La linea rossa dell’Occidente e dell’Islam, di Antonio Puri Purini

da IL CORRIERE DELLA. SERA, 05-10-2012: Principi solidi per dialogare con l’Islam

 

CORRIERE DELLA. SERA, 05-10-2012

Principi solidi per dialogare con l’Islam

 

di Antonio Puri Purini

Non esistono scorcìatoìe al dialogo fra Islam ed Europa. E’ evidente. tuttavia, nelle settimane scorse so no avvenuti fatti di una gravità inaudita che obbligano a rifare qualche conto. La rabbia degli integralisti con­tro l’Occidente scatenata dall’insensato film sul profeta Maometto ha raggiunto livelli di guardia. Non facciamoci ìllusìonì: è stata sfio­rata la catastrofe, la fiamma del fanatismo ri­mane accesa, la reazione americana all’ucci­sione dell’ambasciatore Stevens non tarderà. Non si riflette abbastanza sul disastro dell’e­stremismo fondamentalista insinuato nelle pieghe della primavera araba, sui danni provo­cati dalla rimozione della questione palestine­se da qualsiasi agenda politica, sulle esitazio­ni europee nei confronti del dramma siriano. Il dialogo non è solo una questione di reali­smo politico. Investe la nostra vita giornaliera perché il mondo musulmano ha una doppia dimensione: esterna in quanto spartiamo un confine culturale ancora più che fìsìco; inter­na in ragione delle comunìtà che vivono e giungono nel nostri Paesi con pregiudizi spes­so radicati. Gli europei fanno male a pensare che i nemici dell’estremismo salafita siano so­lo gli Stati Uniti, a sfuggire alle responsabilità, a credere che l’economia metterà tutto a po­sto. Noi italiani abbiamo subito un attacco al nostro consolato a Bengasi due anni orsono. Mentre il Mediterraneo dovrebbe essere un bacino comune, sta diventando simbolo di un legame problematico fra Europa e lslam, ac­centuato dall’incapacità europea di presentar­si come comunità di valori e dalle ambiguità che, insieme a tante speranze, accompagnano la primavera araba. Occorre quindi stare in guardia, riconoscere che il rapporto con il mondo islamico si è radicalizzato e che richie­de una coraggiosa revisione.

Il presidente egiziano Mohamed Morsi ha parlato di una linea rossa intoccabile rappre­sentata dall’intangibilità della figura di Mao­metto e dai principi sacri dell’Islam. Di fatto, ha suggerito un compromesso strategico fon­dato sul sano principio di reciprocità. Tocca anche a noi stabilire linee rosse altrettanto IÙ­tide. Se non provvederemo alla svelta, scivole­remo in un’ambiguità senza fine che porterà al vero scontro di civiltà. Ci sarà pure una ra­gione se la convivenza fra cristiani, musulma­nì, ebrei – un tempo parte integrante della vita mediterranea – sia diventata pressoché impossibile. Le linee rosse irrinunciabili per gli europei sono diverse: ben venga l’accetta­zione della diversità dell1slam ma non fino a tollerare vìolazìonì evidenti dei diritti umani. La violenza contro gli occidentali va impedi­ta, non è negoziabile, mentre il personale di­plomatico operante in quei Paesi deve svolge­re il proprio lavoro in totale sicurezza. Le per­secuzìonì dei cristiani, dall’Egitto alla Nige­ria, non devono essere subite: perché inaugu­rare moschee in ogni angolo d’Europa quan­do la costruzione di una chiesa cattolica in un Paese musulmano è impossibile? Non dimen­tichiamo infine le difficoltà di convivenza con le comunità insediate nel vecchio conti­nente. Dovremmo mettere in chiaro che i mu­sulmani sono ben accetti ma che non pensi­no di entrare in un’area geografica dove ognu­no fa quello che vuole. Benvenuti dunque a condizione che principi, valori, leggi del co­mune spazio europeo siano rispettati. Questo comporta una responsabilità aggiuntiva per i governi cui spetterebbe stabilire un quadro omogeneo di norme e comportamenti. Pur­troppo le politiche in materia d’immigrazio­ne rimangono largamente nazionali. Queste linee rosse sono dunque indispensabili per­ché rafforzerebbero le forze moderate che esi­stono nei Paesi arabi e musulmani e indeboli­rebbero i movimenti xenofobì nei Paesi europei. Esistono segnali incoraggianti, ma non sappiamo ancora se la primavera araba farà maturare un’autentica società civile. E, anche in questo caso, è difficile immaginare che il diritto d’espressione e la tolleranza potranno esprimersi con la trasparenza che caratteriz­za le nostre società. Tanto vale accettare la di­versità come un contrassegno di coesistenza, d’identità, non d’antagonismo e contrapposi­zione.

il Medìterraneo come luogo di rispetto reci­proco rimane la meta comune. L’appello suo­na però a vuoto. Non si fa grande politica da tempo: la Libia è un’eccezione, la Sìrìa una conferma. Guai a contraddire Israele. E dram­matico che una visione strategica di respiro sia al momento impossibile. L’Unione euro­pea è assorbita dall’emergenza finanziaria. L’Italia, assillata da una crisi, economica e mo­rale, può gestire a malapena la normalità di­plomatica di relazioni e contatti. Eppure do­vrebbe avere la forza per tornare a svolgere un ruolo che la storia le ripropone continuamen­te. In passato, i governanti (senza contare il ruolo esercitato dall’Eni di Enrico Mattei), da Amintore Fanfani a Romano Predì, hanno par­lato senza soggezione ad arabi e ìsraelìanì. Non si sono fermati alla registrazione delle po­sizioni di Gerusalemme o del Cairo. Quello spirito va recuperato. Le società che si affac­ciano sulle diverse sponde del Mediterraneo pongono sfide inedite. Vanno affrontate con coraggio, concretezza, autorevolezza. L’Euro­pa non può essere sempre sul banco degli ac­cusati. Mohamed Morsi non ha voluto farci un favore quando si è trincerato dietro una li­nea rossa. senza valeria, ci ha aperto gli oc­chi. Nel governo italiano vi sono personalità consapevoli che si è aperto un nuovo fronte. Se solo il presidente del Consiglio non fosse assillato dalla emergenza quotidiana.

 

 

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