IN CUSTAS DIES DE BERIDADES MARIGOSAS HANT NAU….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LA NUOVA SARDEGNA – 12.10.2012:   CUMPOSTU: «Serve la dichiarazione di indipendenza». LA NUOVA SARDEGNA - 11.10.2012: Pietrino Soddu: «Meno autonomia e più sovranità per l’isola. L’UNIONE SARDA - 12.10.2012: Cappellacci, appello a Napolitano. LA NUOVA SARDEGNA - 11.10.2012: Costa: «Serve una battaglia vera».

 

 

 

 

 

LA NUOVA SARDEGNA – 12.10.2012:   CUMPOSTU: «Serve la dichiarazione di indipendenza».LA NUOVA SARDEGNA - 11.10.2012: Costa: «Serve una battaglia vera». LA NUOVA SARDEGNA - 11.10.2012: Pietrino Soddu: «Meno autonomia e più sovranità per l’isola. L’UNIONE SARDA - 12.10.2012: Cappellacci, appello a Napolitano.

 

 

LA NUOVA SARDEGNA – Politica:   CUMPOSTU: «Serve la dichiarazione di indipendenza»

12.10.2012

CAGLIARI Tutti fanno gli indipendentisti e gli indipendentisti non ci stanno. È così che il Psd’Az ha abbandonato l’aula del Consiglio regionale prima della votazione dell’ordine del giorno-voto contro i provvedimenti “centralistici” del governo Monti e che la consigliera Claudia Zunchedda (Sardigna libera) è stata l’unica a votare contro il documento unitario. Il capogruppo sardista Giacomo Sanna ha detto che domani al congresso del Psd’Az sarà presentata e poi approvata una «dichiarazione di indipendenza». Subito dopo, ha aggiunto, «la porteremo provocatoriamente in quest’aula». Come dire: vedremo chi è davvero per il conflitto con lo Stato italiano. «E’ arrivato il tempo – ha dichiarato Sanna durante il dibattito consiliare – di andare oltre l’autonomia, ma la parola indipendenza fa ancora paura a molti, la Sardegna ha bisogno di una scossa, forte per riprendere a credere in qualcosa«. Dopo aver parlato di «colpo di Stato» che ha «ridotto la democrazia» e che ora «si scaglia contro il regionalismo», Giacomo Sanna ha affermato che riprendendosi le competenze sulle rotte marittime che la riforma del 2001 aveva assegnato anche alle Regioni, «il governo Monti vuole impedire che entri in vigore la legge sulla flotta sarda che è stata appena approvata dal Consiglio regioale». E’ un «nuovo scandalo», l’ennesimo sopruso» nei confronti della Sardegna. I consiglieri regionali del Psd’Az hanno quindi abbandonato l’aula per distinguersi sia dalla maggioranza di centrodestra (dalla quale sono sempre più distanti anche se ancora rappresentati in giunta) sia dall’opposizione di centrosinistra, in particolare dal Pd, che, assieme a una parte della maggioranza ( Pdl e Udc) a Roma sostiene il governo Monti. In aula è invece rimasta («mi assumo apertamente le responsabilitaìà») Claudia Zuncheddu. La rappresentante di Sardigna libera ha votato contro l’ordine del giorno unitario. «È – ha spiegato – un documento non adeguato, oggi non è più tempo di difendere un’autonomia che ha fallito». Dobbiamo intraprendere un percorso di rottura dai nostricarnefici, un percorso di autodeterminazione e di ribellione che ci porti all’indipendenza».

 

 

LA NUOVA SARDEGNA – 11.10.2012: Costa: «Serve una battaglia vera»

 

CAGLIARI I sindacati hanno riunito ieri le segreterie unitarie preoccupate per il disegno di legge Monti che riscrive il titolo V della costituzione, manda in soffitta il federalismo, e taglia le ultime risorse della Regione. «Ci fa sorridere lo stupore di chi amministra l’isola», afferma Enzo Costa, segretario generale della Cgil sarda, «è chiaro che l’immobilità di qualcuno, cioè il governo dell’isola, non fa restare immobili gli altri. Ogni volta che si lascia un varco c’è qualcuno che va a occuparne lo spazio». I segretari del sindacato regionale, Enzo Costa, Mario Medde e Francesca Ticca, ricordano i continui richiami sulla necessità di adeguare lo Statuto, di avviare riforme vere, di regolarizzare la vertenza con lo Stato. «Si è perso troppo tempo», afferma Enzo Costa, «e quanto è accaduto ora con il provvedimento del governo Monti dimostra una cosa: per la Sardegna non serve affrontare le questioni aperte vertenza per vertenza. E questo vale sia per le singole battaglie industriali sia per la questione delle infrastrutture». La richiesta di Cgil-Cisl e Uil, da tempo, era quella di riaprire le questioni generali come quella dell’insularità. Il rischio, alla luce del ridimensionamento delle autonomie speciali, è che sia troppo tardi. Enzo Costa è di diverso avviso: «E’ vero che è stato perso troppo tempo ma non è troppo tardi. Siamo di fronte all’avvio di una campagna elettorale che dovrà rinnovare il sistema politico nazionale, passando da un governo tecnico a uno politico. Non si può rinunciare a riprendere in mano il proprio destino». Ma quale può essere la terapia? Il segretario della Cgil non ha dubbi: «Dobbiamo rifare quanto fecero i nostri padri quando alla fine di un periodo bellico chiesero e ottennero lo Statuto e i conseguenti interventi straordinari». Mario Medde, da tempo sollecitava l’istituzione dell’assemblea costituente e ora è indignato per il processo avviato dal governo centrale con lo scopo di cancellare l’autonomia. Le segreterie regionali decideranno nei prossimi giorni la strategia da proporre. Chi da questo governo non si aspettava nulla è Francesca Ticca (Uil): «I giochi sono scoperti, ora tocca a noi reagire». (a.f).

 

LA NUOVA SARDEGNA – 11.10.2012: Pietrino Soddu: «Meno autonomia e più sovranità per l’isola»

 

«Meno autonomia e più sovranità: non per chiedere l’indipendenza, ma per decidere da protagonisti là dove si trovano davvero i nuovi centri di potere, a Roma come in Europa». Pietrino Soddu a 83 anni ha la grinta di un ragazzo. Per il suo progetto sono però indispensabili due condizioni: «La prima è dar vita a una classe dirigente politica capace di rinegoziare il patto con lo Stato sugli spazi per l’isola, la seconda è che si esca da questa Torre di Babele dove tutti con arroganza pensano di riuscire a toccare il cielo e invece parlano linguaggi tanto diversi che alla fine nel caos nessuno capisce l’altro». «Che cosa voglio dire? Che, di fronte all’ incomunicabilità generalizzata, anche su questi temi ci dobbiamo sforzare di trovare la stessa lingua e fare scelte unitarie per ridefinire i nostri rapporti rispetto alle competenze centrali», spiega Soddu, tra gli storici artefici dell’autonomia sarda. Nel frattempo i tagli della spending review e gli scandali non rischiano di affossare l’isola? «Le Regioni a statuto speciale come la nostra si trovano da tempo in uno stato di sofferenza. Siamo entrati in un cono d’ombra quando la modifica del Titolo V della Costituzione una decina d’anni fa ha spostato in alto l’asticella di tutte le autonomie delle Regioni a statuto ordinario lasciando la nostra dove si trovava in precedenza. Da allora si è avviato un processo per il quale tutti hanno più o meno gli stessi poteri. E le aree ricche del Paese, come per esempio la Lombardia, avendo anche più risorse, si possono permettere persino di stipulare accordi internazionali o di aprire all’estero uffici che assomigliano a vere ambasciate». Qual è allora la ricetta per superare l’impasse? «Non esiste un’unica soluzione. Perché nessuno può dire di avere la verità in tasca. Penso comunque che in questa fase, se la Sardegna rinunciasse a molte delle sue competenze esclusive o concorrenti su certe materie come, che so io, l’agricoltura, in cambio potrebbe chiedere di sedere da pari a pari a Bruxelles per contribuire a formare le decisioni che la riguardano, per esempio a proposito di pastorizia o viticoltura». Come mai pensa a una via del genere? «Perché tutto si sta spostando verso una governance più ampia, quantomeno europea, direi quasi mondiale. E le questioni sul tappeto non sono più quelle del 1948, quando le Regioni nacquero. Oggi la governance è cambiata, così com’è mutata la struttura del potere politico. E tutto questo ovviamente ha messo in crisi le autonomie locali. Mi sembra evidente come l’Europa sia sempre più una federazione che trova i propri interlocutori negli Stati, non nelle Regioni». A questi processi si aggiunge la necessità di fronteggiare una delle crisi economiche più pesanti dal dopoguerra. «La crisi minaccia di travolgere la stessa struttura del Paese. E un governo di emergenza come quello guidato da Monti mette mano al sistema accentrando, riconducendo cioè al centro tutte le possibilità di controllo-verifica della spesa pubblica. Il suo obiettivo dichiarato è proprio quello di contenere lo splafonamento dei conti per rendere la situazione complessiva dell’Italia meno pericolosa». E in tutto questo che cosa si dovrebbe fare nell’isola? «Intanto noi sardi dovremmo acquisire maggiori consapevolezze. Solo fino a poco tempo fa sembrava che la navigazione fosse favorevole e in Italia si potesse puntare verso un’accentuazione del federalismo interno con la possibilità di avventure quasi rivoluzionari. Oggi navighiamo con il vento contrario». Con quali pericoli? «Intravedo due tendenze. La prima può portare verso il mito dell’indipendenza, magari senza capire se ci conviene effettivamente e se la maggioranza della nostra gente è d’accordo su quest’impostazione. La seconda può riportarci indietro sino all’accettazione dell’accentramento statale». Ma la Regione che cosa potrebbe fare? «La sua crisi come istituzione mi pare chiarissima. Tra disoccupazione, mancanza di prospettive per i giovani, disastro industriale, agonia della pastorizia, nell’opinione pubblica si è fatta strada l’idea che in fondo gli interlocutori sia preferibile trovarli altrove, che sia meglio affidarsi allo Stato. Insomma, così come per le Province più che per i Comuni, di fronte all’entrata in scena di un soggetto fortissimo come la Ue, si riducono gli spazi per le Regioni». Lei descrive questi passaggi come un cambiamento epocale: è così? «Oggi far vivere bene Stato, Regioni e Province è impossibile. Senza stracciarsi le vesti, con un confronto che parta da fondamenti basati sull’umiltà, va rimessa in discussione l’architettura complessiva di questi rapporti tenendo presente sempre la governance complessiva». Il ceto dirigente dell’isola è pronto per questo mutamento d’orizzonte? «Ho la sensazione che tra molti intellettuali, tanti esponenti della cultura e della politica stia passando la tesi che i problemi si possano risolvere solamente con gli strappi, tagliando anziché cucendo, come per esempio si è fatto con i referendum. Intendiamoci: esistono grosse questioni morali, problemi etici da non sottovalutare, il richiamo al fatto che chi amministra la cosa pubblica debba servire gli interessi generali e non i propri è sacrosanto». Però… «Però, lo ripeto, non c’è in campo un’unica verità. In effetti, occorrerebbe una nuova classe dirigente che rivendicasse una prospettiva per il futuro postmoderno che ci attende. Ma la nostra società mi pare avvolta nel torpore, quasi esangue: a ogni modo, incapace di esprimere questa leadership. Un vicolo cieco, insomma. Nel frattempo, se aspettiamo troppo, quel processo a cui ho fatto cenno ci travolgerà». Dunque: come si può affrontare questo stato di cose? «Con un dibattito molto ampio, senza pregiudiziali. Dobbiamo salvare l’originalità, l’autenticità, della posizione sarda. Difendere lo schema pattizio. Contraendo, appunto, un nuovo accordo con lo Stato centrale che ci dia sufficienti garanzie di autogoverno». In che modo? «Non parlo ovviamente di una elargizione da parte di uno Stato-Monarca o di un Re-Parlamento, ma di una linea di tendenza nella quale il popolo sardo scelga il livello di autogoverno possibile nell’ambito della cornice costituzionale. Un percorso specifico rispetto a quello di altre aree, contro la spinta molto forte in atto per un livellamento fra tutte le regioni». Nella pratica quale metodo si dovrebbe seguire? «Intanto ci dev’essere la consapevolezza che questo nuovo patto non porta alla dichiarazione d’indipendenza o alla rivoluzione. La Storia ci ha insegnato che cosa è successo anche di recente nell’ex Jugoslavia seguendo questa via. Io credo che la conquista di nuovi spazi la si possa raggiungere attraverso una lotta politica serrata nella quale si definiscano i confini reciproci». Il governo parla di una revisione della Costituzione: ci sono i tempi per farla, secondo lei? «Non credo sia possibile nei prossimi mesi. Interpreto la posizione di Monti più come una dichiarazione d’intenti, la segnalazione di un problema per contenere la crisi. Ma del resto non è che se la questione slitta, non esista. La classe dirigente dell’isola deve avere la consapevolezza che prima o poi dovrà farsene carico». Già, ma come? «Inserendosi da subito nel dibattito nazionale. Se fossi alla Regione, sarei molto preoccupato di trovarmi in un territorio pieno di macerie come il nostro, dove manca qualsiasi prospettiva. Dovremmo avere la consapevolezza di trovarci in un periodo nel quale s’impone una ricostruzione simile a quella del dopoguerra. Invece, a quanto sembra, non abbiamo idea di come entrare in questo quadro postmoderno». Intanto si annunciano tagli sempre più consistenti: su sanità, trasporti e così via… «Come per gli aspetti giuridici dei mutamenti nel diritto, non mi soffermerei più di tanto su questi elementi. Penso di più al disegno complessivo e al ruolo della Sardegna in un mondo che è cambiato profondamente e che continua a cambiare. In passato l’autonomia è stata sostenuta perché era un punto di forza, una stampella, un motore in più per fronteggiare la debolezza del nostro sistema. Oggi, se la si concepisce in maniera tradizionale, minaccia di tramutarsi in un ostacolo». Per quale ragione? «Sto sempre attento alla volontà popolare. E quando sento che i politici regionali sono visti come i baroni feudali, penso che sia indispensabile una svolta decisiva. L’assenza dei grandi partiti e delle grandi ideologie del passato ci deve spingere verso contromisure alternative» Quali, in definitiva? «La chiave sta nel trovare quel linguaggio unificante di cui parlavo: non si può fermare il mondo moderno, bisogna che ci adeguiamo, che scopriamo gli strumenti più opportuni per il patto con lo Stato, che conquistiamo gli spazi per concorrere alle decisioni che interessano l’isola. Solo in questo senso potremo affermare la nostra nuova sovranità».

 

L’UNIONE SARDA – 12.10.2012: Cappellacci, appello a Napolitano

 

«La proposta di legge di stabilità del governo Monti rischia di creare un solco che allontanerebbe definitivamente la Sardegna dall’Italia. Vanificherebbe tutti gli sforzi in atto per colmare i gravi e storici ritardi nello sviluppo, accumulatisi nel tempo, e renderebbe impossibile ogni tentativo di recupero dei divari legati all’insularità. Per questo le chiedo un suo urgente intervento che riporti equilibrio e moderazione nei rapporti istituzionali e scongiuri il rischio di strappi che minerebbero la coesione sociale e territoriale del nostro Paese». È l’appello finale della lettera che ieri mattina il presidente della Regione Ugo Cappellacci ha consegnato al Capo dello Stato Giorgio Napolitano al termine dell’incontro che i governatori hanno avuto con l’inquilino del Quirinale per denunciare le conseguenze delle decisioni adottate dall’esecutivo Monti con la legge di stabilità e la spending review. LA DENUNCIA Cappellacci stigmatizza non solo «i tagli per 500 milioni alle Regioni a Statuto speciale», ma anche «l’ulteriore ingiustificato attacco contro il regionalismo e contro le autonomie regionali speciali che mette a rischio la coesione sociale nazionale». Decisioni, quelle del governo, che arrivano «sull’onda dell’emotività dopo anni di battaglie condivise per il decentramento e per un’ampia riforma federalistica del nostro Stato, mai completata». SPECIALITÀ NON È ANOMALIA A Napolitano, il presidente sardo ha fatto notare che «non è accettabile che i gravi e censurabili fatti che hanno colpito le Regioni e che hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica deprecabili comportamenti di certa classe politica, possano essere usati come scudo dietro il quale il governo mina le basi costituzionali del nostro Stato ed in particolare le profonde ragioni, storiche, identitarie e culturali dalla specialità regionale nel nostro Paese». IL PRETESTO DEL GOVERNO Insomma, «non si può, con il pretesto di curare le patologie della democrazia, che ci sono e sulle quali siamo già intervenuti in Sardegna anche prima del governo centrale, andare a tagliare non i benefici dei politici, ma i diritti dei cittadini». LETTERA AI PARLAMENTARI Il presidente della Regione ha inviato una lettera-appello anche ai parlamentari sardi per richiamarli ad una battaglia unitaria «nei confronti di uno Stato che continua a disattendere i propri compiti istituzionali e viola sistematicamente le prerogative della Sardegna». Mariano Delogu ha risposto a stretto giro di posta: «Ho molto apprezzato la presa di posizione, ci convochi e decidiamo tutti assieme che cosa fare». I RICORSI Alla battaglia politica, la Regione ne ha affiancato una giudiziaria deliberando (lo ha fatto ieri mattina la Giunta) un ricorso alla Corte costituzionale per la dichiarazione di illegittimità di diversi articoli della cosiddetta spending review. L’esecutivo regionale denuncia «le palesi violazioni in materia di ordinamento degli enti locali, di trasporti su linee automobilistiche e tramviarie e di linee marittime ed aeree di cabotaggio fra i porti e gli scali della Regione» e la sottrazione di competenze e risorse sulla Sanità, che la Regione paga con fondi propri. «Diritti sui quali», ha detto Cappellacci, «il popolo sardo e la Regione non intendono transigere». NAPOLITANO La risposta di Napolitano non si è fatta attendere. In una nota, il Quirinale ha difeso in parte le tesi delle Regioni definendo «unilaterali e sommarie con accenti liquidatori nei confronti dell’attività e del ruolo delle Regioni» le decisioni del governo. Ma la proposta di legge costituzionale, ha evidenziato Napolitano, «è una prima parziale risposta su cui spetterà al Parlamento pronunciarsi». Secondo il Capo dello Stato, in ogni caso, «il provvedimento del governo non mette in discussione i principi della Costituzione, e in particolare quello che nell’articolo 5 associa l’unità e indivisibilità della Repubblica al riconoscimento delle autonomie locali», semmai «gli equilibri istituzionali delineati nella seconda parte della Carta». STRONCARE IL MALCOSTUME Su un aspetto il Colle è stato intransigente. «Serve un immediato intervento legislativo per ridurre i costi della politica nelle Regioni e stroncare intollerabili fenomeni di abuso del denaro pubblico e di malcostume».

 

 

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