LA SARDEGNA NEL CUNICOLO DELLA STORIA, di Salvatore Cubeddu
(facciamo il punto sul dibattito istituzionale in Sardegna),
SOMMARIO. 1. Premessa. 2. Facciamo chiarezza sulle istituzioni sarde: nuovamente “ i sardi di fronte all’ Italia”. 2.1. L’ordine del giorno – voto al Parlamento italiano da parte del Consiglio regionale della Sardegna, della Fondazione Sardinia. 2.2. La mozione sull’indipendenza della Sardegna, presentata al Consiglio regionale dal Gruppo consiliare sardista il 21 maggio 2009. 3. Cambiare lo Statuto sardo, le proposte sul campo: 3.1. Sa Carta de Logu de Sardigna, presentata dal sen. Piergiorgio Massidda al Senato della Repubblica il 27 novembre 2008; 3.2. Il disegno di legge costituzionale sullo Statuto speciale della Regione sarda presentata al Senato della Repubblica dal sen. Antonello Cabras l’8 aprile 2010. 4. Conclusioni provvisorie. Le ragioni e la forza.
La Sardegna nel cunicolo della storia (facciamo il punto sul dibattito istituzionale),
di Salvatore Cubeddu
SOMMARIO. 1. Premessa. 2. Facciamo chiarezza sulle istituzioni sarde: nuovamente “ i sardi di fronte all’ Italia”. 2.1. L’ordine del giorno – voto al Parlamento italiano da parte del Consiglio regionale della Sardegna, della Fondazione Sardinia. 2.2. La mozione sull’indipendenza della Sardegna, presentata al Consiglio regionale dal Gruppo consiliare sardista il 21 maggio 2009. 3. Cambiare lo Statuto sardo, le proposte sul campo: 3.1. Sa Carta de Logu de Sardigna, presentata dal sen. Piergiorgio Massidda al Senato della Repubblica il 27 novembre 2008; 3.2. Il disegno di legge costituzionale sullo Statuto speciale della Regione sarda presentata al Senato della Repubblica dal sen. Antonello Cabras l’8 aprile 2010. 4. Conclusioni provvisorie. Le ragioni e la forza.
(il saggio è stato pubblicato sulla rivista Camineras, Periòdicu de politica e de cultura, n° 1, lampadas 2010, Ed. Condaghes)
La Sardegna nel cunicolo della storia (facciamo il punto sul dibattito istituzionale)
di Salvatore Cubeddu
… cando si tenet su ‘entu, est prezisu bentulare!
(dall’inno nazionale sardo, di Francesco Ignazio Mannu, 1795)
…. quindi uscimmo a riveder le stelle.
(Dante Alighieri, Il Paradiso, canto XXXIV, verso 139)
di Salvatore Cubeddu
SOMMARIO. 1. Premessa. 2. Facciamo chiarezza sulle istituzioni sarde: nuovamente “ i sardi di fronte all’ Italia”. 2.1. L’ordine del giorno – voto al Parlamento italiano da parte del Consiglio regionale della Sardegna, della Fondazione Sardinia. 2.2. La mozione sull’indipendenza della Sardegna, presentata al Consiglio regionale dal Gruppo consiliare sardista il 21 maggio 2009. 3. Cambiare lo Statuto sardo, le proposte sul campo: 3.1. Sa Carta de Logu de Sardigna, presentata dal sen. Piergiorgio Massidda al Senato della Repubblica il 27 novembre 2008; 3.2. Il disegno di legge costituzionale sullo Statuto speciale della Regione sarda presentata al Senato della Repubblica dal sen. Antonello Cabras l’8 aprile 2010. 4. Conclusioni provvisorie. Le ragioni e la forza.
1. Premessa. La Fondazione Sardinia[1] ha coordinato l’elaborazione dell’ “ordine del giorno – voto al Parlamento italiano” distribuito a ciascun consigliere regionale il 4 febbraio 2010. Questo documento – richiesto da vari politici presenti al convegno di Santa Cristina in Paulilatino (24 gennaio 2010, “Sardegna: statuto e sovranità. Progetti ed esperienze di autodeterminazione in Europa”) – è ora depositato in Consiglio regionale con la firma di due rappresentanti del centrodestra e di uno del centrosinistra[2], quindi bipartisan, come concordato in quella sede. Esso attende la firma di altri consiglieri regionali in vista della discussione e dell’approvazione del Consiglio. Evidentemente, una volta consegnato a ciascuno dei consiglieri e sottoposto ai deliberati del Consiglio, l’odg – voto non è più della Fondazione Sardinia. E’ difficile che le interne dinamiche e la differenza dei punti di vista non portino a nuove formulazioni.
Nello stesso Consiglio regionale è pure depositata, dal 21 maggio 2009, la mozione per l’indipendenza della Sardegna del gruppo consiliare sardista.
Al Senato della Repubblica giace il disegno di legge costituzionale presentato dall’on. Piergiorgio Massidda del PDL (il 27 novembre 2008, statuto speciale della Sardegna denominato “Carta de logu de Sardigna”), per il quale ha lavorato un apposito comitato costituito con la supervisione politica dei più importanti esponenti sardi del Partito della Libertà, ma non è stato ancora presentata in Consiglio regionale. La nuova “Carta de logu…” è soprattutto opera della diaspora culturale sardista approdata nel centrodestra.
L’8 aprile scorso il senatore sardo del Partito Democratico, Antonello Cabras, ha depositato presso lo stesso Senato un disegno di legge costituzionale sullo statuto speciale della regione sarda.
Altrove[3] abbiamo scritto che queste iniziative sono tutte innovative e non necessariamente tra loro concorrenti. Vedremo in seguito che tutto ciò va meglio specificato per le due formulazioni presentate al Senato della Repubblica, che però hanno in comune il richiamo all’art. 58 dello Statuto vigente allorché fissa il percorso delle modifiche statutarie.
Questo saggio intende esaminare i quattro documenti, a partire da quello su cui più particolarmente e direttamente ci si è impegnati, l’ordine del giorno-voto” messo a disposizione del Consiglio regionale della Sardegna il 4 febbraio 2010 dalla Fondazione Sardinia e per il quale non è disponibile finora una presentazione esplicativa.
I documenti hanno anche funzioni distinte: mentre l’odg-voto e la mozione sull’indipendenza della Sardegna intendono, seppure in termini differenti, porre dei punti fermi sull’avvio del processo riformatore delle istituzioni sarde, le due proposte di statuto ne prefigurerebbero, invece, se approvate, l’esito finale.
2. Nuovamente “ i sardi di fronte all’ Italia”. L’ordine del giorno-voto e la mozione sull’indipendenza della Sardegna hanno quale comune e fondamentale antecedente di riferimento la “mozione sulla sovranità della Sardegna” approvata dal Consiglio regionale della Sardegna il 24 febbraio 1999[4].
Entrambi i documenti dichiarano essere ‘chiusa’ la presente fase sessantennale dell’autonomia realizzata in Sardegna, ne precisano le ragioni e le conseguenze, dichiarano aperta una nuova fase dei rapporti con le istituzioni italiane responsabilizzando di essa le istituzioni sarde, il Consiglio regionale da parte dell’odg-voto, la Giunta regionale da parte della mozione sardista. Con esiti distinti: un nuovo patto costituzionale relativamente all’odg-voto, che resta aperto a svariate soluzioni ma ne specifica lo strumento nella ‘assemblea costituente; l’indipendenza della Sardegna relativamente al gruppo consiliare sardista. Qui di seguito si entra nel merito, trascrivendo i documenti e commentandone il contenuto.
2.1. Ordine del giorno voto al Parlamento (art. 51 Statuto Sardo). Riportiamo il documento, analizzandolo subito dopo:
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Il Consiglio regionale della Sardegna
Premesso che la Mozione approvata da questo organismo il 24 febbraio 1999 afferma
-“il diritto del Popolo Sardo di essere padrone del proprio futuro”,
– “il diritto e il dovere del Consiglio regionale di rappresentare l’intero Popolo sardo, ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto” ,
premesso il diritto del Popolo Sardo a difendere e rafforzare l’autogoverno della Sardegna così come si evince dal Patto costituzionale che ha avuto un suo primo riconoscimento nello Statuto del 1948;
constatato che l’ attuale regime di Autonomia
– non ha realizzato il suo significato più importante, quello dell’autogoverno e dello sviluppo economico,
– non risponde alle richieste dei nuovi problemi creati dai cambiamenti sociali, dalla unificazione europea, dalla globalizzazione,
– mortifica la volontà della Sardegna di attuare quelle scelte che ne garantiscano la libertà e la prosperità,
– acuisce la conflittualità fra Stato e Regione quasi sempre a sfavore della Sardegna;
constatato che la condizione di dipendenza, anziché ridursi, si è accresciuta nel sistema politico, finanziario, economico, culturale, educativo, sanitario, delle servitù militari, delle risorse energetiche, dei beni culturali e artistici, nonché nella presenza delle multinazionali operanti in Sardegna, nella esclusione dalla rappresentanza nel Parlamento europeo;
considerato che l’identità storica, geografica, culturale e linguistica esige un’identità politica chiaramente definita e un forte autogoverno; che mancano interventi risolutori da parte dello Stato nel campo sociale ed economico; che la crescita di una coscienza e di una fede nel Popolo sardo e nella Nazione sarda, come valori capaci di innescare processi di cambiamento e di sviluppo, può essere progettata e attuata solo attraverso una piena sovranità attribuita alle istituzioni del Popolo Sardo;
riafferma i principi di sovranità contenuti nella mozione approvata dal Consiglio regionale il 24 febbraio 1999, nonché le sue motivazioni storiche, culturali e politiche, con le quali è stata confermata solennemente “la sovranità del Popolo Sardo sulla Sardegna, sulle isole adiacenti, sul suo mare territoriale e sulla relativa piattaforma marina” , riprendendosi la sovranità a suo tempo frettolosamente abbandonata nelle mani della monarchia Sabauda in cambio della ‘fusione perfetta’ con gli stati della terraferma”,
dichiara politicamente e istituzionalmente conclusa la vicenda storica susseguente alla rinuncia alla proprie sovrane istituzioni avvenuta nel lontano 29 novembre 1847 e solo parzialmente recuperata nello Statuto del 1948. E, pertanto,
disconosce la petizione portata avanti dalle Deputazioni delle tre maggiori città dell’Isola “rivolta alla impetrazione per la Sardegna della perfetta fusione con gli Stati R. di terraferma, come vero vincolo di fratellanza, in forza di qual fusione ed unità di interessi si otterrebbero le bramate utili concessioni…” (Deliberazione del Consiglio Generale di Cagliari, del 19 novembre 1847); altresì
denuncia come non valida la concessione della ‘perfetta fusione’ deliberata dal Re di Sardegna Carlo Alberto, con Regio Biglietto del 20 dicembre 1847, a cui non fece seguito alcuna consultazione popolare attraverso plebiscito – come avverrà nelle altri stati italiani in vista dell’unità del 1861 -, in palese trasgressione con il dettato dei trattati internazionali di Londra del 1720 e, soprattutto, senza il voto dei tre Stamenti sardi, unico organo autorizzato a risolvere una simile questione internazionale. Conseguentemente
chiede al Parlamento la stipula di un nuovo Patto costituzionale, partecipando con pieno diritto e nel rispetto della rappresentanza del Popolo Sardo al processo di riforma e di revisione della Costituzione italiana;
rivendica il diritto di partecipare al processo di riforma secondo le forme che la legittima rappresentanza del Popolo Sardo vorrà seguire, nel rispetto della sovranità popolare e della natura “nazionale” del suo popolo, nel contemporaneo riconoscimento di una più alta ed efficace forma di autogoverno della Sardegna, nella convinzione maturata anche in Italia secondo la quale il Paese è diventato uno stato plurinazionale e pluriculturale nella sostanza ma non ancora nella forma costituzionale, nella fiducia che il nuovo Patto costituzionale offrirà anche alla Sardegna la possibilità di convivere fraternamente con i popoli dell’Italia.
Il Consiglio Regionale della Sardegna
ribadisce, infine, nel rispetto della propria tradizione democratica: – i valori di coesione economico – sociale e il modello di libertà, di democrazia, di benessere e di progresso tipici delle diverse nazioni presenti in Europa; – l’amichevole collaborazione alle comunità ed agli Stati frontalieri del bacino Mediterraneo per il progresso degli interessi comuni”;
dà avvio alla elaborazione del nuovo Statuto – Costituzione della Sardegna tramite un’assemblea costituente il cui lavoro verrà confermato da questo Consiglio regionale con il voto e dai cittadini sardi tramite referendum[5].
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Lo Statuto della Regione Autonoma della Sardegna, all’art. 51, comma 1, afferma: “Il Consiglio regionale può presentare alle Camere voti e proposte di legge su materie che interessano la Regione”. Il tema del patto costituzionale tra la Sardegna e l’Italia ha rappresentato, fin dal sorgere del movimento autonomistico subito dopo la fine del primo conflitto mondiale, il fulcro politico e culturale della richiesta di libertà e di autogoverno da parte dei Sardi e la condizione ritenuta necessaria e preliminare di ogni loro prosperità. Lo Statuto del 1948 ne ha costituito una prima tappa.
Questo patto è oggi sotto molti punti di vista superato dai processi economici, culturali, sociali e costituzionali in atto in Italia e in Europa. La Sardegna e le sue istituzioni rischiano di arrivare tragicamente in ritardo ai nuovi appuntamenti, di farsi espropriare di propri diritti inalienabili, di dover restare oggetto e non soggetto delle trasformazioni della storia.
Ma niente è mai definitivamente perduto se le istituzioni di un popolo tengono fermi il senso e la direzione del loro futuro. La padronanza sui propri tempi è parte essenziale del rispetto di sé, negli individui e nei popoli. Bisogna difendere a tutti i costi l’ordine del giorno della propria storia. Al Consiglio regionale appartiene la responsabilità del futuro dei Sardi. E’ un diritto. E’ un dovere. Non c’è Stato, non c’è Unione Europea che possa sostituirlo in questo compito. Anche se questi lo volessero, non basterebbero. Molteplici nel tempo sono stati i rapporti della Sardegna con stati d’oltremare. L’esperienza dovrebbe avere insegnato ai Sardi che nessuno tra di essi è sbarcato su questa terra per fare principalmente gli interessi dei suoi cittadini.
Il Consiglio regionale della Sardegna ha assunto decisioni significative nell’affermazione dei diritti inalienabili della Nazione sarda. L’ultimo e più significativo documento sull’identità istituzionale del Popolo sardo è stato approvato da questo Consiglio il 24 febbraio 1999. Il titolo è giustamente ambizioso: “Mozione di sovranità del Popolo sardo”. Al termine dell’apparato motivazionale essa proclama “la sovranità del Popolo Sardo sulla Sardegna, sulle isole adiacenti, sul suo mare territoriale e sulla relativa piattaforma marina”. Il documento che andiamo presentando opera alla luce dei principi della sovranità, ne conferma le motivazioni, ne applica gli aspetti. Insomma: con questo odg-voto il Consiglio regionale assurge a rappresentante del Popolo e della Nazione sarda nel pieno dei suoi compiti storici.
Il presente Statuto autonomistico ha assolto il suo compito di parziale espressioni di questa sovranità ma manifesta da tempo i propri limiti, come è opinione comune tra le espressioni culturali e politiche che riflettono sui destini dell’Isola. E’ sotto gli occhi di tutti i cittadini che la condizione di dipendenza della Sardegna dall’esterno, anziché diminuire, si è accresciuta in quasi tutti i settori della vita civile, sia rispetto alla nostra possibilità di autogovernarci, che rispetto alla nostra capacità di raggiungere livelli di prosperità confrontabili con le regioni europee. Per chi li vuole vedere, è indubitabile che i processi economici vissuti dalla Sardegna soprattutto nel settore su cui più sono state concentrate le risorse e le attese – quello della grande industria - sono stati caratterizzati prima dallo sfruttamento e ora dall’abbandono.
Eppure sono le considerazioni positive quelle che devono guidare i Sardi nell’aprire le prospettive per un migliore domani. Quindi, l’identità storica, geografica, culturale e linguistica esige un’identità politica chiaramente definita e un forte autogoverno. La crescita della coscienza e della fede nel Popolo sardo e nella Nazione sarda, possono porsi quali valori capaci di innescare processi di cambiamento e di sviluppo. E tutto questo può venire progettato e attuato solo attraverso una piena sovranità attribuita alle istituzioni del Popolo Sardo. “I paesi non sono coltivati in ragione della loro fertilità, ma in ragione della loro libertà”.., « la prosperità … segue sempre la libertà”, affermava Montesquieu nel 1748 rendendo esemplare la storia sarda nel legame necessario tra libertà (autonomia-indipendenza) e prosperità (sviluppo).
I Sardi devono provvedere a se stessi. Pertanto hanno bisogno di disporre pienamente di tutte le proprie risorse: territoriali, culturali, sociali, istituzionali. E, attraverso questo documento, in questa sede e occasione, il Consiglio regionale compie un atto solenne in cui rinnova la riappropriazione dei propri diritti e doveri di principale rappresentante delle istituzioni sarde. Decide di fare i conti con gli antecedenti storici immediatamente precedenti a questa fase (il rapporto con la monarchia sabauda), ma tenendo ben presente l’insieme del percorso storico così come ricordato nella mozione sulla sovranità.
Di conseguenza il Consiglio regionale compie i seguenti atti politici e istituzionali:
Primo: dichiara conclusa la vicenda decisa nel novembre-dicembre del 1847 e quella, sussidiaria e successiva, dello Statuto del 1948,
Secondo: all’interno di quella vicenda storica, disconosce la petizione delle tre città (Cagliari, Sassari, Alghero), le cui delegazioni non avevano la rappresentatività né il regolare mandato per rivolgere quella supplica, e ne specifica le ragioni:
- nella rinuncia al Regno di Sardegna non venne coinvolto il Popolo sardo, neanche tramite plebiscito, come invece furono coinvolti i popoli degli stati che aderirono all’Italia a partire dal 1861;
- non vennero rispettati i quattro trattati internazionali che regolavano il passaggio del Regno di Sardegna dagli Asburgo di Spagna agli eredi del Ducato di Savoia, che solo attraverso il titolo di Re di Sardegna divennero re;
- non furono convocati né il tema venne affrontato dagli Stamenti.
Terzo: il Consiglio regionale della Sardegna decide di dare inizio a una nuova fase della storia dei rapporti tra l’Isola e l’Italia, tra il Popolo sardo e il Popolo italiano, decidendo di partecipare consapevolmente e senza subalternità al processo costituzionale in corso in Italia e in Europa, attraverso la discussione e la stipula di un nuovo patto costituzionale tra individualità sovrane e “nazionali”.
Quarto: il Consiglio regionale definisce il quadro dei valori all’interno dei quali intende mettere in opera la propria costruzione istituzionale e culturale, la prospettiva economica e sociale, la collocazione tra le nazioni d’Europa e nel contesto mediterraneo.
Quinto: il Consiglio regionale definisce il percorso interno che porterà al nuovo Statuto-Costituzione della Sardegna. Di per sé questa ultima parte del documento potrebbe non fare parte di esso, visto che il tema degli strumenti attraverso i quali procedere al nuovo Statuto-Costituzione potrebbe venire compreso tra le questioni interne (vedi la legge statutaria), di competenza esclusiva dello stesso Consiglio una volta stabiliti e concordati con il Parlamento i nuovi principi costituzionali del Patto. Ma siccome il tema degli strumenti – cioè l’assemblea costituente, la consulta e/o altre forme di consultazione più o meno allargata e qualificata - ha occupato la discussione degli ultimi dieci anni (e la stessa Fondazione Sardinia se ne è fatta parte attiva) si precisano qui di seguito alcuni caratteri di una proposta che impegna le istituzioni sarde senza coinvolgere quelle statuali.
Il coinvolgimento popolare nasce da esigenze democratiche e partecipative, ma soprattutto ha presente il dato ineliminabile che solo una classe dirigente che abbia la fiducia del popolo è in grado di porre gli interessi sardi al confronto – e al possibile scontro in caso di conflitto – con gli interessi esterni, sia quelli privati che quelli rappresentati da un certo modo di intendere gli interessi dello Stato in Sardegna.
I punti essenziali espressi in questo documento sono rappresentati da: 1) il ruolo di indirizzo del Consiglio regionale, secondo l’art. 58 dello Statuto. Il Consiglio convoca, tramite una propria legge, l’Assemblea Costituente del Popolo sardo, ne stabilisce il numero dei componenti e la modalità della loro elezione, ne precisa i tempi di inizio e di durata; 2) l’Assemblea elabora uno o più testi (testo unitario, di maggioranza, di minoranza) che verranno sottoposti sia all’approvazione del Consiglio regionale e sia al referendum confermativo da parte del corpo elettorale. 3) Il Consiglio regionale farà proprio il testo approvato dalla maggioranza del Popolo sardo. 4) Questo testo sarà il referente del nuovo patto costituzionale tra la Sardegna e lo Stato.
Infine, su questo punto, una nota pratica: visto il fallimento delle ultime convocazioni referendarie, sarebbe opportuno che l’eventuale elezione popolare di un’assemblea costituente venisse appaiata ad altre elezioni locali. Dopo le prossime, della fine di questa primavera, avremo tre anni di probabile vacanza elettorale. Le difficoltà per richiamare il corpo elettorale saranno inevitabili.
2.2. La mozione sull’indipendenza della Sardegna, presentata al Consiglio regionale dal Gruppo consiliare sardista il 21 maggio 2009[6].
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IL CONSIGLIO REGIONALE
ACCERTATO che:
- lo Stato italiano è largamente responsabile:
1) dell’inquinamento dei siti industriali più importanti della Sardegna;
2) della desertificazione del settore manifatturiero in Sardegna;
3) dell’eccesso di pressione fiscale e tariffaria sulle imprese e sui cittadini;
4) del sistema di regole e privilegi che sta consegnando la Sardegna a poche imprese dominanti, ormai prossime a configurarsi come oligopoli;
5) del tentativo di scaricare sul bilancio regionale i costi del welfare, della scuola e degli enti locali, oltre quelli già a carico della Regione, dei trasporti e della sanità;
6) della spoliazione culturale derivante da una sistema scolastico monolingue, ostile alla cultura e alla lingua dei sardi, sostanzialmente non diversificato nell’offerta formativa e ormai allontanato dalle aree rurali;
- la maggior parte dei fondi statali stanziati negli anni passati per l’industrializzazione della Sardegna è stata consumata da industrie di Stato che poi hanno abbandonato e continuano ad abbandonare la Sardegna;
RICORDATO che il patrimonio boschivo e ambientale della Sardegna ha subito i maggiori insulti per le concessioni governative concesse dallo Stato;
ASSUNTO che nei settori della sanità, dei trasporti e della scuola, lo Stato italiano da una parte impone le regole antiquate e oligopolistiche che caratterizzano da sempre la sua storia e la sua cultura, dall’altro scarica interamente i costi di questi diritti sulla fiscalità regionale, cioè sulla ricchezza prodotta dai sardi;
CONSTATATO il privilegio accordato nel tempo dallo Stato italiano alle regioni del nord Italia in termini di trasferimenti pubblici, di servizi e di infrastrutture, confermato recentemente dalla rimodulazione del riparto di alcuni fondi europei che ha determinato che nel sud e nelle isole sia rimasto poco più del 30 per cento delle risorse originariamente disponibili;
RICORDATO che del territorio della Sardegna decidono i sardi e non lo Stato italiano,
impegna la Giunta regionale
a guidare la Sardegna verso una piena e compiuta indipendenza, avviando con lo Stato italiano una procedura di disimpegno istituzionale che preveda un quadro articolato di indennizzi per la Nazione sarda, in ragione di tutte le omissioni, i danni e le sperequazioni che la Sardegna ha subito prima dal Regno d’Italia e poi dalla Repubblica italiana. Cagliari, 21 maggio 2009
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Si rileva subito che ci si trova di fronte a un formidabile j’accuse nei confronti di centocinquant’anni di unità d’Italia. Si tratta di un vero e proprio manifesto politico, dallo stile diretto, dove le parole sono frecce attraverso le quali la storia sarda chiama in giudizio e subito condanna le politiche di intere generazioni e di protagonisti della politica italiana in Sardegna. Ma, anche se esplicitamente non le richiama, è inteso che nel misfatto sono coinvolte anche le classi dirigenti locali.
Oggetto dell’accusa sono le colpe dello Stato italiano che concernono gli aspetti passati (lo spoglio dei boschi per le prime ferrovie, la pressione fiscale e tariffaria, i privilegi offerti alle compagnie minerarie, i soldi della rinascita regalate all’imprenditore privato come quelle risorse poi spostate a favore dell’impresa pubblica, i privilegi a poche industrie dominanti quali la Saras ), quelli più evidenti nel presente (l’abbandono della Sardegna da parte dello Stato e il suo disinteresse per tutto ciò che non resti funzionale ai suoi obiettivi, militari ed energetici innanzitutto; la desertificazione del settore manifatturiero; la spoliazione culturale) e quelli che dall’oggi si vedono incombere sul futuro (l’inquinamento, il tentativo di scaricare sul bilancio regionale i costi del welfare, della scuola e degli enti locali, oltre quelli già a carico della Regione, quali i trasporti e la sanità; le conseguenze drammatiche di una catastrofe culturale e identitaria).
Quindi arriva la rivendicazioni dei diritti della Nazione sarda: sul territorio della Sardegna decidono i sardi e non lo Stato italiano. E la richiesta di impegno che il Consiglio regionale richiede dalla Giunta: la guida della Sardegna verso una piena e compiuta indipendenza. Che potrebbe essere, nell’immediato, anche solo avviato – ed è qui che forse viene lasciato aperto uno spazio di mediazione – attraverso una procedura di disimpegno istituzionale che preveda un quadro articolato di indennizzi per la Nazione sarda, in ragione di tutte le omissioni, i danni e le sperequazioni che la Sardegna ha subìto prima dal Regno d’Italia e poi dalla Repubblica italiana.
Dunque, sarebbe il Presidente della Regione, in quanto principale rappresentante istituzionale, a venire incaricato, da tutto o dalla maggioranza del Consiglio regionale, a ‘guidare’ i sardi a un confronto radicale con lo Stato italiano. L’atteggiamento e la linea politica sono chiari, le procedure non altrettanto. Dovrebbero venire specificate in sede di dibattito consiliare individuando una formulazione istituzionale che non fermi semplicemente l’iniziativa negli atti consiliari, come già accaduto all’importante mozione sulla sovranità del 1999.
E’ pur vero che non raramente i partiti fanno, attraverso i propri interventi, dei semplici, o complessi, atti di presenza, o di riaffermazione della loro ideologia, o segnalano confini e innalzano bandiere nei confronti degli altri soggetti politici. E non è detto che ciò che appare simbolico oggi non diventi sostanza domani: di nuovo, come è capitato alla mozione di sovranità, che è stata ripresa nell’ultima legge statutaria seppure poi ‘cassata’ dalla corte costituzionale italiana; essa rappresenta un documento fondante di ciò che nel presente si va a costruire.
Pur nell’ovvia incertezza sul destino della mozione sull’indipendenza, è possibile però cogliere le vere novità ideologiche che arrivano negli ultimissimi tempi dal campo sardista. Concetti che allargano, spiegano e completano quanto in questo documento è, in forza del suo stesso genere letterario, solo enunciato. Ci si riferisce alla proposta “con-federalista”, che si accompagna logicamente all’indipendenza e che sostituisce il federalismo tradizionalmente conclamato dal partito sardo. Mentre il sardismo di Bellieni si rifà alle elaborazioni federaliste di Tuveri e Asproni, il filone di pensiero confederale trova un illustre precedente nel neoguelfismo ‘giobertiano’ rappresentato in Sardegna nel 1848 dal teologo Federico Fenu, che pubblicò “La Sardegna e la fusione”. Sosteneva che Sardegna e Piemonte sono differenti per “…. stirpe, costumi, indole, persino più che gli irlandesi dagli inglesi». Proponeva per l’Italia uno Stato confederale, nel quale la Sardegna avrebbe dovuto trovare posto su un piano di indipendenza e di parità.
3. Cambiare lo Statuto sardo, le proposte sul campo.
Anche se nella presente legislatura i documenti presentati presso il Consiglio regionale sono questi che qui esaminiamo, occorre ben considerare che è da più di vent’anni che sono disponibili dei testi innovativi sul piano statutario, alcuni dei quali diventati anche proposte di legge costituzionale. E questo al di là delle considerazioni che occorrerebbe fare sui lavori e i relativi atti della prima commissione consiliare - Autonomia.
Nel 1989 un gruppo di lavoro interno mise a disposizione del Partito Sardo d’azione un testo legislativo che conteneva un nuovo statuto.
Gli anni ’90, in coincidenza con il veloce e inesorabile spegnersi delle attese nei confronti del partito sardo, vedono non poche iniziative di singoli studiosi, accademici e no[7], e di associazioni culturali che si muovono nella direzione di coprire il vuoto di proposte istituzionali. Sono gli stessi ambienti che si mobilitano sia per modificare la legge italiana che non permette la pratica possibilità ai sardi di accedere al Parlamento europeo[8] e sia nel promuovere un’iniziativa dal basso per costruire lo statuto speciale tramite l’assemblea costituente del popolo sardo[9].
Di questo attivismo restano due bozze di un nuovo statuto speciale: la prima venne presentata nel corso di un ciclo di seminari rivolti a studenti universitari, quale esercizio concettuale e giuridico che ne specificasse la problematica teorica[10]; la seconda fu commissionata dall’allora direttore dell’Unione Sarda, Bachisio Bandinu, al professore di diritto costituzionale Giuseppe Contini, e dibattuta in un convegno di esperti e poi resa di pubblico dominio nel giornale quotidiano cagliaritano[11].
Si tratta dello stesso milieu culturale da cui è nata Sa die de sa Sardigna, il 28 aprile di ogni anno. Sorta in ambito sindacale, sviluppatasi nell’ambiente nesosardista degli inizi degli anni ’80, nutritasi in occasione delle celebrazioni del 70° della fondazione del Partito Sardo d’Azione, la festa del popolo sardo diviene legge regionale n° 44, 14.09.1993. Le sue prime celebrazioni vennero accompagnate dalla visita di decine di intellettuali nelle scuole medie e superiori di tutta la Sardegna e furono vissute con entusiasmo nelle rievocazioni storiche in Cagliari, Sassari e Bono. Sa die è riuscita ad imporsi nei suoi contenuti culturali, politici e storici grazie ai nuovi contributi di studio sul periodo rivoluzionario sardo[12] e ha portato con sé la diffusa conoscenza e l’entusiasmo per quello che oggi viene universalmente considerato l’inno nazionale dei sardi, il “Procurad’’e moderare, barones, sa tirannia…”, cantato in tutte le piazze. La Sardegna ha oggi una sua bandiera, una festa, un inno. Come gli altri popoli del mondo.
Tornando al tema dello statuto speciale, l’unico testo proposto nel periodo in cui procedeva l’attività del comitato per l’assemblea costituente è rappresentato dalla Noa Carta de Logu,depositata al Senato della Repubblica dal Presidente emerito della Repubblica italiana, Francesco Cossiga, e quindi, con la firma dell’on. Mario Floris, al Consiglio regionale durante la scorsa legislatura. Esso porta evidenti novità di stile e di contenuti, espressione di esperti che conoscono la storia e le procedure con cui nel mondo si scrivono le costituzioni, a partire dalle rivoluzioni americana e francese. Per essere più chiari: dopo quelle prime, ogni popolo che scrive ex novo una costituzione cerca di rifarsi ai modelli che ritiene più vicini e utili. I catalani, finita l’esperienza franchista, per delineare il loro primo documento della ritrovata libertà, tra gli altri statuti si rifecero anche a quello in atto in Sardegna. Non c’è, quindi, statuto o costituzione che non si rifaccia a documenti consimili.
I ddl costituzionali di Cossiga-Floris si rifanno al modello della Generalitat catalana, così come avevano in parte operato i sardisti nel loro testo del 1989. Il processo di adattamento del testo Cossiga-Floris alla realtà sarda si nutre di stilemi e termini scelti dall’esperienza dell’antica (1392) Carta de Logu di Eleonora d’Arborea. Dal modello catalano assume un prologo storico che, dopo l’esplicitazione dei principi ispiratori, introduce il vero e proprio articolato. Tutto questo era assente nelle precedenti bozze di statuto, che invece introducevano direttamente gli articoli limitandosi a fornire la richiesta relazione esplicativa. Il testo in questione, durante la presente legislatura, non è stato riproposto né al Parlamento né al Consiglio regionale.
Questa precisazione sugli antecedenti e sui modelli aiuta a introdurre la prima grande differenza tra i due statuti attualmente depositati al Senato della Repubblica e che stiamo per prendere in considerazione. La “Carta de logu de Sardigna”, presentata da Piergiorgio Massidda, prosegue nel nome e nel modello, ed evidentemente in parte degli estensori, il testo Cossiga-Floris. Il “disegno di legge costituzionale sullo statuto speciale della regione sarda”, presentato dal sen. Antonello Cabras, opera invece secondo la forma del vigente statuto. Evidentemente, collegate al modello, sussistono differenze di concezione su ciò nel che si vuole proporre attraverso uno nuovo statuto sardo.
Non è qui nostra intenzione entrare nei dettagli dei complessi meccanismi di cui è fatta una legge costituzionale. Si spera di riuscire a dare, invece, conto delle specificità e delle differenti positività che ciascuno contiene. Si è deciso di mettere a confronto il titolo primo di ciascun elaborato omettendo – per ragioni di spazio – il bel prologo che fa parte integrante e introduce il testo della “Carta de logu…”. Ci soffermeremo su ciò che i presentatori affermano del proprio documento nella relazione che l’accompagna, sulla soggettività politica del protagonista costituente, sul ruolo della lingua quale sintomo cruciale dello stato della cultura sarda, sulla titolarità e sulla gestione delle risorse economiche soprattutto fiscali, e infine sull’esito complessivo rispetto ai poteri o competenze che ciascun documento propone.
3.1. Sa Carta de Logu de Sardigna, presentata dall’on. Piergiorgio Massidda al Senato della Repubblica il 27 novembre 2008.
Il senatore del Partito delle Libertà si è fatto carico di accelerare il processo istituzionale che valorizzasse il lavoro fatto dal Comitato promotore per un nuovo statuto della Sardegna[13] riempiendo un grave vuoto di proposta da parte degli altri soggetti politici. Il lavoro è stato svolto da un gruppo di diciotto persone dalle diverse competenze che lavorarono per più di un anno, ottennero l’assenso dei dirigenti dei partiti del centrodestra sardo e si proposero l’ambizioso programma di raccogliere le firme dei cittadini in modo da arricchirne il significato politico e rafforzarne l’impatto sulle istituzioni.
Tutto questo lavoro di elaborazione e di diffusione[14] trova ora un’adeguata documentazione sia nel sito “Comitato firma per la tua Sardegna” (con i gruppi di lavoro su Faceboock) e sia in due agili volumetti, uno con il testo commentato del “nuovo statuto speciale per la Nazione sarda, Sa Carta de Logu noa pro sa Natzione sarda”[15], il secondo nell’utile manuale didascalico con contenuti storici e giuridico-istituzionali.
Il documento si compone del preambolo e di sei titoli che comprendono cinquantanove articoli. Trascriviamone i primi nove articoli, che formano il titolo primo e quindi l’incipit che dà il tono all’insieme dell’opera.
Art. 1.
(Costituzione della Sardegna in Regione autonoma speciale)
1. La Sardegna si costituisce in Regione autonoma speciale.
Art. 2.
(La Nazione sarda)
1. Il popolo sardo, il territorio della Sardegna e delle sue isole, il mare e il cielo territoriale, l’ambiente, la lingua, la cultura e l’eredità culturale, materiale ed immateriale, della Sardegna costituiscono la Nazione sarda.
2. In quanto Nazione, la Sardegna esercita il proprio autogoverno costituendosi con la presente Carta fondamentale in Regione autonoma speciale, in armonia con la Costituzione repubblicana e nel rispetto dei principi che si ispirano alla convivenza fra i popoli dell’Unione europea.
3. I poteri della Regione autonoma derivano dal popolo sardo e sono esercitati nel rispetto del presente Statuto e dei principi fondamentali della Costituzione repubblicana, in armonia con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
4. Il nucleo primo dell’autogoverno del suo popolo risiede nelle comunità insediatesi nel proprio territorio nel corso dei secoli.
Art. 3.
(Il popolo sardo)
1. Il popolo sardo è l’insieme dei sardi residenti dentro e fuori dell’isola e di quanti si dichiarino appartenenti ad esso.
2. La Regione sarda sostiene e cura la divulgazione, tramite i mezzi di comunicazione, dei valori culturali, storici, e delle tradizioni che sono alla base della peculiare identità del popolo sardo, rafforza i vincoli culturali, sociali ed economici con le comunità sarde fuori dell’isola e presta loro la necessaria assistenza.
3. La Regione disciplina con propria legge la partecipazione degli emigrati alle elezioni per il rinnovo del Parlamento sardo.
Art. 4.
(La lingua)
1. Il sardo, al pari dell’italiano, è lingua ufficiale nel territorio della Regione autonoma. Gli abitanti della Sardegna hanno diritto di conoscere e di usare entrambe le lingue.
2. Nel territorio di Alghero, il catalano gode analogo riconoscimento.
3. Stessa tutela è riconosciuta al gallurese, al sassarese e al tabarchino nei rispettivi territori di competenza e ambiti di diffusione.
4. Sulla base di apposite leggi la Regione e le istituzioni sarde garantiscono l’uso della lingua sarda e delle diverse lingue parlate nel suo territorio e adottano misure e strumenti necessari per assicurarne conoscenza e uso.
Art. 5.
(Insegnamento della storia
e della lingua sarda)
1. La storia, la cultura e la lingua sarda sono materie obbligatorie di insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado dell’isola.
Art. 6.
(Simboli della Sardegna)
1. La Sardegna è dotata di propri simboli che ne incarnano l’identità, il relativo uso è regolamentato con legge del proprio Parlamento.
2. La bandiera della Sardegna è quella dei quattro mori: campo bianco crociato di rosso con in ciascun quarto una testa di moro bendata sulla fronte rivolta in direzione opposta all’inferitura.
3. Il giorno dell’approvazione della presente Carta è festa della Nazione sarda.
4. L’inno sardo è «Su patriotu sardu a sos feudatàrios».
5. Il motto della Regione autonoma è «Fortza paris!».
Art. 7.
(Capitale)
1. La capitale della Sardegna è Cagliari che è anche sede permanente del Parlamento sardo, del Governo, della Consulta delle autonomie.
Art. 8.
(Quadro istituzionale)
1. La Regione autonoma è parte della Repubblica Italiana e dell’Unione europea.
2. I rapporti fra la Regione autonoma e lo Stato centrale sono ispirati al principio della pari dignità istituzionale.
3. La Regione autonoma è garante in Sardegna dei diritti inviolabili dell’uomo sanciti dalla Costituzione italiana e universalmente riconosciuti. È vietata qualsiasi forma di discriminazione per nazionalità, sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizione sociale o personale.
4. La nazionalità sarda è riconosciuta, al pari della nazionalità italiana, per tutti i cittadini sardi, indipendentemente dalla loro residenza e provenienza.
5. L’acquisizione, conservazione e perdita della nazionalità sarda, al pari della sua tutela, è regolata con legge del Parlamento sardo che si conforma ai requisiti richiesti dalle leggi dello Stato per la nazionalità italiana.
Art. 9.
(Azioni positive)
- 1. La Repubblica riconosce le cause storiche, economiche e politiche della disuguaglianza fra la Sardegna e il complesso delle regioni continentali e garantisce alla Regione autonoma, perché le amministri, le risorse necessarie al suo benessere economico, sociale e culturale.
La Nazione, il popolo, la lingua, l’insegnamento della storia e della lingua sarda, i simboli della Sardegna, la capitale, precedono i temi del quadro istituzionale, li sovrastano e li qualificano. Questi concetti rappresentano il punto di arrivo e la logica conclusione dello sviluppo storico espresso nel prologo, sottolineano il grado gerarchico delle priorità che hanno guidato i redattori e contengono ciò che la presentazione introduttiva individua quale particolare forma di identità che rende “non rimandabile la necessità di dotare la Sardegna di una Carta statutaria ispirata ai princìpi fondamentali della Costituzione repubblicana, al diritto di autodeterminazione dei popoli come sancito dai patti e dai trattati internazionali sottoscritti anche dallo Stato italiano, ai livelli più alti di autonomia raggiunti dalle Nazioni europee senza Stato”.
Il documento prefigura per l’Italia il meglio del federalismo politico, ‘solidale e compiuto”, che qualifica più ampiamente dal lato economico il solo federalismo fiscale, e alla lunga legittima in termini solidaristici e di prospettiva quanto della Lega Nord oggi si manifesta come gretto e regressivo (ma questo il documento non lo dice, e neanche potrebbe!). I diritti storici della Nazione sarda vengono difesi quale portato intrinseco, applicato al popolo sardo così come per ciascun individuo vanno garantiti i diritti e i doveri che spettano alla persona umana. La loro applicazione è solo un problema di tempo e di occasioni offerti dalla storia.
L’insularità è problema dei sardi sia nei confronti con l’esterno che nei rapporti interni. E’ un dato della geografia, che la rende l’isola più lontana dal Continente mediterraneo – e questo comporta che “spetti alla Sardegna una effettiva e illimitata continuità territoriale con il continente italiano ed europeo” – ed è problema interno rispetto al “ruolo e alla presenza dei cittadini nelle piccole comunità o nelle zone interne o svantaggiate”. Si pone un problema di servizi e di diritto alla comunicazione con i costi parificati a quelli terrestri che vigono in tutta l’Europa.
Il documento fonda nel titolo III (art. 41) un sistema fiscale autonomo capace di destinare risorse allo sviluppo della Sardegna e mette in atto una zona franca capace di trasformare l’insularità da svantaggio in vantaggio.
Tra gli aspetti economici vengono considerate anche le ricadute della partecipazione alla difesa della Repubblica (art. 44).
3.2. Il disegno di legge costituzionale sullo Statuto speciale della Regione sarda presentata al Senato della Repubblica dal sen. Antonello Cabras l’8 aprile 2010.
Siamo di fronte a un testo scritto da esperti di diritto costituzionale e introdotto da una lunga relazione politica stesa di sua mano dal senatore.
In essa, dopo avere richiamato genericamente le ragioni del ritardo (“la portata del tema e la complessità delle implicazioni di ordine politico più generale”) vengono spiegati i motivi dell’urgenza dell’elaborazione e presentazione del disegno di legge costituzionale sullo Statuto: l’approvazione della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione e della legge delega per l’attuazione del federalismo fiscale, le recentissime scelte del governo e della sua maggioranza e i grandi cambiamenti che hanno interessato la vita economica e sociale dell’Italia, dell’Europa e della Sardegna.
“Poteri e sovranità adeguati ai cambiamenti ed in grado di favorire l’affermarsi dell’autogoverno” vengono richiesti dai permanenti ritardi di sviluppo economico della Sardegna rispetto al continente, “dall’apertura dei mercati, dalla dimensione politica e territoriale dell’Europa dei 27 Paesi, dalla natura stessa dei problemi che oggi caratterizzano i differenti ambiti territoriali che insieme compongono l’Unione europea”. Essi costituiscono anche gli elementi di fondo sui quali basare la nuova dimensione e la qualità dell’autogoverno regionale. “Il concetto stesso di autonomia, come precedentemente inteso, deve lasciare spazio al dispiegarsi di una vera e propria sovranità negli ambiti costituzionalmente garantiti”.
L’autogoverno dei sardi è richiesto per ragioni funzionali e non – secondo il progetto presentato dal sen. Piergiorgio Massidda e dal Comitato che lo ha steso – per un diritto originario e permanente della Nazione sarda, diritto i cui esponenti e rappresentanti possono più o meno fare valere a seconda della contingenza e delle possibilità offerte dalla storia.
In ogni caso, anche per il sen. Cabras, all’interno dei nuovi assetti istituzionale che in Italia si vanno definendo, la specialità della Sardegna, deve rimanere con il “conseguente riassetto dei poteri fra i differenti livelli di sovranità costituzionale”. In Italia le differenze e le identità permangono, la tecnologia e i processi di globalizzazione non cancellano ciò che è stato segnato da una storia centenaria e che ancora costituisce il fondamento di questa specialità della Sardegna. “L’autogoverno concepito non solo come democrazia formale, ma soprattutto come elemento di responsabilità e partecipazione alle decisioni di valore più generale, soddisfa l’aspirazione di una comunità storica e con forte carattere di identità ad essere parte del mondo globale”.
Il senatore proponente esplicita quanto da lui richiesto agli esperti. E’ una scelta. La proposta ha come struttura portante le norme, secondo lui, ancora attuali dello Statuto del 1948, integrato e modificato con le novità costituzionali nel frattempo intervenute. La presente “proposta di revisione dello Statuto per la Sardegna è formulata con modifiche ed integrazioni alla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, e successive modificazioni (ivi comprese quelle di cui alla legge costituzionale n. 2 del 2001) ed alle disposizioni contenute nella Legge costituzionale n.3 del 2001 riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione”. “Del resto già con le leggi costituzionali nn.2 e 3 del 2001 da un lato sono state modificate parti rilevanti dello Statuto, dall’altro è stato attribuito alla regione Sardegna il potere di disciplinare con propria legge la forma di governo e il sistema elettorale”. Da qui la richiesta al Consiglio regionale sardo per ridefinire sia la forma di governo della regione attraverso la legge statutaria e sia la legge elettorale e la disciplina del referendum confermativo. La proposta-Cabras ricerca, dovunque possibile, la continuità con il presente, non intende rischiare la soluzione di continuità, tantomeno la rottura. La Sardegna è abitata da sardi che hanno il diritto alla specialità in forza delle loro differenze (geografiche, economiche, culturali, storiche) ma esse, per il senatore democratico, non fondano una soggettività istituzionale riferibile a un popolo che possa rivendicare i diritti di nazione. Il popolo sardo, presente nell’art. 28 dello statuto vigente, in questo testo non viene mai citato. E questo è una rottura. Segnala una scelta, indica una chiusura. Cabras dovrà chiarire se per lui i sardi sono un popolo che agisce da nazione.
Però insiste sulla specialità: “Occorre ridefinire i reali contenuti dell’autonomia sarda nella quale è connaturata, come caratteristica essenziale, la specialità. Devono essere riconosciuti alla regione Sardegna infatti poteri, risorse e titolarità di rapporti, non attribuibili alle regioni ordinarie, che le consentano di promuovere uno sviluppo economico e sociale più accelerato di quanto non sia sino ad oggi avvenuto, ma nel rispetto della storia, cultura ed identità dei sardi e con il previo pieno riconoscimento a livello nazionale ed europeo della condizione di insularità che attribuisca alla regione una decisiva legittimazione per partecipare a pieno titolo alle politiche di coesione europea e di sviluppo delle aree svantaggiate: ciò tanto più nel momento presente nel quale l’Unione Europea si estende fino a 27 Stati, in un contesto mondiale caratterizzato dall’economia di mercato senza i confini di del passato”.
Le invocate riforme si specificano soprattutto rispetto alla dimensione fiscale, alle “risorse aggiuntive da acquisirsi anche attraverso interventi speciali, a quello del contributo solidaristico dello Stato in una nuova forma per la “rinascita” (che tiene conto degli strumenti di programmazione negoziata), alla tutela della cultura e della lingua, alla garanzia della continuità territoriale e dei rimedi per valorizzare e non essere limitati dalla insularità”.
Come si articolano e si distribuiscono i poteri tra lo Stato e la Regione? “La ripartizione dei poteri tra Stato e regione, infatti, non si discosta da ciò che è stato definito con la riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione salvo che per quanto si ritiene utile al governo della specialità . In particolare è prevista un’estensione della potestà esclusiva della Regione in materia: di tutela dell’ecosistema e dei beni culturali, di tutela e valorizzazione dei beni culturali, insegnamento della lingua sarda, governo del territorio e tutela del paesaggio,organizzazione della giustizia di pace, porti e aeroporti civili, tutela della salute, istruzione salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche.
Il nucleo portante della proposta è, comunque, costituito dalla introduzione di alcuni princìpi fondamentali, di alcuni compiti essenziali della regione e della ridefinizione della specialità autonomistica”. Leggiamo il capo primo del disegno di legge del senatore Cabras.
Capo I
COSTITUZIONE DELLA REGIONE
E PRINCIPI FONDAMENTALI
Art. 1.
(Costituzione della regione).
1. La Sardegna con le sue isole è costituita in Regione autonoma, entro l’unità politica della
Repubblica italiana, una e indivisibile, sulla base dei princìpi fondamentali della Costituzione e
secondo il presente Statuto.
2. La Regione autonoma della Sardegna ha per capoluogo Cagliari.
Art. 2.
(Princìpi fondamentali).
1. I valori e la cultura comunitari che costituiscono il patrimonio storico dei sardi sono riconosciuti come un contributo fondamentale all’unità della Repubblica.
2. La Regione, i Comuni e le Province della Sardegna sono le istituzioni del governo autonomo dei sardi. I loro rapporti sono improntati ai principi di leale collaborazione e di gsussidiarietà.
3. La Regione collabora lealmente all’esercizio delle funzioni delle istituzioni repubblicane e
contribuisce all’integrazione europea, anche attraverso proprie specifiche rappresentanze
negli organismi nazionali e dell’Unione Europea.
4. In attuazione della Costituzione e del presente Statuto è compito dello Stato , su iniziativa
del Governo d’intesa con la Regione, garantire pari opportunità con il resto del territorio
continentale al fine di promuovere in Sardegna lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà
sociale , rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che non consentono ai cittadini sardi
eguali possibilità di accesso ai benefìci del progresso rispetto agli altri cittadini italiani, operare per
il superamento dei limiti derivanti dalle sue condizioni di insularità.
5. Lo Stato assicura ogni misura atta a realizzare condizioni di pari opportunità e rende
effettiva la possibilità di partecipazione dei cittadini sardi alla vita economica, sociale e culturale
del Paese.
6. La legge statale che disciplina le elezioni del Parlamento europeo garantisce che almeno un
trentesimo dei parlamentari europei eletti in Italia sia espresso dai cittadini residenti in Sardegna.
7. Stato e Regione garantiscono l’eguaglianza tra i cittadini, il diritto all’informazione, i diritti
inviolabili di libertà ed il diritto al lavoro.
Art. 3.
(Compiti fondamentali della regione).
1. La Regione tutela la lingua, la storia e la cultura della Sardegna, associa alle sue politiche le
comunità locali e garantisce la effettiva e piena partecipazione dei sardi, anche attraverso le
rappresentanze sociali e culturali, alle scelte fondamentali dello sviluppo dell’Isola attraverso
specifici istituti definiti dalla legge regionale.
2. La Regione garantisce il diritto dei propri cittadini ad una corretta informazione con ogni
mezzo e contrasta situazioni di monopolio dei mezzi di informazione.
3. La Regione garantisce ai sardi non residenti nel suo territorio adeguate forme di
rappresentanza politica e di partecipazione alle iniziative che tendono a favorire il mantenimento
del rapporto tra loro e la terra d’origine.
4. La Regione assicura a tutti i cittadini di paesi non appartenenti all’Unione Europea , che
risiedono nel suo territorio adeguate forme di partecipazione alla vita politica ed amministrativa nel territorio della Regione.
Art. 4.
(Sviluppo e continuità territoriale,
intesa Stato-regione).
1. I rapporti della Regione con lo Stato sono definiti secondo il metodo dell’intesa, sulla cui
base sono disciplinati tutti gli interventi attuati nel territorio della Sardegna, mediante leggi e
provvedimenti amministrativi in attuazione dei commi 4 e 5 dell’articolo 2. Nell’intesa sottoscritta
tra il Governo della Repubblica e la Regione, sono garantite, con il concorso dell’Unione europea,
in attuazione dei Trattati sull’Unione europea, misure atte a realizzare, per la mobilità di persone e
merci, condizioni di opportunità e livelli di costi pari a quelli realizzabili nel territorio continentale,
anche con specifiche deroghe alle regole generali dell’Unione europea in materia di concorrenza e
aiuti di stato.
2. Lo Stato d’intesa con la Regione promuove la concertazione per definire principi e modalità dell’esercizio della potestà fiscale nell’ambito del territorio della Sardegna.
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Il ddl costituzionale del sen. Antonello Cabras continua fino all’ottavo capo e contiene trenta articoli. Ai principi fondamentali (I) seguono le funzioni della regione (II), le finanze e patrimonio (III), gli organi della regione (IV), gli enti locali (V), i rapporti tra lo Stato e la Regione (VI), le regole per la revisione dello statuto (VII)., le norme transitorie e finale (VIII).
Il presentatore si preoccupa di sottolineare nelle relazione introduttiva la necessità di “promuovere la più ampia partecipazione popolare coinvolgendo tutte le forze sociali, culturali, produttive e gli enti locali, per rendere la società sarda davvero protagonista di questa fase della sua storia e del processo di crescita e di globalizzazione europeo e mondiale, e affrontare insieme il rafforzamento dell’autogoverno, la riforma delle istituzioni, il rinnovamento della politica”.
La preoccupazione del senatore del partito democratico muove dallo stesso punto di vista di coloro che proponevano una rinforzato mandato popolare, e quindi un nuovo organismo quale l’assemblea costituente, per scrivere un testo che riaffermi solennemente il principio pattizio, “come sigillo finale a tutta la procedura di modificazione” dello statuto. Cosa comporta il principio pattizio quando lo si applichi alla costruzione politico-istituzionale, nei contenuti e persino nello stile del nuovo statuto? Ci si domandi, infatti: e se lo Stato – Parlamento, governo o Corte Costituzionale non importa – non condividesse il principio pattizio e riaffermasse un approccio istituzionale inteso secondo una forma più o meno dignitosa di decentramento di poteri e competenze, come si risponderebbe da noi, da parte delle istituzioni e della politica? Di quale forza concettuale e giuridica devono essere dotate le nostre argomentazioni perché siano, appunto, differenti e speciali?
Il documento di Cabras prevede la concertazione tra la Regione e lo Stato attraverso l’istituto dell’intesa, che potrebbe intendersi anche in termini politici oltre che “per l’esercizio della potestà fiscale dei differenti livelli statale,regionale e degli enti locali”. L’ esperienza degli ultimi sessant’anni – ma su questo punto bisogna aggiungere ad essi anche gli altri novanta di partecipazione all’unità italiana – dimostra quanto labili siano gli impegni anche sottoscritti in costituzione, se non sono fatti rispettare dal consenso popolare e dalla dignità delle classi dirigenti.
Ma questa è una questione che riguarda tutti e da qualsiasi punto di vista istituzionale si parta, e a qualsiasi gruppo o partito politico si appartenga in Sardegna. Riguarda l’essere cittadini di un’isola che si trovano di fronte a dover definire se stessi e riuscire a trovare i modi, le forme e le forze per fare riconoscere la propria autodefinizione sia rispetto allo Stato italiano che nei confronti degli altri popoli nel mondo.
4. Conclusioni provvisorie. Le ragioni e la forza.
Il popolo e la classe dirigente sarda hanno capito da tempo che l’autonomia della Sardegna espressa nello Statuto del 1948 non corrispondeva ai propri diritti né era capace di condurli ai risultati economici di parificazione con il continente promessi dall’art. 13, ma soprattutto era una catena che li legava all’ultimo posto nella gerarchia molto fitta dei problemi italiani. Aveva iniziato il decimo congresso del Partito Sardo d’Azione, il 18-19 marzo 1951[16]: nelle sue relazioni, negli interventi e nei documenti venivano individuati i limiti e già previsti gli infausti sviluppi. E’ ancora nel partito sardo degli anni ’60 che l’opera del suo dirigente Antonio Simon Mossa delineava gli elementi della catastrofe antropologica che sarebbe conseguita a una modernità subalterna nei suoi aspetti economici, culturali, sociali e istituzionali. L’indipendenza della Sardegna e la direzione del federalismo tra i popoli dell’Europa, a iniziare dai popoli-senza-stato, è il frutto della sua predicazione, non a caso intensificatasi negli anni 1966-67[17], in coincidenza della presentazione del primo, e finora unico, ‘odg-voto al Parlamento italiano’, rivolto dal Consiglio regionale della Sardegna in occasione della messa in forse dei finanziamenti della rinascita.
Sono ancora oggi operativi i (già) giovani che negli anni ’70 proseguirono quella lezione contribuendo al nuovo spirare del vento sardista nel decennio successivo. Da allora ci si è ripetuti. Noi stessi stiamo ripetendo quanto più volte scritto e sentito, prima di noi, da altri. Si controlli direttamente la ricchezza e la chiarezza storica espresse nella mozione di sovranità approvata nel/dal Consiglio regionale nel 1999, ormai più di dieci anni orsono. Avviene come se, a intervalli, prendessimo consapevolezza dei nostri interessi e obblighi, ma poi mutassimo ordine del giorno, temporaneamente appagati nella coscienza, senza produrre fatti. Salvo poi, inevitabilmente, ritrovarsi di fronte ai ritorni e alle urgenze che i veri problemi sempre ripropongono.
Come crediamo che reagiranno le istituzioni statali italiane di fronte a queste due proposte statutarie? Ma, siamo proprio sicuri che ci sarà una risposta? Che, prima di fare qualsiasi mossa, non tenteranno di lasciarci affogare nel silenzio della lontananza, messi da parte a spazientirci nell’impotenza, pensando di abbandonarci nella nostra insicurezza? Gli italiani sono immersi, infatti, in problemi più vicini, che considerano più importanti di quelli di un’isola sempre lontana. Il silenzio e la non-considerazione è ciò che presumibilmente dovremo aspettarci. Oppure, i tempi e i modi istituzionali si faranno così lenti da rendere ovattata e silente ogni nostra richiesta. O, ancora: potranno venire selezionate le richieste meno impegnative come risposta ai loro sostenitori locali. Oppure….
Se si inizia – bisogna intraprenderlo infine il cammino delle nostre riforme istituzionali! – bisogna fare sul serio, assumere decisioni, tenere presenti e rispettare le responsabilità, compiendo il proprio dovere e vigilando e che tutti lo facciano.
Il Consiglio regionale e la Presidenza della giunta sono i massimi rappresentanti istituzionali del popolo sardo. Una volta che il Consiglio abbia definito il percorso, sarà inevitabilmente il Presidente a guidare la delegazione sarda che si interfaccerà con i rappresentanti dello Stato. La delegazione sarda può comporsi di figure istituzionali (consiglieri, parlamentari amministratori) attualmente attivi, ma può anche contenere personalità di esperienza e competenza (ex presidenti della Regione, del Consiglio, ex parlamentari). “Chi fa cosa”, rappresenta un primo problema da risolvere per evitare confusioni di ruolo e le inevitabili complicazioni.
Se il popolo non viene coinvolto dall’inizio, difficilmente sarà mobilitabile nel tempo delle difficoltà e delle incomprensioni con l’interlocutore. L’assemblea costituente promuoveva la mobilitazione già nel suo organizzarsi. E questo è stata l’esperienza della legge approvata e poi disconosciuta. Se non si persegue quella strada occorre trovare modi efficaci di mobilitazione. A meno che la maggioranza del Consiglio e della classe dirigente non si ponga nelle condizioni di chiedere solo quanto lo Stato ha interesse a concedergli.
Il consenso del popolo sardo rappresenta l’unica vera e indispensabile force de frappe per questa necessaria avventura. Tra non molto tempo usciranno nuovi documenti, arriveranno al confronto altri punti di vista, si misureranno differenti proposte. Sarebbe utile per tutti che queste arrivassero bene accette e accolte nel loro aspetto migliore. L’impresa è così grande che c’è posto per tutti.
Se ci troviamo nuovamente nell’urgenza, sentendoci addosso i venti che arrivano da Roma e da Milano, non è certo perché in questi decenni non si sia capito o non si sia elaborato e lavorato, almeno da parte di coloro che per mestiere o per passione riflettono su quanto si muove nella nostra società. Della cultura si ha bisogno, però la cultura non basta. Dhia cheret homines. E sardos!
[1] La Fondazione Sardinia è un’associazione culturale fondata nel 1991, con sede a Cagliari, che nel suo statuto si propone di “attuare tutte le iniziative tendenti a incrementare la presa di coscienza e il diretto protagonismo dei Sardi verso obiettivi di autoconsapevolezza e di protagonismo economico, sociale, politico e culturale”.
[3] Deghe Chistiones, pubblicato nel sito di Sardegna Democratica il 7 aprile 2010.
[4] L’importante documento fu presentato il 25 settembre 1998 dai consiglieri Salvatore Bonesu, Giacomo Sanna, Efisio Serrenti e venne approvata dal Consiglio regionale della Sardegna il 24 febbraio 1999 con 44 si, 2 no e 13 astensioni).
[5]Il testo della mozione n° 46 CONTU Felice – DEDONI – CUCCU, sulla formulazione di un ordine del giorno voto al Parlamento per la stipula di un nuovo patto costituzionale (così come previsto dall’articolo 51 dello Statuto sardo), presentata il 4 marzo 2010, manca degli ultimi due capoversi, cioè della parte che concerne l’assemblea costituente del popolo sardo.
[6] Mozione MANINCHEDDA – SANNA Giacomo – PLANETTA – DESSÌ – SOLINAS Christian sull’indipendenza della Sardegna.
[7] Tra gli studiosi non accademici vanno messe in evidenza alcune tra le numerose opere di carattere storico e istituzionale sul federalismo, sardo e no, di Gianfranco Contu (“Il federalismo in Sardegna, un’alternativa perdente?”, Editrice Altair, Cagliari 1982; e ancora: “La questione nazionale sarda”, Alfa Editrice, Cagliari, 1990) e di Alberto Contu (“Le ragioni del federalismo”, Istituto Camillo Bellieni, Sassari, 1992; – a cura di – “Il pensiero federalista in Sardegna”, 2 vol. Condaghes, Sassari, 1996).
[8] A partire dalla primavera e per tutta l’estate del 1999 l’associazione Tramas de Amistade – promossa da professionisti di sensibilità ‘patriottica’ sarda a Sassari, Nuoro e Cagliari – raccolse le firme in margine alla richiesta di un referendum propositivo sotto lo slogan di “Europa della regioni”. Nella città di Cagliari e nelle sue spiagge, d’estate, si distinse l’impegno dell’associazione studentesca UGS.
[9] Il 20 settembre del 2000 si riunì, presso la sede della Fondazione Sardinia, in piazza Santo Sepolcro n° 5 in Cagliari, il gruppo che animò il comitato per l’assemblea costituente del popolo sardo, la cui attività portò alle assemblee popolari, agli incontri con gli amministratori locali e con le associazioni, all’approvazione della legge regionale e, quindi, alla presentazione del progetto al Presidente della Repubblica Azeglio Ciampi in Quirinale e al Presidente del Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi.
[10] Il documento è compreso nel saggio presentato da Pietro Pintori, “Riforme istituzionali fra forma della politica e forme del governo”, ed è disponibile nel volume (a cura di) S. Cubeddu, l’ora dei Sardi, Edizioni Fondazione Sardinia, Cagliari 1999, pag. 71 ss.
[11] L’Unione Sarda, 1999.
[12] Al comitato di Sa die, presieduto dal prof. Giovanni Lilliu, hanno partecipato, con le associazioni culturali riunite nella sede della Fondazione Sardinia, i più importanti storici della contemporaneità sarda e gli artisti più popolari.
[13] Il nome completo è: “Comitato promotore di un progetto di legge d’iniziativa popolare per l’approvazione di un nuovo statuto d’autonomia speciale della Sardegna”.
[14] Il Comitato, consapevole e orgoglioso dell’esito del proprio impegno, ha previsto quale nuova Die de sa Sardigna la data dell’approvazione di questo documento. Il 28 aprile 1794 è, però, iniziata la storia della Sardegna contemporanea con i problemi che ancora viviamo. Pur con tutte le contraddizioni che sempre simili eventi contengono, in quel giorno la battaglia di liberazione dei sardi si unì alla festa, il colonizzatore venne umiliato, le città e le campagne sarde per una volta si unirono nella lotta, dopo tempo si risvegliò la ‘Sarda Nazione’. Nacque l’inno nazionale: “Procurad’ e moderare…”. Questa data va più che bene.
[15] “COMITATO firma per la tua Sardegna” , Comitato promotore del nuovo Statuto speciale della Sardegna attraverso una legge d’iniziativa popolare, Il nuovo statuto speciale per la Nazione sarda, Sa Carta de Logu no pro sa Natzione sarda”, Ed. Condaghes, Cagliari, 2008. Lo stesso Comitato ha promosso il testo di: Francesco Cesare Casula, GLOSSARIO DI AUTONOMIA SARDA, Presentazione di Francesco Cossiga, Carlo Delfino editore, Sassari, 2007.
[16]Una ricostruzione di questi motivi e dei fatti relativi la si può trovare in S. Cubeddu, Sardisti, viaggio nel Partito Sardo d’Azione tra cronaca e storia, vol. II, Edes, Sassari, 1996, pag. 71 ss.).
[17]Una ricostruzione di questi motivi e dei fatti relativi la si può trovare in S. Cubeddu, Sardisti, viaggio nel Partito Sardo d’Azione tra cronaca e storia, vol. II, Edes, Sassari, 1996, pag. 71 ss.).
La Sardegna nel cunicolo della storia (facciamo il punto sul dibattito istituzionale),
di Salvatore Cubeddu
SOMMARIO. 1. Premessa. 2. Facciamo chiarezza sulle istituzioni sarde: nuovamente “ i sardi di fronte all’ Italia”. 2.1. L’ordine del giorno – voto al Parlamento italiano da parte del Consiglio regionale della Sardegna, della Fondazione Sardinia. 2.2. La mozione sull’indipendenza della Sardegna, presentata al Consiglio regionale dal Gruppo consiliare sardista il 21 maggio 2009. 3. Cambiare lo Statuto sardo, le proposte sul campo: 3.1. Sa Carta de Logu de Sardigna, presentata dal sen. Piergiorgio Massidda al Senato della Repubblica il 27 novembre 2008; 3.2. Il disegno di legge costituzionale sullo Statuto speciale della Regione sarda presentata al Senato della Repubblica dal sen. Antonello Cabras l’8 aprile 2010. 4. Conclusioni provvisorie. Le ragioni e la forza.
(il saggio è stato pubblicato sulla rivista Camineras, Periòdicu de politica e de cultura, n° 1, lampadas 2010, Ed. Condaghes)
La Sardegna nel cunicolo della storia (facciamo il punto sul dibattito istituzionale)
di Salvatore Cubeddu
… cando si tenet su ‘entu, est prezisu bentulare!
(dall’inno nazionale sardo, di Francesco Ignazio Mannu, 1795)
…. quindi uscimmo a riveder le stelle.
(Dante Alighieri, Il Paradiso, canto XXXIV, verso 139)
di Salvatore Cubeddu
SOMMARIO. 1. Premessa. 2. Facciamo chiarezza sulle istituzioni sarde: nuovamente “ i sardi di fronte all’ Italia”. 2.1. L’ordine del giorno – voto al Parlamento italiano da parte del Consiglio regionale della Sardegna, della Fondazione Sardinia. 2.2. La mozione sull’indipendenza della Sardegna, presentata al Consiglio regionale dal Gruppo consiliare sardista il 21 maggio 2009. 3. Cambiare lo Statuto sardo, le proposte sul campo: 3.1. Sa Carta de Logu de Sardigna, presentata dal sen. Piergiorgio Massidda al Senato della Repubblica il 27 novembre 2008; 3.2. Il disegno di legge costituzionale sullo Statuto speciale della Regione sarda presentata al Senato della Repubblica dal sen. Antonello Cabras l’8 aprile 2010. 4. Conclusioni provvisorie. Le ragioni e la forza.
1. Premessa. La Fondazione Sardinia[1] ha coordinato l’elaborazione dell’ “ordine del giorno – voto al Parlamento italiano” distribuito a ciascun consigliere regionale il 4 febbraio 2010. Questo documento – richiesto da vari politici presenti al convegno di Santa Cristina in Paulilatino (24 gennaio 2010, “Sardegna: statuto e sovranità. Progetti ed esperienze di autodeterminazione in Europa”) – è ora depositato in Consiglio regionale con la firma di due rappresentanti del centrodestra e di uno del centrosinistra[2], quindi bipartisan, come concordato in quella sede. Esso attende la firma di altri consiglieri regionali in vista della discussione e dell’approvazione del Consiglio. Evidentemente, una volta consegnato a ciascuno dei consiglieri e sottoposto ai deliberati del Consiglio, l’odg – voto non è più della Fondazione Sardinia. E’ difficile che le interne dinamiche e la differenza dei punti di vista non portino a nuove formulazioni.
Nello stesso Consiglio regionale è pure depositata, dal 21 maggio 2009, la mozione per l’indipendenza della Sardegna del gruppo consiliare sardista.
Al Senato della Repubblica giace il disegno di legge costituzionale presentato dall’on. Piergiorgio Massidda del PDL (il 27 novembre 2008, statuto speciale della Sardegna denominato “Carta de logu de Sardigna”), per il quale ha lavorato un apposito comitato costituito con la supervisione politica dei più importanti esponenti sardi del Partito della Libertà, ma non è stato ancora presentata in Consiglio regionale. La nuova “Carta de logu…” è soprattutto opera della diaspora culturale sardista approdata nel centrodestra.
L’8 aprile scorso il senatore sardo del Partito Democratico, Antonello Cabras, ha depositato presso lo stesso Senato un disegno di legge costituzionale sullo statuto speciale della regione sarda.
Altrove[3] abbiamo scritto che queste iniziative sono tutte innovative e non necessariamente tra loro concorrenti. Vedremo in seguito che tutto ciò va meglio specificato per le due formulazioni presentate al Senato della Repubblica, che però hanno in comune il richiamo all’art. 58 dello Statuto vigente allorché fissa il percorso delle modifiche statutarie.
Questo saggio intende esaminare i quattro documenti, a partire da quello su cui più particolarmente e direttamente ci si è impegnati, l’ordine del giorno-voto” messo a disposizione del Consiglio regionale della Sardegna il 4 febbraio 2010 dalla Fondazione Sardinia e per il quale non è disponibile finora una presentazione esplicativa.
I documenti hanno anche funzioni distinte: mentre l’odg-voto e la mozione sull’indipendenza della Sardegna intendono, seppure in termini differenti, porre dei punti fermi sull’avvio del processo riformatore delle istituzioni sarde, le due proposte di statuto ne prefigurerebbero, invece, se approvate, l’esito finale.
2. Nuovamente “ i sardi di fronte all’ Italia”. L’ordine del giorno-voto e la mozione sull’indipendenza della Sardegna hanno quale comune e fondamentale antecedente di riferimento la “mozione sulla sovranità della Sardegna” approvata dal Consiglio regionale della Sardegna il 24 febbraio 1999[4].
Entrambi i documenti dichiarano essere ‘chiusa’ la presente fase sessantennale dell’autonomia realizzata in Sardegna, ne precisano le ragioni e le conseguenze, dichiarano aperta una nuova fase dei rapporti con le istituzioni italiane responsabilizzando di essa le istituzioni sarde, il Consiglio regionale da parte dell’odg-voto, la Giunta regionale da parte della mozione sardista. Con esiti distinti: un nuovo patto costituzionale relativamente all’odg-voto, che resta aperto a svariate soluzioni ma ne specifica lo strumento nella ‘assemblea costituente; l’indipendenza della Sardegna relativamente al gruppo consiliare sardista. Qui di seguito si entra nel merito, trascrivendo i documenti e commentandone il contenuto.
2.1. Ordine del giorno voto al Parlamento (art. 51 Statuto Sardo). Riportiamo il documento, analizzandolo subito dopo:
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Il Consiglio regionale della Sardegna
Premesso che la Mozione approvata da questo organismo il 24 febbraio 1999 afferma
-“il diritto del Popolo Sardo di essere padrone del proprio futuro”,
– “il diritto e il dovere del Consiglio regionale di rappresentare l’intero Popolo sardo, ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto” ,
premesso il diritto del Popolo Sardo a difendere e rafforzare l’autogoverno della Sardegna così come si evince dal Patto costituzionale che ha avuto un suo primo riconoscimento nello Statuto del 1948;
constatato che l’ attuale regime di Autonomia
– non ha realizzato il suo significato più importante, quello dell’autogoverno e dello sviluppo economico,
– non risponde alle richieste dei nuovi problemi creati dai cambiamenti sociali, dalla unificazione europea, dalla globalizzazione,
– mortifica la volontà della Sardegna di attuare quelle scelte che ne garantiscano la libertà e la prosperità,
– acuisce la conflittualità fra Stato e Regione quasi sempre a sfavore della Sardegna;
constatato che la condizione di dipendenza, anziché ridursi, si è accresciuta nel sistema politico, finanziario, economico, culturale, educativo, sanitario, delle servitù militari, delle risorse energetiche, dei beni culturali e artistici, nonché nella presenza delle multinazionali operanti in Sardegna, nella esclusione dalla rappresentanza nel Parlamento europeo;
considerato che l’identità storica, geografica, culturale e linguistica esige un’identità politica chiaramente definita e un forte autogoverno; che mancano interventi risolutori da parte dello Stato nel campo sociale ed economico; che la crescita di una coscienza e di una fede nel Popolo sardo e nella Nazione sarda, come valori capaci di innescare processi di cambiamento e di sviluppo, può essere progettata e attuata solo attraverso una piena sovranità attribuita alle istituzioni del Popolo Sardo;
riafferma i principi di sovranità contenuti nella mozione approvata dal Consiglio regionale il 24 febbraio 1999, nonché le sue motivazioni storiche, culturali e politiche, con le quali è stata confermata solennemente “la sovranità del Popolo Sardo sulla Sardegna, sulle isole adiacenti, sul suo mare territoriale e sulla relativa piattaforma marina” , riprendendosi la sovranità a suo tempo frettolosamente abbandonata nelle mani della monarchia Sabauda in cambio della ‘fusione perfetta’ con gli stati della terraferma”,
dichiara politicamente e istituzionalmente conclusa la vicenda storica susseguente alla rinuncia alla proprie sovrane istituzioni avvenuta nel lontano 29 novembre 1847 e solo parzialmente recuperata nello Statuto del 1948. E, pertanto,
disconosce la petizione portata avanti dalle Deputazioni delle tre maggiori città dell’Isola “rivolta alla impetrazione per la Sardegna della perfetta fusione con gli Stati R. di terraferma, come vero vincolo di fratellanza, in forza di qual fusione ed unità di interessi si otterrebbero le bramate utili concessioni…” (Deliberazione del Consiglio Generale di Cagliari, del 19 novembre 1847); altresì
denuncia come non valida la concessione della ‘perfetta fusione’ deliberata dal Re di Sardegna Carlo Alberto, con Regio Biglietto del 20 dicembre 1847, a cui non fece seguito alcuna consultazione popolare attraverso plebiscito – come avverrà nelle altri stati italiani in vista dell’unità del 1861 -, in palese trasgressione con il dettato dei trattati internazionali di Londra del 1720 e, soprattutto, senza il voto dei tre Stamenti sardi, unico organo autorizzato a risolvere una simile questione internazionale. Conseguentemente
chiede al Parlamento la stipula di un nuovo Patto costituzionale, partecipando con pieno diritto e nel rispetto della rappresentanza del Popolo Sardo al processo di riforma e di revisione della Costituzione italiana;
rivendica il diritto di partecipare al processo di riforma secondo le forme che la legittima rappresentanza del Popolo Sardo vorrà seguire, nel rispetto della sovranità popolare e della natura “nazionale” del suo popolo, nel contemporaneo riconoscimento di una più alta ed efficace forma di autogoverno della Sardegna, nella convinzione maturata anche in Italia secondo la quale il Paese è diventato uno stato plurinazionale e pluriculturale nella sostanza ma non ancora nella forma costituzionale, nella fiducia che il nuovo Patto costituzionale offrirà anche alla Sardegna la possibilità di convivere fraternamente con i popoli dell’Italia.
Il Consiglio Regionale della Sardegna
ribadisce, infine, nel rispetto della propria tradizione democratica: – i valori di coesione economico – sociale e il modello di libertà, di democrazia, di benessere e di progresso tipici delle diverse nazioni presenti in Europa; – l’amichevole collaborazione alle comunità ed agli Stati frontalieri del bacino Mediterraneo per il progresso degli interessi comuni”;
dà avvio alla elaborazione del nuovo Statuto – Costituzione della Sardegna tramite un’assemblea costituente il cui lavoro verrà confermato da questo Consiglio regionale con il voto e dai cittadini sardi tramite referendum[5].
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Lo Statuto della Regione Autonoma della Sardegna, all’art. 51, comma 1, afferma: “Il Consiglio regionale può presentare alle Camere voti e proposte di legge su materie che interessano la Regione”. Il tema del patto costituzionale tra la Sardegna e l’Italia ha rappresentato, fin dal sorgere del movimento autonomistico subito dopo la fine del primo conflitto mondiale, il fulcro politico e culturale della richiesta di libertà e di autogoverno da parte dei Sardi e la condizione ritenuta necessaria e preliminare di ogni loro prosperità. Lo Statuto del 1948 ne ha costituito una prima tappa.
Questo patto è oggi sotto molti punti di vista superato dai processi economici, culturali, sociali e costituzionali in atto in Italia e in Europa. La Sardegna e le sue istituzioni rischiano di arrivare tragicamente in ritardo ai nuovi appuntamenti, di farsi espropriare di propri diritti inalienabili, di dover restare oggetto e non soggetto delle trasformazioni della storia.
Ma niente è mai definitivamente perduto se le istituzioni di un popolo tengono fermi il senso e la direzione del loro futuro. La padronanza sui propri tempi è parte essenziale del rispetto di sé, negli individui e nei popoli. Bisogna difendere a tutti i costi l’ordine del giorno della propria storia. Al Consiglio regionale appartiene la responsabilità del futuro dei Sardi. E’ un diritto. E’ un dovere. Non c’è Stato, non c’è Unione Europea che possa sostituirlo in questo compito. Anche se questi lo volessero, non basterebbero. Molteplici nel tempo sono stati i rapporti della Sardegna con stati d’oltremare. L’esperienza dovrebbe avere insegnato ai Sardi che nessuno tra di essi è sbarcato su questa terra per fare principalmente gli interessi dei suoi cittadini.
Il Consiglio regionale della Sardegna ha assunto decisioni significative nell’affermazione dei diritti inalienabili della Nazione sarda. L’ultimo e più significativo documento sull’identità istituzionale del Popolo sardo è stato approvato da questo Consiglio il 24 febbraio 1999. Il titolo è giustamente ambizioso: “Mozione di sovranità del Popolo sardo”. Al termine dell’apparato motivazionale essa proclama “la sovranità del Popolo Sardo sulla Sardegna, sulle isole adiacenti, sul suo mare territoriale e sulla relativa piattaforma marina”. Il documento che andiamo presentando opera alla luce dei principi della sovranità, ne conferma le motivazioni, ne applica gli aspetti. Insomma: con questo odg-voto il Consiglio regionale assurge a rappresentante del Popolo e della Nazione sarda nel pieno dei suoi compiti storici.
Il presente Statuto autonomistico ha assolto il suo compito di parziale espressioni di questa sovranità ma manifesta da tempo i propri limiti, come è opinione comune tra le espressioni culturali e politiche che riflettono sui destini dell’Isola. E’ sotto gli occhi di tutti i cittadini che la condizione di dipendenza della Sardegna dall’esterno, anziché diminuire, si è accresciuta in quasi tutti i settori della vita civile, sia rispetto alla nostra possibilità di autogovernarci, che rispetto alla nostra capacità di raggiungere livelli di prosperità confrontabili con le regioni europee. Per chi li vuole vedere, è indubitabile che i processi economici vissuti dalla Sardegna soprattutto nel settore su cui più sono state concentrate le risorse e le attese – quello della grande industria - sono stati caratterizzati prima dallo sfruttamento e ora dall’abbandono.
Eppure sono le considerazioni positive quelle che devono guidare i Sardi nell’aprire le prospettive per un migliore domani. Quindi, l’identità storica, geografica, culturale e linguistica esige un’identità politica chiaramente definita e un forte autogoverno. La crescita della coscienza e della fede nel Popolo sardo e nella Nazione sarda, possono porsi quali valori capaci di innescare processi di cambiamento e di sviluppo. E tutto questo può venire progettato e attuato solo attraverso una piena sovranità attribuita alle istituzioni del Popolo Sardo. “I paesi non sono coltivati in ragione della loro fertilità, ma in ragione della loro libertà”.., « la prosperità … segue sempre la libertà”, affermava Montesquieu nel 1748 rendendo esemplare la storia sarda nel legame necessario tra libertà (autonomia-indipendenza) e prosperità (sviluppo).
I Sardi devono provvedere a se stessi. Pertanto hanno bisogno di disporre pienamente di tutte le proprie risorse: territoriali, culturali, sociali, istituzionali. E, attraverso questo documento, in questa sede e occasione, il Consiglio regionale compie un atto solenne in cui rinnova la riappropriazione dei propri diritti e doveri di principale rappresentante delle istituzioni sarde. Decide di fare i conti con gli antecedenti storici immediatamente precedenti a questa fase (il rapporto con la monarchia sabauda), ma tenendo ben presente l’insieme del percorso storico così come ricordato nella mozione sulla sovranità.
Di conseguenza il Consiglio regionale compie i seguenti atti politici e istituzionali:
Primo: dichiara conclusa la vicenda decisa nel novembre-dicembre del 1847 e quella, sussidiaria e successiva, dello Statuto del 1948,
Secondo: all’interno di quella vicenda storica, disconosce la petizione delle tre città (Cagliari, Sassari, Alghero), le cui delegazioni non avevano la rappresentatività né il regolare mandato per rivolgere quella supplica, e ne specifica le ragioni:
- nella rinuncia al Regno di Sardegna non venne coinvolto il Popolo sardo, neanche tramite plebiscito, come invece furono coinvolti i popoli degli stati che aderirono all’Italia a partire dal 1861;
- non vennero rispettati i quattro trattati internazionali che regolavano il passaggio del Regno di Sardegna dagli Asburgo di Spagna agli eredi del Ducato di Savoia, che solo attraverso il titolo di Re di Sardegna divennero re;
- non furono convocati né il tema venne affrontato dagli Stamenti.
Terzo: il Consiglio regionale della Sardegna decide di dare inizio a una nuova fase della storia dei rapporti tra l’Isola e l’Italia, tra il Popolo sardo e il Popolo italiano, decidendo di partecipare consapevolmente e senza subalternità al processo costituzionale in corso in Italia e in Europa, attraverso la discussione e la stipula di un nuovo patto costituzionale tra individualità sovrane e “nazionali”.
Quarto: il Consiglio regionale definisce il quadro dei valori all’interno dei quali intende mettere in opera la propria costruzione istituzionale e culturale, la prospettiva economica e sociale, la collocazione tra le nazioni d’Europa e nel contesto mediterraneo.
Quinto: il Consiglio regionale definisce il percorso interno che porterà al nuovo Statuto-Costituzione della Sardegna. Di per sé questa ultima parte del documento potrebbe non fare parte di esso, visto che il tema degli strumenti attraverso i quali procedere al nuovo Statuto-Costituzione potrebbe venire compreso tra le questioni interne (vedi la legge statutaria), di competenza esclusiva dello stesso Consiglio una volta stabiliti e concordati con il Parlamento i nuovi principi costituzionali del Patto. Ma siccome il tema degli strumenti – cioè l’assemblea costituente, la consulta e/o altre forme di consultazione più o meno allargata e qualificata - ha occupato la discussione degli ultimi dieci anni (e la stessa Fondazione Sardinia se ne è fatta parte attiva) si precisano qui di seguito alcuni caratteri di una proposta che impegna le istituzioni sarde senza coinvolgere quelle statuali.
Il coinvolgimento popolare nasce da esigenze democratiche e partecipative, ma soprattutto ha presente il dato ineliminabile che solo una classe dirigente che abbia la fiducia del popolo è in grado di porre gli interessi sardi al confronto – e al possibile scontro in caso di conflitto – con gli interessi esterni, sia quelli privati che quelli rappresentati da un certo modo di intendere gli interessi dello Stato in Sardegna.
I punti essenziali espressi in questo documento sono rappresentati da: 1) il ruolo di indirizzo del Consiglio regionale, secondo l’art. 58 dello Statuto. Il Consiglio convoca, tramite una propria legge, l’Assemblea Costituente del Popolo sardo, ne stabilisce il numero dei componenti e la modalità della loro elezione, ne precisa i tempi di inizio e di durata; 2) l’Assemblea elabora uno o più testi (testo unitario, di maggioranza, di minoranza) che verranno sottoposti sia all’approvazione del Consiglio regionale e sia al referendum confermativo da parte del corpo elettorale. 3) Il Consiglio regionale farà proprio il testo approvato dalla maggioranza del Popolo sardo. 4) Questo testo sarà il referente del nuovo patto costituzionale tra la Sardegna e lo Stato.
Infine, su questo punto, una nota pratica: visto il fallimento delle ultime convocazioni referendarie, sarebbe opportuno che l’eventuale elezione popolare di un’assemblea costituente venisse appaiata ad altre elezioni locali. Dopo le prossime, della fine di questa primavera, avremo tre anni di probabile vacanza elettorale. Le difficoltà per richiamare il corpo elettorale saranno inevitabili.
2.2. La mozione sull’indipendenza della Sardegna, presentata al Consiglio regionale dal Gruppo consiliare sardista il 21 maggio 2009[6].
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IL CONSIGLIO REGIONALE
ACCERTATO che:
- lo Stato italiano è largamente responsabile:
1) dell’inquinamento dei siti industriali più importanti della Sardegna;
2) della desertificazione del settore manifatturiero in Sardegna;
3) dell’eccesso di pressione fiscale e tariffaria sulle imprese e sui cittadini;
4) del sistema di regole e privilegi che sta consegnando la Sardegna a poche imprese dominanti, ormai prossime a configurarsi come oligopoli;
5) del tentativo di scaricare sul bilancio regionale i costi del welfare, della scuola e degli enti locali, oltre quelli già a carico della Regione, dei trasporti e della sanità;
6) della spoliazione culturale derivante da una sistema scolastico monolingue, ostile alla cultura e alla lingua dei sardi, sostanzialmente non diversificato nell’offerta formativa e ormai allontanato dalle aree rurali;
- la maggior parte dei fondi statali stanziati negli anni passati per l’industrializzazione della Sardegna è stata consumata da industrie di Stato che poi hanno abbandonato e continuano ad abbandonare la Sardegna;
RICORDATO che il patrimonio boschivo e ambientale della Sardegna ha subito i maggiori insulti per le concessioni governative concesse dallo Stato;
ASSUNTO che nei settori della sanità, dei trasporti e della scuola, lo Stato italiano da una parte impone le regole antiquate e oligopolistiche che caratterizzano da sempre la sua storia e la sua cultura, dall’altro scarica interamente i costi di questi diritti sulla fiscalità regionale, cioè sulla ricchezza prodotta dai sardi;
CONSTATATO il privilegio accordato nel tempo dallo Stato italiano alle regioni del nord Italia in termini di trasferimenti pubblici, di servizi e di infrastrutture, confermato recentemente dalla rimodulazione del riparto di alcuni fondi europei che ha determinato che nel sud e nelle isole sia rimasto poco più del 30 per cento delle risorse originariamente disponibili;
RICORDATO che del territorio della Sardegna decidono i sardi e non lo Stato italiano,
impegna la Giunta regionale
a guidare la Sardegna verso una piena e compiuta indipendenza, avviando con lo Stato italiano una procedura di disimpegno istituzionale che preveda un quadro articolato di indennizzi per la Nazione sarda, in ragione di tutte le omissioni, i danni e le sperequazioni che la Sardegna ha subito prima dal Regno d’Italia e poi dalla Repubblica italiana. Cagliari, 21 maggio 2009
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Si rileva subito che ci si trova di fronte a un formidabile j’accuse nei confronti di centocinquant’anni di unità d’Italia. Si tratta di un vero e proprio manifesto politico, dallo stile diretto, dove le parole sono frecce attraverso le quali la storia sarda chiama in giudizio e subito condanna le politiche di intere generazioni e di protagonisti della politica italiana in Sardegna. Ma, anche se esplicitamente non le richiama, è inteso che nel misfatto sono coinvolte anche le classi dirigenti locali.
Oggetto dell’accusa sono le colpe dello Stato italiano che concernono gli aspetti passati (lo spoglio dei boschi per le prime ferrovie, la pressione fiscale e tariffaria, i privilegi offerti alle compagnie minerarie, i soldi della rinascita regalate all’imprenditore privato come quelle risorse poi spostate a favore dell’impresa pubblica, i privilegi a poche industrie dominanti quali la Saras ), quelli più evidenti nel presente (l’abbandono della Sardegna da parte dello Stato e il suo disinteresse per tutto ciò che non resti funzionale ai suoi obiettivi, militari ed energetici innanzitutto; la desertificazione del settore manifatturiero; la spoliazione culturale) e quelli che dall’oggi si vedono incombere sul futuro (l’inquinamento, il tentativo di scaricare sul bilancio regionale i costi del welfare, della scuola e degli enti locali, oltre quelli già a carico della Regione, quali i trasporti e la sanità; le conseguenze drammatiche di una catastrofe culturale e identitaria).
Quindi arriva la rivendicazioni dei diritti della Nazione sarda: sul territorio della Sardegna decidono i sardi e non lo Stato italiano. E la richiesta di impegno che il Consiglio regionale richiede dalla Giunta: la guida della Sardegna verso una piena e compiuta indipendenza. Che potrebbe essere, nell’immediato, anche solo avviato – ed è qui che forse viene lasciato aperto uno spazio di mediazione – attraverso una procedura di disimpegno istituzionale che preveda un quadro articolato di indennizzi per la Nazione sarda, in ragione di tutte le omissioni, i danni e le sperequazioni che la Sardegna ha subìto prima dal Regno d’Italia e poi dalla Repubblica italiana.
Dunque, sarebbe il Presidente della Regione, in quanto principale rappresentante istituzionale, a venire incaricato, da tutto o dalla maggioranza del Consiglio regionale, a ‘guidare’ i sardi a un confronto radicale con lo Stato italiano. L’atteggiamento e la linea politica sono chiari, le procedure non altrettanto. Dovrebbero venire specificate in sede di dibattito consiliare individuando una formulazione istituzionale che non fermi semplicemente l’iniziativa negli atti consiliari, come già accaduto all’importante mozione sulla sovranità del 1999.
E’ pur vero che non raramente i partiti fanno, attraverso i propri interventi, dei semplici, o complessi, atti di presenza, o di riaffermazione della loro ideologia, o segnalano confini e innalzano bandiere nei confronti degli altri soggetti politici. E non è detto che ciò che appare simbolico oggi non diventi sostanza domani: di nuovo, come è capitato alla mozione di sovranità, che è stata ripresa nell’ultima legge statutaria seppure poi ‘cassata’ dalla corte costituzionale italiana; essa rappresenta un documento fondante di ciò che nel presente si va a costruire.
Pur nell’ovvia incertezza sul destino della mozione sull’indipendenza, è possibile però cogliere le vere novità ideologiche che arrivano negli ultimissimi tempi dal campo sardista. Concetti che allargano, spiegano e completano quanto in questo documento è, in forza del suo stesso genere letterario, solo enunciato. Ci si riferisce alla proposta “con-federalista”, che si accompagna logicamente all’indipendenza e che sostituisce il federalismo tradizionalmente conclamato dal partito sardo. Mentre il sardismo di Bellieni si rifà alle elaborazioni federaliste di Tuveri e Asproni, il filone di pensiero confederale trova un illustre precedente nel neoguelfismo ‘giobertiano’ rappresentato in Sardegna nel 1848 dal teologo Federico Fenu, che pubblicò “La Sardegna e la fusione”. Sosteneva che Sardegna e Piemonte sono differenti per “…. stirpe, costumi, indole, persino più che gli irlandesi dagli inglesi». Proponeva per l’Italia uno Stato confederale, nel quale la Sardegna avrebbe dovuto trovare posto su un piano di indipendenza e di parità.
3. Cambiare lo Statuto sardo, le proposte sul campo.
Anche se nella presente legislatura i documenti presentati presso il Consiglio regionale sono questi che qui esaminiamo, occorre ben considerare che è da più di vent’anni che sono disponibili dei testi innovativi sul piano statutario, alcuni dei quali diventati anche proposte di legge costituzionale. E questo al di là delle considerazioni che occorrerebbe fare sui lavori e i relativi atti della prima commissione consiliare - Autonomia.
Nel 1989 un gruppo di lavoro interno mise a disposizione del Partito Sardo d’azione un testo legislativo che conteneva un nuovo statuto.
Gli anni ’90, in coincidenza con il veloce e inesorabile spegnersi delle attese nei confronti del partito sardo, vedono non poche iniziative di singoli studiosi, accademici e no[7], e di associazioni culturali che si muovono nella direzione di coprire il vuoto di proposte istituzionali. Sono gli stessi ambienti che si mobilitano sia per modificare la legge italiana che non permette la pratica possibilità ai sardi di accedere al Parlamento europeo[8] e sia nel promuovere un’iniziativa dal basso per costruire lo statuto speciale tramite l’assemblea costituente del popolo sardo[9].
Di questo attivismo restano due bozze di un nuovo statuto speciale: la prima venne presentata nel corso di un ciclo di seminari rivolti a studenti universitari, quale esercizio concettuale e giuridico che ne specificasse la problematica teorica[10]; la seconda fu commissionata dall’allora direttore dell’Unione Sarda, Bachisio Bandinu, al professore di diritto costituzionale Giuseppe Contini, e dibattuta in un convegno di esperti e poi resa di pubblico dominio nel giornale quotidiano cagliaritano[11].
Si tratta dello stesso milieu culturale da cui è nata Sa die de sa Sardigna, il 28 aprile di ogni anno. Sorta in ambito sindacale, sviluppatasi nell’ambiente nesosardista degli inizi degli anni ’80, nutritasi in occasione delle celebrazioni del 70° della fondazione del Partito Sardo d’Azione, la festa del popolo sardo diviene legge regionale n° 44, 14.09.1993. Le sue prime celebrazioni vennero accompagnate dalla visita di decine di intellettuali nelle scuole medie e superiori di tutta la Sardegna e furono vissute con entusiasmo nelle rievocazioni storiche in Cagliari, Sassari e Bono. Sa die è riuscita ad imporsi nei suoi contenuti culturali, politici e storici grazie ai nuovi contributi di studio sul periodo rivoluzionario sardo[12] e ha portato con sé la diffusa conoscenza e l’entusiasmo per quello che oggi viene universalmente considerato l’inno nazionale dei sardi, il “Procurad’’e moderare, barones, sa tirannia…”, cantato in tutte le piazze. La Sardegna ha oggi una sua bandiera, una festa, un inno. Come gli altri popoli del mondo.
Tornando al tema dello statuto speciale, l’unico testo proposto nel periodo in cui procedeva l’attività del comitato per l’assemblea costituente è rappresentato dalla Noa Carta de Logu,depositata al Senato della Repubblica dal Presidente emerito della Repubblica italiana, Francesco Cossiga, e quindi, con la firma dell’on. Mario Floris, al Consiglio regionale durante la scorsa legislatura. Esso porta evidenti novità di stile e di contenuti, espressione di esperti che conoscono la storia e le procedure con cui nel mondo si scrivono le costituzioni, a partire dalle rivoluzioni americana e francese. Per essere più chiari: dopo quelle prime, ogni popolo che scrive ex novo una costituzione cerca di rifarsi ai modelli che ritiene più vicini e utili. I catalani, finita l’esperienza franchista, per delineare il loro primo documento della ritrovata libertà, tra gli altri statuti si rifecero anche a quello in atto in Sardegna. Non c’è, quindi, statuto o costituzione che non si rifaccia a documenti consimili.
I ddl costituzionali di Cossiga-Floris si rifanno al modello della Generalitat catalana, così come avevano in parte operato i sardisti nel loro testo del 1989. Il processo di adattamento del testo Cossiga-Floris alla realtà sarda si nutre di stilemi e termini scelti dall’esperienza dell’antica (1392) Carta de Logu di Eleonora d’Arborea. Dal modello catalano assume un prologo storico che, dopo l’esplicitazione dei principi ispiratori, introduce il vero e proprio articolato. Tutto questo era assente nelle precedenti bozze di statuto, che invece introducevano direttamente gli articoli limitandosi a fornire la richiesta relazione esplicativa. Il testo in questione, durante la presente legislatura, non è stato riproposto né al Parlamento né al Consiglio regionale.
Questa precisazione sugli antecedenti e sui modelli aiuta a introdurre la prima grande differenza tra i due statuti attualmente depositati al Senato della Repubblica e che stiamo per prendere in considerazione. La “Carta de logu de Sardigna”, presentata da Piergiorgio Massidda, prosegue nel nome e nel modello, ed evidentemente in parte degli estensori, il testo Cossiga-Floris. Il “disegno di legge costituzionale sullo statuto speciale della regione sarda”, presentato dal sen. Antonello Cabras, opera invece secondo la forma del vigente statuto. Evidentemente, collegate al modello, sussistono differenze di concezione su ciò nel che si vuole proporre attraverso uno nuovo statuto sardo.
Non è qui nostra intenzione entrare nei dettagli dei complessi meccanismi di cui è fatta una legge costituzionale. Si spera di riuscire a dare, invece, conto delle specificità e delle differenti positività che ciascuno contiene. Si è deciso di mettere a confronto il titolo primo di ciascun elaborato omettendo – per ragioni di spazio – il bel prologo che fa parte integrante e introduce il testo della “Carta de logu…”. Ci soffermeremo su ciò che i presentatori affermano del proprio documento nella relazione che l’accompagna, sulla soggettività politica del protagonista costituente, sul ruolo della lingua quale sintomo cruciale dello stato della cultura sarda, sulla titolarità e sulla gestione delle risorse economiche soprattutto fiscali, e infine sull’esito complessivo rispetto ai poteri o competenze che ciascun documento propone.
3.1. Sa Carta de Logu de Sardigna, presentata dall’on. Piergiorgio Massidda al Senato della Repubblica il 27 novembre 2008.
Il senatore del Partito delle Libertà si è fatto carico di accelerare il processo istituzionale che valorizzasse il lavoro fatto dal Comitato promotore per un nuovo statuto della Sardegna[13] riempiendo un grave vuoto di proposta da parte degli altri soggetti politici. Il lavoro è stato svolto da un gruppo di diciotto persone dalle diverse competenze che lavorarono per più di un anno, ottennero l’assenso dei dirigenti dei partiti del centrodestra sardo e si proposero l’ambizioso programma di raccogliere le firme dei cittadini in modo da arricchirne il significato politico e rafforzarne l’impatto sulle istituzioni.
Tutto questo lavoro di elaborazione e di diffusione[14] trova ora un’adeguata documentazione sia nel sito “Comitato firma per la tua Sardegna” (con i gruppi di lavoro su Faceboock) e sia in due agili volumetti, uno con il testo commentato del “nuovo statuto speciale per la Nazione sarda, Sa Carta de Logu noa pro sa Natzione sarda”[15], il secondo nell’utile manuale didascalico con contenuti storici e giuridico-istituzionali.
Il documento si compone del preambolo e di sei titoli che comprendono cinquantanove articoli. Trascriviamone i primi nove articoli, che formano il titolo primo e quindi l’incipit che dà il tono all’insieme dell’opera.
Art. 1.
(Costituzione della Sardegna in Regione autonoma speciale)
1. La Sardegna si costituisce in Regione autonoma speciale.
Art. 2.
(La Nazione sarda)
1. Il popolo sardo, il territorio della Sardegna e delle sue isole, il mare e il cielo territoriale, l’ambiente, la lingua, la cultura e l’eredità culturale, materiale ed immateriale, della Sardegna costituiscono la Nazione sarda.
2. In quanto Nazione, la Sardegna esercita il proprio autogoverno costituendosi con la presente Carta fondamentale in Regione autonoma speciale, in armonia con la Costituzione repubblicana e nel rispetto dei principi che si ispirano alla convivenza fra i popoli dell’Unione europea.
3. I poteri della Regione autonoma derivano dal popolo sardo e sono esercitati nel rispetto del presente Statuto e dei principi fondamentali della Costituzione repubblicana, in armonia con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
4. Il nucleo primo dell’autogoverno del suo popolo risiede nelle comunità insediatesi nel proprio territorio nel corso dei secoli.
Art. 3.
(Il popolo sardo)
1. Il popolo sardo è l’insieme dei sardi residenti dentro e fuori dell’isola e di quanti si dichiarino appartenenti ad esso.
2. La Regione sarda sostiene e cura la divulgazione, tramite i mezzi di comunicazione, dei valori culturali, storici, e delle tradizioni che sono alla base della peculiare identità del popolo sardo, rafforza i vincoli culturali, sociali ed economici con le comunità sarde fuori dell’isola e presta loro la necessaria assistenza.
3. La Regione disciplina con propria legge la partecipazione degli emigrati alle elezioni per il rinnovo del Parlamento sardo.
Art. 4.
(La lingua)
1. Il sardo, al pari dell’italiano, è lingua ufficiale nel territorio della Regione autonoma. Gli abitanti della Sardegna hanno diritto di conoscere e di usare entrambe le lingue.
2. Nel territorio di Alghero, il catalano gode analogo riconoscimento.
3. Stessa tutela è riconosciuta al gallurese, al sassarese e al tabarchino nei rispettivi territori di competenza e ambiti di diffusione.
4. Sulla base di apposite leggi la Regione e le istituzioni sarde garantiscono l’uso della lingua sarda e delle diverse lingue parlate nel suo territorio e adottano misure e strumenti necessari per assicurarne conoscenza e uso.
Art. 5.
(Insegnamento della storia
e della lingua sarda)
1. La storia, la cultura e la lingua sarda sono materie obbligatorie di insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado dell’isola.
Art. 6.
(Simboli della Sardegna)
1. La Sardegna è dotata di propri simboli che ne incarnano l’identità, il relativo uso è regolamentato con legge del proprio Parlamento.
2. La bandiera della Sardegna è quella dei quattro mori: campo bianco crociato di rosso con in ciascun quarto una testa di moro bendata sulla fronte rivolta in direzione opposta all’inferitura.
3. Il giorno dell’approvazione della presente Carta è festa della Nazione sarda.
4. L’inno sardo è «Su patriotu sardu a sos feudatàrios».
5. Il motto della Regione autonoma è «Fortza paris!».
Art. 7.
(Capitale)
1. La capitale della Sardegna è Cagliari che è anche sede permanente del Parlamento sardo, del Governo, della Consulta delle autonomie.
Art. 8.
(Quadro istituzionale)
1. La Regione autonoma è parte della Repubblica Italiana e dell’Unione europea.
2. I rapporti fra la Regione autonoma e lo Stato centrale sono ispirati al principio della pari dignità istituzionale.
3. La Regione autonoma è garante in Sardegna dei diritti inviolabili dell’uomo sanciti dalla Costituzione italiana e universalmente riconosciuti. È vietata qualsiasi forma di discriminazione per nazionalità, sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizione sociale o personale.
4. La nazionalità sarda è riconosciuta, al pari della nazionalità italiana, per tutti i cittadini sardi, indipendentemente dalla loro residenza e provenienza.
5. L’acquisizione, conservazione e perdita della nazionalità sarda, al pari della sua tutela, è regolata con legge del Parlamento sardo che si conforma ai requisiti richiesti dalle leggi dello Stato per la nazionalità italiana.
Art. 9.
(Azioni positive)
- 1. La Repubblica riconosce le cause storiche, economiche e politiche della disuguaglianza fra la Sardegna e il complesso delle regioni continentali e garantisce alla Regione autonoma, perché le amministri, le risorse necessarie al suo benessere economico, sociale e culturale.
La Nazione, il popolo, la lingua, l’insegnamento della storia e della lingua sarda, i simboli della Sardegna, la capitale, precedono i temi del quadro istituzionale, li sovrastano e li qualificano. Questi concetti rappresentano il punto di arrivo e la logica conclusione dello sviluppo storico espresso nel prologo, sottolineano il grado gerarchico delle priorità che hanno guidato i redattori e contengono ciò che la presentazione introduttiva individua quale particolare forma di identità che rende “non rimandabile la necessità di dotare la Sardegna di una Carta statutaria ispirata ai princìpi fondamentali della Costituzione repubblicana, al diritto di autodeterminazione dei popoli come sancito dai patti e dai trattati internazionali sottoscritti anche dallo Stato italiano, ai livelli più alti di autonomia raggiunti dalle Nazioni europee senza Stato”.
Il documento prefigura per l’Italia il meglio del federalismo politico, ‘solidale e compiuto”, che qualifica più ampiamente dal lato economico il solo federalismo fiscale, e alla lunga legittima in termini solidaristici e di prospettiva quanto della Lega Nord oggi si manifesta come gretto e regressivo (ma questo il documento non lo dice, e neanche potrebbe!). I diritti storici della Nazione sarda vengono difesi quale portato intrinseco, applicato al popolo sardo così come per ciascun individuo vanno garantiti i diritti e i doveri che spettano alla persona umana. La loro applicazione è solo un problema di tempo e di occasioni offerti dalla storia.
L’insularità è problema dei sardi sia nei confronti con l’esterno che nei rapporti interni. E’ un dato della geografia, che la rende l’isola più lontana dal Continente mediterraneo – e questo comporta che “spetti alla Sardegna una effettiva e illimitata continuità territoriale con il continente italiano ed europeo” – ed è problema interno rispetto al “ruolo e alla presenza dei cittadini nelle piccole comunità o nelle zone interne o svantaggiate”. Si pone un problema di servizi e di diritto alla comunicazione con i costi parificati a quelli terrestri che vigono in tutta l’Europa.
Il documento fonda nel titolo III (art. 41) un sistema fiscale autonomo capace di destinare risorse allo sviluppo della Sardegna e mette in atto una zona franca capace di trasformare l’insularità da svantaggio in vantaggio.
Tra gli aspetti economici vengono considerate anche le ricadute della partecipazione alla difesa della Repubblica (art. 44).
3.2. Il disegno di legge costituzionale sullo Statuto speciale della Regione sarda presentata al Senato della Repubblica dal sen. Antonello Cabras l’8 aprile 2010.
Siamo di fronte a un testo scritto da esperti di diritto costituzionale e introdotto da una lunga relazione politica stesa di sua mano dal senatore.
In essa, dopo avere richiamato genericamente le ragioni del ritardo (“la portata del tema e la complessità delle implicazioni di ordine politico più generale”) vengono spiegati i motivi dell’urgenza dell’elaborazione e presentazione del disegno di legge costituzionale sullo Statuto: l’approvazione della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione e della legge delega per l’attuazione del federalismo fiscale, le recentissime scelte del governo e della sua maggioranza e i grandi cambiamenti che hanno interessato la vita economica e sociale dell’Italia, dell’Europa e della Sardegna.
“Poteri e sovranità adeguati ai cambiamenti ed in grado di favorire l’affermarsi dell’autogoverno” vengono richiesti dai permanenti ritardi di sviluppo economico della Sardegna rispetto al continente, “dall’apertura dei mercati, dalla dimensione politica e territoriale dell’Europa dei 27 Paesi, dalla natura stessa dei problemi che oggi caratterizzano i differenti ambiti territoriali che insieme compongono l’Unione europea”. Essi costituiscono anche gli elementi di fondo sui quali basare la nuova dimensione e la qualità dell’autogoverno regionale. “Il concetto stesso di autonomia, come precedentemente inteso, deve lasciare spazio al dispiegarsi di una vera e propria sovranità negli ambiti costituzionalmente garantiti”.
L’autogoverno dei sardi è richiesto per ragioni funzionali e non – secondo il progetto presentato dal sen. Piergiorgio Massidda e dal Comitato che lo ha steso – per un diritto originario e permanente della Nazione sarda, diritto i cui esponenti e rappresentanti possono più o meno fare valere a seconda della contingenza e delle possibilità offerte dalla storia.
In ogni caso, anche per il sen. Cabras, all’interno dei nuovi assetti istituzionale che in Italia si vanno definendo, la specialità della Sardegna, deve rimanere con il “conseguente riassetto dei poteri fra i differenti livelli di sovranità costituzionale”. In Italia le differenze e le identità permangono, la tecnologia e i processi di globalizzazione non cancellano ciò che è stato segnato da una storia centenaria e che ancora costituisce il fondamento di questa specialità della Sardegna. “L’autogoverno concepito non solo come democrazia formale, ma soprattutto come elemento di responsabilità e partecipazione alle decisioni di valore più generale, soddisfa l’aspirazione di una comunità storica e con forte carattere di identità ad essere parte del mondo globale”.
Il senatore proponente esplicita quanto da lui richiesto agli esperti. E’ una scelta. La proposta ha come struttura portante le norme, secondo lui, ancora attuali dello Statuto del 1948, integrato e modificato con le novità costituzionali nel frattempo intervenute. La presente “proposta di revisione dello Statuto per la Sardegna è formulata con modifiche ed integrazioni alla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, e successive modificazioni (ivi comprese quelle di cui alla legge costituzionale n. 2 del 2001) ed alle disposizioni contenute nella Legge costituzionale n.3 del 2001 riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione”. “Del resto già con le leggi costituzionali nn.2 e 3 del 2001 da un lato sono state modificate parti rilevanti dello Statuto, dall’altro è stato attribuito alla regione Sardegna il potere di disciplinare con propria legge la forma di governo e il sistema elettorale”. Da qui la richiesta al Consiglio regionale sardo per ridefinire sia la forma di governo della regione attraverso la legge statutaria e sia la legge elettorale e la disciplina del referendum confermativo. La proposta-Cabras ricerca, dovunque possibile, la continuità con il presente, non intende rischiare la soluzione di continuità, tantomeno la rottura. La Sardegna è abitata da sardi che hanno il diritto alla specialità in forza delle loro differenze (geografiche, economiche, culturali, storiche) ma esse, per il senatore democratico, non fondano una soggettività istituzionale riferibile a un popolo che possa rivendicare i diritti di nazione. Il popolo sardo, presente nell’art. 28 dello statuto vigente, in questo testo non viene mai citato. E questo è una rottura. Segnala una scelta, indica una chiusura. Cabras dovrà chiarire se per lui i sardi sono un popolo che agisce da nazione.
Però insiste sulla specialità: “Occorre ridefinire i reali contenuti dell’autonomia sarda nella quale è connaturata, come caratteristica essenziale, la specialità. Devono essere riconosciuti alla regione Sardegna infatti poteri, risorse e titolarità di rapporti, non attribuibili alle regioni ordinarie, che le consentano di promuovere uno sviluppo economico e sociale più accelerato di quanto non sia sino ad oggi avvenuto, ma nel rispetto della storia, cultura ed identità dei sardi e con il previo pieno riconoscimento a livello nazionale ed europeo della condizione di insularità che attribuisca alla regione una decisiva legittimazione per partecipare a pieno titolo alle politiche di coesione europea e di sviluppo delle aree svantaggiate: ciò tanto più nel momento presente nel quale l’Unione Europea si estende fino a 27 Stati, in un contesto mondiale caratterizzato dall’economia di mercato senza i confini di del passato”.
Le invocate riforme si specificano soprattutto rispetto alla dimensione fiscale, alle “risorse aggiuntive da acquisirsi anche attraverso interventi speciali, a quello del contributo solidaristico dello Stato in una nuova forma per la “rinascita” (che tiene conto degli strumenti di programmazione negoziata), alla tutela della cultura e della lingua, alla garanzia della continuità territoriale e dei rimedi per valorizzare e non essere limitati dalla insularità”.
Come si articolano e si distribuiscono i poteri tra lo Stato e la Regione? “La ripartizione dei poteri tra Stato e regione, infatti, non si discosta da ciò che è stato definito con la riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione salvo che per quanto si ritiene utile al governo della specialità . In particolare è prevista un’estensione della potestà esclusiva della Regione in materia: di tutela dell’ecosistema e dei beni culturali, di tutela e valorizzazione dei beni culturali, insegnamento della lingua sarda, governo del territorio e tutela del paesaggio,organizzazione della giustizia di pace, porti e aeroporti civili, tutela della salute, istruzione salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche.
Il nucleo portante della proposta è, comunque, costituito dalla introduzione di alcuni princìpi fondamentali, di alcuni compiti essenziali della regione e della ridefinizione della specialità autonomistica”. Leggiamo il capo primo del disegno di legge del senatore Cabras.
Capo I
COSTITUZIONE DELLA REGIONE
E PRINCIPI FONDAMENTALI
Art. 1.
(Costituzione della regione).
1. La Sardegna con le sue isole è costituita in Regione autonoma, entro l’unità politica della
Repubblica italiana, una e indivisibile, sulla base dei princìpi fondamentali della Costituzione e
secondo il presente Statuto.
2. La Regione autonoma della Sardegna ha per capoluogo Cagliari.
Art. 2.
(Princìpi fondamentali).
1. I valori e la cultura comunitari che costituiscono il patrimonio storico dei sardi sono riconosciuti come un contributo fondamentale all’unità della Repubblica.
2. La Regione, i Comuni e le Province della Sardegna sono le istituzioni del governo autonomo dei sardi. I loro rapporti sono improntati ai principi di leale collaborazione e di gsussidiarietà.
3. La Regione collabora lealmente all’esercizio delle funzioni delle istituzioni repubblicane e
contribuisce all’integrazione europea, anche attraverso proprie specifiche rappresentanze
negli organismi nazionali e dell’Unione Europea.
4. In attuazione della Costituzione e del presente Statuto è compito dello Stato , su iniziativa
del Governo d’intesa con la Regione, garantire pari opportunità con il resto del territorio
continentale al fine di promuovere in Sardegna lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà
sociale , rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che non consentono ai cittadini sardi
eguali possibilità di accesso ai benefìci del progresso rispetto agli altri cittadini italiani, operare per
il superamento dei limiti derivanti dalle sue condizioni di insularità.
5. Lo Stato assicura ogni misura atta a realizzare condizioni di pari opportunità e rende
effettiva la possibilità di partecipazione dei cittadini sardi alla vita economica, sociale e culturale
del Paese.
6. La legge statale che disciplina le elezioni del Parlamento europeo garantisce che almeno un
trentesimo dei parlamentari europei eletti in Italia sia espresso dai cittadini residenti in Sardegna.
7. Stato e Regione garantiscono l’eguaglianza tra i cittadini, il diritto all’informazione, i diritti
inviolabili di libertà ed il diritto al lavoro.
Art. 3.
(Compiti fondamentali della regione).
1. La Regione tutela la lingua, la storia e la cultura della Sardegna, associa alle sue politiche le
comunità locali e garantisce la effettiva e piena partecipazione dei sardi, anche attraverso le
rappresentanze sociali e culturali, alle scelte fondamentali dello sviluppo dell’Isola attraverso
specifici istituti definiti dalla legge regionale.
2. La Regione garantisce il diritto dei propri cittadini ad una corretta informazione con ogni
mezzo e contrasta situazioni di monopolio dei mezzi di informazione.
3. La Regione garantisce ai sardi non residenti nel suo territorio adeguate forme di
rappresentanza politica e di partecipazione alle iniziative che tendono a favorire il mantenimento
del rapporto tra loro e la terra d’origine.
4. La Regione assicura a tutti i cittadini di paesi non appartenenti all’Unione Europea , che
risiedono nel suo territorio adeguate forme di partecipazione alla vita politica ed amministrativa nel territorio della Regione.
Art. 4.
(Sviluppo e continuità territoriale,
intesa Stato-regione).
1. I rapporti della Regione con lo Stato sono definiti secondo il metodo dell’intesa, sulla cui
base sono disciplinati tutti gli interventi attuati nel territorio della Sardegna, mediante leggi e
provvedimenti amministrativi in attuazione dei commi 4 e 5 dell’articolo 2. Nell’intesa sottoscritta
tra il Governo della Repubblica e la Regione, sono garantite, con il concorso dell’Unione europea,
in attuazione dei Trattati sull’Unione europea, misure atte a realizzare, per la mobilità di persone e
merci, condizioni di opportunità e livelli di costi pari a quelli realizzabili nel territorio continentale,
anche con specifiche deroghe alle regole generali dell’Unione europea in materia di concorrenza e
aiuti di stato.
2. Lo Stato d’intesa con la Regione promuove la concertazione per definire principi e modalità dell’esercizio della potestà fiscale nell’ambito del territorio della Sardegna.
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Il ddl costituzionale del sen. Antonello Cabras continua fino all’ottavo capo e contiene trenta articoli. Ai principi fondamentali (I) seguono le funzioni della regione (II), le finanze e patrimonio (III), gli organi della regione (IV), gli enti locali (V), i rapporti tra lo Stato e la Regione (VI), le regole per la revisione dello statuto (VII)., le norme transitorie e finale (VIII).
Il presentatore si preoccupa di sottolineare nelle relazione introduttiva la necessità di “promuovere la più ampia partecipazione popolare coinvolgendo tutte le forze sociali, culturali, produttive e gli enti locali, per rendere la società sarda davvero protagonista di questa fase della sua storia e del processo di crescita e di globalizzazione europeo e mondiale, e affrontare insieme il rafforzamento dell’autogoverno, la riforma delle istituzioni, il rinnovamento della politica”.
La preoccupazione del senatore del partito democratico muove dallo stesso punto di vista di coloro che proponevano una rinforzato mandato popolare, e quindi un nuovo organismo quale l’assemblea costituente, per scrivere un testo che riaffermi solennemente il principio pattizio, “come sigillo finale a tutta la procedura di modificazione” dello statuto. Cosa comporta il principio pattizio quando lo si applichi alla costruzione politico-istituzionale, nei contenuti e persino nello stile del nuovo statuto? Ci si domandi, infatti: e se lo Stato – Parlamento, governo o Corte Costituzionale non importa – non condividesse il principio pattizio e riaffermasse un approccio istituzionale inteso secondo una forma più o meno dignitosa di decentramento di poteri e competenze, come si risponderebbe da noi, da parte delle istituzioni e della politica? Di quale forza concettuale e giuridica devono essere dotate le nostre argomentazioni perché siano, appunto, differenti e speciali?
Il documento di Cabras prevede la concertazione tra la Regione e lo Stato attraverso l’istituto dell’intesa, che potrebbe intendersi anche in termini politici oltre che “per l’esercizio della potestà fiscale dei differenti livelli statale,regionale e degli enti locali”. L’ esperienza degli ultimi sessant’anni – ma su questo punto bisogna aggiungere ad essi anche gli altri novanta di partecipazione all’unità italiana – dimostra quanto labili siano gli impegni anche sottoscritti in costituzione, se non sono fatti rispettare dal consenso popolare e dalla dignità delle classi dirigenti.
Ma questa è una questione che riguarda tutti e da qualsiasi punto di vista istituzionale si parta, e a qualsiasi gruppo o partito politico si appartenga in Sardegna. Riguarda l’essere cittadini di un’isola che si trovano di fronte a dover definire se stessi e riuscire a trovare i modi, le forme e le forze per fare riconoscere la propria autodefinizione sia rispetto allo Stato italiano che nei confronti degli altri popoli nel mondo.
4. Conclusioni provvisorie. Le ragioni e la forza.
Il popolo e la classe dirigente sarda hanno capito da tempo che l’autonomia della Sardegna espressa nello Statuto del 1948 non corrispondeva ai propri diritti né era capace di condurli ai risultati economici di parificazione con il continente promessi dall’art. 13, ma soprattutto era una catena che li legava all’ultimo posto nella gerarchia molto fitta dei problemi italiani. Aveva iniziato il decimo congresso del Partito Sardo d’Azione, il 18-19 marzo 1951[16]: nelle sue relazioni, negli interventi e nei documenti venivano individuati i limiti e già previsti gli infausti sviluppi. E’ ancora nel partito sardo degli anni ’60 che l’opera del suo dirigente Antonio Simon Mossa delineava gli elementi della catastrofe antropologica che sarebbe conseguita a una modernità subalterna nei suoi aspetti economici, culturali, sociali e istituzionali. L’indipendenza della Sardegna e la direzione del federalismo tra i popoli dell’Europa, a iniziare dai popoli-senza-stato, è il frutto della sua predicazione, non a caso intensificatasi negli anni 1966-67[17], in coincidenza della presentazione del primo, e finora unico, ‘odg-voto al Parlamento italiano’, rivolto dal Consiglio regionale della Sardegna in occasione della messa in forse dei finanziamenti della rinascita.
Sono ancora oggi operativi i (già) giovani che negli anni ’70 proseguirono quella lezione contribuendo al nuovo spirare del vento sardista nel decennio successivo. Da allora ci si è ripetuti. Noi stessi stiamo ripetendo quanto più volte scritto e sentito, prima di noi, da altri. Si controlli direttamente la ricchezza e la chiarezza storica espresse nella mozione di sovranità approvata nel/dal Consiglio regionale nel 1999, ormai più di dieci anni orsono. Avviene come se, a intervalli, prendessimo consapevolezza dei nostri interessi e obblighi, ma poi mutassimo ordine del giorno, temporaneamente appagati nella coscienza, senza produrre fatti. Salvo poi, inevitabilmente, ritrovarsi di fronte ai ritorni e alle urgenze che i veri problemi sempre ripropongono.
Come crediamo che reagiranno le istituzioni statali italiane di fronte a queste due proposte statutarie? Ma, siamo proprio sicuri che ci sarà una risposta? Che, prima di fare qualsiasi mossa, non tenteranno di lasciarci affogare nel silenzio della lontananza, messi da parte a spazientirci nell’impotenza, pensando di abbandonarci nella nostra insicurezza? Gli italiani sono immersi, infatti, in problemi più vicini, che considerano più importanti di quelli di un’isola sempre lontana. Il silenzio e la non-considerazione è ciò che presumibilmente dovremo aspettarci. Oppure, i tempi e i modi istituzionali si faranno così lenti da rendere ovattata e silente ogni nostra richiesta. O, ancora: potranno venire selezionate le richieste meno impegnative come risposta ai loro sostenitori locali. Oppure….
Se si inizia – bisogna intraprenderlo infine il cammino delle nostre riforme istituzionali! – bisogna fare sul serio, assumere decisioni, tenere presenti e rispettare le responsabilità, compiendo il proprio dovere e vigilando e che tutti lo facciano.
Il Consiglio regionale e la Presidenza della giunta sono i massimi rappresentanti istituzionali del popolo sardo. Una volta che il Consiglio abbia definito il percorso, sarà inevitabilmente il Presidente a guidare la delegazione sarda che si interfaccerà con i rappresentanti dello Stato. La delegazione sarda può comporsi di figure istituzionali (consiglieri, parlamentari amministratori) attualmente attivi, ma può anche contenere personalità di esperienza e competenza (ex presidenti della Regione, del Consiglio, ex parlamentari). “Chi fa cosa”, rappresenta un primo problema da risolvere per evitare confusioni di ruolo e le inevitabili complicazioni.
Se il popolo non viene coinvolto dall’inizio, difficilmente sarà mobilitabile nel tempo delle difficoltà e delle incomprensioni con l’interlocutore. L’assemblea costituente promuoveva la mobilitazione già nel suo organizzarsi. E questo è stata l’esperienza della legge approvata e poi disconosciuta. Se non si persegue quella strada occorre trovare modi efficaci di mobilitazione. A meno che la maggioranza del Consiglio e della classe dirigente non si ponga nelle condizioni di chiedere solo quanto lo Stato ha interesse a concedergli.
Il consenso del popolo sardo rappresenta l’unica vera e indispensabile force de frappe per questa necessaria avventura. Tra non molto tempo usciranno nuovi documenti, arriveranno al confronto altri punti di vista, si misureranno differenti proposte. Sarebbe utile per tutti che queste arrivassero bene accette e accolte nel loro aspetto migliore. L’impresa è così grande che c’è posto per tutti.
Se ci troviamo nuovamente nell’urgenza, sentendoci addosso i venti che arrivano da Roma e da Milano, non è certo perché in questi decenni non si sia capito o non si sia elaborato e lavorato, almeno da parte di coloro che per mestiere o per passione riflettono su quanto si muove nella nostra società. Della cultura si ha bisogno, però la cultura non basta. Dhia cheret homines. E sardos!
[1] La Fondazione Sardinia è un’associazione culturale fondata nel 1991, con sede a Cagliari, che nel suo statuto si propone di “attuare tutte le iniziative tendenti a incrementare la presa di coscienza e il diretto protagonismo dei Sardi verso obiettivi di autoconsapevolezza e di protagonismo economico, sociale, politico e culturale”.
[3] Deghe Chistiones, pubblicato nel sito di Sardegna Democratica il 7 aprile 2010.
[4] L’importante documento fu presentato il 25 settembre 1998 dai consiglieri Salvatore Bonesu, Giacomo Sanna, Efisio Serrenti e venne approvata dal Consiglio regionale della Sardegna il 24 febbraio 1999 con 44 si, 2 no e 13 astensioni).
[5]Il testo della mozione n° 46 CONTU Felice – DEDONI – CUCCU, sulla formulazione di un ordine del giorno voto al Parlamento per la stipula di un nuovo patto costituzionale (così come previsto dall’articolo 51 dello Statuto sardo), presentata il 4 marzo 2010, manca degli ultimi due capoversi, cioè della parte che concerne l’assemblea costituente del popolo sardo.
[6] Mozione MANINCHEDDA – SANNA Giacomo – PLANETTA – DESSÌ – SOLINAS Christian sull’indipendenza della Sardegna.
[7] Tra gli studiosi non accademici vanno messe in evidenza alcune tra le numerose opere di carattere storico e istituzionale sul federalismo, sardo e no, di Gianfranco Contu (“Il federalismo in Sardegna, un’alternativa perdente?”, Editrice Altair, Cagliari 1982; e ancora: “La questione nazionale sarda”, Alfa Editrice, Cagliari, 1990) e di Alberto Contu (“Le ragioni del federalismo”, Istituto Camillo Bellieni, Sassari, 1992; – a cura di – “Il pensiero federalista in Sardegna”, 2 vol. Condaghes, Sassari, 1996).
[8] A partire dalla primavera e per tutta l’estate del 1999 l’associazione Tramas de Amistade – promossa da professionisti di sensibilità ‘patriottica’ sarda a Sassari, Nuoro e Cagliari – raccolse le firme in margine alla richiesta di un referendum propositivo sotto lo slogan di “Europa della regioni”. Nella città di Cagliari e nelle sue spiagge, d’estate, si distinse l’impegno dell’associazione studentesca UGS.
[9] Il 20 settembre del 2000 si riunì, presso la sede della Fondazione Sardinia, in piazza Santo Sepolcro n° 5 in Cagliari, il gruppo che animò il comitato per l’assemblea costituente del popolo sardo, la cui attività portò alle assemblee popolari, agli incontri con gli amministratori locali e con le associazioni, all’approvazione della legge regionale e, quindi, alla presentazione del progetto al Presidente della Repubblica Azeglio Ciampi in Quirinale e al Presidente del Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi.
[10] Il documento è compreso nel saggio presentato da Pietro Pintori, “Riforme istituzionali fra forma della politica e forme del governo”, ed è disponibile nel volume (a cura di) S. Cubeddu, l’ora dei Sardi, Edizioni Fondazione Sardinia, Cagliari 1999, pag. 71 ss.
[11] L’Unione Sarda, 1999.
[12] Al comitato di Sa die, presieduto dal prof. Giovanni Lilliu, hanno partecipato, con le associazioni culturali riunite nella sede della Fondazione Sardinia, i più importanti storici della contemporaneità sarda e gli artisti più popolari.
[13] Il nome completo è: “Comitato promotore di un progetto di legge d’iniziativa popolare per l’approvazione di un nuovo statuto d’autonomia speciale della Sardegna”.
[14] Il Comitato, consapevole e orgoglioso dell’esito del proprio impegno, ha previsto quale nuova Die de sa Sardigna la data dell’approvazione di questo documento. Il 28 aprile 1794 è, però, iniziata la storia della Sardegna contemporanea con i problemi che ancora viviamo. Pur con tutte le contraddizioni che sempre simili eventi contengono, in quel giorno la battaglia di liberazione dei sardi si unì alla festa, il colonizzatore venne umiliato, le città e le campagne sarde per una volta si unirono nella lotta, dopo tempo si risvegliò la ‘Sarda Nazione’. Nacque l’inno nazionale: “Procurad’ e moderare…”. Questa data va più che bene.
[15] “COMITATO firma per la tua Sardegna” , Comitato promotore del nuovo Statuto speciale della Sardegna attraverso una legge d’iniziativa popolare, Il nuovo statuto speciale per la Nazione sarda, Sa Carta de Logu no pro sa Natzione sarda”, Ed. Condaghes, Cagliari, 2008. Lo stesso Comitato ha promosso il testo di: Francesco Cesare Casula, GLOSSARIO DI AUTONOMIA SARDA, Presentazione di Francesco Cossiga, Carlo Delfino editore, Sassari, 2007.
[16]Una ricostruzione di questi motivi e dei fatti relativi la si può trovare in S. Cubeddu, Sardisti, viaggio nel Partito Sardo d’Azione tra cronaca e storia, vol. II, Edes, Sassari, 1996, pag. 71 ss.).
[17]Una ricostruzione di questi motivi e dei fatti relativi la si può trovare in S. Cubeddu, Sardisti, viaggio nel Partito Sardo d’Azione tra cronaca e storia, vol. II, Edes, Sassari, 1996, pag. 71 ss.).