Est s’ora de sa bruvura? di Salvatore Cubeddu
Documentazione per l’articolo: L’UNIONE SARDA, -30.08.2012 Territorio ad alta tensione; LA NUOVA SARDEGNA – Economia: Una storia di lotte in nome dell’occupazione; LA NUOVA SARDEGNA 31.08.2012, – L’ULTIMA SFIDA: ORA SOLUZIONI CREDIBILI, di F. Pigliaru e A. Lanza; LA NUOVA SARDEGNA – 31.08.2012, Roma abbraccia gli operai Alcoa; L’UNIONE SARDA 31.08.2012, La rabbia di Cappellacci; L’UNIONE SARDA 31.08.2012, – Medde (Cisl): fermare la crisi nell’Isola; LA NUOVA SARDEGNA – 31.08.2012, «Un tavolo politico per il territorio sassarese»; L’UNIONE SARDA 31.08.2012, – Murgia (Pdl): «Il Governo ora deve rispondere» ai problemi di Ottana.
Est s’ora de sa bruvura?
di Salvatore Cubeddu
La lotta del Sulcis viene osservata con simpatia e amicizia dall’insieme del popolo italiano, anche da chi – come Giulio Sapelli, l’importante storico dell’economia in Italia – conclude il suo editoriale-epitaffio nel Corriere del 29 u.s. affermando “un’ode va scritta in gloria dei minatori tanto esemplari quanto inattuali di Nuraxi Figus”. I minatori rappresentano storicamente il punto di inizio della classe operaia sarda ed uno dei luoghi fondanti del movimento sindacale italiano. Non casualmente leggiamo nei libri di storia che il primo sciopero generale (1904) ha avuto tra i motivi scatenanti l’eccidio di Buggerru. Allora era la forza pubblica che sparava sugli operai, ora sono gli operai a lanciare messaggi ed esempi di una loro disponibilità a versare il sangue per difendere l’esistenza propria e delle loro famiglie attraverso una miniera ricorrentemente definita non redditizia. Napolitano e la sinistra conoscono tutto ciò, aggiungendo quindi consapevolezza ed autorevolezza agli impliciti elementi di una vic3enda tanto drammatica quanto appassionante. Siamo prossimi a far esplodere le polveri per mantenere in vita l’ultima ed unica miniera di carbone d’Italia? I minatori resteranno disponibili a tirare avanti con la minaccia de ‘sa bruvura’, del sangue versato e dell’esposizione ai gas più pericolosi? Quanto è ascrivibile a realtà e quanto a rappresentazione in ciò che vediamo sui media, se governo e regione tireranno per le lunghe? Ma, soprattutto: devono i sardi, che osservano e seguono, mettere in giuoco in questa battaglia l’insieme dei propri interessi e le loro scarse forze considerando soddisfacente la sola difesa della situazione presente? E, ancora: su quale insieme progettuale di idee e di programmi dobbiamo metterci insieme e combattere con loro? Miniera e/o nuovo sviluppo? Sulcis o/e Sardegna?
Bisogna avere il coraggio di dirlo: i problemi dell’occupazione dei minatori della Carbosulcis e dei metalmeccanici dell’Alcoa non vengono vissuti dalle altre decine di migliaia di sardi disoccupati come la questione più importante della Sardegna. Sarebbero solo (?) duemila in più. Lo diverrebbe, invece, se una loro vittoria indirizzasse finalmente le scelte e l’operatività dei politici e degli imprenditori verso un differente modello di sviluppo sia per il Sulcis che per l’insieme del territorio e dell’economia sardi. Il presente stabilimento dell’Alcoa è stato deciso agli inizi degli anni settanta in una situazione molto simile all’attuale, quale diversificazione produttiva rispetto alla chiusura delle miniere metallurgiche e carbonifere dei decenni precedenti. Ma allora lo Stato era anche imprenditore, comunque era soggetto di politica industriale, cioè quello che minatori e operai continuano a credere allorché tentano di dimostrare la convenienza per l’economia italiana della permanenza di una base produttiva dell’alluminio e di una fonte energetica ‘autarchica’.
Ma anche allora ci si fermò a un impianto di prima lavorazione, le attese verticalizzazioni furono minime e presto fallimentari. Anche la metallurgia funzionò quale cattedrale nel deserto. Una cattedrale senza parrocchie, che ora espelle gli ultimi fedeli.
La situazione sarda è da così tanto tempo talmente grave che la durezza e l’esplosione presso l’opinione pubblica italiana dei problemi di un solo territorio crea l’allarme preoccupato degli altri. Se il governo italiano offre risorse e soluzioni per il Sulcis, cosa resterà per me che da decenni mi batto ad Ottana o a Porto Torres (Villacidro è morta e sepolta da quasi due decenni)? E ancora: se tutta l’attenzione viene dedicata alla più che trentennale, e irrisolta, questione industriale, cosa ne sarà dell’agricoltura, e del turismo, e del futuro dei nostri piccoli comuni, e delle opere pubbliche, e della sanità, e … dell’ambiente dei poligoni industriali?
Non si tratta di interrogativi di scuola, ma di questioni che in questi giorni –ed è qualcosa che viene avanti da più di trent’anni – agitano le sedi delle categorie e dei territori sindacali, nonché delle rappresentanze politiche a livello locale e centrale. Ci troviamo di fronte al crollo totale di ciò che è stato fatto nei primi trent’anni di autonomia e quanto non si è scelto a partire dal 1978, anno di inizio della crisi della petrolchimica e del minerario-metallurgico, arriva a scadenza sull’onda del licenziamento di centinaia di operai e della definitiva sparizione dall’economia sarda dei comparti del carbone e dell’alluminio. Due fatti, tra gli altri vanno, intanto, sottolineati: l’inerzia delle autorità regionali e i caratteri che va assumendo la conflittualità operaia.
Le notizie che arrivavano all’inizio dell’estate era l’allegra e scandalosa indicazione di un inesperto siciliano ventottenne a presidente della Carbosulcis da parte di Cappellacci. Forse è carità di patria, da parte della stampa italiana, ma un simile contrasto con la disperazione che arriva dal profondo dei pozzi avrebbe dovuto spingere qualcunaltro a tagliarsi le vene dei polsi. La miniera è sarda a tutti gli effetti. Se si sprecano soldi, sono soldi anzitutto dei sardi, che pure ne hanno pochi e servono anche per gli altri territori e settori. Altre volte ci si è stupiti per queste battaglie per ridurre il costo dell’energia alle industrie, con nessuno che si cura del sovraccosto che grava sulle bollette dei cittadini e con i lasciapassare scandalosi alle multinazionale dell’eolico e del foltovoltaico che tutto vanno occupando. Dovunque si osservi, quest’Isola e questo popolo è mal governato o non governato, in preda al saccheggio.
Bisogna che queste lotte non vengano sconfitte. Sarebbe una sconfitta se chiudessero, certo; ma anche se tutto rimanesse come ora, come in questi anni, come se non ci fosse verificata in Sardegna, a partire dalla fine degli anni settanta, il più duraturo esteso e fantasioso ciclo di lotte operaie e popolari dell’intero occidente. I minatori, forse solo come ‘rappresentazione’, evocano il sangue. Non possiamo permettere a nessuno di togliersi o di togliere la vita, in nessun caso, tanto meno da parte di chi è avvezzo alle battaglie democratiche. Ma le battaglie devono mutare di segno. Devono crescere in generalità, radicalità e politicità. Industria, agricoltura, servizi: non solo difesa e vertenzialità, ma creatività economica e dinamismo responsabile. Operai, contadini, pastori, commercianti, artigiani, disoccupati: la Sardegna è la loro terra, le sue risorse servono per rispondere ai loro bisogni.. Lo Stato domanda senza dare. E’ severissimo nell’imporre servitù e dazi, tardo e sordo nel rispondere, deciso ormai ad abbandonarci pur tenendoci dentro. Dovremmo mettere le cose in modo che siano loro a dovere intervenire e noi a metterci nelle condizioni di affermare che ormai di loro non abbiamo più bisogno.
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L’UNIONE SARDA – Economia: Territorio ad alta tensione
30.08.2012
NURAXI FIGUS Stefano Meletti, il minatore della Carbosulcis che ieri mattina si è ferito a un avambraccio con un coltello, ha passato la giornata in osservazione all’ospedale “Sirai” di Carbonia. C’è arrivato privo di conoscenza alle 11,35, classificato col codice rosso, quello delle urgenze. Il taglio è stato ricucito con 10 punti di sutura. Nessuna lesione ai tendini. Giancarlo Sau, ai giornalisti, l’ha detto in sardo: « Est s’ora de sa bruvura », è l’ora della polvere da sparo. Nel Sulcis Iglesiente sono giorni in cui le metafore rischiano di trasformarsi in realtà. Un conto è dire: «Questo territorio è una polveriera»; un altro dirlo davanti al portoncino di una santabarbara dove l’esplosivo (vero, documentato) si conta a quintali. Che la tensione sia alle stelle, in questi giorni, è evidente. Ieri mattina, a Iglesias, nei pressi del centro commerciale Leclerc, c’era un reparto mobile della polizia pronto a entrare in azione in tenuta antisommossa. Perché Iglesias? Semplice: perché è grosso modo a metà strada fra Portovesme/Nuraxi Figus da una parte e Cagliari dall’altra. Nei giorni scorsi gli operai Alcoa hanno puntato sul capoluogo, assediando aeroporto, porto e sede del Consiglio regionale. Martedì notte, invece, hanno bloccato l’accesso allo stabilimento dell’Enel, impedendo che i camion carichi di biomasse entrassero e uscissero; nel frattempo, qualcuno ha dato fuoco a una Fiat Panda parcheggiata a ridosso di un altro cancello dello stesso stabilimento, quello che porta al deposito in cui viene stoccato il carbone. Sangue, esplosivo, fuoco: non sono belle parole quelle che, nel Sulcis Iglesiente, stanno cominciando a trasformarsi in realtà. E domani sarà la giornata decisiva, quella in cui i minatori si aspettano dal Governo una risposta sul progetto integrato centrale miniera con lo stoccaggio dell’anidride carbonica nel sottosuolo. Martedì Massimo Cossu, presidente della Fasi, la federazione che unisce 60 circoli di sardi in tutta Italia, ha portato agli occupanti la solidarietà di chi ha dovuto lasciare l’Isola: «Gli emigrati conoscono, condividono e sostengono la battaglia dei minatori di Nuraxi Figus». Solidarietà a Stefano Meletti, ma anche a tutti i lavoratori della Carbosulcis, dall’assessore all’Industria Alessandra Zedda e dal deputato dell’Idv Federico Palomba, che accusa il Governo di disinteressarsi dei problemi industriali della Sardegna. Solidale coi minatori anche Bustiano Cumpostu di Sardigna natzione, mentre il segretario generale dell’Ugl, Giovanni Centrella, chiede al Governo di fare presto per evitare un dramma sociale. Parla anche il Consiglio nazionale dei geologi: «Siamo al fianco dei lavoratori del Sulcis. In Italia abbiamo materie prime che invece preferiamo importare dalla Cina», scrive il presidente Gian Vito Graziano.
LA NUOVA SARDEGNA – Economia: Una storia di lotte in nome dell’occupazione
30.08.2012
NURAXI FIGUS Davanti ai cumuli di carbone che ostruiscono l’ingresso per i mezzi pesanti della miniera, ieri un musicista ha provato le prime note di “Avanti Popolo”. Con la sua tromba si è seduto e quasi imbarazzato, ha accennato a due, tre riff, prima di esaurire la sua performance. Ieri, nel giorno dove maggiore è stata l’esasperazione degli operai, il popolo, non c’era. La protesta della Carbosulcis non è, non lo è ancora protesta collettiva di una intera provincia, di una intera regione. La rabbia è comune, ma questa vertenza viene ancora vissuta come un fatto privato, delle famiglie degli operai, che in mensa, al fresco aspettano notizie e vedono passare sullo schermo le immagini delle tv all-news. Eppure i minatori, nel passato, sono stati l’avanguardia appassionata della classe operaia; hanno avuto purtroppo i loro caduti nel lavoro e nelle battaglie per la conquista dei più elementari diritti civili. Dai morti di Buggerru, del 1904, è nato il sindacato confederale. I minatori sono stati in testa alle proteste, sino al 1984, quando occuparono la miniera per vedersi riconosciuto il diritto al lavoro, e in anni più recenti nel biennio 1994-1995, quando i minatori armati della loro forza e delle loro ragioni marciarono su Roma e di fronte a Palazzo Chigi, con Berlusconi appena insediatosi la prima volta, strapparono impegni e fondi per la rinascita della miniera, circondando, politicamente e di fatto, il neo premier allora poco avvezzo ai bagni di folla che poi caratterizzeranno i suoi anni a Palazzo Chigi. Da allora i minatori hanno a più riprese fatto sentire la propria voce, soprattutto di fronte ai ritardi della Regione. Viale Trento inspiegabilmente non ha ancora chiuso la pratica progettuale e appare restia anche a concedere quel milione e mezzo di euro necessario ad acquistare le speciali perforatrici per i test di immissione, ad alte profondità della Co2. Senza questi test, e senza i risultati positivi che ne dovrebbero scaturire, l’unica copia del progetto a suo tempo presentato al ministero, accumula polvere. Ieri il sottosegretario allo sviluppo Economico De Vincenti ha detto che il progetto è irrealizzabile. La reazione dei minatori è stata di stupore e rabbia, non di sconforto, come se stessero rivivendo momenti di tanti decenni fa. (g.cen.)
LA NUOVA SARDEGNA – Politica: L’ULTIMA SFIDA: ORA SOLUZIONI CREDIBILI
31.08.2012
Editoriale di FRANCESCO PIGLIARU e ALESSANDRO LANZA L’angoscia degli operai del Sulcis e le aspettative per un futuro migliore per sé e per le proprie famiglie meritano il massimo rispetto. Ma soprattutto meritano il massimo impegno da parte delle istituzioni, oggi chiamate a proporre con urgenza soluzioni credibili, lontane dal balbettio demagogico a cui abbiamo spesso assistito. Carbosulcis e Alcoa sono vicende decisive per il futuro dell’isola. Per quanto riguarda il carbone, il tema è presto riassunto. Nel 1996 il Corriere della Sera pubblicò un articolo che ebbe molta risonanza. Veniva ricostruita, con dovizia di dettagli, la lunga sequenza dei contributi pubblici concessi alle miniere. Già da allora la situazione era molto critica: i soli sussidi a fondo perduto concessi dallo Stato nel decennio 1985-1995 avevano superato i 900 miliardi di lire. Cui andrebbero aggiunti, per completezza, gli interventi diretti dell’Eni (250 miliardi nel 1985), i contributi concessi dalla Regione Sardegna in tutti questi anni, e l’impegno dell’Enel ad acquistare l’energia prodotta con il carbone del Sulcis. Carbone acquistato a un prezzo di oltre il cento per cento superiore al normale costo di produzione dell’impresa elettrica. Valeva la pena di impegnare tutti questi soldi per tenere aperte produzioni sulla cui sostenibilità economica c’erano già allora fondati dubbi? Il fatto è che di fronte a emergenze di occupazione e di reddito, l’istinto italiano, sbagliato, è di esercitare un vero e proprio accanimento terapeutico a favore dell’impresa in crisi, anche quando le prospettive di mercato sono improbabili o nulle. Sono interventi che bruciano risorse pubbliche preziose e, creando false aspettative, consumano futuro. Quasi sempre sarebbe più saggio lasciare le imprese al loro destino e occuparsi invece dei lavoratori, sostenendo il loro reddito e accompagnandoli con servizi di qualità (orientamento e formazione, in primo luogo) verso una nuova occupazione. Per dare un’idea dell’ordine di grandezza degli sprechi che si generano per sostenere cause (imprenditoriali) dubbie, provate a immaginare cosa sarebbe successo se i soldi spesi per il carbone del Sulcis fossero stati attribuiti non all’impresa ma, appunto, ai lavoratori. Potenzialmente, ogni lavoratore avrebbe avuto a disposizione una dote iniziale di un miliardo di lire, avrebbe potuto godere per vent’anni di una rendita mensile di circa 1400 euro, e a fine periodo il capitale iniziale sarebbe rimasto invariato. Tutto questo per sottolineare che una frazione di quei soldi così malamente spesi sarebbe stata sufficiente a finanziare interventi capaci di aiutare le persone a trovare nuova occupazione. Ma le lezioni del passato rimangono in gran parte inascoltate. Oggi come ieri, la ragione fondamentale all’origine della crisi delle miniere del Sulcis non si è modificata. E’ un carbone di scarsa qualità, ha troppo zolfo e costa troppo per poter essere utilizzato in modo economico, qualunque sia la tecnologia adottata. E si fa dunque fatica a capire perché le tecnologie di carbon sequestration, costose e incerte anche in contesti più favorevoli ma richieste a gran voce qui in Sardegna, dovrebbero cambiare improvvisamente in meglio la situazione. Il caso Alcoa è simile. La Sardegna non produce bauxite e, persino con favorevolissime condizioni di costo (e non è questo il caso), sarebbe anti economico importare allumina ed esportare alluminio. Non c’è un mercato al mondo in cui questo accade. Mentre si discute di Alcoa, in Russia e in Arabia Saudita – dove esiste un costo dell’energia incomparabilmente più basso – realizzano impianti grandi 5 o 6 volte lo smelter di Portovesme, con enormi economie di scala capaci di ridurre ulteriormente i costi. Il problema supera i confini regionali: riduzioni importanti di capacità produttiva sono in programma in tutta Europa. Una classe politica seria dovrebbe dirsi e dire che ragioni strutturali e non di congiuntura impediscono che queste produzioni possano continuare a offrire un credibile futuro economico. Poi dovrebbe affrontare con urgenza il tema di cosa fare in alternativa. Nel Sulcis e per il Sulcis non mancano proposte ragionevoli e di buon senso. Nel territorio ci sono almeno due importanti attrattori in grado di creare occupazione diffusa e sostenibile: la straordinaria dotazione di bellezze naturali e la ricchezza della storia mineraria. In più, c’è un agro-alimentare di qualità che, come in gran parte della Sardegna, può crescere ben oltre il suo livello attuale. In altre parti del mondo, Europa compresa, risorse di questa qualità e dimensione sono state sufficienti a dare reddito, occupazione, benessere a grandi comunità territoriali. Non è facile ma si può fare anche da noi. Bisogna però capire questo: che la vera emergenza per il Sulcis non è una fabbrica che va via o una miniera che chiude. E’ invece una qualità delle istituzioni che oggi non dà garanzie sufficienti a coloro che devono affrontare le profonde e anche dolorose (socialmente ed economicamente) trasformazioni necessarie per raggiungere una nuova sicurezza economica. Chi li accompagnerà in quel percorso? Chi li orienterà, offrendo loro consulenze di certificata professionalità? Chi li aiuterà ad acquisire le competenze di cui hanno bisogno per diventare piccoli imprenditori o per essere assunti in una nuova, diversa impresa? Chi gli garantirà, e a quali condizioni, un reddito nel periodo di orientamento e formazione? Chi è in grado di sbloccare le bonifiche per rendere credibile la prospettiva di un decente e sostenibile sviluppo basato sulla bellezza paesaggistica del territorio? Chi si occuperà, e come, e con quali tempi, di semplificare la vita a chi vorrà investire nel Sulcis? I territori che hanno gestito con successo crisi profonde sono stati in grado di dare risposte positive a tutte queste domande. Le loro istituzioni hanno saputo adottare con decisione una prospettiva chiara e hanno evitato che si trasformasse in occasione di sprechi e di elargizioni a favore di interessi di parte. Governo, regione e autorità territoriali dichiarino subito, ognuno per il proprio ambito di competenza, come intendono garantire che i prossimi interventi straordinari a favore del Sulcis saranno ora più efficaci rispetto a quelli del disastroso passato: per esempio, in che modo intendono sbloccare la pluriennale vicenda di bonifiche finanziate ma mai effettuate? Quali correttivi adotteranno perché il parco geo-minerario si faccia davvero e diventi un credibile attrattore internazionale? E così via. “Cosa” fare è piuttosto ovvio. “Come” riuscire a farlo , come sbloccare resistenze e interessi di parte, no. Una migliore performance istituzionale è il passaggio obbligato e urgente per dare un futuro accettabile al Sulcis e all’intera Sardegna. In sua assenza, rimarremo incastrati in un su connottu senza alcuna prospettiva.
LA NUOVA SARDEGNA – Politica: Roma abbraccia gli operai Alcoa
31.08.2012
Il cuore orgoglioso della Sardegna, un manipolo di operai dell’Alcoa, oggi a Roma attenderà l’esito della decisiva riunione al ministero dello Sviluppo Economico insieme a una ventina di minatori della Carbosulcis, che hanno deciso di far sentire la loro voce anche fuori dall’isola. Il viaggio di avvicinamento da Civitavecchia a Roma è stata una passerella per i 68 lavoratori e sindacalisti della fabbrica di alluminio, tra applausi, bandiere al vento e frasi di incoraggiamento che la gente, tra Civitavecchia e Roma, ha rivolto al loro passaggio. Una passerella accompagnata da una scorta impressionante di polizia e carabinieri, cinquanta uomini, coadiuvati anche da pattuglie dei vigili urbani, che hanno creato una corsia preferenziale dal porto a piazza Barberini bloccando il traffico al passaggio del pullman degli operai. «Speriamo che tutto vada bene – ha detto un funzionario della Digos romana all’uscita dal porto laziale – per noi le vertenze sarde sono da allarme rosso. Ogni volta che arrivano gli operai Alcoa, il Viminale entra in fibrillazione…». I precedenti giustificano le paure dei responsabili dell’ordine pubblico: le trasferte romane hanno sempre avuto un impatto mediatico elevatissimo, anche con scontri con le forze dell’ordine, ma sino a ieri sera tutto si è svolto nei parametri della normale contestazione. La trasferta da Cagliari a Civitavecchia a bordo della nave Bonaria della nuova Tirrenia, è stata all’insegna della solidarietà sin dall’imbarco. A fare gli onori di casa agli operai, il comandante Raimondo Dore e il suo staff: viaggio e cena offerti direttamente dall’armatore Vincenzo Onorato e a bordo l’accoglienza è stata calorosa: i turisti si informavano, chiedevano notizie della vertenza, i più distratti si confondevano tra Alcoa e Carbosulcis, ma l’equazione Sardegna=dramma lavoro era in tutti ben chiara. Arrivo a Civitavecchia in anticipo sulla tabella di marcia. Ad accogliere gli operai, i sindaci del Sulcis-iglesiente, il presidente Cherchi, l’assessore comunale alle Attività produttive di Civitavecchia e dieci auto della polizia. L’accordo con le forze dell’ordine prevedeva un lungo corteo dentro al porto e poi sul lungomare sino all’imbocco dell’Aurelia. E così è stato, con due sereni momenti fuori dal copione: il primo è stato quando gli operai volevano issare uno striscione sul pennone di un sontuoso Tre alberi, la “Signora del mare”, equipaggio filippino con divisa d’ordinanza e proprietari romani, ormeggiato al porto: permesso negato. E poi quando lo stesso striscione è stato mostrato dalle mura romane del vecchio porto: qui è scattato il primo applauso. Ma un applauso ben più lungo e convinto è arrivato a Santa Marinella, quando il pulmann si è fermato di fronte a uno dei tanti stabilimenti balneari del litorale laziale. «Così si difende il lavoro, bravi – ha urlato Stefano De Vendictis, ex impiegato statale, purtroppo per lui esodato è finito nelle maglie della Fornero – non mollate, siamo con voi. E’ uno schifo quello che stanno facendo in Sardegna. Siete l’esempio per tutti noi». Incitamenti da brivido e applausi reciproci, prima di risalire in pulmann. La voglia di blitz è tanta. Tra i sindacalisti si analizzano scenari che prevedono il blocco dell’Aurelia, ma la polizia ha “ingabbiato” il pullman e consigliato l’autista a non fare fermate non concordate. La pausa in una stazione di servizio a Maccarese è l’occasione per riposarsi e rifocillarsi. Il viaggio un pulmann riprende tra cori e bandiere sarde sventolate fuori dai finestrini. Se c’è un elemento che non manca agli operai Alcoa, è il senso dell’appartenenza. Loro la fabbrica la vivono dentro, la vedono come cosa loro, per questo il trauma della chiusura è ancora più doloroso. L’arrivo a Roma, con le motocicliste della polizia municipale che bloccano il traffico ai Fori Imperiali e in largo Petroselli per far passare il pulmann, tra lo stupore dei turisti e dei pochi romani in giro alle due del pomeriggio, è da cartolina. Scorta e sirene spiegate, con una sessantina di poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa ad attendere in via Marche il pullman. Il mezzo si ferma 30 metri prima del previsto, un piccolo strappo agli accordi, ma l’occupazione dell’ingresso secondario del ministero dello Sviluppo Economico avviene senza problemi. Del resto la Questura aveva concesso l’autorizzazione sino alle 20 e analogo permesso è stato deciso per oggi. «Noi non siamo americani», urlano gli operai accolti da uno stuolo di fotografi e dalle telecamere delle tv. Esplode un grosso petardo, sembra una bomba carta, ma fa parte del “corredo” sindacale in uso per queste manifestazioni. Il presidio di fronte al ministero non si scioglie, gli operai poggiano le valigie in albergo e poi tornano in via Marche. Oggi per loro sarà una giornata bollente. Il governo è chiamato a dare una risposta definitiva sul futuro dello stabilimento, sapendo che gli operai non faranno sconti. Così come non li faranno all’Alcoa. Mercoledì, poco prima della partenza, i tre segretari di categoria: Bardi, (Cgil) Barca (Cisl) e Piras (Uil) hanno ricevuto dal capo del personale, Guerrini, la lettera di convocazione dell’azienda per sabato mattina 1 settembre, giorno della presentazione del programma dettagliato di chiusura. «Non l’ho neanche voluta ricevere – ha detto Barca – e quando mi hanno chiesto come mai, ho risposto come avrebbe fatto qualunque operaio di Alcoa: che vadano a c…». Eccoli i tamburi sardi, duri e testardi. Oggi una isola intera spera che non siano sconfitti.
L’UNIONE SARDA – Politica: La rabbia di Cappellacci
31.08.2012
«La Regione confermerà il progetto integrato Css Sulcis che ha già presentato perché rappresenta il fronte più avanzato dell’innovazione tecnologica in quel campo e segue appieno le linee tracciate dall’Unione europea. La sua sostenibilità tecnica, economica e finanziaria non è frutto della fantasia né di iniziative improvvisate della Sardegna, ma è prodotto del lavoro di un comitato tecnico Governo-Regione che per oltre un anno ha lavorato e ha ottenuto il via libera del ministero dello Sviluppo economico in attuazione di una legge nazionale approvata dal parlamento nel 2009. Si tratta di capire che ruolo intende giocare il Governo: se quello di un ragioniere che amministra l’esistente o quello di uno statista che pensa al futuro e alle prossime generazioni». GOVERNATORE ALL’ATTACCO È un Ugo Cappellacci arrabbiato quello che nella tarda serata di ieri replica al sottosegretario allo Sviluppo economico Claudio De Vincenti, che ieri ha sostanzialmente addossato le responsabilità della crisi del Sulcis alla Regione. Ribadendo per tutta la giornata a decine di tv, giornali e siti internet l’insostenibilità economica della proposta di Viale Trento – che costerebbe un miliardo e mezzo di euro e verrebbe spalmato sulla bolletta dei contribuenti italiani per sei anni – per il rilancio del comparto e abbia invitato Cagliari a predisporre proposte alternative. «C’È L’OK DEL GOVERNO» «Non si può fingere che questo quadro non sia mai esistito, eludendo il concetto di continuità amministrativa: gli stessi uffici del ministero hanno compiuto ogni valutazione a suo tempo, approvando il progetto e notificandolo alla Commissione europea. Ricordo inoltre», prosegue Cappellacci, «che il valore del progetto va ben oltre la salvaguardia della realtà esistente e degli attuali posti di lavoro e rappresenta un investimento innovativo con elevate componenti di ricerca avanzata che renderebbero l’Italia leader nel campo della cattura e dello stoccaggio dell’anidride carbonica. L’entità dell’investimento», aggiunge il numero uno della Regione, «deve essere valutata nel suo insieme e con riferimento a tutte le differenti e molteplici ricadute. Se si considera inoltre che, come previsto dalla road map 2050, l’Europa entro quell’anno dovrà arrivare all’obiettivo zero emissioni per la produzione di energia, tale tecnica», evidenzia, «diventa indispensabile per la de-carbonizzazione sia a livello nazionale che europeo». ROMA DECIDA «Non si va avanti se si continua a sostenere, come fa il Governo, che un progetto simile di riconversione debba essere sostenuto solo da un’impresa privata e non abbia, invece, bisogno di un sostegno pubblico soprattutto nella fase iniziale, nella quale occorre di ricerca scientifica. Si tratta di capire se il nostro Stato vuole essere all’altezza delle altre nazioni europee e fare investimenti sul futuro o abbia abdicato». IN CAMPO 350 MILIONI Il presidente ribadisce che le nuove risorse investite per il territorio del Sulcis per aprire anche nuove opportunità di impresa e di occupazione sono pari a 127 milioni e sono costituite da fondi Fas 2012, «che si aggiungono a quelle già programmate per un totale di 350 milioni». Il problema è che salvare la miniera con il piano-Cappellacci, costerebbe un miliardo e mezzo alla collettività. Costi – ieri De Vincenti lo ha ribadito più volte – insostenibili. Insomma: non si può far pagare a tutti gli italiani il costo della riconversione di una miniera. Il governatore non concorda: «Sulle nostre bollette ci sono già gli oneri delle rinnovabili. È una scelta che molti paesi europei hanno fatto, occorre investire». LE RESPONSABILITÀ Vero è che oggi si è arrivati all’epilogo di una situazione prevista già da tre decenni. Sulla quale le responsabilità della Regione sono evidenti. Cappellacci non può negarlo. Ma attribuisce alla sua Giunta, «il massimo sforzo per risolvere la situazione». Oggi la delegazione regionale si presenterà a Palazzo Piacentini con lo stesso progetto. Cappellacci si dice disponibile a rivederlo, limarlo, far sì che costi meno. «Ma il Governo deve remare nella stessa direzione perché da soli non ce la possiamo fare».
L’UNIONE SARDA – Economia: Medde (Cisl): fermare la crisi nell’Isola
31.08.2012
«Lo Stato e la Regione devono affrontare immediatamente la crisi economica e sociale che attanaglia la Sardegna». Questo l’appello che Mario Medde, segretario generale della Cisl, lancia alle istituzioni per dare una boccata d’ossigeno ai settori produttivi dell’Isola. Il segretario traccia poi una mappa della sofferenza del lavoro «che non c’è»: «Alcoa, Carbosulcis, Eurallumina, Portovesme srl, Keller, Eon sono oggi i luoghi della sofferenza del lavoro, così come Ottana, Portotorres». Assimila le vertenze sindacali ancora aperte nei diversi settori produttivi dell’Isola alla punta dell’iceberg di una crisi, lasciata troppo tempo a decantare: «Il rischio è il diffondersi a macchia d’olio di tensioni sociali in tutta la Sardegna», ragiona il segretario sindacale. E chiede «ai politici di predisporre una strategia produttiva con interventi che garantiscano una ripresa fondata sull’industria, sull’agricoltura e sul turismo». E in materia di disoccupazione Medde analizza i dati Istat: «Il picco più alto del tasso di disoccupazione è in Ogliastra con il 29% di giovani tra i 25 e i 34 anni che sono senza lavoro. Sul tasso di occupazione la percentuale più bassa è quella di Carbonia-Iglesias con il 35%. Regione e Governo – conclude – sono entrambi assenti».
LA NUOVA SARDEGNA – Economia: «Un tavolo politico per il territorio»
31.08.2012
Il Sulcis vive una situazione drammatica, e dal Sassarese si manifesta massima preoccupazione e grande solidarietà. Ma anche il Nord Ovest della Sardegna è massacrato da una crisi senza molti precedenti storici. Lo dicono Cgil, Cisl e Uil che chiedono un tavolo politico per la reindustrializzazione nel Sassarese e lo ribadisce la presidente della Provincia Alessandra Giudici che lancia un appello alla Regione perchè intervenga in questa parte dell’isola che sta attraversando uno dei momenti più difficili della sua storia. Alessandra Giudici ieri ha inviato una lettera al presidente della Regione Ugo Cappellacci, nella quale chiede che si apra con urgenza la vertenza del Nord Ovest della Sardegna, ricordando che il confronto con il governo deve essere l’occasione per chiedere e ottenere strumenti urgenti e straordinari attraverso cui accompagnare il territorio della provincia, oltre le secche di una crisi senza alcun precedente. «Ma il discorso – scrive il presidente Giudici – vale anche per il resto della Sardegna, al di là di inutili campanilismi e controproducenti guerre fratricide». Il lavoro che manca, l’industria che scompare: la Regione non può dimenticare le emergenze sparse per l’isola, e deve scongiurare che il declino delle attività produttive e industriali trascini nel baratro l’intera economia sarda. Ecco perchè la presidente Giudici richiamaCappellacci alle proprie responsabilità: da Cagliari non si vedono segnali di apertura verso questo territorio e bisogna invece recuperare la possibilità di lavorare «tutti insieme per il bene di un’area che non chiede favori o corsie preferenziali, ma esige la stessa dignità e le stesse cure del resto della Sardegna». Si deve, quindi, aprire subito un tavolo politico per la reindustrializzazione del Sassarese, avviare una trattativa istituzionale con lo Stato e il Governo, ribadiscono i segretari confederali Antonio Ruda (Cgil, Gavino Carta (Cisl e Giuseppe Macioccu (Uil). Gli impegni presi non sono stati ancora attuati, dicono, occorre individuare nuovi investimenti per il petrolchimico in quanto la sola prospettiva della chimica verde «non basta a ricreare le condizioni di reindustrializzazione di un sito che va bonificato e rilanciato con altre attività ad alto valore aggiunto, in grado di promuovere l’occupazione». C’è poi da sciogliere il nodo del quinto gruppo di produzione di energia elettrica a Fiume Santo: «Si devono aprire i cantieri oppure E.On. se ne vada», dice il sindacato senza mezzi termini. Bisogna impegnare le maestranze escluse dai cicli produttivi, iniziando dall’indotto del petrolchimico e comprendendo gli operai della Vinyls. Il sindacato organizza un coordinamento per una gestione unificata delle singole vertenze, che confluiranno in una piattaforma regionale, da portare sui tavoli romani. La vertenza Fiume Santo è anche al centro di un documento diffuso dal consigliere regionale Massimo Mulas (Upc): «Fiume Santo è sito strategico per l’isola e deve rappresentare una priorità nell’agenda politica». Non solo, priorità assoluta sono anche le bonifiche di Porto Torres e Mulas avverte: «Prima dell’Ilva il governo pensi al disastro che una sua azienda, l’Eni, ha compiuto».
L’UNIONE SARDA – Economia: Murgia (Pdl): «Il Governo ora deve rispondere»
31.08.2012
Ancora una volta il ministro Passera e il suo vice Vincenti ignorano i problemi di Ottana. «Un paio di mesi fa ho indirizzato un’interrogazione al ministro sul caso di Ottana energia e sul ruolo ambiguo di Terna – scrive il deputato del Pdl Bruno Murgia – Non avevo sollecitato la risposta all’interrogazione perché poi gli sviluppi, avevano creato dei presupposti positivi, con l’impegno di Terna ad approvvigionarsi di energia dalla centrale di Ottana». Così non è stato. Per questo Murgia richiama l’attenzione sulla crisi del polo industriale nuorese, realtà molto lontana da piani di rilancio vagliati da Monti e Passera. «La sospensione improvvisa e senza apparenti motivi dell’energia da parte di Terna – conclude Murgia- mi spinge a chiedere con forza una risposta al Governo sulla questione. L’emergenza non permette di perdere altro tempo». (f. o.)
By Benedetto Sechi, 1 settembre 2012 @ 08:14
n questo articolo, Salvatore Cubeddu, pone interrogativi importanti, a partire dalla lotta, l’ultima in ordine di tempo, dei minatori di Nuraxi Figus, Si tratta di rompere la lunga fila di sconfitte del sardi per salvare pezzi d’economia e posti di lavoro. Una vittoria dei minatori, ridarebbe vigore alle cento battaglie dell’isola: sul’ agroalimentare, il turismo, i collegamenti marittimi. I minatori si presentano con una proposta non di sola salvaguardia dell’esistente, destinata altrimenti a sconfitta certa, ma pretendendo investimenti in innovazione tecnologica. Osare di più, di questo ha bisogno la Sardegna, ma per osare ci vuole una diversa classe dirigente: politica, imprenditoriale, intellettuale.