Giovani, sardi, disoccupati: il significato del lavoro per le nostre nuove generazioni, di Davide Zaru
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Davide Zaru lavora per il servizio diplomatico della UE in Asmara. E’ presidente uscente dell’associazione Tramas de Amistade, associazione che riunisce i giovani sardi, dentro e fuori della Sardegna (vedi il sito: www.tramasdeamistade.it ).
Giovani, sardi, disoccupati: il significato del lavoro per le nostre nuove generazioni.
Giovani disoccupati sardi, non state troppo a preoccuparvi. Siete l’avanguardia di un movimento globale! Martedì scorso, l’Organizzazione internazionale del lavoro, un’agenzia specializzata delle Nazioni unite, ha pubblicato il suo rapporto annuale sulla disoccupazione giovanile. Secondo il rapporto, il tasso di disoccupazione giovanile globale continuerà a crescere a ritmi serrati ben oltre il 2014. Si prevede che le economie avanzate continueranno a fornire il 13% del totale della disoccupazione giovanile mondiale.
Noi, in Sardegna, possiamo essere fieri di avere anticipato questo trend mondiale. L’opinione pubblica si è giustamente concentrata in queste ultime settimane sul dramma dell’industria del Sulcis e sulla crisi del lavoro, in termini generali. Eppure, poco prima dell’estate i dati ISTAT assegnavano alla Sardegna l’ennesimo primato, registrando un tasso di disoccupazione relativo alla popolazione compresa tra i 15 e i 24 anni al 36,2%, record storico dal 1992.
Non che i nostri giornali non abbiano dato risalto alla notizia. Il fatto è che dopo qualche giorno i dati sull’occupazione giovanile sono finiti nel dimenticatoio, quasi come se la nostra società abbia definitivamente accettato la situazione. La disoccupazione giovanile sarebbe un male minore, un peccato originale della nostra generazione di ventenni e trentenni.
La tema dell’occupazione giovanile è uno dei cavalli di battaglia della nuova campagna elettorale di Obama e occupa un ruolo prominente nell’informazione globale. La promessa di più lavoro per i giovani è stata ripetuta all’inverosimile anche nelle recenti elezioni politiche olandesi. Insomma, quando i politici chiedono il nostro voto, fanno riferimento alla disoccupazione. Saltiamo la questione della riforma della politica sul lavoro italiana, che ci porterebbe lontano, per chiederci: “E in Sardegna? In attesa di prossime elezioni, qual’è la risposta della nostra amata classe dirigente ai dati sulla disoccupazione giovanile?”
Non voglio accusare la nostra Giunta regionale di sottovalutare il problema della disoccupazione. Tuttavia, quando si tratta della questione specifica della disoccupazione giovanile, nonostante l’entità del problema, non mi sembra di cogliere una risposta adeguata. A fine agosto, l’Assessore al Lavoro Liori dichiarava che i recenti dati sul mercato del lavoro “confermano che le difficoltà che la crisi ha determinato in tutta Europa si ripercuotono, ovviamente, anche nella nostra Isola, aggravando le condizioni di un tessuto socio-economico già in grosse difficoltà. C’è comunque un lieve saldo attivo, seppure più contenuto rispetto a quello dello scorso anno, (…). Alla Regione spetta il compito di proseguire con forza e di rilanciare un’intensa attività di politiche attive, come già fatto nell’ultimo anno, consapevole”.
Nessun cenno, come potete notare, ai dati allarmanti sulla disoccupazione giovanile.
Mi chiedo allora se sul web sia possibile ricavare la strategia della Regione per arginare il problema della disoccupazione giovanile.
La sezione dedicata al lavoro del sito della Regione Sardegna si intitola, significativamente, “La fine dell’assistenzialismo per creare nuove opportunità di lavoro. Gli strumenti di rilevazione, le informazioni e i programmi della Regione sulle tematiche riguardanti il lavoro in Sardegna”. Per inciso, quanto agli ‘strumenti di rilevazione’, occorrerebbe raccomandare ai nostri tecnici regionali di aggiornare le informazioni contenuti sul proprio sito: i dati relativi al tasso di disoccupazione sono infatti quelli beceri del 2006 (“il 10.2%, mentre nello stesso periodo del 2004 tale valore era pari al 13.6%!).
Ma l’aspetto più significativo è che, in definitiva, il sito è composto da una sfilza di comunicati relativi a bandi di finanziamento, opportunità di formazione, di partenariato, e quant’altro, in rigoroso ordine cronologico. Con un po’ di pazienza, potrei decidere di cercare di ricavare dalla lettura di tutti questi bandi una risposta al mio quesito: “Qual’è la risposta della Regione Sardegna alla crisi della disoccupazione giovanile?”. Ho poca pazienza e relativamente poco tempo, e quindi rinuncio.
In termini ancora più pratici, cerco di mettermi nei panni del giovane disoccupato che consulta queste pagine web alla ricerca di idee su come la Regione possa aiutarlo/a nello sviluppo della sua carriera professionale. Sinceramente, dubito che la ricerca random dei bandi più recenti della Regione Sardegna sia di grande aiuto. Qualcuno potrebbe osservare: “Per le attività di orientamento al lavoro, c’è l’Agenzia regionale per il lavoro”. Digito allora il sito dell’Agenzia per il lavoro, il quale a onor del vero trabocca di contenuti. Clicchi su ‘contatti’ e hai l’elenco dei servizi disponibili presso le diverse sedi provinciali. Non posso esprimermi sulla qualità e l’efficacia di questi servizi di orientamento ‘faccia a faccia’: vivo fuori Sardegna da 12 anni e dallo stesso periodo non ho avuto l’occasione di bussare alla porta dei Centri dei Servizi per il Lavoro. Posso invece osservare che la qualità delle risorse disponibili online potrebbe essere notevolmente migliorata. Per fare un esempio, nella sezione ‘documentazione’, le brevi schede tematiche “Il lavoro a progetto”, “Lavorare nell’agriturismo” – come buona parte dei documenti – sono aggiornate al 2004-2006.
In conclusione. I ‘nuovi’ giovani sardi sono pragmatici. Prolungano gli studi con master, tirocinii e dottorati. Accettano periodi di apprendistato che possono durare dai 3 mesi ai 5 anni. Partono. Sono convinto che la maggior parte di essi non pretenda che la società gli garantisca il posto fisso. Conosco tante persone che si limitano a sognare di poter realizzare le proprie aspirazioni, personali e lavorative, nella terra in cui sono nati e dove francamente si trovano bene. Sognano di avviare una libera professione, di mettere su un bed and breakfast, un bar, una cooperativa di servizi per anziani. Sono disposti ad impegnarsi a fondo per questi obiettivi, ad organizzarsi e a fare dei sacrifici. Il lavoro è sentito come uno strumento di indipendenza dalla famiglia, ma soprattutto come necessario alla propria auto-realizzazione. Questi giovani cittadini non chiedono il mondo. Si aspettano ragionevolmente che la politica, anche quella regionale, dia un senso di urgenza alla disoccupazione giovanile. Se possibile, con strategie chiare e concrete.
Davide Zaru
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Diritto al lavoro (da Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali – ratificato dall’Italia nel 1978 ) – articolo 6
Gli Stati parte del presente Patto riconoscono il diritto al lavoro, che implica il diritto di ogni individuo di ottenere la possibilità di guadagnarsi la vita con un lavoro liberamente scelto od accettato, e prenderanno le misure appropriate per garantire tale diritto.
Le misure che ciascuno degli Stati parti del presente Patto dovrà prendere per assicurare la piena attuazione di tale diritto comprenderanno programmi di orientamento e formazione tecnica e professionale, nonché l’elaborazione di politiche e di tecniche atte ad assicurare un costante sviluppo economico, sociale e culturale ed un pieno impiego produttivo, in condizioni che salvaguardino le fondamentali libertà politiche ed economiche degli individui.