Unione europea a un bivio storico, di Guy Verhofstadt

Guy Verhofstadt è presidente del Gruppo dei Liberali e Democratici per l’Europa al Parlamento europeo. È stato primo ministro belga per nove anni e autore nel 2006 del libro libro “Gli Stati Uniti d’Europa”.

 

L’euro si salva con 5 mosse: 01, governo economico europeo: 02, estensione del mandato BCE; 03, euro projet bond: 04, euro union bonc; 05, mercato unico bancario.

 

 

Unione europea a un bivio storico, di Guy Verhofstadt

 


 

o si trova la forza per una spinta all’integrazione federale o la crisi potrà essere fatale

 

La situazione in cui versa l’Europa evidenzia una grave e profonda cri­si politica. Le difficoltà finanziarie non hanno fatto che mettere in luce le conosciute imperfezioni del sistema eu­ropeo: un sistema monetario comune pri­vo di un unico quadro economico, fisca­le, di bilancio e tanto meno politico.

La propagazione e l’acutizzarsi della crisi però sono il risultato dell’incapacità dei leader europei di trovare reali soluzio­ni sostenibili. Piuttosto che risolvere il problema alla radice, apportando le ne­cessarie e ormai improrogabili riforme per il completamento del sistema euro­peo, hanno optato, più volte esitando, per timide e troppo spesso lente e inadeguate risposte alle circostanze contingenti.

Tre sono gli effetti secondari che l’inca­pacità e spesso la mancata volontà politica dei leader europei hanno fatto emergere. Il primo, è di aver portato l’epicentro della cri­si in Europa, per di più aggravandola. Il se­condo – si voglia per tradizionali posizioni ‘ostinate nel mantenere la propria sovrani­tà o per ragioni di rigore da imporre prima di consentire alcun passo in avanti – è l’aver rinvigorito quelle stesse ideologie naziona­liste ed estremiste, che la creazione del pro­getto europeo voleva debellare una volta per tutte. Il terzo, e probabilmente il più de­vastante, è di aver alimentato nei cittadini europei il senso di abbandono da parte dell’Europa, quella sensazione di sentirsi gli unici a dover pagare i danni della crisi.

Ora dunque non si tratta più di come sal­vare un Paese o alcune banche o ancora te­nere calmi i mercati ma ci troviamo di fron­te a un bivio, come in altre occasioni che hanno segnato la storia del continente euro­peo. Un bivio che non accetta nessuna esita­zione, tanto meno concede spazio a errori.

Da un lato si presenta a noi il sentiero finora percorso, all’insegna dell’interesse individuale degli Stati-nazione, dove con­tinuerebbero a vigere soprattutto regole intergovernamentali. Quegli interessi e quelle regole che ci hanno portato all’at­tuale malessere e crisi comune e che di cer­to, come hanno dimostrato, non sono più in grado di rispondere alle esigenze di un sistema europeo efficiente e ancor meno. di un sistema globalizzato. Contrariamen­te a quanti sostengono con calcoli alla ma­no che per esempio il costo di un’uscita della Grecia dall’euro, e ancora peggio dall’Europa, è sostenibile, il vero costo sarebbe invece fatale per tutta l’Unione eu­ropea, tanto al suo interno quanto nei suoi rapporti con il resto del mondo.

All’inizio la creazione della Comunità europea aveva risposto, anche se forse so­lo casualmente, a una realtà che si è resa più palpabile solo successivamente, ossia l’interdipendenza degli Stati europei e di questi con gli altri continenti. Sfortunata­mente l’accelerazione del fenomeno della globalizzazione non è stato seguito da un egualmente veloce, per quanto ineludibi­le, processo di integrazione europea.

Osteggiare tale processo vuoI dire non aver capito che un singolo Stato na­zionale, da solo, non è più in grado di dare sicurezza ai propri cittadini e di certo non ha alcun peso nei club dei grandi a livello mondiale. Osteggiare ta­le processo vuol dire anche commettere un errore strategico irreversibile.

Non bisogna dimenticare, infatti, che fu proprio l’Europa la pioniera delle pri­me grandi collaborazioni tra governi che hanno ispirato stati e potenze estere a svi­luppare a loro volta progetti comuni. Se continuiamo su questo sentiero, portere­mo l’Europa alla disintegrazione, aiutati anche dalle spinte esterne all’Unione. Dall’altro lato invece si presenta a noi l’unico e costruttivo sentiero che si possa imboccare, quello del tanto desiderato e necessario federalismo europeo. Quell’ul­teriore processo di integrazione che oggi richiede di essere accompagnato da misu­re ancora più audaci, per compensare l’ag­gravarsi della crisi causata dalla velocità da bradipo che hanno mantenuto negli ul­timi anni ì leader europei.

In concreto, serve portare avanti politi­che volte alla stabilità e alla crescita nel bre­ve-medio termine, mentre si gettano le fon­damenta dei pilastri mancanti dell’architet­tura dell’Unione europea per garantire una piena sostenibilità del nostro sistema nel lungo periodo. Senza un tale approccio oli­stico ci aspetta un decennio di desolazione.

Innanzitutto, gli Stati membri devono persistere con gli sforzi mirati a ridurre i disavanzi affinché le generazioni future non siano costrette a pagare il prezzo per la dissipatezza dei loro predecessori. L’os­servanza del già rafforzato Patto di stabili­tà e crescita non può più ammettere ecce­zioni, come fu per Germania e Francia nel 2005. Le regole valgono per tutti e non possono essere infrante. Inoltre dobbia­mo puntare a un sempre maggiore coordi­namento delle politiche di bilancio ed economiche fino a materializzare una reale Unione economica e fiscale.

Senza indugiare, occorre inoltre ricapita­lizzare le banche e garantire i depositi per spezzare l’esistente circolo vizioso tra le banche fragili e i debiti sovrani deboli che si ripercuote sull’economia reale. Il fondo salva-Stati (Efsf e Esm), l’inadeguato “fìrewall” creato dagli Stati membri contro la crisi del debito, può invece compiere tale impresa con successo mentre si lavora allo sviluppo di una Unione Bancaria. Essa de­ve comprendere un’autorità centrale Ue per la supervisione del sistema bancario, un sistema di liquidazione e ricapitalizza­zione delle banche in difficoltà e un siste­ma europeo di garanzia dei depositi.

Per allentare la morsa della crisi del de­bito si deve creare un Fondo europeo “di redenzione” a difesa della zona euro. La sua natura temporanea (20-25 anni) non esige un cambiamento dei Trattati, men­tre i suoi benefici sarebbero immediati vi­sto che farebbe risparmiare miliardi di eu­ro a tutt’oggi buttati in eccessivi rendi­m~nti sui titoli del debito. Questo fondo

rappresenta il vero “firewall” di cui l’Ue ha bisogno nell’immediato per porre fine al contagio e ripristinare la fiducia nei mercati. Perché permette di emettere ob­bligazioni europee per un valore di 2.300 miliardi di euro, manualizzando il debito che sfora il 60% previsto dai Trattati di tutti quegli Stati membri che si impegna­no a intraprendere riforme strutturali e a rispettare i vincoli di bilancio. Nel frat­tempo si deve dare avvio alla sviluppo di un reale mercato di eurobond, sfogo natu­rale di una moneta unica.

Per ridare invece ossigeno all’economia serve un’iniziativa europea per la crescita e liberare il potenziale del mercato unico. Di soldi in giro -per il tipo di investimento necessario a provocare uno scatto verso la crescita e convincere le imprese a espan­dersi e assumere – non ce ne sono molti. Ed è qui che l’Unione europea può offrire i vantaggi delle economie di scala, investi­menti e ricerca congiunti, comuni autorità di regolamentazione e accesso ai mercati. Al bilancio dell’Ve non è consentito regi­strare un disavanzo e beneficia di un ra­ting del credito più favorevole con i credi­tori internazionali. L’Unione europea può fare uso di molteplici strumenti. Aumenta­re il capitale della Banca europea per gli investimenti, introdurre project bond su scala più ampia, e non per un misero am­montare di 230 milioni come appena lan­ciato, ridurre o eliminare temporaneamente il co-finanziamnto da parte degli Stati membri per ottenere i fondi strutturali e di coesione. Si può convertire il meccanismo europeo di stabilità finanziaria in un fondo per la crescita mentre si assicura un pieno sfruttamento di tutti i fondi europei esistenti. Inoltre, non bisogna dimenticare che il mercato unico europeo è uno dei pilastri della prosperità europea. L’aumento degli scambi ha incrementato il benessere nell’Unione del 100/0 del reddito nazionale. pari a circa 8000 euro annuali per famiglia. Il completamento della mercato unico non può quindi essere rimandato.

Per sostenere questo progetto comune, la centralità delle istituzioni europee nel processo decisionale è fondamentale, ma la sua realizzazione sarà assicurata solo se gli Stati Membri saranno in grado di espri­mere finalmente quella Unione politica tan­to sperata. La situazione è troppo grave per non accettarlo.

 

 

 

 

 

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