A sos minadores: dhos ant appaghiaos?
L’UNIONE SARDA – 03.09.2012 «Senza aiuti, carbone antieconomico»; LA NUOVA SARDEGNA – 03.09.2012: Oggi i minatori in assemblea: promesse sott’esame : GIANFRANCO PINTORE, Miniere, Alcoa e altri segni di coma, (Dal sito di Sardegna Democratica)CONTINUA LA TRAGEDIA INDUSTRIALE, di Tore Corveddu ; FRANCESCO SANNA -Un modello di sviluppo senza rinunce
A sos minadores: dhos ant appaghiaos?
L’UNIONE SARDA – 03.09.2012 «Senza aiuti, carbone antieconomico»; LA NUOVA SARDEGNA – 03.09.2012: Oggi i minatori in assemblea: promesse sott’esame : GIANFRANCO PINTORE, Miniere, Alcoa e altri segni di coma, CONTINUA LA TRAGEDIA INDUSTRIALE , di Tore Corveddu (Dal sito di Sardegna Democratica); FRANCESCO SANNA – Politica: Un modello di sviluppo senza rinunce
IGLESIAS – I minatori della Carbosulcis hanno deciso di sospendere l’occupazione dei pozzi di Nuraxi Figus. La decisione è arrivata a seguito di un’assemblea fiume nella quale si è valutato l’esito degli HYPERLINK “http://www.repubblica.it/cronaca/2012/08/31/news/alcoa_carbosulcis-41760483/?ref=HREA-1″ incontri di venerdì a Roma 1. In quell’occasione, il ministero dello Sviluppo ha lasciato aperto uno spiraglio di speranza: la miniera “non subirà la paventata interruzione dell’attività al 31 dicembre” e il progetto del “carbone pulito” potrebbe aprire nuove prospettive alla vertenza.
Al termine della riunione con il governo, si è infatti deciso di proporre al Parlamento la proroga della scadenza prevista dalla legge 99 del 2009 per il bando di affidamento della concessione per prolungare il lavoro nella miniera. L’attività, in questo modo, non terminerà a fine anno e, per quel che ha spiegato il sottosegretario allo Sviluppo Claudio De Vincenti, “si potrebbero anche ottenere delle proroghe di sei mesi fino, al massimo, ad un anno”.
Tuttavia l’assemblea dei minatori che si è tenuta stamane ha deciso di proseguire la mobilitazione per ottenere garanzie sul rilancio della miniera e, in particolare, sul progetto carbone-centrale Sulcis che il governo ha chiesto alla Regione di rimodulare per renderlo sostenibile sul piano economico. Lo stato di agitazione dei minatori passerà per il blocco della discarica di ceneri e gessi
provenienti dalla vicina centrale dell’Enel, residui della lavorazione del carbone utilizzato per produrre energia.
La vicenda. La protesta dei 120 minatori era iniziata il 27 agosto. Gli operai si erano barricati a 373 metri di profondità nella miniera sarda di Nuraxi Figus, a Gonnesa, nel Sulcis, chiedendo al governo lo sblocco di un progetto di rilancio della produzione. Si tratta di un finanziamento da 200 milioni di euro in collaborazione con l’Enel per realizzare nell’impianto un deposito di stoccaggio per l’anidride carbonica.
(03 settembre 2012)
L’UNIONE SARDA – Politica: «Senza aiuti, carbone antieconomico»
03.09.2012
Il carbone sardo è davvero poco conveniente: non è una favola. E comunque non c’è lieto fine, se non si compensa il gap economico. Paolo Giuseppe Mura, docente di Fisica tecnica ed energetica alla facoltà di Ingegneria di Cagliari, la pensa così: e lui la storia del carbone del Sulcis la conosce bene. È stato consulente per il piano energetico regionale per l’assessore all’Industria Giorgio La Spisa (con Mauro Pili presidente) e poi per la Giunta di Renato Soru. «Sul carbone il Signore è stato un po’ avaro», sorride Mura, cattolico praticante: «Ce l’ha dato, ma svantaggiato». Per l’alto tasso di zolfo. «Sì, nell’ordine del 6-8%. Quello polacco o russo si aggira sull’1 per mille». Secondo Assocarboni, le nuove tecnologie consentono di usare il carbone sardo senza problemi. «Senza problemi, secondo me, no. Quel tasso di zolfo mette in crisi qualsiasi impianto di desolforazione. E poi la miniera è geologicamente complessa, con molte faglie: si estrae molta pietra. Per avere un milione di tonnellate annue di carbone lavato, bruciabile, bisogna estrarre due milioni di tonnellate. Questo è un fattore di diseconomia decisivo». Allora qualsiasi progetto per la Carbosulcis è inutile? «Non dico questo. È un’emergenza socioeconomica. Le tecnologie consentono di risolvere i nodi tecnici; eppure nel 2000 le banche, temendo perdite, non finanziarono il progetto che dava, a chi rilevava la miniera, gli aiuti Cip6 (incentivi per l’energia da determinate fonti, ndr ) e la certezza di vendere la produzione». Più di recente è andata deserta la gara internazionale. «Perché tutti capirono che l’Ue avrebbe sollevato il tema degli aiuti di Stato. Il nostro prodotto è così svantaggiato che, senza aiuti, nessuno verrà a estrarlo. Ci vorrebbe la forza di dire all’Ue che quel che non concede, ce lo rimetterà comprando carbone dall’estero o gas naturale. È un problema di autonomia energetica». E pure di prezzi del petrolio e del gas, o no? «Certo, estrarre il carbone serve a calmierarli. Insomma, quello sardo è un carbonaccio, però è carbone, l’unico che ha l’Italia. L’Ue è schizofrenica: per le fonti rinnovabili ammette gli incentivi. Serve una classe politica capace di farsi rispettare, in Italia e in Europa». Invece rimodulare il progetto integrato non serve? «Dirlo è utile per scongiurare gesti estremi. Ma temo che, quando si vedrà che non ci sono aiuti, i privati si tireranno indietro». Il ministro Clini ha dubbi sulla fattibilità della cattura di CO2. Condivide? «Non sono un geofisico. Certo per separarla serve un impianto ulteriore, che a sua volta consuma energia. Poi la si deve stoccare nel sottosuolo senza sapere, come ha detto Rubbia, quando ne uscirà. Ci sarebbe da chiedere a Clini su quali elementi basa le sue riflessioni». Che fine ha fatto il piano energetico? «È stato aggiornato con la valutazione ambientale e consegnato, nell’autunno 2009, alla Giunta Cappellacci. Da allora è fermo in un cassetto, e mi spiace: c’è un gruppo di lavoro che è stato pagato (benché male) con i soldi dei contribuenti, e non per produrre carta inutile». Giuseppe Meloni
LA NUOVA SARDEGNA – Politica: Oggi i minatori in assemblea: promesse sott’esame
03.09.2012
NURAXI FIGUS Il sedativo per placare gli animi è stato iniettato in vena ed ora, dopo una settimana d’occupazione, la decisione di rientrare a lavoro di terminare l’occupazione dei pozzi, è nelle mani dei minatori. Si riuniranno tutti, questa mattina, alle 8.30, in sala mensa per decidere se la proposta del Ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera di concedere un’altra chance alla Carbosulcis, con la presentazione di un nuovo progetto, sia di gradimento ai lavoratori di Nuraxi Figus. Roma ha bocciato clamorosamente il piano integrato minera- carbone-centrale Ccs con motivazioni tecniche ed economiche. Mettere a correre 1.6 miliardi di euro, in un progetto sperimentale, ai professori governanti, non è concesso con i tempi che corrono; soprattutto se l’elaborato tecnico presenta buchi neri che lasciano davvero perplessi anche gli ultimi della classe. Adesso lo scontro è tra la Regione e il Governo nazionale che ha rigettato, senza esami di riparazione. Quel progetto è da stracciare per la complessità, si dice negli ambienti romani, e l’enorme impegno finanziario: è quel piano integrato che è riuscito a tener e lontano anni luce, da Nuraxi Figus, i privati. I punti deboli del progetto sono i costi e l’errato convincimento che la CO2 possa essere sistemata negli strati più profondi del giacimento senza aver mandato giù una sonda a verificarne la possibilità. Qualche anno fa si è bucata la terra con alcune perforazioni alla ricerca di metano ma nessuno ha avvertito la risalita del gas. Pompare l’anidride carbonica, invece, sembrerebbe un’operazione facile-facile ma tutta da confermare dal punto di vista tecnico. E questa mattina entrano nuovamente in gioco i minatori che dovranno esprimere il loro giudizio sulle promesse di Roma e Cagliari. Un nuovo progetto, quindi, tagliato su misura e compatibile con il portafoglio del Paese. La partita, quindi, è tutta ancora da giocare e a decidere saranno i lavoratori che di certo non si accontenteranno delle affermazioni che “la miniera rimarrà aperta oltre il 31 dicembre dell’anno in corso”. Qui nel Sulcis e soprattutto in miniera nessuno aveva messo a correre la voce che la miniera avrebbe abbassato la serranda a fine anno e le dichiarazioni del ministro Passera non fanno altro che appesantire l’inganno. “Le dichiarazioni delle ultime ore di ministri e sottosegretari del governo Monti sul progetto, sono frutto di pregiudizi, superficialità e di un atteggiamento recidivo di chi punta ad affossare questo progetto per favorire gli interessi dell’Enel _ sostiene il deputato sardo Mauro Pili._ Affermare come fa un Ministro di Stato che «bisogna capire se il progetto è fattibile da un punto di visto tecnico ed economico» e nel contempo sostenere «che le condizioni particolari non sembrano garantite nella questione del Sulcis» lascia intendere che si parli con l’unico obiettivo di denigrare a prescindere. Pili aggiunge che il Ministro Clini non può esprimere un giudizio su un progetto che i suoi uffici non possono aver esaminato in quanto non ha avuto in mano le carte. Ma c’è un altro momento difficile da superare in Carbosulcis e riguarda i rapporti tra alcuni componenti della Rsu e le segretarie territoriali, regionali e nazionali di Cgil, Cisl e Uil. Non è certa, infatti, la presenza in assemblea di Mario Crò (Uil), Fabio Enne ( Cisl) e Roberto Puddu (Cgil) messo poco elegantemente alla porta in occasione dell’incontro a Nuraxi Figus con Ugo Cappellacci e Alessandra Zedda, assessore regionale all’Industria. Il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, intervenuto ieri alla Festa Democratica di Reggio Emilia, rispondendo a una domanda sulla vertenza Carbosulcis ha messo in evidenza la necessità di una valutazione approfondita sulla fattibilità del progetto «carbone pulito», tenendo conto che l’utilizzazione del carbone ad alto tenore di zolfo del Sulcis richiede tecnologie «critiche» sia per assicurare elevati rendimenti e basse emissioni, sia per lo stoccaggio in sicurezza dell’anidride carbonica emessa.Il ministro non è entrato nel merito della continuità produttiva della miniera, che non è messa in discussione e ha assicurato la piena disponibilità del ministero dell’Ambiente a esaminare, congiuntamente al ministero dello Sviluppo economico, il merito del progetto «carbone pulito» nell’ambito di una proposta finalizzata ad assicurare la riconversione sostenibile delle attività produttive dell’area del Sulcis.(e.a.)
DAL SITO DI GIANFRANCO PINTORE
HYPERLINK “http://gianfrancopintore.blogspot.it/2012/08/miniere-alcoa-e-altri-segni-di-coma.html” Miniere, Alcoa e altri segni di coma
L’agonia della industrializzazione in Sardegna ha ripreso le prime pagine dei quotidiani e le aperture dei telegiornali. Ora tocca alla miniera di Nuraxi Figus, ieri all’Alcoa, prima alla Vinyls e prima ancora alla petrolchimica di Ottana. Fra l’uno e l’altro dramma, una miriade di fallimenti nell’industria tessile, in quella estrattiva (qualcuno ricorderà pure l’infamia della miniera d’oro di Furtei) e in quella edilizia. Figli della mala sorte, questi fallimenti? No, ma neppure figli solo della politica che di questi e di futuri disastri è responsabile insieme ai sindacati, ad una imprenditoria compradora e di una intellettualità impastoiata nella retorica industrialista e incapace di esercitare la critica. O meglio, critica sì, ma nei confronti delle poche voci avverse, accusate di essere nemiche della classe operaia e delle sue magnifiche sorti e progressive.
I partiti italiani, tutti senza eccezione e con a volte la complicità del Partito sardo, hanno nel passato condiviso e fatto digerire ai sardi la monocultura petrolchimica e, quando questa cominciò ad agonizzare, stanziarono una quantità enorme di denaro per prolungare questo coma irreversibile invece di elaborare un progetto per la fuoriuscita non traumatica dalla crisi. Se la politica ebbe gravi responsabilità, non minori furono quelle degli altri segmenti della classe dirigente sarda. La incapacità di avere visioni autonome da quelle proprie delle rispettive centrali statali, fece sì che le imprese più truffaldine in circolazione potessero far nido in Sardegna con il finanziamento della mano pubblica. Colpa di partiti incolti e etero-diretti, certo, ma non si è mai sentita una voce critica da parte dei sindacati, degli imprenditori. Solo a truffa avvenuta e solo per l’intervento della magistratura si è “scoperta” una faccenda lampante.
L’Alcoa, una delle industrie più affamate di energia in una terra dall’energia carissima, è a rischio chiusura da almeno tre anni. Tre anni perduti nella irresponsabile corsa ad illudere i lavoratori che ne fosse possibile salvezza e rilancio. Persi, dico, perché in tre anni si sarebbe dovuto e potuto trovare una via di uscita non per conservazione di quel “posto di lavoro” ma per la sicurezza del lavoro. Fra qualche giorno, a Roma la questione dell’Acoa sarà al centro di un incontro che dovrebbe affrontare anche quella, davvero disperata, della miniera di Nuraxi Figus (Nuracsi, come pronunciano irritanti annunciatori televisivi, tanto pieni di sé da neppure informarsi). Se per la fabbrica d’alluminio, qualche speranza di prolungamento d’agonia c’è, per la miniera del Sulcis pare proprio di no.
D’accordo con l’amico Vito Biolchini: HYPERLINK “http://vitobiolchini.wordpress.com/2012/08/29/io-sto-con-i-minatori-ma-non-con-la-miniera-la-sardegna-chiuda-definitivamente-con-il-carbone-perche-il-vero-sviluppo-sta-altrove/” Io sto con i minatori, ma non con la miniera. La Sardegna chiuda definitivamente con il carbone: perché il vero sviluppo sta altrove. Meno con il suo j’accuse unilaterale contro la politica. Che, ripeto, ha enormi responsabilità, soprattutto di subalternità e di dipendenza. Ma che ha buona compagnia nei sindacati impegnati quasi esclusivamente a scaricare sulla politica responsabilità sue proprie. E ottima compagnia in quel ceto intellettuale che si è cullato nella mistica industrialista e operaista e che oggi sogna il giorno in cui potrà dare spallate. GIANFRANCO PINTORE
CONTINUA LA TRAGEDIA INDUSTRIALE , di Tore Corveddu
(Dal sito di Sardegna Democratica)
Quando venni eletto segretario regionale dei chimici e dei minatori della CGIL ricevetti, a seguito di alcune dichiarazioni, il più lusinghiero degli apprezzamenti da uno che di minatori se ne intendeva: il Senatore, e compagno, Daverio Giovannetti. Perché? Perché, detto brevemente, sostenevo che l’impegno della categoria che rappresentavo certo doveva concentrarsi sulla difesa dei posti di lavoro attraverso il consolidamento delle produzioni difendibili, ma pensando alla riqualificazione delle aree industriali e al potenziamento delle infrastrutture, per tentare di qualificare e, soprattutto, attirare nuove e innovative attività manifatturiere. Eravamo all’inizio dell’ anno 2000!
Tre anni dopo, esattamente il 14 luglio 2003 (per i francesi data evocativa), presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, assistita da cinque ministri, venne sottoscritto con la Regione Sardegna, le OO.SS. e alcune aziende nazionali e multinazionali, un “Accordo di Programma per la riqualificazione delle aree industriali (chimiche)”, che includeva anche attività del Sulcis-Iglesiente.
Fallito! Anzi no, perché la sola area di Ottana ha beneficiato di un intervento che oggi permette alla società Equipolymeri di avere una produzione competitiva. Ma per tutto il resto lettera morta. E quell’ accordo è stato cestinato senza chiedere conto. Non è interessante, qui, individuare responsabilità, certo è che in quell’atto vi erano tutte le premesse per affrontare nodi strutturali che impedivano – e impediscono – uno sviluppo più armonico della Sardegna.
Chi ha letto il Decreto-Sviluppo dell’attuale governo nazionale saprà che questo affida ad “appositi accordi di programma” il rilancio di aree di crisi. . . Una ri-partenza! Tra i nodi strutturali vi era, e oggi ancora più grave, la questione energetica, questione che comprende appieno le principali vertenze di questi giorni, che si chiamano ALCOA e CARBOSULCIS. Altre attività hanno già chiuso a fronte di future promesse e sul problema dell’energia ci si gira ancora intorno.
Agli inizi dell’anno 2000 la potenza elettrica e termica installata era di circa 3800 Mega Watt e i consumi non superavano i 1700 MW, con la bolletta elettrica che costava più del resto del Paese. Oggi, che i consumi sono inferiori, proprio a causa delle chiusure di tante produzioni e di conseguenti perdite di posti di lavoro, i dati di TERNA (la società proprietaria delle reti di distribuzione) dichiarano che a fronte di circa 1550 MW di consumo la potenza installata, tutte le fonti incluse, e di poco superiore a 5000 MW!
Si installano impianti di energia alternativa (eolico e fotovoltaico) affermando che tutto è nei limiti di legge e, contemporaneamente, si prorogano i prezzi incentivati stabiliti dal CIP 6/1992, per le cosiddette produzioni da fonti rinnovabili o “assimilati”, fino al 2023 (dicesi SARAS). In questa situazione, e senza che nessuno capisca quale razionalità accompagna questo sconcertante modo di procedere, i tedeschi di E.ON. non attuano gli accordi che prevedevano la chiusura di due vecchi gruppi e la costruzione di una nuova unità, e più grande, alimentata a carbone. Che, appunto, permetterebbe non solo di produrre meglio ma anche di più! E qui, credo, casca l’asino: per chi?! Se è vero, com’è vero, che i consumi calano e la disponibilità di energia è sempre in aumento.
Anche il vecchio pastore logudorese, di fronte a tale quadro, si chiederebbe: ma il sale nella pentola in quanti lo mettono! Per dire che anche chi non capisce niente di produzione di energia comprende molto bene che si procede fuori da ogni logica. E se la logica è che nel potenziamento e nella qualificazione delle infrastrutture (e delle reti) va considerata anche l’ energia, soprattutto quella elettrica, che non può essere prodotta a prescindere dal suo utilizzo, ciò che è peggio è che non si arriverà mai a ridurre il costo dell’attuale bolletta e, anzi, potrà solo aumentare. Con buona pace per i costi della competitività.
Questo, per chiunque, è il più grande nodo strutturale che la Sardegna deve affrontare, e non avviene rispondendo volta per volta alle disperate chiamate delle lavoratrici e dei lavoratori che vedono a rischio il proprio posto di lavoro e, insieme, il loro futuro. Per questo concordo con chi afferma che “la lotta delle donne e degli uomini della miniera di Nuraxi Figus li rende interpreti ultimi di una civiltà del lavoro. . . “ e questo propone un esempio etico per chi deve salvaguardare l’occupazione in quel territorio e nella Sardegna intera. Non è in gioco solo l’occupazione, è in gioco una drammatica rottura tra politica e popolo e tra questo e le istituzioni, e il vivere giorno per giorno della politica sarda porta in se responsabilità più gravi di quelle del governo nazionale.
30/08/2012
LA NUOVA SARDEGNA – Politica: Un modello di sviluppo senza rinunce
03.09.2012
di FRANCESCO SANNA Tutti gli articoli o i post sulla Rete i cui autori ritengono ineluttabile e anche giusto che il settore dell’alluminio primario abbandoni l’Italia (e quindi la Sardegna e il Sulcis, dove è concentrato) o si chiuda l’unica miniera di carbone nel nostro Paese, iniziano con inni all’eroismo di minatori ed operai. Ma è sempre lì, alla rassegnata o auspicata chiusura, che vanno a finire. Argomenti ripescati con un po’ di pigrizia nell’archivio delle collaborazioni giornalistiche si alternano a posizioni basate su presupposti semplicemente sbagliati. La miniera di cui si parla oggi non è la stessa attorno alla quale fu costruita Carbonia, ma una nuova e moderna struttura, realizzata dall’ENI con fondi dello Stato, che ENI abbandona bruscamente all’inizio degli anni 90 del secolo scorso per concentrarsi nel core business del petrolio e del gas e quotarsi in Borsa. Negli anni precedenti, per sfruttare quel carbone abbattendo le emissioni di zolfo di cui è appesantito, ENEL – allora monopolista nella generazione di elettricità – dota le sue centrali nel Sulcis di potenti desolforatori. E la centrale elettrica di più recente costruzione in Sardegna – la “Grazia Deledda”, a Portovesme – utilizza tecnologie che migliorano ancora le performance ambientali proprio anche in vista dell’uso massiccio di carbone Sulcis. Queste infrastrutture (miniera e centrali) sono ormai realizzate e pressoché ammortizzate. Prima di dire che un pezzo significativo di esse va abbandonato alla archeologia industriale (come sostiene Giulio Sapelli con qualche epigono sardo), bisogna vedere se si è fatto di tutto per renderle produttive. Oggi si irride a questi tentativi. Ma se guardiamo meglio, vediamo che non si è trattato di fantasiose follie. Prendiamo la scommessa scientifica e tecnologica della gassificazione, la prima versione del “carbone pulito”. E’ utile ricordare come il progetto fallisca, nel 2001, per mancanza di imprese e banche coraggiose. Le prime si buttano sul più sicuro e remunerativo business dell’eolico, le seconde pretendono enormi ritorni sul capitale investito, molto al di sopra di quanto si ottiene in un normale investimento. Ma l’idea era buona ed è sviluppata, utilizzando il carbone, da altre imprese in tutto il mondo. Degli incentivi per la gassificazione si avvalgono oggi quattro impianti a valle della raffinazione petrolifera in Italia, tra i quali la SARLUX in Sardegna. Solo che quegli impianti, finanziati dalla bolletta elettrica italiana, agevolano l’uso di una fonte energetica straniera, e non di una fonte nazionale come invece sarebbe stato il carbone Sulcis. Nel periodo dell’ultima Giunta di centro sinistra la Regione, azionista di Carbosulcis, ha puntato a rendere più efficiente la miniera. Si è svecchiato l’organico di oltre duecento unità, assumendo cento giovani tecnici diplomati e laureati. Si è realizzato un sistema per smaltire le ceneri ed i gessi prodotti dal carbone combusto nelle stesse gallerie da dove fu estratto, risparmiando il territorio dalle discariche: un servizio che si aggiunge agli introiti della attività mineraria pura. Il Consiglio Regionale, usando i poteri dell’autonomia speciale, ha attuato direttamente, senza aspettare lo Stato, regole comunitarie che hanno consentito l’uso di macchine più efficienti. Così che con cento dipendenti in meno oggi si può tirare fuori, mediamente, il 50 % in più di carbone. La ricerca aziendale ha brevettato un trattamento che abbatte drasticamente lo zolfo nel carbone, producendo fertilizzanti per l’agricoltura. Occorre sperimentarlo quanto prima e se funziona applicarlo su base industriale. Ma, in definitiva, è il nostro carbone di così bassa qualità da qualificare come ignorante e pericoloso chi lo vuole estrarre con il lavoro e la competenza tecnica e scientifica della scuola mineraria sarda, che rappresenta l’Italia nel mondo, e di sfruttarlo con mezzi moderni ? La verità è che la differenza tra un carbone ottimo ed il carbone Sulcis, in termini di potere calorico, oscilla tra il 10 ed il 15 % e molti altri carboni, come il nostro, vengono tranquillamente utilizzati. Magari non esportati, ma utilizzati in loco certamente. E dunque perché non dovremmo farlo anche noi, cercando con determinazione ed intelligenza di raggiungere in questa attività il punto di pareggio economico? Coltivando competenze, conoscenze, centri di eccellenza e di ricerca, lavoro per centinaia di persone. Purtroppo la conduzione più recente di Carbosulcis ha lasciato molto a desiderare, balzando alle cronache per la lottizzazione politica degli amministratori e lo sfondo clientelare della gestione. Probabilmente questo ha fatto perdere credibilità, insieme ad una incredibile lentezza nella redazione del bando internazionale, al progetto di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica. Ma non si tratta di fantascienza. Nel mondo molte centrali a carbone si stanno dotando del sistema di cattura del CO2, e fondi comunitari sono a disposizione per progetti dimostrativi su scala industriale. Il Parlamento italiano, un anno fa, ha recepito la direttiva europea sullo stoccaggio geologico del CO2 e stabilito le regole tecniche e di remunerazione del servizio. Quanto agli incentivi economici, essi devono essere ridotti al minimo, e ciò andrà fatto nella revisione del progetto che speriamo sia rapido e veda il concorso di idee della comunità scientifica italiana. Ma anche qui, si evitino i gridolini di scandalo basati su conti sbagliati. Se valutiamo il progetto Sulcis raffrontando gli occupati agli incentivi, oppure l’emissione di CO2 non immessa in atmosfera, o il costo dell’energia pulita prodotta, la sua realizzazione farebbe risparmiare, per la stessa quantità di energia, almeno la metà delle risorse pubbliche impegnate rispetto all’eolico e ancora di più al solare fotovoltaico. Solo che gli occupati sarebbero dieci volte di più, e le tecnologie, i centri di ricerca, le università sarebbero italiani, sardi, sulcitani. E non tedeschi o cinesi. Per me è un aspetto fondamentale della questione. Tutto ciò non contrasta con una visione aperta e innovativa del modello di sviluppo economico, dove un’industria avanzatissima e collegata alla ricerca non uccide né il turismo, né l’agroalimentare, né i servizi. Il Sulcis deve recuperare diecimila occasioni di lavoro, che si creano anche con l’effetto di traino di progetti di eccellenza. Mentre è sbagliato far balenare l’idea che dalla rinuncia ad un settore produttivo e finanziando a pioggia incentivi e assistenza si conseguano risultati durevoli. Gruppi dirigenti all’altezza del tempo difficile che ci troviamo a vivere devono essere capaci mantenere insieme tutte le logiche dello sviluppo, non una sola. Senatore del Partito Democratico
L’UNIONE SARDA – Politica: Carbosulcis, scontro Pili-Clini
03.09.2012
Il sottosegretario allo Sviluppo economico boccia il progetto («troppo caro»), il suo ministro poche ore dopo lo promuove, ma solo grazie alla decisiva intercessione del presidente della Repubblica. Il giorno successivo un altro esponente dell’esecutivo, il ministro dell’Ambiente, dichiara di avere «molte perplessità» esponendosi alle critiche di un parlamentare del Pdl, Mauro Pili, che lo invita «a non parlare di cose che non conosce». E siamo solo agli ultimi due giorni. Perché se andassimo indietro nel tempo scopriremmo che sul futuro della miniera di Nuraxi Figus e del progetto integrato Ccs Sulcis è stato detto tutto e pure l’esatto contrario. E forse questo spiega, almeno in parte, perché i minatori sono ancora lì a protestare. SCAJOLA DOCET Claudio Scajola, tra gli ultimi predecessori di Corrado Passera, fu abbastanza netto nel 2009. «C’è un piano d’azione mondiale per individuare 20 progetti per la cattura e lo stoccaggio della C02 entro il 2010 e stiamo lavorando per averne uno in Sardegna». Era il 13 ottobre e l’impianto di Porto Tolle, in Veneto, era già stato realizzato. Ma, contrariamente a quanto si dice oggi, non si prevedeva che sarebbe stato l’unico in Italia. Dunque lo spazio per sperimentare un impianto di stoccaggio dell’anidride carbonica a Monte Sinni c’era tutto. IL VIA LIBERA DELL’EUROPA Anche perché la Commissione europea nella sua “Climate action energy for a changing world” evidenzia la rilevanza strategica della tecnologia Ccs (Carbon, capture and storage), considerata «una efficace risposta alle immediate necessità di riduzione delle emissioni di gas serra e ritenute sufficientemente mature per essere impiegate commercialmente nel breve periodo». L’obiettivo dichiarato in sede comunitaria è, infatti, quello di dotare di questi sistemi, entro il 2020, tutte le centrali di produzione di energia elettrica. GLI STUDI Successivamente studi effettuati dalla Sotacarbo, istituita nel 1987 per sviluppare tecnologie innovative ed avanzate nell’utilizzazione del carbone, hanno evidenziato «una notevole affinità del bacino carbonifero all’applicazione delle tecnologie Ccs». Non solo. Considerato, come scrivono i tecnici della società regionale, «che il fossile estratto nel Sulcis è rappresentativo di numerose qualità di carbone caratterizzate da elevato contenuto di zolfo e ceneri, largamente disponibili e diffuse a livello mondiale» e che «le tecnologie Cct e Ccs sviluppate in quel territorio sarebbero caratterizzate da un’altissima trasferibilità, soprattutto in paesi emergenti quali Cina e India», anche il problema di mercato sembrerebbe risolto, almeno in linea teorica. IN CHE COSA CONSISTE Sulla base di queste premesse, il Parlamento ha emanato una serie di norme: nel 2005 ha sposato il progetto integrato Sulcis con la legge 80/2005, poi la Regione, con la legge 99/2009, ha rilanciato la gara internazionale per la “concessione integrata per la gestione della miniera di carbone del Sulcis e la produzione di energia elettrica con la separazione e il confinamento dell’anidride carbonica prodotta”. LA CENTRALE Lo studio elaborato da Sotacarbo prevede la realizzazione e gestione di una centrale termoelettrica integrata con la miniera di carbone del Sulcis il quale, è stabilito, «è assimilato alle fonti rinnovabili». Per le quali gli italiani pagano già un contributo nella bolletta elettrica. GLI INVESTIMENTI Esiste anche un piano di fattibilità economica. L’investimento complessivo varia, a seconda delle configurazioni, da 1,8 a 2,3 miliardi di euro da ammortizzare in dieci anni a partire dal 2016 data dell’avvio (previsto dallo studio) della centrale. LA POLEMICA Se tutto questo è vero si comprende la linea di Scajola, non quelle del sottosegretario allo Sviluppo De Vincenti e del ministro dell’Ambiente Clini. «Credo che debba esser fatta un’analisi serena su quali siano le opportunità di sviluppo vere», osserva Clini che si chiede se «fare una centrale a carbone» o «pompare CO2 in quella miniera» sia «la soluzione più opportuna». La risposta è già nelle carte. E il parlamentare del Pdl Mauro Pili glelo ricorda: «È inconcepibile che un ministro di Stato metta in discussione un decreto legislativo entrato in vigore nemmeno un anno fa che attua la direttiva europea 31/2009 in materia di stoccaggio geologico del biossido di carbonio. L’unione europea», evidenzia Pili, «ha affermato che le tecnologie di cattura e stoccaggio del CO2 (CCS) costituiscono un elemento fondamentale tra le principali tecnologie nuove e esistenti in grado di realizzare le riduzioni di CO2 necessarie per conseguire gli obiettivi stabiliti per il periodo successivo al 2020. E vorrei ricordare a chi avesse la memoria corta che fu proprio la struttura tecnica del Ministero dello Sviluppo economico a proporre per la miniera di Carbosulcis l’applicazione di quella direttiva». Fabio Manca