32° CONGRESSO DEL PARTITO SARDO D’AZIONE, hotel Mediterraneo di Cagliari, 13/14 ottobre 2012

SommarioI Sardi riprendano il loro Partito. di Gianni Ruggeri, ex Vice Segretario Nazionale.

La tesi al Congresso Nazionale Psd’az proposte dalla Federazione di Nuoro e Sassari. 
Regolamento per lo svolgimento del congresso nazionale. 

32°  CONGRESSO DEL PARTITO SARDO D’AZIONE,  hotel Mediterraneo di Cagliari, 13 ottobre 2012, ore 9,30

CAGLIARI – Sabato 13 ottobre, alle ore 9.30, presso la sala conferenze dell’hotel Mediterraneo di Cagliari, si apriranno i lavori del 32° congresso del Partito Sardo d’Azione. Il programma si aprirà con la relazione del Segretario Nazionale, Giacomo Sanna, a seguire il saluto e gli interventi degli ospiti e delle autorità politiche.

I Sardi riprendano il loro Partito. di Gianni Ruggeri, ex Vice Segretario Nazionale

. programma sabato 13 ottobre a Cagliari, presso la sala conferenze dell´hotel Mediterraneo

Quel che é certo é che non é l’ora di dormire, di vivacchiare sull’esistente: il futuro in tal caso ci travolgerebbe e ci emarginerebbe dal mondo moderno. Questa, sardi, é l’ora in cui possiamo rompere i legami con un passato di servitù e noi, rappresentanti del popolo sardo, non potremo dire che in quest’ora non c’eravamo.” (Salvatore Bonesu, PSd’Az, Consiglio Regionale: dibattito sulle proposte di modifica alle ipotesi di riforma della Costituzione scaturite dai lavori della Commissione Bicamerale, seduta del 23 luglio 1997).

Il Partito che va a Congresso non é dissimile da quello di tre anni fa. Nelle logiche che lo governano e per il suo peso nella scena politica. Il dibattito interno é ridotto al minimo, come la sua capacità di sedurre i sardi. Restiamo appesi a qualche iniziativa solitaria quanto innovativa, e dominati dalla riproposizione dei temi classici: la lingua, la zona franca, la flotta sarda, l’indipendenza.

L’attualità dei nostri Temi é però il risultato dell’emergenza economica e sociale che la Sardegna attraversa, e non quello che orgogliosamente dovremmo condividere: la conseguenza dell’affermazione di una guida politica rappresentata da un Partito responsabile. Non siamo al centro del protagonismo e della domanda sardista, non ne guidiamo o indirizziamo la protesta, e rileviamo impassibili come questa si rappresenti nell’antipolitica, nella sindacalizzazione radicale, nell’arcipelago dei movimenti leaderistici e identitari, o nello strano brodo di tutto questo.

Le responsabilità tra noi esistono, e come dev’essere, chi ne ha di più deve renderne conto. La dirigenza non é tale se non si assume l’onere di guidare, favorire, stimolare e non solo mediare. Assumere toni fatalisti e rassegnati, ripararsi dietro l’ipotetica carenza di risorse, la litigiosità, la presunta anarchia del Partito, é una scusa comoda per ogni occasione. Come anche sbandierare risultati storici, mozioni, referendum, serve a gettare fumo se poi non si ha la forza e la volontà di perseguirli fino in fondo, se non si ha la convinzione e il coraggio di mobilitarsi.

Viviamo una strana sindrome, una colpa o una maledizione, per la quale abbiamo paura di contarci, di scendere in piazza, di rispondere con toni adeguati alla crisi ed alle colpevolezze dei colonizzatori, romani o vicini di banco. Subiamo soffusamente il fascino, e non solo, dei leader di altri partiti d’area, dimentichi dei torti che ci hanno fatto (e non siamo angioletti) , del loro carattere non democratico, della frammentazione di cui sono responsabili, e che la loro ragione di crescita sta nel differenziarsi dalla nostra. Chiariscano se , con la loro dignità, possano essere con noi a migliorare il Partito Sardo o no.

Siamo rassegnati a pensare in piccolo, vecchi stanchi o così ci fanno credere, e i giovani che abbiamo tra le prime linee non hanno portato il meglio dai loro partiti precedenti.

Quella che si é costruita nei nostri tempi é una sola macchina clientelare, che usa la passione dei militanti come benzina per alimentarsi, che cresce annettendo patrimoni elettorali personali che tali restano, che piega le regole della partecipazione ai meccanismi del consenso più vecchi. Liberarne le forze significherebbe rompere la rete che avvolge il Partito, che ne impedisce la crescita perché non ha la cultura e l’autorevolezza per governarlo. Ma significherebbe ridare speranza a un Popolo.

Troppi aspetti negativi dei quali occorre prendere coscienza. Sono questioni che sfuggono, ma che insieme trasmettono il disagio dei nostri militanti. Ho il dovere di raccontarle, ma pecco di troppo rispetto per le persone che con me hanno collaborato. Tre sole cose mi convincono: a) chi straparla di aver vinto la sua guerra tra bande e inciuci, non sa quanto sia carne da macello; b) il mancato rispetto delle regole, la mancanza di organizzazione, la litigiosità e l’anarchia sono responsabilità della dirigenza, in misura e qualità direttamente proporzionale all’entità della carica ricoperta; c) l’esercizio della critica é strabordato, e proviene spesso da chi ne fa un uso strumentale per i propri miseri interessi , tacendo le proprie responsabilità e la propria incapacità di iniziativa, perché in definitiva siamo giocatori della medesima squadra…

Siamo il popolo del “vogliamoci bene”, o capiamo che questa situazione ci ha finora impedito di traguardare l’obiettivo?

So bene quante cose positive vi siano. Questo partito é pieno di sinceri appassionati nonostante tutto e nonostante il “dopolavoro” nel quale sono confinati. Io ho visto e condiviso anche il sudore del Segretario, la saggezza dei vecchi dirigenti, l’equilibrio del capo gruppo, e il sacrificio di chi ha costruito iniziative e partecipazione. E di Amministratori prolifici e generosi, dei quali si sa tutto perché rendono conto. Ma questo non basta.

L’impegno va rinnovato sul fronte politico e su quello organizzativo.

  • le nostre scelte di coalizione, a sinistra o a destra, non sono comprese da chi ha problemi reali e speranze nel futuro. Attorno ai temi dello sviluppo e della sua qualità, del lavoro e dello stato sociale, dell’immigrazione e della sicurezza, dell’istruzione e dell’ambiente, della politica finanziaria e di quella internazionale, della cultura e della produzione, non possiamo solo rispondere con gli slogan, quando non stiamo zitti.

L’indipendenza ci serve non solo per rivendicare le nostre risorse, ma sopratutto per disegnare un modello di benessere identitario e universale, e dobbiamo dire quale e come, o l’avremo conquistata per consegnarla ai proconsoli dei banchieri, dei mafiosi, della massoneria (su questo ritornerò) e del mercato liberista. Se continuiamo a non dare risposte su questi problemi, marciremo nel regionalismo e i giovani continueranno a chiederci da che parte stiamo;

  • Se la capacità di rappresentare e indicare la modernità suppone quelle di eseguire un salto generazionale, dobbiamo ai nostri giovani il rispetto di garantirne la partecipazione libera in un ambiente sano e leggibile, dove i più esperti siano autorevoli saggi e non generali da commedia. Dove i vecchi, e ne abbiamo un tesoro e voglio ricordare solo Italo, non mi commuovano per l’incapacità che abbiamo di onorare la loro testimonianza coerente e pacata. Ognuno si impegni a portare un giovane alle riunioni, magari una donna, e il partito cambierà. Cioè rifondare la classe dirigente, programmarne con decisione il trapasso, celebrando la storia e consci che di processo e non di colpo di mano debba trattarsi.

Ripartire dalle competenze, che nel Partito e nell’immediato intorno si trovano preziose, per un Progetto di supporto alla conoscenza della realtà che deve scaturire nell’elaborazione di proposte.

Favorire le strutture verticali a quelle orizzontali. Cioé prendere atto che le Federazioni provinciali sono occupate dalle logiche degli equilibri e a volte in guerra da decenni, come quella di Cagliari distrutta dall’import di democristiani ed ex craxiani, e dal loro seguito, e dove mi ritaglio il mio pezzo di responsabilità.

La qualità può essere prodotta dai Dipartimenti, o Gruppi di interesse come si voglia. In questa logica trovano spazio in primis gli amministratori locali, per i quali il Partito non é stato mai così distante e che invece rappresentano il nostro contatto con la gente, per le risposte quotidiane cui sono chiamati. E i lavoratori autonomi, da chiamare a fare rete e filiere, per disegnare un economia più solidale e per fare massa critica di contrasto agli interessi della grande impresa coloniale.

Un Congresso così disegnato riuscirà a chiedere al prossimo Consiglio Nazionale di avviare la necessaria modifica delle regole del Partito? Lo spero, anche se son convinto che non c’é cambiamento delle regole che tenga se non maturiamo l’idea che viverle con saggezza é il nostro dovere verso la Sardegna.

Gianni Ruggeri

Sezione Riscossa Sardista – Cagliari

ex Vice Segretario Nazionale

 

 

La tesi al Congresso Nazionale Psd’az proposte dalla Federazione di Nuoro

dal sito  SARDEGNA E LIBERTA’           19 SETTEMBRE 2012

1) Il popolo sardo è titolare di una sovranità originaria. L’Autonomia, intesa come delega di sovranità dal popolo italiano a quello sardo, è un insopportabile sopruso, fondato sulla Costituzione italiana, oltre che un orizzonte politico esaurito e non riproponibile.

2) La questione della sovranità sarda, inibita ad esprimersi e a esercitarsi, deve essere posta sul tavolo delle cancellerie europee come una questione di autodeterminazione negata.

3) La sovranità possibile nel contesto attuale deve essere comunque interpretata ed esercitata in modo autorevole e efficace. L’esperienza politica di una sovranità possibile esercitata male e con poco credibilità mina alle fondamenta il consenso sociale sull’idea e sul progetto dell’autogoverno dei sardi. Il Psd’az non deve sostenere esperienze politiche deboli e agonizzanti.

4) Il Psd’az deve accettare la responsabilità di rivendicare per un proprio rappresentante la guida del governo della Regione. Lo deve fare come proposta che sottopone al vaglio democratico in primo luogo dell’area sovranista e indipendentista e poi di tutte le forze politiche che vorranno condividere la responsabilità di un governo regionale di profondo cambiamento nei programmi, nelle persone, nei metodi, nei linguaggi, nelle procedure, nella burocrazia. Occorre un governo che piuttosto che collocarsi come erede del passato, si configuri come il primo governo che chiude definitivamente col passato e apra una nuova stagione politica, culturale e sociale.

5) Il prelievo fiscale e il sistema tariffario, esercitati prima dal Regno d’Italia e poi dalla Repubblica italiana, hanno impedito i processi di accumulazione di capitale di cui la Sardegna ha estremo bisogno e costituiscono un vincolo allo sviluppo del mercato sardo. La libertà della Sardegna di godere di un sistema fiscale proporzionato ai propri livelli di ricchezza è l’unico orizzonte di effettiva legalità per il mercato sardo, oggi alterato dai privilegi garantiti dallo Stato a se stesso e a pochi altri. La piena attuazione del Decreto legislativo 75 del 1998 sull’istituzione delle zone franche sarde deve andare nella direzione, con i decreti attuativi, di un sistema di zone industriali e artigianali franche, funzionalmente collegate ai porti franchi, nel quale sia possibile realizzare un’ampia zone di fisccalità agevolata rispetto alla produzione di beni e servizi.

6) I privilegi che lo Stato italiano garantisce ai suoi oligopoli o a privati graditi al governo italiano nei settori dell’energia e dei trasporti sono alla base della crisi del sistema produttivo della Sardegna.

7) Il modello italiano del favorire posizioni dominanti nei diversi settori sta sottraendo ai sardi anche la sovranità alimentare e li sta trasformando in un popolo di consumatori tenuti, rispetto alle loro capacità di produrre, in una sorta di stato di cattività assistita.

8) La legalità dei mercati in Sardegna passa anche per l’inversione del sistema di riscossione e di compartecipazione alle entrate erariali. La Sardegna deve riscuotere e versare allo Stato italiano la sua quota, esattamente il contrario di ciò che accade oggi. Equitalia deve andare via dalla Sardegna.

Le tesi per il congresso di ottobre del Psd’Az

Riceviamo e pubblichiamo:

 

 

TESI DI SASSARI:

IL PARTITO SARDO D’AZIONE PER LA SOVRANITÀ DELLA NAZIONE SARDA IN UNA PROSPETTIVA EUROPEA
L’IRRINUNCIABILE VALORE DELL’IDENTITÀ

L’identità del popolo sardo è plurima: è locale perché sorta da una geografia e da un ambiente naturale specifico che nei secoli ne hanno modellato i caratteri; è europea in virtù dei rapporti che la Sardegna ha stabilito principalmente con la cultura italica e iberica; è mediterranea per i suoi rapporti con la civiltà bizantina e con i paesi del Nord Africa; è occidentale e cristiana per la tradizione di rapporti che i Sardi hanno stabilito con la Chiesa.
L’identità del popolo sardo si contraddistingue in momenti di grande esaltazione nella strada della sua indipendenza, ma è pure segnata dai domini coloniali che si sono succeduti nell’isola e dunque da fatali sconfitte.
La lingua sarda, espressione più vera della cultura spirituale e materiale dei Sardi, è un valore irrinunciabile per i Sardisti.

SARDEGNA SOVRANA NELL’EUROPA DEI POPOLI

Le ultime vicende che hanno visto la cessione di grandi parti di sovranità da parte degli stati membri dell’Unione Europea, rende ormai inservibili le architetture costituzionali che reggono gli Stati attuali. Seppur ridimensionati nelle funzioni istituzionali più propriamente politiche gli Stati tendono sempre di più a diventare luoghi di concentrazione di forti interessi economici e finanziari miranti a creare spazi omogenei di mercato, sopprimendo definitivamente le specificità e le diversità ancora esistenti. Solo secondo questa interpretazione possiamo leggere le ultime azioni dello Stato Italiano riguardanti la vicenda Tirrenia, l’esclusione della lingua sarda dall’elenco delle lingue minoritarie e il rischio costante di soppressione che pende sulle autonomie regionali e sui pur labili e invecchiati istituti autonomistici.. Il Partito Sardo d’Azione, co-fondatore dell’A.L.E., da sempre, come è noto, auspica l’unione, a livello europeo, delle forze autonomiste e indipendentiste. Una sinergia, un’azione comune, tramite un confronto continuo, tra questi partiti e movimenti può portare alla ridiscussione della configurazione attuale dell’Unione Europea che è unicamente una evoluzione del Mercato Comune nell’era della mondializzazione come, tra l’altro, è emerso nell’ultimo convegno di Alghero promosso dall’Istituto di studi e ricerche “Camillo Bellieni”.
Il ruolo della Sardegna, nel solco della più pura tradizione dell’idea sardista delle origini, è quello di una proiezione europea all’interno di un sistema federale che tuteli tutti i popoli e le patrie d’Europa. La richiesta di una nuova fase Costituente, da tempo rivendicata dal P.S.d’Az. sancita, pur tardivamente, e strumentalmente, dal recente referendum regionale, deve portare alla riscrittura di un nuovo Statuto e noi diciamo, anche, di una nuova Costituzione dello Stato italiano. A questo scopo il Partito Sardo d’Azione pone al centro del proprio programma di Governo e di eventuali alleanze questi temi. Ma sarebbe vano non valutare in una prospettiva europea questa elaborazione, tramite una nuova domanda di autonomia fatta a un livello più ampio di quello dello Stato Italiano (soggetto inserito, non dimentichiamolo, in un contesto istituzionale europeo), ma concentrarsi unicamente in un confronto Stato-Regione sarebbe un ripercorrere inutilmente delle strade che la storia contemporanea ha definitivamente chiuso.

UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO PER NUOVE MODALITÀ D’ESISTENZA

Le vicende di questi ultimi tre anni hanno portato con maggior evidenza i movimenti di una globalizzazione economica che, nello sfinimento delle strutture di sovranità economica degli Stati, ha messo in crisi tutto il sistema di stampo clientelare sul quale il sistema partitico italiano ha basato la raccolta del consenso. Nonostante il momento contingente richieda nuove responsabilità, il ceto politico sardo eterodiretto continua a reclamare soluzioni in linea con una logica della gestione tipica da classe dirigente subalterna. I recenti casi riguardanti la crisi di importanti settori dell’industria sarda, pur nel loro fragore mediatico, devono essere esaminati da una coscienza lucida e sgombra da eccessivi entusiasmi. Essi non devono essere considerati come un caso isolato, poiché questo sortirebbe sempre l’effetto di soluzioni parziali, quanto sarebbe utile, invece, riportare queste vicende nell’alveo di una discussione più generale. Il dato storico-politico che il Partito Sardo d’Azione intende portare all’attenzione è che il ciclo dell’industria pesante che ha caratterizzato la storia della Sardegna, dall’epopea mineraria fino ai programmi della cosiddetta Rinascita, si è
definitivamente esaurito. Solo un ceto dirigente cinico può affermare il contrario, sventolando o lo spauracchio di una disoccupazione resa ancor più drammatica dalla crisi che attanaglia tutto il mondo occidentale oppure snocciolando cifre e deprimenti statistiche che avallino la necessità di un rilancio della produzione industriale. Questo ceto dirigente non deve essere additato solo come colpevole per aver tergiversato in passato nella ricerca di una soluzione, come poteva essere la riconversione e la bonifica del territorio in virtù di una prospettiva di futuro differente, ma bensì di essersi servito di codeste tergiversazioni per perpetrarsi e continuare a prosperare ancora all’interno di una logica feudale. Così come l’industria, l’altra articolazione importante dell’economia sarda, il turismo, nel modello col quale è stato concepito decenni fa, ha esaurito tutte le sue possibilità. Esso si è sviluppato secondo gli schemi o del grosso investimento alberghiero, che intendeva compensare l’usura del territorio e l’estraneità al tessuto sociale sardo con la richiesta crescente di bassa manodopera, o della piccola intrapresa a dimensione familiare che, abbagliata dal circuito del turismo extra-sardo, ha spesso rincorso questi modelli di gestione cercando di massimizzare gli utili a discapito dell’offerta. A parte alcune lodevoli eccezioni, non si è creato una versione sarda del turismo. I motivi principali sono sia le difficili e annose questioni dei trasporti esterni sia, incredibilmente, la scandalosa e anti-storica condizione dei trasporti interni, che solo la sensibilità e l’autonomia critica degli amministratori sardisti, in totale solitudine, riesce a
portare all’attenzione della pubblica opinione. Ma fondamentale è l’assurda percezione di molti, soprattutto in questa epoca di ricomposizione mondiale, del turismo come mera opera di “estorsione” del turista e come valvola di sfogo del problema edilizio. A monte di questo discorso sta l’erosione della famosa cultura dell’ospitalità dei Sardi e il venir meno dell’amore per il territorio. Che non è solo il tanto celebrato “bene naturale” ma pure tutto il complesso
architettonico delle città e dei paesi che i Sardi hanno saputo edificare nei secoli. Il raggiungimento di tutte le determinazioni di un progetto che ha avuto avvio con la nascita dello Stato Italiano, ovvero l’avventura della Sardegna regionale, ci pone nelle condizioni di un sostanziale ripensamento di tutte le strutture ormai rese inservibili dai fenomeni della mondializzazione. I sardisti non devono più guardare a un miglioramento della gestione. Esso ci vedrà sempre perdenti se non si imprime un radicale cambiamento della struttura. Solo in questo modo ci si può smarcare da una collusione con un sistema che considererà sempre i Sardisti come un corpo estraneo, da espellere o da attrarre con lusinghe, poiché improntato su una connessione di rapporti che replicando le architetture dello Stato ne legittima le
consorterie servili che le controllano. I settori strategici sono tanti, ma il Partito Sardo d’Azione individua nella Formazione, nell’Energia e nel Settore Creditizio, quelle di vitale importanza. Le università sarde, da tempio della critica e della libertà, si stanno sempre più riducendo a normali enti di formazione statale, portandosi verso un canale che le vedrà sempre perdenti nei confronti delle altre università. Gli ultimi dati danno sempre più studenti sardi emigrare
nelle università italiane, segno che le Università sarde hanno perso il proprio carattere specifico. Si dimentica spesso che l’Università non è lo Stato, e anzi sovente è accaduto tra queste due istituzioni un confronto anche aspro. È inutile dunque sfornare laureati secondo moduli del tutto identici a quelli delle altre università italiane (il confronto con queste ultime inoltre sarebbe sempre penalizzante) che produrrebbe l’effetto di ragazzi istruiti estranei al loro territorio di provenienza. In Sardegna il sistema scolastico e universitario (nonostante la Carta Europea delle lingue regionali e meno diffuse, e nonostante una legge dello Stato Italiano, la 482 del 1999) continua a negare alla lingua, alla storia, alla cultura, alla civiltà dei Sardi spazi istituzionali adeguando, privando i giovani sardi di una profonda conoscenza del territorio, della sua storia, delle sue economia delle sue risorse, delle sue tradizioni, per i quali la scienza e la tecnica dovrebbero ipotizzare, come accade nei paesi più evoluti, scelte economiche e dare indirizzi alla politica. I Sardisti intendono porre fine a un sistema scolastico e universitario che veicola categorie culturali politiche ed economiche che hanno come effetto il sottosviluppo culturale o l’emigrazione alla ricerca di lavoro, poiché, piuttosto che esaltare l’amore per il
sacrificio e l’autonomia di giudizio, esso basa i propri insegnamenti su valori deleteri quali quelli che esprimono certi professori sardi di economia che intendono la politica come esercizio di convenienza, che appagherebbe una visione finalizzata sia a perpetuare i loro poteri e sia a indirizzare i giovani sardi a una visione accomodante verso lo Stato italiano, i poteri forti della finanza e dell’economia, che in tutti questi anni hanno lavorato per affamare
la Sardegna. Si assiste ultimamente a un fenomeno paradossale: al crollo e alla crisi del comparto industriale fa riscontro una crescita esponenziale della produzione di energia. In Sardegna da diversi anni questa produzione supera di gran lunga il fabbisogno della popolazione ma incredibilmente le aziende energivore sono costrette a chiudere i battenti. Essendo quello dell’energia un mercato fondamentale a livello globale, la Sardegna vede in questa situazione il cinico volto neo-coloniale di uno Stato Italiano che accumula enormi profitti non solo senza nessuna ricaduta in termini occupazionali, ma pure ponendosi come ostacolo per una politica di sviluppo. La battaglia per la sovranità energetica è dunque per il Partito Sardo d’Azione strategica se si vuole una Sardegna inserita in un contesto globale. La nazionalizzazione dell’energia elettrica da parte dello Stato Italiano a cavallo degli anni sessanta del secolo scorso, fu allora tenacemente avversata dai Sardisti, consci della perdita della gestione del settore energetico. L’Ente Sardo per l’Energia fu costretto a chiudere e a trasferire poteri e competenze all’Enel. Il Partito Sardo d’Azione intende ridiscutere la composizione di questi assetti.
In questo momento storico, ma non solo, il governo delle risorse finanziarie non può non essere una tra le priorità. I Sardisti non volendo essere complici del silenzio generale che avvolge tutto ciò che riguarda i santuari delle Banche, si interrogano su diversi motivi: sul ruolo dell’azionista di minoranza che detiene il 49% del Banco di Sardegna, su chi ne detiene il 51% non ha ancora pagato il prezzo d’acquisto e da 10 anni incassa lauti dividendi, sul perché non si mette in mora una vendita che ha prodotto solo negatività per la società sarda. Il sistema del credito che è tra i maggiori responsabili della finanza speculativa e quindi della crisi che ha colpito l’economia reale è tema troppo sensibile perché possa essere lasciato nelle sole mani dei banchieri, rispettati e temuti, non fosse altro perché la materia prima viene loro
fornita dal pubblico risparmio. Il Partito Sardo d’Azione, che non da oggi denuncia questi limiti, ritiene che sia giunto il tempo di chiamare a raccolta tutti i Sardi perché si ponga fine a questo furto quotidiano di risorse, di intelligenze, di competenze. È tempo che il Banco di Sardegna ritorni a essere la Banca dei Sardi, non in una logica puramente speculativa, ma nel ripristino delle funzioni naturali di una Banca che dia supporto creditizio all’intero tessuto produttivo dell’isola.

Il Partito Sardo d’Azione, ripercorrendo le sue origini, la tenacia dei combattenti e l’etica dei suoi Padri Fondatori, vuole con forza porre una radicale alternativa all’esistente. Ma tutto ciò non è possibile se non in una nuova dimensione etica che deve abitare le menti dei Sardi. Non è possibile nessuna autonomia, nessuna indipendenza, se non in una nuova atmosfera morale. Questo è il lascito più prezioso, che spesso si dimentica, di cui i Fondatori del Sardismo ci hanno fatto dono. Dobbiamo lasciarci alle spalle ogni sogno di gigantismo, di consumismo eccessivo, di bruttezza, ma recuperare comportamenti improntati sulla sobrietà, sulla solidarietà e sull’amore per il proprio luogo. Per il Partito Sardo d’Azione non si tratta di promettere o di garantire un futuro ai Sardi di fronte a un’attualità che non è più capace di segnalare nessun orizzonte di garanzia. Quanto di saper individuare un’azione, un’occasione per donare ai Sardi un avvenire. Tutto questo noi Sardisti lo chiamiamo col termine SOVRANITÀ.

SARDISMO COME FORZA ALTERNATIVA DI GOVERNO PER IL POPOLO SARDO

A Noi Sardi stare con lo Stato Italiano non conviene più. Anzi non ci è mai tornato utile. I Sardi hanno sempre pagato per tutti. Con l’uso illegittimo da parte dello Stato, del loro territorio, con le guerre fatte prima per i Savoia e poi per il Fascismo. Con l’inquinamento ambientale del mare, dei Sardi perpetuato dalle industrie edificate con il denaro pubblico e mal governate da imprenditori e manager dilapidatori e senza scrupoli. Oggi continuiamo a pagare con tasse inique senza ritorno di alcun servizio pubblico da parte dello Stato. Continuiamo a pagare bollette di luce e di acqua tra le più care d’Italia. Continuiamo a pagare biglietti di navi e di aerei per raggiungere la terra ferma, fuori da ogni logica in grado di garantire ai sardi e a coloro che vengono in Sardegna una vera continuità territoriale, in grado di sancire il diritto naturale degli uomini. Tutto questo con la complicità e l’avallo delle forze politiche e sindacali sardi che lottano in primo piano la difesa della loro visibilità e delle loro logiche di parte piuttosto che spendersi seriamente per rappresentare e tutelare gli interessi della Sardegna e dei Sardi. Noi vogliamo governare la Sardegna non per conservare l’esistente, né per sostituire la vecchia classe dirigente sarda e fare noi quello che non hanno detto e non hanno fatto. Noi vogliamo governare la Sardegna per sovvertire radicalmente lo stato delle cose esistenti. Una sovversione pacifica attraverso gli strumenti dell’azione politica ferma e rigorosa che vuole porre la Sardegna non in una logica subalterna dinanzi allo Stato Italiano ma in una logica in cui la Sardegna dove riappropriarsi di sé stessa. Una logica questa, che ci differenzia dal volgare separatismo e da certe divulgazioni dell’indipendentismo che offendono le radici più autentiche e più profonde del Sardismo. L’indipendentismo, quello vero, quello più autentico è l’indipendentismo che si rende responsabile di anni di governo che nei fatti lascia segni di buon governo indipendente non eterodiretto. Non basta vestirsi in abito di velluto o far finta di parlare o di scrivere lettere in sardo per professare la fede indipendentista. Chi crede nell’indipendentismo, specie se ha compiti e funzioni di governo, lo professa con i fatti, attuando progetti e programmi che
restituiscano dignità alla Sardegna e ai Sardi. Questo lo diciamo ai nemici e alle classi dirigenti di destra, di sinistra e di centro, ma anche ai Sardisti del Partito Sardo d’Azione. L’indipendentismo vero, specie se chi lo dichiara ha o ha
avuto responsabilità di governo o di sottogoverno, lo si dimostra nei fatti. Dentro questa esperienza di governo regionale al di là delle promesse dei nostri alleati e delle denunce sempre giuste fatte dai sardisti, di indipendentismo se ne è visto assai poco. Non se ne è visto rispetto alla istituzionalizzazione del sardo nelle scuole, neanche quando il Governo Monti, al momento della ratifica della Carta Europea delle Lingue lo ha fatto sminuendo quanto già aveva sancito la legge 482 del 1999. L’indipendentismo è stato assente nelle politiche del credito, è stato poco incisivo rispetto alle politiche fiscali, ma soprattutto il dichiarato indipendentismo della Giunta Regionale si è manifestato assente rispetto alle politiche agricole, rispetto alle politiche giovanili, rispetto alle politiche della scuola e della
sanità. Per quanto riguarda la scuola tutti abbiamo potuto assistere ai continui tagli e alla continua chiusura di scuole soprattutto nei paesi dell’interno della Sardegna già falcidiati dallo spopolamento e dal degrado sociale e culturale determinato dalla fine delle vecchie attività produttive e dalla impossibilità a intraprendere qualunque iniziativa imprenditoriale. Le scelte più nefaste, prima del governo Berlusconi e poi del governo Monti, sono passate in Sardegna senza ostacoli e senza obiezioni, se non quelle poste dal gruppo consiliare sardista, benché esiguo nei numeri ma lucido e chiaro nella volontà espressa al momento della presentazione della Mozione sull’Indipendenza che ha messo in evidenza le intenzioni contrarie non solo della quasi totalità degli esponenti della maggioranza, ma soprattutto della cosiddetta opposizione che non l’ha votata. Il governatore Cappellacci, spesse volte ha dovuto mostrare i denti, e lo ha fatto spinto dai Sardisti, ma la Giunta e il Consiglio nel suo complesso, si sono limitati a sopravvivere sull’esistente. Un Consiglio che ha legiferato poco e male e una Giunta litigiosa e poltronare. Non entriamo nei dettagli di fatti a dir poco grotteschi, sui quali è meglio stendere un velo pietoso. Noi vogliamo e dobbiamo governare la Sardegna, per dare ai Sardi la loro dignità e la loro sovranità di popolo. Una sovranità che non nasca dalle formule vuote della statualità ottocentesca ma dal sostanziale valore che la nuova politica dovrà dare ai cittadini, agli individui, al lavoro, all’intelligenza e alla creatività dei sardi. Ai loro sentimenti di solidarietà, di ospitalità, alla loro storia di uomini e di donne leali, che hanno avuto sempre orgoglio e dignità, pur in momenti difficili e di gravi crisi economiche, non meno dure della presente. I
Sardi non hanno paura della crisi, i Sardi temono, oggi più che mai, e sono disperati, dinanzi all’insipienza dei suoi governanti, alla viltà prezzolata di molti intellettuali al servizio di potentati editoriali ed economici. Dinanzi alle vecchie retoriche celebrative di un’Unità, quella Italiana, che per i sardi ha sempre significato lacrime e sangue.
I Sardi oggi vogliono voltare pagina, si sente nell’aria, viene urlato nelle piazze, noi dobbiamo dare ai Sardi questa opportunità e perciò dobbiamo accogliere questa sfida.
Perciò è proprio il caso di dire “ se non ora quando?”

FORZA PARIS!

Primi firmatari: Michele Pinna-Nino Loi-Marco Calaresu-Franco Piretta-Antonello Nasone.

 

 

Regolamento per lo svolgimento del CONGRESSO NAZIONALE

Il Partito - Regolamenti

Regolamento per lo svolgimento del CONGRESSO NAZIONALE

approvato dal Consiglio Nazionale di Ghilarza il 7 luglio 2004.

Art.1

La delibera di convocazione del Congresso viene inviata a tutte le strutture ed alle unità di base del Partito.

La delibera contiene il tema per le tesi congressuali, la data di svolgimento del Congresso e quella di presentazione delle tesi nella sede del Partito. Le tesi presentate, sottoscritte da almeno 100 iscritti al Partito, vanno inviate dalla Segreteria Nazionale entro 15 giorni alle unità di base e a tutte le altre strutture del Partito.

ART.2

L’ organizzazione del Congresso è curata da apposita Commissione presieduta dal Segretario Nazionale e composta da quattro componenti eletti dal Consiglio Nazionale e quattro supplenti.

La Commissione ha compiti operativi che si concludono con la chiusura del Congresso.

ART.3

La Commissione di cui all’art.2 del presente regolamento determina il numero dei delegati che competono ad ogni Federazione ai sensi del comma 3 dell’art.16 dello Statuto. Le frazioni sono arrotondate per eccesso. Ogni delegato esprime in sede congressuale un voto.

ART.4

Le candidature a delegato devono essere presentate presso le Federazioni almeno due giorni prima dell’assemblea precongressuale.

Qualunque iscritto può presentare candidature, per le quali non è richiesta accettazione. Il candidato può ritirare la sua candidatura e può dichiarare l’adesione ad una delle tesi congressuali.

Le candidature vengono iscritte in un’unica lista a base federale in ordine alfabetico. La lista viene riportata nelle schede di votazione.

ART.5

La commissione preparatoria del Congresso può delegare a suoi singoli componenti, o ad altri iscritti, i compiti precongressuali che sono per loro natura decentrati presso le federazioni.

La commissione autorizza l’effettuazione delle assemblee precongressuali nelle sedi decentrate. La commissione può stabilire in via generale che, salvo il caso dei Comuni in cui vi siano più sezioni, tutte le assemblee precongressuali si svolgano in sede sezionale, nei locali delle sezioni, o in altri locali idonei.

La commissione assicura la sua presenza a tutte le assemblee precongressuali. L’assenza del rappresentante della commissione non comporta alcune conseguenza per la validità.

ART.6

All’atto dell’indizione del Congresso il Consiglio Nazionale può stabilire che il voto sia raccolto in urne separate per Comuni.

In tal caso il singolo voto viene moltiplicato per il quoziente ottenuto dividendo la media dei voti ottenuta dal Partito nel Comune nelle ultime votazioni per l’elezione del Parlamento europeo, della Camera dei Deputati e del Senato, dell’Assemblea legislativa sarda e delle Amministrazioni provinciali per il numero dei votanti appartenenti a sezioni del Comune nell’assemblea precongressuale ed all’unità per eccesso.

Il voto per i delegati si esprime tracciando a fianco del nome dei candidati prescelti una croce o altro segno.

Qualora la scheda presenti un numero di preferenze superiore a un quarto dei delegati da eleggere la scheda medesima è nulla.

ART.7

Le rinunzie alla delega devono pervenire in forma scritta alla Commissione preparatoria del Congresso prima dell’insediamento della commissione verifica poteri del Congresso.

La commissione verifica poteri surroga i rinunziatari con i primi dei non eletti presenti al Congresso. La non presenza è accertata mediante due appelli a distanza non inferiore ad un ora.

ART.8

IL Congresso, su proposta del suo Presidente, elegge l’ufficio di Presidenza che si compone del Presidente stesso, di due vice presidenti e di due segretari.

Il Congresso elegge altresì la Commissione verifica poteri che si compone di un rappresentante per Federazione. La Commissione elegge al suo interno il Presidente e un Segretario.

ART.9

IL presidente ed il Vicepresidente del Partito sono eletti dal Congresso prima dell’elezione del Consiglio Nazionale, sulla base di liste, sottoscritte da almeno un decimo dei delegati e portanti l’indicazione di entrambi i nominativi.

Sono eletti il Presidente ed il Vicepresidente della lista più votata.

Modifiche apportate dal Consiglio Nazionale in data 02.09.2006:

I nuclei votano ognuno in urne separate con un quoziente del 50%.

si lasciano libere le singole federazioni di determinare la sede delle votazioni, ovvero se debba essere unica oppure si debbano stabilire più sedi nel territorio.

I risultati elettorali da prendere in considerazione ai sensi dell’art.6 sono relativi a: Regionali-Provincia-Senato

 

 

 

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