Capire l’inflazione, di Andrea Cavalleri

 

 

Capire l’inflazione
Andrea Cavalleri

Nello scrivere questo articolo, il mio principale desiderio è quello
che possa essere compreso dal maggior numero possibile di persone. Per
questa ragione ho profuso molto impegno per illustrare ogni concetto
nel modo più semplice possibile, corredandolo di esempi leggibili da
tutti. La ragione di questo impegno è che l’inflazione è un termine
che ritorna spessissimo nei discorsi dei politici e dei banchieri
istituzionali e viene costantemente agitato come uno spauracchio:
così, «per scongiurare l’inflazione» il governo della moneta viene
affidato in mani private (le sole imparziali e competenti, secondo
quanto ci raccontano) e alla collettività vengono imposti sacrifici.
Quindi solo una consapevolezza generalizzata di cosa sia realmente
l’inflazione, può portare a liberarsi dalla paura di questo problema,
paura che genera una vera e propria schiavitù finanziaria.

Il modo più comune di descrivere l’inflazione è il seguente: la
signora Rosa possiede un piccolo bar in una località montuosa ed è in
grado di servire 100 caffè al giorno agli avventori a 1 € l’uno.
Arrivano cento avventori che hanno a disposizione 1 € ciascuno, ognuno
acquista il suo caffè e questa è la situazione ideale di equilibrio,
per cui tutti i soldi a disposizione sono stati spesi e tutti i
prodotti sono stati venduti. Se invece si presentassero centodieci
avventori, sempre dotati di 1 € a testa, poiché la signora Rosa non
riesce a servire più di 100 caffè, per la legge della domanda e
dell’offerta il prezzo si alzerebbe a 1,1 € e le 100 tazzine di caffè
verrebbero vendute esaurendo i soldi disponibili. Questa ipotesi
dell’aumento del prezzo, si realizza se, idealmente, si scatena
un’asta per il caffè, per cui, in media, viene a costare un poco di
più. Già questo punto di partenza non è esatto, perché, come ci ha
insegnato Trilussa, la media è fatta da qualcuno che il caffè lo beve
tutto e qualcun altro che resta a bocca asciutta, da novanta persone
che lo pagano 1 € e gli ultimi dieci che lo pagano doppio pur di non
restare senza. Ma prendiamo per buona la media e osserviamo la
conclusione: se i soldi disponibili per gli acquisti superano il
valore delle merci in vendita, non servono a nulla e producono solo un
aumento dei prezzi: questa è l’inflazione.

Per comprendere bene il discorso generale, occorre descrivere anche la
situazione opposta, che si chiama deflazione. Se la signora Rosa ha
preparato i suoi cento caffè, ma nel bar arrivano soltanto novanta
persone, pur di venderli abbassa il prezzo a 0,90 e così tutto il
denaro disponibile (90 €) viene speso per comprare tutti e 100 i
caffè. Anche in questo caso la legge della domanda e dell’offerta ha
pareggiato i soldi alle merci, causando una diminuzione dei prezzi.

Esiste un terzo caso significativo, che si è realizzato varie volte
nella storia, e che si chiama stagflazione; consiste nel fatto che
l’economia decresce, ma i prezzi aumentano lo stesso. Possiamo
descriverlo così: dopo alcuni giorni di deflazione (quindi di cattivi
affari) la signora Rosa si trova a corto di soldi, perciò, quando va a
fare la spesa, compra il pacchetto piccolo di miscela, con cui potrà
preparare solo 50 caffè. Al posto delle consuete cento persone,
arrivano ottanta avventori nel suo bar, quindi ci sono disponibili
meno soldi del solito, ma il prezzo aumenta comunque.

A partire da queste definizioni e da queste osservazioni, gli
economisti classici hanno frettolosamente dedotto una sorta di legge
dell’inflazione che si riassume in questa idea: più soldi si immettono
nel mercato e più aumenta l’inflazione, più soldi si tolgono dal
mercato e più l’inflazione diminuisce. L’ipotesi dunque è che esista
una proporzionalità diretta tra la quantità di soldi che circolano e
l’aumento dei prezzi. L’economista Keynes illustrò questa idea con uno
schemino grafico. All’estrema destra, cioè quando l’inflazione diventa
catastrofica, si realizza anche la stagflazione: l’economia si deprime
perché gli imprenditori sono scoraggiati a produrre, in quanto i
guadagni in denaro vengono immediatamente bruciati dalla diminuzione
galoppante del valore del denaro stesso.

A riguardo di questa rappresentazione grafica e quindi di questa idea
dell’inflazione, si può affermare senza timore che è completamente
sbagliata. Innanzitutto, per provare che questa legge è sbagliata,
basta fare un paio di considerazioni. La prima è che, secondo la retta
di Keynes, diminuendo il denaro circolante ad libitum, i prezzi
continuerebbero a calare, mantenendo la situazione in equilibrio. Se
paradossalmente fosse disponibile un solo euro in tutta Italia, i
prezzi calerebbero a milionesimi e miliardesimi di euro e tutto
continuerebbe a funzionare come prima, il che è ingenuamente
utopistico, (come se nessuno avesse mai visto fallire un’impresa per
mancanza di soldi!). La seconda osservazione che smentisce questo
grafico, sono le emissioni di grosse quantità di moneta, che più volte
si sono verificate senza produrre i picchi di inflazione prevista.

Anche nella storia recente, tra il 2008 e il 2012, le grandi
produzioni di denaro da parte della FED e della BCE (si parla di
migliaia di miliardi di dollari e di euro) non hanno causato nessun
improvviso aumento dei prezzi, come dovrebbe attendersi chi crede alla
legge di proporzionalità diretta tra aumento del denaro circolante e
aumento dei prezzi. E questo, oltre tutto, nonostante non siano
aumentate né la produzione né l’occupazione, cioè, tornando al nostro
esempio, sono arrivati più soldi in paese, la signora Rosa non ha
fatto un maggior numero di caffè, non sono stati aperti nuovi bar, ma
il prezzo della tazzina di caffè non è aumentato. Posto dunque che il
meccanismo classico con cui si descrive l’inflazione è sbagliato,
occorre fare delle osservazioni e delle riflessioni per trovare le
spiegazioni giuste.

Un passo importante l’ha compiuto Antonio Miclavez nel suo libricino
intitolato Euflazione. Questo autore si è accorto che a seconda del
soggetto a cui si dà il denaro, cambiano gli effetti sui prezzi.
Dunque l’inflazione non è solo questione di quanto denaro si immetta
in circolazione, ma è questione di come lo si usa. Riporto in sequenza
i quattro esempi di Miclavez (sempre a base di caffè della signora
Rosa), perfezionandoli leggermente, per mettere in evidenza il ruolo
economico che di volta in volta è stato svolto dalla protagonista.

1) Viene costruita una funivia che aumenta l’afflusso di turisti nel
paesino. Notando che la richiesta di caffè è aumentata e che,
complessivamente, c’è più denaro disponibile per acquistarlo, la
signora Rosa, in qualità di venditrice, prova ad alzare il prezzo
della tazzina, confidando di vendere egualmente tutti i suoi caffè. In
questo caso si realizza la previsione di Keynes: circola più denaro e
il prezzo aumenta.

2) La signora Rosa, dopo qualche giorno di buoni affari, si ritrova in
cassa qualche soldo in più del solito. Allora, in qualità di ufficio
acquisti comincia a pagare la merce in contanti, spuntando prezzi
migliori dai fornitori e risparmiando gli interessi sugli anticipi
della banca. Dato che il caffè le costa meno, può ridurre il prezzo
della tazzina. In questo caso circolano più soldi e il prezzo
diminuisce, contrariamente alle previsioni classiche.

3) Notando che è aumentato il numero di clienti, la signora Rosa, in
qualità di imprenditrice, decide di comprare una macchina automatica
per fare il caffè che le consenta di raddoppiare il numero di tazzine
giornaliero, con un costo a tazzina molto inferiore a quello di prima.
Anche in questo caso, la signora può abbassare il costo della tazzina,
proprio perché ci sono più soldi a disposizione.

4) Un brutto giorno, la signora Rosa si vede recapitare una cartella
delle tasse molto salata. L’esborso è importante e, per far fronte
alle sue necessità, è costretta ad aumentare il prezzo del caffè. In
questo caso sono stati tolti dei soldi dalla circolazione (tramite le
tasse) e i prezzi, anziché scendere, come vorrebbe Keynes, sono
aumentati.

Secondo questi esempi, in ben tre casi su quattro le previsioni
classiche sono smentite. Pertanto Miclavez propone di sostituire la
retta di Keynes con la sua curva, che io mi permetto di correggere
nella parte destra.

A sinistra del punto di equilibrio (che però non è determinabile a
priori), dove si indica che progressivamente viene a diminuire il
denaro disponibile, in un primo momento le aziende e i commercianti
abbassano i prezzi per continuare a vendere e a servire i clienti. Poi
arriva il momento in cui non riescono più ad abbassarli, per via dei
costi fissi che non riescono ad abbattere e si ritrovano a dover
alzare i prezzi per pareggiare le spese. Da questo momento in poi,
diminuire il denaro in circolazione significa privare le aziende della
clientela e quindi avviare i fallimenti e i licenziamenti, che, a loro
volta, innescano un circolo vizioso: più disoccupati equivalgono a
meno denaro da spendere, e meno denaro provoca altri fallimenti e
licenziamenti. In questa situazione si realizza la stagflazione, cioè
la depressione dell’economia con una contemporanea salita dei prezzi.

A destra del punto ideale di equilibrio, cioè quando i soldi in
circolazione superano il valore dei beni acquistabili, per un poco i
prezzi scendono, perché le aziende, sicure della clientela,
ottimizzano i processi produttivi e anche perché la gente mette da
parte qualche risparmio. A un certo punto i prezzi ricominciano a
salire e, da lì in poi, ogni aumento di liquidità comincia a diventare
dannoso. La tendenza si impenna vertiginosamente, quando la gente
comincia a perdere fiducia nella possibilità di un assestamento dei
prezzi, e si arriva anche alla stagflazione prevista da Keynes. Gli
estremi si toccano e il troppo stroppia, in entrambi i casi.

Una definizione più congrua dell’inflazione, talora presente nei testi
di studio e utilizzata anche da Giacinto Auriti, consiste nel dire che
si ha inflazione quando la velocità di immissione di denaro sul
mercato è superiore alla velocità con cui nuovi beni e servizi vengono
messi in vendita. In altre parole, se si aumenta la disponibilità di
moneta, cresce anche la domanda di acquisto, e se gli imprenditori non
fanno in tempo ad aumentare la produzione dei beni richiesti, questi
diventano più rari e ambiti e il loro prezzo salirà. Per una volta mi
permetto di dissentire dal maestro Auriti, perché le realtà umane non
evolvono in modo automatico, quindi non è solo questione di tempo, di
velocità, ma una questione di scelte e di libere iniziative. Insomma
l’aumento del denaro disponibile può sia far alzare i prezzi, sia
farli abbassare, quello che conta è a chi lo si dà e come viene usato.
Per comprendere meglio questo concetto, stilo una piccola classifica
del collocamento dei soldi: dalle situazioni migliori, che possono
mantenere i prezzi stabili o, addirittura, farli abbassare, a quelle
peggiori, che provocano solo inflazione.

Soldi usati bene

1) Il finanziamento dell’attività produttiva. Esso, ragionevolmente,
non può provocare inflazione, in quanto al nuovo capitale in denaro
corrisponderà la nuova produzione di beni. Questo investimento ha
risposte molto rapide, (cioè i cambiamenti prodotti dagli investimenti
si vedono in fretta), tende a creare nuovi posti di lavoro e, con
essi, ad alimentare la domanda proveniente dai nuovi assunti. Ha dei
rischi da tenere sotto controllo e sono che si produca più del dovuto,
o, peggio, che si producano oggetti inutili o volutamente deperibili
per costringere l’utente ad un ricambio frequente.

2) La sovvenzione dei poveri. Queste persone spenderanno subito i loro
soldi perché hanno bisogni primari da soddisfare. Tale spesa andrà a
sostegno delle aziende in attività, perché accrescerà la domanda di
una quota che, altrimenti, sarebbe stata assente (il povero, senza
soldi, non avrebbe potuto comprare niente). Quindi, in misura
confacente al contesto, un piccolo stipendio ai nullatenenti non
indebolisce il valore del denaro, ma lo rafforza, ravvivando la
circolazione; inoltre, sostenendo le aziende produttrici, crea i
presupposti per nuove assunzioni.

3) La ricerca è un investimento importante, che dà un ritorno
economico in tempi lunghi Anche i soldi investiti nella ricerca
tendono a non produrre inflazione, sia perché il personale impegnato è
poco numeroso, sia perché le spese in attrezzature stimolano le
produzioni ad alta tecnologia, importanti per il progresso industriale
e per l’indotto.

4) L’investimento in infrastrutture è un altra attività che si
ammortizza in tempi medio lunghi. Normalmente il ritorno non si misura
in attivi prodotti, ma in risparmi, resi possibili dalle nuove grandi
opere. Oltre alle strade e alle ferrovie, bisognerebbe ricordarsi che
nella categoria possono rientrare i sistemi di distribuzione
dell’energia, il teleriscaldamento, le opere di risparmio energetico
(quali gli interventi di isolamento termico) e le bonifiche
ambientali.

Questi quattro, sono esempi virtuosi di destinazione del denaro
immesso in circolazione, che non creano inflazione. Al contrario
esistono degli esempi viziosi di destinazione del denaro, che, non
producendo niente, sembrano fatti apposta per creare inflazione.

Soldi usati male

1) L’allungamento della filiera. Aumentare il numero di intermediari
in un’attività equivale a introdurre dei parassiti, che ne aumentano i
costi senza apportare nessun beneficio. Se il piccolo commerciante,
che compra dal distributore all’ingrosso e rivende al pubblico,
adempie almeno alla funzione di avvicinare il prodotto al cittadino,
ulteriori acquisti e rivendite speculativi, possono, invece,
aggiungere ai prodotti trattati solo un costo maggiore.

2) L’economia virtuale. Fare denaro col denaro è una sciocchezza che
non serve a niente: al denaro «guadagnato» non corrisponde nessuna
crescita dei beni reali e il risultato può solo essere l’inflazione.
Un caso particolarmente pernicioso è quello del trattamento
speculativo delle materie prime, che si ha quando queste vengono
«comprate e rivendute» per finta, solo sulla carta o dentro un
computer. In questo caso, oltre a far denaro col denaro, si allunga la
filiera che deve potare i beni dal produttore al consumatore, sommando
sfruttamento a parassitismo.Tra l’altro non ci si rende conto che,
essendo il denaro misura del valore, fare denaro col denaro significa
accrescere le misure, senza alcun costrutto. Immaginiamo che la
signora Rosa abbia commissionato a un architetto l’edificazione di una
veranda per il suo bar. L’architetto si fa dare un anticipo e comincia
a lavorare indefessamente. Dopo due giorni comunica che le cose
procedono bene perché è passato dal centimetro al decimetro; dopo
qualche altro giorno trasmette una relazione che attesta che con le
sue fatiche ha conquistato il metro. La signora Rosa comincia ad
allarmarsi, ma pazienta. Dopo due settimane l’architetto si ripresenta
trionfante perché adesso ha il duo-decametro e contestualmente a
questo avanzamento dei lavori chiede un altro anticipo. La signora
Rosa, che non vede né la sua veranda, né un operaio per montarla e
neppure il più piccolo materiale necessario all’opera, licenzia
l’architetto, accomiatandolo con una solenne pedata nel sedere.
L’esempio appare ovvio. Ma quando si fa la stessa cosa col denaro, la
gente continua a cascarci e paga commissioni a gestori finanziari che
non costruiscono nulla.

3) Dare denaro ai ricchi. Essi non hanno nessun bisogno di spenderlo
perciò saranno tentati di tesaurizzarlo, togliendolo dalla
circolazione. In alternativa tenderanno a investirlo in titoli
speculativi (quindi nei due modi negativi sopra citati) perché è più
comodo e meno rischioso che investirlo in attività reali.

Non è una regola assoluta, perché ovviamente potrebbe esserci il ricco
imprenditore che espande la propria attività, ma i ricchi sono la
causa più frequente di concentrazione finanziaria, cioè di un capitale
in denaro, che si sottrae dalla circolazione (1).

Per comprendere il reale significato dell’inflazione occorre
introdurre ancora alcune osservazioni.

Utilizzando il solito esempio, propongo il quarto caso, di cui
Miclavez non parla.

4) Un giorno la signora Rosa va a fare la spesa ma non c’è più miscela
di caffè, resta solo una bustina bastante per un’unica tazzina. In
questo caso il prezzo del caffè aumenterebbe di cento volte, non per
maggior o minor flusso di denaro, ma per mancanza del bene richiesto.
Il mercato si autoregola, la legge della domanda e dell’offerta lavora
e adegua il prezzo, i conti sono in ordine, ma novantanove persone
restano senza caffè. La domanda che bisogna porsi è: il fine
dell’economia è quello di creare un giochino aritmetico per il
sollazzo degli economisti o è quello di fare in modo che la gente
abbia il necessario (e pure il caffè) per vivere? Poniamo che il
sindaco del paesino dove si svolgono i fatti decida che il caffè è un
bene strategico e riesca a far impiantare una piccola coltivazione in
serra del caffè, a spese del comune, sufficiente per il fabbisogno
locale. L’intervento diretto dello Stato ha violato il libero mercato
(anche se si tratta di un caso lampante di sussidiarietà), forse
peggioreranno i costi, ma le tazzine sono di nuovo servite, al bancone
e al tavolino. Morale: abbasso il libero mercato e viva il caffè!
Immaginiamo, invece, che uno sprovveduto avventore andasse a
lamentarsi che il prezzo del caffè è centuplicato, non dal sindaco, ma
da un banchiere centrale, dal Draghi di turno. Questi proporrebbe
subito di togliere 99 euro dalla circolazione, in modo da costringere
la signora Rosa a cedere il caffè al prezzo dell’unico euro rimasto.
Così, non solo la gente resterebbe senza caffè, ma il bar della
signora Rosa fallirebbe immediatamente.

Con questo esempio ho spiegato che il problema dell’inflazione non è
prioritario, come spesso ci vogliono far credere, prioritaria è la
distribuzione di beni e servizi. Perché i conti vanno impostati e
adeguati al servizio delle persone e non si deve cadere nell’abominio
di perseguitare e affamare le persone per il bene dei conti (questo è
un principio generale che vale per tutti gli aspetti dell’economia,
non solo per l’inflazione). Basti pensare cosa sarebbe successo se al
paesino, al posto di mancare il caffè, fossero mancati la luce
elettrica, il pane, l’acqua potabile… E poi un pochino di inflazione
ha dei vantaggi: se circola più denaro di quello bastante per comprare
tutto ciò che è in vendita, si ha la garanzia che, più o meno, tutti i
beni verranno venduti. Meglio così piuttosto che il contrario: essere
affamati, vedere gli alimentari nel negozio e lasciarli ammuffire
sugli scaffali perché manca qualche foglietto di carta (il denaro
quello è) con cui concludere l’acquisto. Quindi una sana economia deve
temere piuttosto la deflazione (diminuzione dei soldi in circolazione)
che l’inflazione.

A chi davvero l’inflazione non piace, sono coloro che vivono di
rendita. Infatti se il denaro, inflazionandosi, perde costantemente di
valore, quando gli interessi maturano, il potere d’acquisto dei loro
soldi è diminuito. Ma anche a questo proposito occorre porsi alcune
domande: per la prosperità di un paese è bene premiare le rendite o
premiare il lavoro? Gli architetti devono fare decametri o verande?
Vivere di rendita apporta dei vantaggi alla comunità? È possibile che
tutti vivano di rendita?

La vita delle persone è reale e ha bisogno dei beni reali prodotti dal
lavoro dell’uomo; pertanto è il lavoro che va premiato. Quando negli
anni Settanta in Italia esisteva il meccanismo della «scala mobile»,
il potere d’acquisto degli stipendi era costante. L’inflazione c’era,
e non di poco conto, ma essendo situata in busta paga, si riduceva a
un fatto nominale: le cose costavano di più, ma la gente aveva più
soldi e le comprava lo stesso. Il risultato è che l’economia interna
era florida. Le rendite, raggiungevano a stento il pareggio con la
perdita di valore data dall’inflazione e questo fatto costringeva i
detentori di capitali (in denaro) a investirli nelle imprese, nel
lavoro reale.

Ma i banchieri e i finanzieri, dovendo investire nella realtà, erano
costretti ad affrontare dei rischi, come tutti i comuni mortali,
pertanto hanno fatto pressione per ottenere un sistema che premiasse
le rendite e rendesse più comodo e sicuro il loro lavoro. Ecco perché
hanno intonato la litania dei pericoli dell’inflazione e continuano a
cantarla tuttora, per quanto siamo palesemente nella situazione
opposta, cioè di troppi pochi soldi che circolano.

Queste ultime osservazioni ci portano a una riflessione conclusiva:
non solo l’inflazione non dipende da puri fattori monetari, non solo
può aumentare o diminuire a parità di soldi immessi nel mercato, ma
addirittura la stessa inflazione può essere un male o un bene, a
seconda di come si produce e del contesto economico in cui si
verifica. Ben diverso è il caso di più soldi in Borsa, che vengono
usati per acquistare le materie prime in offerta (facendone salire i
prezzi, a unico beneficio degli intermediari) o più soldi ai
produttori di quelle stesse materie prime, che verranno usati per
aumentare le produzioni, per migliorarne la qualità e persino,
scandalo degli scandali, per aumentare lo stipendio ai dipendenti!

Viene da chiedersi come mai tante riflessioni, basate solo sul buon
senso, siano abitualmente trascurate dai monetaristi, dai banchieri,
dai ministri e, forse, persino dagli accademici.

La risposta è che la cosiddetta «scienza» economica, si è concentrata
sul mercato, cioè sulle transazioni, senza occuparsi di tutto il
resto. Ma l’atto d’acquisto è solo un piccolo momento del processo
economico. Quando noi prendiamo un oggetto da uno scaffale e lo
paghiamo alla cassa, non conosciamo la storia che c’è dietro, non
sappiamo se è frutto di un lavoro amato, intelligente, in costante
miglioramento, o di un lavoro odiato e malpagato, fatto il peggio
possibile. Non sappiamo se il prezzo che stiamo corrispondendo porterà
benessere o strozzerà i produttori, non sappiamo se ha una quota di
costo sociale oppure ha una quota importante di interessi. Non
sappiamo se il denaro che stiamo spendendo verrà distribuito o
concentrato. Perché la compravendita è solo la superficie
dell’economia, che non permette coglierne la profondità. Comprendere
l’economia basandosi sul mercato è come pretendere di studiare
l’iceberg osservandone solo la punta che affiora.n Certamente è più
comodo ridurre il discorso in cifre, utilizzando l’unità di misura del
valore, cioè il denaro, e provare a misurare e calcolare le dimensioni
e gli sviluppi della realtà economica. Ma se ci si limita alle misure,
ad esempio i metri cubi, allora il Duomo di Milano e il capannone
dell’Ansaldo possono essere identici.

Andrea Cavalleri

 

1) Si può notare, a proposito di denaro mal collocato, che il
rifinanziamento a lungo termine promosso da Draghi, cioè i mille
miliardi di euro che la BCE ha dato alle banche (all’interesse dell’1%
annuo) riesce a sommare tutte e tre le caratteristiche negative: sono
soldi affidati ad intermediari (allungamento della filiera), che li
re-imprestano alzando gli interessi, sono un investimento virtuale e,
infine, sono dati a chi i soldi già li detiene. Questo rifinanziamento
non ha minimamente frenato la recessione e se, in presenza di una
offerta stabile o anche in calo, tutto quel denaro creato di botto non
ha prodotto un impennata dei prezzi è solo perché quei soldi non sono
mai arrivati all’economia reale, ma sono rimasti nel circuito della
finanza, che ormai vive in un mondo parallelo, senza contatti con la
realtà. 15.062012

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