria e stabiliva quali funzioni non potevano essere trasferite alle regioni, ma conservate dagli apparati politici e burocratici del Governo centrale.
La potestà legislativa e amministrativa delle regioni veniva, dunque, circoscritta a quella parte di materia o sub-materia sulla base di valutazioni del tutto discrezionali condotte dagli organi statali.
La continua ingerenza del Governo sulle regioni a statuto speciale era, altresì, avallata dalla Corte costituzionale che, con riferimento ai conflitti tra Stato e regione, accettava le scelte accentratrici perseguite dal potere centrale, contribuendo in modo determinante a rendere effettivo “il distacco dell’istituto regionale dalla sua previsione costituzionale” (F. Dettori, op. cit, p. 30).
Occorre aggiungere, peraltro, che le decisioni della Corte costituzionale erano intervenute nell’ambito di una situazione normativa già ampiamente condizionata dagli organi del potere centrale. Non si trattava di intervenire in un campo ancora integro e aperto a tutte le possibilità, ma di scegliere se disattendere gli interventi legislativi compiuti, attribuendo potere ad un istituto nuovo, quale quello regionale, oppure confermare il modello pre-costituzionale di Stato accentrato conosciuto e consolidato che la classe dirigente post-fascista aveva riproposto.
Altro dato significativo che occorre segnalare, rispetto al ridimensionamento del ruolo regionale, era che le stesse regioni, in particolare quelle a statuto speciale, si erano trovate impreparate ad amministrare l’ampiezza delle proprie competenze costituzionali, ad eccezione di quelle limitate alla mera attività amministrativa. In particolare, la Sardegna nell’esercizio dell’attività legislativa non si era mai proposta di modificare la legislazione statale, se non apportando dei correttivi parziali e marginali.
Pur nei limiti circoscritti di tali competenze, le regioni a statuto speciale mantenevano comunque una posizione di privilegio rispetto alle regioni di diritto comune, le quali, nei vent’anni successivi all’entrata in vigore della Costituzione, non vedevano riconosciuta la loro posizione istituzionale all’interno dell’ordinamento.
Solo con la legge 16 maggio 1970, n. 281, lo Stato, rispondendo alle numerose istanze locali, dava attuazione alle regioni a statuto ordinario e con i decreti delegati del 1972 iniziava il trasferimento di funzioni e competenze fino ad allora esercitate dagli apparati centrali e periferici dello Stato.
Ciò faceva emergere il problema della posizione e dei compiti delle autonomie regionali speciali nel quadro dell’ordinamento dello Stato (F. Dettori, op. cit. p. 30).
Le regioni a statuto speciale, originariamente dotate di maggiori garanzie e più ampi poteri, venivano a trovarsi in una posizione di svantaggio rispetto alle regioni di diritto comune, cui i decreti legislativi del 1972 avevano riconosciuto un insieme di poteri assai più ampio di quello riservato alle regioni speciali dalle norme di attuazione statutaria.
Con l’obiettivo di porre fine ad una palese situazione di disparità, con il decreto del Presidente della Repubblica 22 maggio 1975, n. 480, veniva trasferito alla Regione Sardegna un considerevole numero di funzioni amministrative che consentivano l’adeguamento della normativa di attuazione statutaria ai decreti che tre anni prima avevano trasferito analoghi poteri alle regioni a statuto ordinario.
Contestualmente a tale adattamento, tuttavia, il Parlamento, con l’approvazione della legge delega del 22 luglio 1975, n. 382, dava l’avvio alla riforma, non solo delle regioni di diritto comune, ma anche all’intero sistema di organizzazione delle autonomie locali.
Le disposizioni della legge delega n. 382 del 1975 e del successivo decreto legislativo n. 616 del 1975 emanato dal Governo, tuttavia, trovavano applicazione solo con riferimento alle regioni a statuto ordinario. Si generava, così, una corsa continua delle regioni a statuto speciale per il raggiungimento di competenze analoghe a quelle riconosciute dall’apparato centrale alle regioni di diritto comune.
Emergeva in tutta chiarezza che si era arrivati ad un punto di svolta e che, con gli strumenti a disposizione, non si era in grado di governare le tensioni della società, di negoziare con le strutture centrali, con il Governo e con il Parlamento, né di superare le resistenze e le difficoltà con le strutture locali.
Il dibattito culminava nella Regione sarda nella proposta di programma che prese il nome di “Progetto autonomistico”. Il documento programmatico e la proposta di Giunta di unità autonomista trovarono largo consenso nell’opinione pubblica. Essi si basavano su due pilastri fondamentali: l’esistenza di un’identità specifica del popolo sardo, peculiare e diversa rispetto alla comune identità nazionale e, come logica conseguenza, l’esigenza di un livello istituzionale corrispondente.
Tale progetto veniva bloccato dalle particolari condizioni politiche del momento che non rendevano possibile una collaborazione governativa e nel 1984 la Giunta regionale otteneva dal Governo la costituzione di una Commissione mista Stato-Regione con lo scopo di avviare lo studio della revisione dello Statuto.
Con il documento approvato nella seduta del 9 aprile 1986, in previsione del sopralluogo della Commissione parlamentare per le questioni regionali nell’ambito dell’indagine conoscitiva promossa su “I rapporti fra Stato, regioni a Statuto speciale e Province autonome”, la Prima Commissione permanente (Autonomia, ordinamento regionale, enti locali) sosteneva che: “Nonostante sia stata da più parti avanzata opinione favorevole alla omogeneizzazione dell’intero sistema regionale (secondo quanto già è avvenuto sul piano pratico), le ragioni e i presupposti economico sociali e culturali della “specialità” non solo non hanno perduto il loro originario valore politico-istituzionale, ma addirittura sono venuti assumendo valenze e risvolti nuovi in correlazione allo svilupparsi e affinarsi di orientamenti culturali che considerano “le diversità” come fattori positivi da salvaguardare e da valorizzare, anziché – come si riteneva in passato – elementi negativi da sopprimere ed eliminare. Pur senza entrare nel dettaglio, appaiono evidenti le ragioni che hanno indotto ad una disciplina differenziata per la Valle d’Aosta, il Trentino Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia (presenza di minoranze linguistiche, caratteristiche geografiche, strutture economiche e sociali tipiche delle comunità alpine, contatti e interscambi con le aree confinanti appartenenti ad altri Stati ecc.); a favore della specialità della Sicilia milita, al di là delle particolarità economiche e culturali, una risalente tradizione storica che ha visto quell’Isola costituire un regno indipendente per oltre sette secoli. Pur non avendo siffatti precedenti, non può negarsi che anche la storia sarda abbia conosciuto momenti di indipendenza e sia caratterizzata da un costante richiamo ai valori dell’autogoverno e dell’autonomia. L’Isola, infatti espresse linee di civiltà unitarie e originali già in epoca antica e maturò una singolare esperienza di indipendenza politica e istituzionale per circa quattro secoli attorno all’anno 1.000, con la costituzione di quattro Giudicati, producendo ordinamenti giuridici – la famosa Carta de Logu innanzitutto – basati sul recepimento di consuetudini locali, di esito progressivo nella comparazione “internazionale” dell’epoca, che restarono vigenti sino all’inizio dell’800. E ad una repubblica democratica e indipendente, sia pure sotto il protettorato francese, aspiravano i rivoluzionari che alla fine del ’700 guidarono la rivolta antipiemontese e antifeudale. Anche in considerazione di questi precedenti è patrimonio acquisito del popolo sardo la volontà di gestire in termini di forte grado di autonomia la condizione dell’Isola”.
La Commissione parlamentare per le questioni regionali nella seduta del 10 dicembre 1986, a conclusione dell’indagine conoscitiva promossa su “I rapporti tra Stato, regioni a Statuto speciale e Province autonome”, approvava un primo documento in cui esprimeva il proprio parere in ordine ai principali profili problematici delle regioni differenziate, quali il significato della specialità, la questione etnica e la tutela delle minoranze linguistiche, il rapporto col Governo e con il Parlamento, il controllo governativo sulle leggi regionali, le norme di attuazione, la revisione degli statuti, la questione finanziaria, i rapporti con le autonomie locali e quelli internazionali.
Con riferimento al significato da attribuire al termine specialità essa veniva riconosciuta dalla Commissione “nella peculiarità di ciascuna delle cinque regioni e delle due Province autonome e non è, pertanto, riconducibile ad un identico modello, se non concettualmente, all’esclusivo fine di contrapporre il regime giuridico loro proprio a quello delle regioni a Statuto ordinario. I rispettivi statuti, adottati con legge costituzionale, ne rappresentano piuttosto il formale e solenne riconoscimento, giacché il fondamento della specialità va ricercato nelle caratteristiche storiche, politiche, etniche, economiche, sociali e culturali di ciascuna di esse”.
Il risultato raggiunto dalla Commissione parlamentare era la diretta conseguenza di una riflessione approfondita sugli elementi caratterizzanti le comunità regionali interessate in ordine alla problematica connessa alla specialità, che aveva sovente ostacolato il raggiungimento delle legittime aspettative di tali comunità alimentando un clima di disagio politico diffuso.
In particolare, la Commissione sosteneva che la condizione economica e sociale che caratterizzava la Sardegna non poteva essere ignorata o minimizzata. Parimenti radicata nelle popolazioni interessate era la consapevolezza della necessità di un confronto e di un dialogo aperto, non solo verso lo Stato, inteso come la restante parte della comunità nazionale, ma anche nei confronti degli altri paesi, in particolare con gli stati membri dell’Unione europea e con quelli che si affacciano sul bacino del Mediterraneo.
La Commissione parlamentare del 1986 maturava, così, la convinzione che il completamento e il rilancio della specialità dovesse trovare affermazione attraverso un rinnovato disegno dell’ordinamento regionale complessivamente considerato.
Con legge regionale 27 luglio 1987, n. 32, il Consiglio regionale sardo istituiva una nuova Commissione consiliare speciale denominata “Commissione speciale di indagine per la riforma istituzionale della Regione” con il compito di raccogliere tutti gli elementi conoscitivi utili ed elaborare studi e proposte per il rilascio e il potenziamento dell’autonomia regionale.
Seguivano diverse proposte di modifica dello Statuto sardo da parte delle maggiori forze politiche dell’epoca, dalla proposta di legge del PSd’Az, di chiara impronta federalista e indipendentista, a quella del PCI, di orientamento più moderato, sviluppata in quindici punti e, infine, la proposta di legge nazionale di modifica dell’articolo 116 della Costituzione con cui si perseguiva lo scopo di ripristinare il ruolo delle regioni, in specie quelle a Statuto speciale, riassumendo il ruolo indicato nella Carta costituzionale e “ritornando ad essere un centro di riferimento essenziale dell’assetto generale dello Stato repubblicano”.
Con il documento per la Commissione speciale per la revisione dello statuto del marzo 1989, il PSI, facendosi precursore di esigenze ancor oggi attuali, auspicava la creazione di un vero Stato regionale attraverso una “Grande riforma costituzionale”. Nel documento si affermava, infatti, che “Una riforma della nostra autonomia speciale non sarebbe possibile in un sistema statuale che restasse, come l’attuale, sostanzialmente centralizzato. Se restassimo, paradossalmente, l’unica regione con poteri autonomistici, costituiremmo un’anomalia che ci porterebbe nel vortice del sottosviluppo. La creazione di uno Stato regionale potrà conquistarsi solo con una Grande riforma costituzionale. [...] Il nuovo regionalismo deve accentuare quel sistema collaborativo tra Stato e regioni del quale le diverse anticipazioni si trovano proprio nello Statuto sardo. Bisogna aggiungere una diversa attribuzione delle competenze, basate non più sul criterio delle materie, ma degli interessi che debbono essere perseguiti e attuati. I poteri necessari per il governo della società italiana vanno assegnati al livello regionale ogni volta che in tale livello essi possono essere proficuamente svolti, garantendo nel contempo la possibilità di interferenza dello Stato e degli organismi sopranazionali, ogni volta che debbono essere perseguiti interessi realmente nazionali o sopranazionali. [...] È quindi certo indispensabile una rilevante revisione statutaria che si attui, però, nell’ambito di una più ampia revisione costituzionale, ma è altrettanto indispensabile che nei tempi, certo non brevi che a tal fine saranno necessari, non si rinunci a quel rilancio dell’autonomia e della specialità che si otterrebbero con la piena attuazione dello Statuto vigente e con la rifondazione dall’interno dell’istituto regionalistico”.
Sul finire degli anni ’80 si assisteva alla conclusione del dibattito politico vertente sull’autonomia dell’istituto regionale, di cui si sono individuate le fasi di maggiore rilievo. Le successive fasi di sviluppo del dibattito riguardavano, piuttosto, il problema della riforma della II parte della Costituzione e soltanto indirettamente l’eventuale rilancio dell’istituto regionale.
Durante la IX legislatura veniva istituita all’uopo la Commissione bicamerale De Mita-Jotti, il cui fallimento rendeva evidente l’impossibilità di portare a termine la riforma costituzionale e portava all’abbandono di ogni tentativo di rivitalizzare l’autonomia regionale.
Solo con la legge costituzionale n. 2 del 1993 (Modifiche ed integrazioni degli Statuti speciali per la Valle d’Aosta, per la Sardegna, per il Friuli-Venezia Giulia e per il Trentino-Alto Adige) si faceva un primo passo in avanti definendo il quadro delle competenze delle regioni ad autonomia speciale (eccezione fatta per la Sicilia) in materia di enti locali e privilegiando il criterio di maggiore ampiezza e di sostanziale uniformità laddove era in precedenza vigente una disciplina piuttosto riduttiva ed eterogenea. Da tale legge “la competenza delle regioni a Statuto speciale in materia di ordinamento di enti locali acquista il carattere di esclusività e viene ad essere definita con formula identica in tutti gli Statuto speciali”, con ciò rimuovendo, secondo una delle finalità dell’intervento del legislatore costituzionale “l’originaria diversità di regime giuridico delle regioni ad autonomia speciale in materia di enti locali” (Corte Cost., 7 dicembre 1994, n. 415). L’affermazione riguardava tutte le regioni ad autonomia speciale e si comprendeva considerando che la Regione siciliana già era dotata di una “competenza esclusiva” nella stessa materia, a norma dell’articolo 15, terzo comma, dello Statuto, pur con le particolarità derivanti dalla disciplina delle “province siciliane”, configurate come liberi consorzi comunali.
La XII legislatura registrava una ripresa della discussione sulle possibili riforme costituzionali e sulle possibili leggi elettorali dei consigli regionali; ma la caduta del Governo segnava l’arresto di ogni discussione sulla sorte delle regioni. Solo nella seconda parte della XII legislatura il Parlamento riusciva ad approvare la cosiddetta legge Tatarella che avvicinava, senza modificarla, la Costituzione al sistema politico delle regioni, province e comuni.
Sul versante regionale, la legislatura degli anni dal 1995 al 2000 segnava una forte ripresa d’interesse per l’istituto regionale. Lo svilupparsi di tendenze politiche sempre più orientate verso un federalismo accentuato, fino a rivendicare il diritto alla secessione di parti del Paese, portava alla riconsiderazione, anche sul piano nazionale, del dibattito sul regionalismo.
Nella XIII legislatura il Parlamento provvedeva all’istituzione della Commissione bicamerale D’Alema e avviava le riforme legate alle cosiddette leggi Bassanini, che incidevano profondamente sui temi del regionalismo (F. Pizzetti, Dal primo regionalismo alle recenti riforme, in La potestà statutaria regionale nella riforma della Costituzione, ISR-CNR, 21, p. 226-227).
In questo contesto si inserisce la legge costituzionale n. 1 del 1999 con cui veniva risolto il problema della definitiva possibilità di rinnovamento delle classi politiche regionali e della definitiva assimilazione del sistema regionale a quello comunale e provinciale attraverso l’elezione diretta del Presidente della Regione e l’ampliamento dell’autonomia statutaria.
Da qui la ripresa, sul finire della XIII legislatura, del dibattito sulla forma di Stato e la nascita di nuove istanze regionaliste tendenti al riconoscimento di nuove e più ampie sfere di autonomia.
Con la legge costituzionale n. 2 del 2001 il Parlamento estendeva anche alle regioni a statuto speciale la possibilità di scegliere la propria forma di governo e la legge elettorale mediante l’adozione di una propria legge statutaria.
Si sviluppa in questo contesto il dibattito che ha condotto all’approvazione dell’intervento legislativo sul titolo V della seconda parte della Costituzione, avvenuto con legge costituzionale n. 3 del 2001.
Con l’intervento legislativo sul titolo V della Costituzione (legge costituzionale n. 3 del 2001) il Parlamento ha approvato una riforma organica del nostro sistema istituzionale, mutando profondamente l’assetto dei rapporti tra Stato, regioni ed enti locali, realizzando un forte decentramento politico.
La riforma, più che delineare uno “Stato federale”, costituito da Stato centrale e singoli stati membri (le regioni) a capo dell’ordinamento degli enti territoriali minori, ha disegnato una “Repubblica delle Autonomie” strutturata su diversi livelli territoriali di governo: comuni, città metropolitane, province, regioni e Stato.
L’ordinamento regionale risulta dotato di:
1. autonomia politica, ai sensi dell’articolo 114 della Costituzione, consistente nella possibilità delle regioni di darsi “propri Statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”;
2. autonomia legislativa e amministrativa, ai sensi degli articoli 117 e 118 della Costituzione, nelle materie espressamente indicate dalla Costituzione;
3. autonomia finanziaria, ai sensi dell’articolo 119 della Costituzione, che consente l’esercizio delle competenze regionali attraverso l’imposizione di tributi regionali e la partecipazione ai proventi di tributi statali.
Con riguardo all’autonomia politica, ciascuna regione gode di un proprio statuto, che si differenzia a seconda della funzione che è chiamato a svolgere. Mentre le regioni a statuto ordinario sono sottoposte ad una disciplina comune, contenuta nel titolo V della Costituzione e, in particolare, nell’articolo 117 della Costituzione che ne disciplina la potestà legislativa, le cinque regioni differenziate e le due Province autonome di Trento e Bolzano hanno un proprio statuto che disciplina i poteri regionali oltre che l’organizzazione interna. Per le regioni differenziate lo statuto costituisce la fonte stessa dell’autonomia e ne definisce i limiti e i modi di esercizio. Mirando a dettare una disciplina derogatoria rispetto alla Costituzione, gli statuti delle regioni speciali sono adottati con legge costituzionale, dunque, con fonte statale; secondo quanto disposto dall’articolo 116 della Costituzione esse “dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia secondo i rispettivi statuti adottati con legge costituzionale”.
Diversa è la funzione degli statuti delle regioni ordinarie, in cui le “forme e condizioni di autonomia” sono delineate dalla Costituzione. A seguito della riforma costituzionale avvenuta con la legge costituzionale n. 1 del 1999, tuttavia, gli statuti di queste regioni, che in precedenza avevano uno spazio normativo assai ridotto, hanno acquisito una funzione che in precedenza era affidata alla Costituzione: la definizione della “forma di governo” della Regione.
Con la legge costituzionale n. 2 del 2001 è stata concessa anche alle regioni speciali l’autonomia nella scelta della forma di governo e del sistema elettorale. Con legge costituzionale è stato modificato lo Statuto di tutte le regioni speciali, prevedendo che la regione, o provincia autonoma, possa dotarsi di una propria forma di governo e di un autonomo sistema elettorale, mediante legge statutaria. Quest’ultima ha natura di legge regionale “rinforzata” per procedimento, dovendo essere approvata a maggioranza assoluta e potendo essere sottoposta a referendum approvativo su richiesta di una frazione del corpo elettorale o dell’assemblea regionale.
Riguardo alla procedura di adozione degli statuti, quello delle regioni speciali, approvato con legge costituzionale, dopo la riforma, ha acquisito due peculiarità: 1) da un lato, parte delle disposizioni in esso contenute, sono derogabili mediante legge statutaria; pertanto, parte dello statuto subisce un depotenziamento di alcune sue parti (quelle sulla forma di governo e sul sistema elettorale) attraverso un processo di “decostituzionalizzazione” da livello costituzionale a livello di legislazione ordinaria; 2) dall’altro lato, il procedimento di revisione degli statuti risulta semplificato dal fatto che la legge costituzionale n. 2 del 2001 ha previsto che le future modifiche degli statuti speciali non siano sottoposte a referendum costituzionale ai sensi dell’articolo 138 della Costituzione.
Anche lo statuto delle regioni ordinarie ha subito una radicale riforma nella procedura di formazione. Mentre prima della riforma del 1999, la procedura di adozione avveniva in seno al Parlamento, il nuovo articolo 123 della Costituzione dispone che lo statuto è approvato e modificato “dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi”. Esso può essere impugnato dal Governo dinanzi alla Corte costituzionale entro trenta giorni dalla sua pubblicazione e, entro tre mesi dalla stessa pubblicazione, può essere sottoposto a referendum approvativo o sospensivo, qualora lo richieda un cinquantesimo degli elettori o un quinto dei membri del Consiglio regionale. Ai sensi dell’articolo 123 della Costituzione “lo Statuto sottoposto a referendum non è promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi”. La Corte costituzionale pronunciatasi sul punto ha affermato che “La parola pubblicazione, utilizzata nel terzo comma, indica un evento che è anteriore alla promulgazione dello statuto (e quindi anche alla pubblicazione cosiddetta necessaria che ne determina l’entrata in vigore) e che funge da momento iniziale per il decorso del termine per richiedere referendum. È a questo punto assai arduo immaginare, in assenza di una esplicita indicazione in tal senso da parte del legislatore costituzionale, che quella stessa parola “pubblicazione”, che compare nel comma precedente e che ha, anch’essa, la funzione di scandire l’iniziale decorso di un termine (quello entro il quale il Governo della Repubblica può promuovere la questione di legittimità costituzionale sugli statuti regionali, abbia un significato totalmente disomogeneo e stia ad indicare non una pubblicazione a fini notiziali, ma la pubblicazione successiva alla promulgazione, la cui funzione, di per sé, non è quella di provocare l’apertura di termini, ma l’entrata in vigore degli atti normativi. L’interpretazione testuale induce dunque a ritenere che il termine pubblicazione di cui ai commi secondo e terzo indichi forme di pubblicità notiziale” (C. Cost., 3 luglio 2002, n. 304).
Si tratta, dunque, di una pubblicità meramente notiziale, cui seguirà, decorsi i termini per l’impugnazione o per la richiesta di referendum, la promulgazione da parte del Presidente della Regione e la pubblicazione nel Bollettino ufficiale della Regione autonoma della Sardegna.
Con riguardo all’autonomia legislativa, la riforma del titolo V ha previsto tre livelli di potestà legislativa:
1. potestà legislativa esclusiva, consistente in un elenco di materie riservate alla potestà legislativa esclusiva dello Stato (articolo 117, comma 2, della Costituzione);
2. potestà legislativa concorrente, avente ad oggetto un elenco di materie sulle quali la legislazione statale determina i principi fondamentali della materia e la legislazione regionale realizza la disciplina concreta sulla base di detti principi (articolo 117, comma 3, della Costituzione);
3. potestà legislativa residuale, concernente tutte le materie non espressamente rientranti nelle altre due categorie (articolo 117, comma 4, della Costituzione).
Come può notarsi, la riforma ha attribuito alle regioni una competenza residuale-generale, assegnando allo Stato la competenza specifica nelle materie espressamente indicate. Ma le materie individuate all’articolo 117, commi 2 e 3, della Costituzione non possono essere arginate entro nuclei normativi a sé stanti, ma impongono l’osservanza di criteri di coordinamento tra Stato e regioni. Nella loro definizione, infatti, concorrono diversi fattori: dall’esigenza di coordinamento con gli obblighi comunitari e internazionali, all’ambito delle cosiddette competenze trasversali; dall’applicazione del principio di sussidiarietà a quello di successione delle leggi nel tempo (R. Bin – G. Pitruzzella, Diritto Costituzionale, 2008, p. 383 e ss.).
Con riferimento alla potestà amministrativa, l’articolo 118 della Costituzione stabilisce che: “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che per assicurarne la funzione unitaria, siano conferite a Province, Città metropolitane, regioni e Stato”. Tuttavia, il comma 2, precisa che “I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale”. Lo Stato conserva la competenza esclusiva in materia di legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane.
L’autonomia degli enti locali si accompagna anche al riconoscimento dell’autonomia sul versante finanziario. L’articolo 119 della Costituzione riconosce e garantisce l’autonomia finanziaria, sia sul versante delle entrate sia su quello delle spese, a favore di comuni, province, città metropolitane e regioni. I suddetti enti territoriali devono avere entrate proprie, determinarne la composizione e la quantità, stabilendo liberamente le modalità di ripartizione delle risorse. A tal fine, la Costituzione prevede che la finanza pubblica sia alimentata sia con entrate proprie degli enti territoriali, sia con la partecipazione degli stessi al gettito dei tributi statali riferibili al loro territorio.
Dall’analisi complessiva della riforma, emerge come essa non ha coinvolto le regioni a statuto speciale, i cui vecchi statuti sono rimasti in vigore. La legge costituzionale n. 2 del 2001, infatti, ha introdotto solo la possibilità di scelta sulla forma di governo, ma non ha introdotto modifiche sull’attribuzione delle competenze che, pertanto, restano ripartite secondo il livello di potestà regionale contenuto nei rispettivi statuti.
Gli statuti delle regioni speciali contengono un elenco di materie di competenza regionale suddivisi in tre livelli:
1) potestà esclusiva, piena o primaria, che rappresenta una caratteristica riservata alle sole regioni ad autonomia speciale; essa si presenta strettamente collegata alla legislazione statale dalla presenza di due limiti specifici:
a) il limite dei principi generali dell’ordinamento giuridico;
b) il limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali;
2) potestà concorrente, non prevista nello statuto della Valle d’Aosta, che incontra gli stessi limiti cui è sottoposta la potestà esclusiva, con in più il limite dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato;
3) potestà integrativa o attuativa, che consente alla regione, in alcune specifiche materie, di emanare norme per adeguare la legislazione statale alle particolari esigenze regionali.
Resta da stabilire cosa rimanga dell’assetto previsto dagli statuti speciali dopo che la riforma del titolo V ha mutato il riparto delle funzioni tra Stato e regioni. La potestà esclusiva delle regioni speciali, infatti, appare circoscritta in ambiti ben più limitati rispetto alla competenza residuale generale delle regioni ordinarie: di talché si è determinata una situazione di significativo “squilibrio” tra le regioni a statuto speciale e quelle di diritto comune.
La specialità delle regioni differenziate, derivante dalle peculiarità storiche, culturali e geografiche di cui sono portatrici, dovrebbe cogliersi nel riconoscimento di un trattamento differenziato e di favore di cui, invece, a seguito della riforma del titolo V, risultano essere del tutto prive.
Ciò è confermato dalla clausola contenuta nell’articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 che stabilisce che “sino all’adeguamento dei rispettivi Statuti le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle regioni a Statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite”.
Con tale previsione, il legislatore del 2001, ha inteso consentire alle regioni a statuto speciale di non trovarsi in una situazione di ulteriore ritardo rispetto alle regioni di diritto comune riconoscendo, nelle more della revisione dei rispettivi statuti, l’applicazione delle sole parti di disposizione in cui si prevedono “forme di autonomia più ampie”. Ma tale previsione sta a significare, al tempo stesso, che gli statuti delle regioni differenziate attribuiscono poteri ben più limitati di quelli ormai riconosciuti alle regioni a statuto ordinario, di talché la suddetta clausola, se da un lato consente l’adattamento degli statuti speciali, dall’altro non può considerarsi sufficiente a supportare la pretesa specialità delle regioni differenziate.
L’intervento legislativo sul titolo V della Costituzione ha sollevato, quindi, con improcrastinabile urgenza, la necessità di provvedere alla redazione di un nuovo Statuto della Regione Sardegna, di cui occorre oggi ridisegnare il contenuto tenendo conto dei principi storici che ne hanno costituito il fondamento, riadattandoli alle attuali esigenze politico-istituzionali, anche di livello comunitario e superando, alla luce delle pronunce della Corte costituzionale, i limiti che circoscrivono la portata delle disposizioni statutarie.
In conclusione, la Sardegna, sino al 1847 Stato indipendente in ciò espressamente garantita dal diritto internazionale, ha ottenuto nel 1948 lo status di Regione a statuto speciale ed è stata dotata di un proprio statuto approvato con la legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3. Lo statuto, però, non ha dato risposte soddisfacenti alle richieste, in quel momento soprattutto di sviluppo economico, del popolo sardo; non risponde più alle nuove esigenze determinate dai forti cambiamenti sociali, economici, istituzionali ed internazionali-comunitari nel frattempo verificatisi; soprattutto non tutele a sufficienza il popolo sardo che nel frattempo ha ulteriormente sviluppato la propria specifica identità storica, culturale, linguistica e geografica, peculiare e distinta rispetto alla comune identità nazionale tanto che si parla oggi di nazione senza Stato.
In questa situazione è impellente la necessità di dotarsi di un nuovo Statuto – Carta costituzionale del popolo sardo.
Vi è, infatti, la necessità di dare finalmente alla Regione uno statuto scritto che ne individui le competenze superandosi la condizione di una loro individuazione in via puramente interpretativa e giurisprudenziale, condizione determinata dall’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 nonché dalla necessità di adeguare lo statuto vigente all’evoluzione in senso federalista della Repubblica quale risulta dalle modifiche introdotte al testo della Costituzione con la legge costituzionale n. 3 del 2001.
Significativo di questa evoluzione è, tra gli altri, come osservato, l’articolo 114 della Costituzione che, nella versione riformulata, ha abbandonato la concezione unitaria, centralizzata e statalista della Repubblica prevedendo al comma 1 che “La Repubblica è costituita dai Comuni, le Province, le Città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato” ed al comma 2 che “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione” in tale modo viene affermato che la Repubblica è un’entità distinta dallo Stato e che Stato e regione si pongono sullo stesso piano in posizione paritaria, concorrendo con le altre autonomie a costituire la Repubblica stessa; ossia la sovranità non appartiene solo alla Stato ma a tutti gli enti che concorrono a costituire la Repubblica.
Significativa è, inoltre, l’attribuzione operata dall’articolo 117 della Costituzione della potestà legislativa in pari misura allo Stato ed alle regioni sottoponendola in entrambi i casi ai medesimi limiti diversamente dal sistema previgente in cui i limiti erano previsti solo per la legislazione regionale.
Vi è, inoltre, il ribaltamento delle competenze essendo stata riconosciuta alle regioni la competenza legislativa generale residuale ed essendo stata attribuita alla Stato la competenza legislativa solo nelle materie specificatamente indicate nella Costituzione, al contrario di quanto era previsto i precedenza.
L’articolo 116 della Costituzione, quindi, riafferma il principio del riconoscimento costituzionale delle regioni a statuto speciale le quali devono disporre “di forme e condizioni particolari di autonomia” senza essere soggette, in sede di redazione dei relativi statuti, come le regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 126, comma 1, della Costituzione, al principio dell’”armonia con la Costituzione”; ossia le regioni a statuto speciale sono enti differenti garantiti dalla Costituzione.
La necessità del nuovo Statuto – Carta costituzionale del popolo sardo nasce, quindi anche dall’esigenza di ridefinire le nuove ragioni della specialità, con l’attribuzione dei corrispondenti poteri e con la realizzazione del più ampio apporto e la più ampia partecipazione del popolo sardo, indicandosi comunque sin d’ora alcune di tali ragioni:
- sussistenza di radicati motivi identitari, che devono essere tutelati e sviluppati e che rendono irrinunciabile il rispetto dell’identità del popolo sardo; questo, infatti, ha una sua specifica identità storica, culturale, linguistica e geografica, peculiare e distinta rispetto alla comune identità nazionale:
- necessità dell’adeguamento al mutato quadro internazionale e comunitario, il quale ultimo è oggi rappresentativo anche delle autonomie quali le regioni;
- riconoscimento pieno dell’insularità, in linea con quanto disposto dal Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997 – Dichiarazione relativa alle regioni insulari e dell’articolo 158 del trattato CE, e attribuzione alla regione dei relativi poteri e specifiche risorse;
- rilancio dell’obiettivo della rinascita della Regione, già prevista dall’articolo 13 della legge costituzionale 26 febbraio 1948 , n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) mai attuata effettivamente ma tuttora attuale, oltre perché rispondente ad un obbligo storico dello Stato tuttora valido, anche alla luce del disposto dell’articolo 119, comma 5, della Costituzione;
- superamento di ogni limite che possa eventualmente desumersi dall’articolo 15 della legge costituzionale n. 3 del 1948 (Statuto speciale per la Sardegna ) circa il potere di scelta della cosiddetta forma di governo, con affermazione della possibilità di autonomia e separata investitura elettorale dell’organo legislativo e di quello esecutivo;
- attuazione piena del principio di sussidiarietà nel rapporto Stato-Regione e sua attuazione piena anche nel rapporto Regione-autonomie locali.
In questo mutato quadro costituzionale il nuovo Statuto – Carta costituzionale del popolo sardo non può che essere frutto della partecipazione diretta del popolo sardo.
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TESTO DEL PROPONENTE | |
Art. 1 Istituzione di un’assemblea costituente per la riscrittura dello Statuto – Carta costituzionale del popolo sardo 1. Al titolo VII della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) e successive modifiche ed integrazioni dopo l’articolo 54 è aggiunto il seguente articolo 54 bis: |
CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XIV LEGISLATURA
PROPOSTA DI LEGGE N. 402
presentata dai Consiglieri regionali
URAS – COCCO Daniele Secondo – CUGUSI – SECHI
il 5 luglio 2012
Istituzione di un’Assemblea costituente eletta a suffragio universale per la riscrittura del nuovo Statuto speciale per la Sardegna in attuazione degli esiti del referendum consultivo del 6 maggio 2012
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RELAZIONE DEL PROPONENTE
Il referendum consultivo del 6 maggio 2012 ha chiesto ai sardi se fossero favorevoli alla riscrittura dello Statuto della Regione autonoma della Sardegna da parte di un’Assemblea costituente eletta a suffragio universale. Il risultato è stato una risposta affermativa formulata da quasi il 95 per cento dei votanti.
In ragione di tale chiaro e netto pronunciamento, la presente proposta di legge intende dare concreta attuazione alla costituzione di un’Assemblea costituente che possa riscrivere la Carta fondamentale di autogoverno della Sardegna.
La necessità di procedere col massimo della celerità possibile impone di utilizzare l’iter legislativo ordinario anziché quello costituzionale. Di conseguenza, la legge regionale dovrà porsi, come precisato nell’articolo 1 della proposta, in armonia con la Costituzione e con lo Statuto speciale per la Sardegna. Per questi motivi l’Assemblea costituente avrà il compito di redigere una proposta di statuto che, però, ai sensi dell’articolo 54 dello Statuto speciale, dovrà essere approvata dal Consiglio regionale.
Gli articoli 2 e 3 della proposta fissano, inoltre, alcuni principi e criteri direttivi di massima cui l’Assemblea costituente dovrà attenersi nella redazione della proposta di statuto, come la difesa e lo sviluppo dei diritti fondamentali dell’uomo e delle comunità contenuti nella Costituzione e nei trattati e accordi internazionali (avendo particolare riguardo ai diritti di libertà, dignità e solidarietà, dei diritti al lavoro, alla salute, alla casa, all’istruzione e formazione permanente, alla difesa e tutela del territorio, dell’ambiente e del paesaggio), la previsione di nuove competenze esclusive della Regione, la creazione di un nuovo assetto dei rapporti finanziari e fiscali con lo Stato, la fissazione dei principi della forma di governo in modo da garantire governabilità e rappresentanza, il ripensamento dell’istituto delle norme di attuazione, la previsione dei principi fondamentali relativi alle funzioni e ai rapporti tra Regione ed enti locali, in modo da rispettare i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.
I punti salienti della presente proposta sono quattro.
In primo luogo, al fine di garantire che la composizione dell’Assemblea costituente, eletta a suffragio universale dai cittadini residenti in Sardegna, sia rappresentativa delle diverse realtà territoriali dell’Isola, è stabilito, nell’articolo 3, che il territorio della Regione é ripartito in circoscrizioni corrispondenti al numero delle province, in modo tale da distribuire in maniera proporzionata ed equilibrata i cinquanta componenti l’Assemblea.
In secondo luogo, al fine di dare piena attuazione ai principi di parità di genere e di democrazia paritaria è stato introdotto nell’articolo 3 un meccanismo che garantisce che 20 dei 50 componenti l’Assemblea siano donne.
In terzo luogo, al fine di garantire che nel processo di riscrittura dello Statuto vi sia l’effettiva partecipazione delle generazioni più giovani, l’Assemblea costituente sarà composta necessariamente da 10 eletti di età compresa tra i 18 e i 30 anni. Inoltre, sempre al fine di valorizzare al massimo il principio di parità tra uomini e donne nell’accesso alle cariche elettive, nella lista di candidati riservata ai giovani di età compresa tra i 18 e i 30 anni, dovranno essere obbligatoriamente alternati un uomo e una donna.
Infine, affinché il processo di riscrittura dello Statuto si caratterizzi per una partecipazione democratica continua e non limitata alla sola espressione del voto iniziale, gli articoli 4 e 5 prevedono forme di partecipazione sia nel corso dei lavori dell’Assemblea, sia nella fase finale di approvazione della proposta. In particolare, l’articolo 5 prevede che la proposta di Statuto predisposta dall’Assemblea costituente e approvata dal Consiglio regionale sia depositata presso tutti i comuni della Sardegna affinché tutti i cittadini possano sottoscriverla. In questo modo, sempre ai sensi dell’articolo 54 dello Statuto speciale, potrà essere presentata in Parlamento una proposta di statuto approvata dal Consiglio regionale e nello stesso tempo sottoscritta e quindi condivisa dai cittadini sardi.
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TESTO DEL PROPONENTE | |
Art. 1 Istituzione di un’Assemblea costituente del popolo sardo 1. Al fine di dare seguito alla volontà popolare espressa col referendum consultivo del 6 maggio 2012, in armonia con la Costituzione e con lo Statuto speciale per la Sardegna, il Consiglio regionale istituisce un’Assemblea costituente del popolo sardo allo scopo di redigere la proposta di un nuovo Statuto speciale per la Sardegna.
Art. 2 1. In considerazione delle peculiarità di carattere storico, istituzionale, economico, linguistico e culturale, nonché della condizione di insularità e della particolare collocazione geografica della Sardegna nel Mediterraneo, l’Assemblea costituente, nella redazione della proposta di nuovo statuto, persegue finalità di difesa e sviluppo dei diritti fondamentali dell’uomo e delle comunità contenuti nella Costituzione repubblicana e nei trattati e accordi internazionali in vigore e coerenti con le analoghe disposizioni costituzionali, avendo particolare riguardo ai diritti di libertà, dignità e solidarietà, dei diritti al lavoro, alla salute, alla casa, all’istruzione e formazione permanente, alla difesa e tutela del territorio, dell’ambiente e del paesaggio.
Art. 3 1. L’Assemblea costituente, inoltre, opera secondo i seguenti criteri direttivi:
Art. 4 1. L’Assemblea costituente è composta da cinquanta membri ed è eletta a suffragio universale e diretto, con sistema proporzionale e con voto libero e segreto attribuito a liste di candidati concorrenti. 2. Al fine di dare attuazione ai principi costituzionali che impongono il rispetto della parità di genere, e al fine di garantire che nel processo di riscrittura dello statuto vi sia l’effettiva partecipazione delle generazioni più giovani, i cinquanta membri sono eletti in modo da garantire che l’Assemblea costituente sia composta da venti donne, venti uomini e dieci cittadini di età compresa tra i 18 e i 30 anni. 3. Al fine di dare attuazione alle previsioni di cui al comma 2, ogni elettore ha a disposizione tre schede elettorali, in ognuna delle quali può esprimere un voto di preferenza per ognuna delle tre categorie di candidati di cui al comma 2, come specificato nei commi successivi. 4. L’elezione dell’Assemblea é disciplinata dalla legge regionale 6 marzo 1979, n. 7 (Norme per l’elezione del Consiglio regionale), cui si applicano, in deroga, le previsioni di cui ai commi 1, 2 e 3 e i seguenti principi: 5. È elettore ed eleggibile alla carica di componente dell’Assemblea costituente chi è iscritto nelle liste elettorali della Regione; per i cittadini emigrati si applicano le disposizioni vigenti in materia. 6. Valgono per i componenti dell’Assemblea costituente le cause di incompatibilità e ineleggibilità previste per i consiglieri regionali dalla legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale), salve le deroghe di cui ai commi 7 e 8. 7. La carica di componente dell’Assemblea costituente è compatibile con la carica di sindaco, senza che rilevi il numero di abitanti del comune. 8. Non sono eleggibili alla carica di componente dell’Assemblea costituente il Presidente della Regione, gli assessori e i consiglieri regionali in carica.
Art. 5 1. Nel corso dei lavori dell’Assemblea costituente sono sentite le autonomie locali, le organizzazioni sindacali, le Università di Cagliari e Sassari, la Confindustria, nonché tutti i soggetti, pubblici e privati, che possano offrire un effettivo contributo. 2. I lavori dell’Assemblea costituente sono pubblici. 3. L’Assemblea costituente, coadiuvata dall’Amministrazione regionale, assicura:
Art. 6 1. Entro sei mesi dalla sua elezione l’Assemblea costituente approva il progetto di nuovo Statuto speciale, che viene sottoposto all’approvazione del Consiglio regionale. 2. Entro trenta giorni il Consiglio regionale esamina il progetto di nuovo Statuto speciale e predispone, sulla base di tale progetto, una proposta di Statuto da sottoporre al Parlamento, che lo approva secondo la procedura di cui all’articolo 54 dello Statuto speciale. La proposta è presentata in Parlamento con le modalità e i termini previsti dal comma 3. 3. La proposta di Statuto speciale approvata dal Consiglio regionale è depositata, per trenta giorni, presso i comuni della Regione, in modo da consentire ai cittadini di sottoscrivere la proposta ai sensi dell’articolo 54 dello Statuto speciale. Nel caso in cui siano state raggiunte 20.000 sottoscrizioni, come previsto dall’articolo 54 dello Statuto speciale, sono presentate contemporaneamente in Parlamento sia la proposta di Statuto speciale approvata dal Consiglio regionale sia la stessa proposta di Statuto speciale sottoscritta ai sensi dell’articolo 54 dello Statuto. 4. Se nel termine previsto dal comma 3 non sono raggiunte le 20.000 sottoscrizioni previste dall’articolo 54 dello Statuto, il Consiglio regionale presenta in Parlamento la sola proposta di Statuto approvata ai sensi del comma 2.
Art. 7 1. Alle spese previste per l’attuazione della presente legge e valutate in euro 2 milioni si fa fronte a valere sulla coerente UPB S del Bilancio regionale per l’anno 2013, in relazione alle necessità derivanti dalla connessa consultazione elettorale e alla conseguente attività. 2. Nel bilancio della Regione per l’anno 2013 sono apportate le seguenti variazioni: in diminuzione UPB S08.01.002 in aumento UPB NI |