Gran confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente (Mao), di Salvatore Cubeddu

Riflessioni sul dopo-referendum in Sardegna.

 

 

Gran confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente (Mao)

di Salvatore Cubeddu

Vanno segnate, queste settimane che vanno dal sei al ventiquattro maggio 2012, questi giorni, queste ore. I dieci SI’ ai referendum producono decisioni. L’elettore verifica le conseguenze del proprio voto. La democrazia diretta si impone a chi c’è stato e a chi ha disertato il seggio. Un’impressione così immediatamente efficace della sovranità del popolo non la si vedeva dal 1946 (repubblica/regno) e dal 1973 (la libertà del divorzio). Viviamo un tempo forte, la straordinarietà arriva dalla valanga di quei SI’, possiamo trasformare i mesi che verranno nell’occasione della storia, della nostra storia, la storia dei Sardi liberi e responsabili. Parafrasando l’aforisma di Mao: sì, c’è grande confusione sotto il cielo della Sardegna, ma la situazione possiamo farla diventare molto eccellente.

Dunque: si è votato, si è raggiunto il quorum, il Consiglio regionale ha rincorso le scadenze per lasciare tutto come prima, nelle otto province, fino al 28 febbraio 2013. Ma entro questo 31 ottobre il Consiglio dovrà legiferare sul  riordino generale delle autonomie locali, rimodellando l’associarsi dei comuni e riconvocando il corpo elettorale per confermare la riforma entro il 31 dicembre 2012. Il Consiglio, i partiti e i gruppi politici sono stati colti impreparati, non avevano un piano B. Evidentemente non credevano si sarebbe arrivato al quorum. E per una parte della classe dirigente tutto è crollato. Diminuendo il numero dei consiglieri, cancellando le province e tagliando i consigli di amministrazione il popolo ha deciso sia la drastica diminuzione numerica del ceto politico sia la riconsiderazione dei compiti immediati del Consiglio riguardo alle trasformazioni istituzionali (affidati all’Assemblea costituente del Popolo sardo) e del riconoscimento finanziario dei consiglieri. Ci poteva essere una punizione maggiore o più eclatante? Una spinta al cambiamento più obbligata? Un’occasione di protagonismo popolare così aperta?

Siamo tutti stupiti. Persino coloro che i referendum li hanno programmati e organizzati. C’è un qualcosa (una provvidenza, un destino, o solo ragioni concatenanti di causa-effetto …. non saprei … ) che ci dice che tutto questo doveva accadere. Che è bene che sia avvenuto. L’evento ci spiazza tutti rendendoci simili di fronte alla responsabilità del futuro. Quale?

Il 24 maggio, di fronte ai rappresentanti del governo, riuniti insieme alle regioni speciali italiane, il Presidente della Regione sarda abbandona polemicamente la riunione annunciando la messa in mora del Presidente Monti in quanto rappresentante dell’Italia. Il Presidente della Regione sarda si muove contro lo Stato? Cappellacci che scrive in lingua sarda una denuncia nei confronti di tutto il Continente? Siamo diventati matti?

Sì, siamo diventati matti. Tant’è che nessuno dei giornali che contano in Italia ha riportato la notizia. Per ora si tratta di una storia tutta nostra. Perché dovrebbe interessare, al debitore truffaldino che teme di andare in bancarotta, la tarda protesta della servitù che si è lasciata depredare i beni e non ha chiesto la riscossione del dovuto nei tempi opportuni? Lo Stato, che non ha interesse nè forza per riconoscerci interessi e diritti, sta distruggendo ogni nostra fiducia in una sua credibilità istituzionale. Sono notizie di queste stesse settimane: insieme al non riconoscimento dell’art. 8 dello Statuto va emergendo l’incredibile atteggiamento dei generali di fronte al dramma di Quirra; l’unico ministro che arriva è qui con la rinnovata pretesa di incrementare il costante ruolo carcerario dell’Isola; l’energia che paghiamo più cara del continente è diventata occasione di saccheggio nel fotovoltaico e nell’eolico contemporaneamente alla moltiplicazione della bruciatura di scorie che, dopo la Saras e la Portovesme srl, si intensificherà anche con il catrame a Portotorres.

Tutto capita ora. Meglio: ogni nodo arriva ora al pettine della nostra storia. Che facciamo? Litighiamo tra noi sulle province, e affini, o prendiamo il toro per le corna e ci organizziamo per mettere ordine in casa e sistemare le cose con l’esterno? Insomma: non c’è alternativa al dover cambiare. Ed è una bella impresa!

Dovremo affrontarli, tutti, i problemi, con intelligenza, reciproca comprensione e con decisione. Senza perdere il  meglio di quanto  fatto in questi anni. Ad esempio: se c’è un territorio provinciale per il quale è stata minima la polemica nella decisione di sopprimerlo, questo è stato il Medio – Campidano. Io stesso pubblicai dei pezzi fortemente sarcastici sul maggiore giornale dell’Isola mentre ne si decideva la promozione, qualche anno fa. Eppure non possiamo non riconoscere e apprezzare l’impegno svolto da quella presidenza nel promuovere il ruolo dell’agricoltura nel Campidano, la promozione attiva di una necessaria nuova ruralizzazione della Sardegna. La provincia di Cagliari non avrebbe saputo né voluto fare altrettanto. Nel futuro, possiamo permetterci il lusso di perdere una simile esperienza? E ancora, per i vincitori (è l’ultima volta che utilizzo questo brutto termine, e solo perché non trovo un eufemismo) si imporranno problemi non facili quando saranno obbligati a rispondere dell’oggettivo incremento del cagliari-centrismo accentuato dagli ultimi eventi. Saranno tante le considerazioni che arriveranno dai comuni e dalle altre città della Sardegna. Diciamocela tutta: i temi espliciti ed impliciti espressi in questi referendum rappresentano non  solo un problema giuridico, o solo costituzionale, ma innanzitutto politico e culturale. E’ la questione del modello di democrazia e del livello di sovranità che intendiamo assegnarci nel prossimo futuro.

In Sardegna, più che in Italia il rapporto tra il popolo e la politica ha intrapreso un suo nuovo percorso. La tappa dell’Assemblea Costituente del popolo sardo ne rappresenta l’appuntamento fondamentale. Quando il Consiglio regionale chiamerà il popolo a confermare o respingere la sua riforma delle province, quella può essere la data per eleggere l’assemblea costituente, per la quale dovrà essere a breve approvata la legge istitutiva. Intanto, la credibilità del Palazzo troverà una pubblica verifica in occasione della legge che i consiglieri regionali dovranno approvare per decidere entità, estensione e durata dei propri emolumenti. Non sarà per loro una vicenda nè facile né simpatica, discutere in pubblico di quanto meriti che entri nelle loro tasche. Ma la ragionevole considerazione di un loro dignitoso riconoscimento, che si parametri con la media del reddito (quanto in più?) di tutti i cittadini sardi, richiamerà l’opinione pubblica alla saggezza e al rispetto della giusta considerazione del loro impegno.

Per vincere i tanti ostacoli che inevitabilmente si accumuleranno sulla strada delle riforme è necessario attaccarli frontalmente animati da una forte passione. Si sente l’ardore di questa fiamma negli appelli che giungono dai giovani senza lavoro come dal bisogno di identità e dall’esigenza di rispetto da parte del nostro popolo. Il coraggio, la pazienza e la costanza accompagneranno una classe dirigente impegnata e onorata di rispondere alle urgenze dell’ora. L’ora dei Sardi.

 

Gran confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente (Mao)

di Salvatore Cubeddu

Vanno segnate, queste settimane che vanno dal sei al ventiquattro maggio 2012, questi giorni, queste ore. I dieci SI’ ai referendum producono decisioni. L’elettore verifica le conseguenze del proprio voto. La democrazia diretta si impone a chi c’è stato e a chi ha disertato il seggio. Un’impressione così immediatamente efficace della sovranità del popolo non la si vedeva dal 1946 (repubblica/regno) e dal 1973 (la libertà del divorzio). Viviamo un tempo forte, la straordinarietà arriva dalla valanga di quei SI’, possiamo trasformare i mesi che verranno nell’occasione della storia, della nostra storia, la storia dei Sardi liberi e responsabili. Parafrasando l’aforisma di Mao: sì, c’è grande confusione sotto il cielo della Sardegna, ma la situazione possiamo farla diventare molto eccellente.

Dunque: si è votato, si è raggiunto il quorum, il Consiglio regionale ha rincorso le scadenze per lasciare tutto come prima, nelle otto province, fino al 28 febbraio 2013. Ma entro questo 31 ottobre il Consiglio dovrà legiferare sul  riordino generale delle autonomie locali, rimodellando l’associarsi dei comuni e riconvocando il corpo elettorale per confermare la riforma entro il 31 dicembre 2012. Il Consiglio, i partiti e i gruppi politici sono stati colti impreparati, non avevano un piano B. Evidentemente non credevano si sarebbe arrivato al quorum. E per una parte della classe dirigente tutto è crollato. Diminuendo il numero dei consiglieri, cancellando le province e tagliando i consigli di amministrazione il popolo ha deciso sia la drastica diminuzione numerica del ceto politico sia la riconsiderazione dei compiti immediati del Consiglio riguardo alle trasformazioni istituzionali (affidati all’Assemblea costituente del Popolo sardo) e del riconoscimento finanziario dei consiglieri. Ci poteva essere una punizione maggiore o più eclatante? Una spinta al cambiamento più obbligata? Un’occasione di protagonismo popolare così aperta?

Siamo tutti stupiti. Persino coloro che i referendum li hanno programmati e organizzati. C’è un qualcosa (una provvidenza, un destino, o solo ragioni concatenanti di causa-effetto …. non saprei … ) che ci dice che tutto questo doveva accadere. Che è bene che sia avvenuto. L’evento ci spiazza tutti rendendoci simili di fronte alla responsabilità del futuro. Quale?

Il 24 maggio, di fronte ai rappresentanti del governo, riuniti insieme alle regioni speciali italiane, il Presidente della Regione sarda abbandona polemicamente la riunione annunciando la messa in mora del Presidente Monti in quanto rappresentante dell’Italia. Il Presidente della Regione sarda si muove contro lo Stato? Cappellacci che scrive in lingua sarda una denuncia nei confronti di tutto il Continente? Siamo diventati matti?

Sì, siamo diventati matti. Tant’è che nessuno dei giornali che contano in Italia ha riportato la notizia. Per ora si tratta di una storia tutta nostra. Perché dovrebbe interessare, al debitore truffaldino che teme di andare in bancarotta, la tarda protesta della servitù che si è lasciata depredare i beni e non ha chiesto la riscossione del dovuto nei tempi opportuni? Lo Stato, che non ha interesse nè forza per riconoscerci interessi e diritti, sta distruggendo ogni nostra fiducia in una sua credibilità istituzionale. Sono notizie di queste stesse settimane: insieme al non riconoscimento dell’art. 8 dello Statuto va emergendo l’incredibile atteggiamento dei generali di fronte al dramma di Quirra; l’unico ministro che arriva è qui con la rinnovata pretesa di incrementare il costante ruolo carcerario dell’Isola; l’energia che paghiamo più cara del continente è diventata occasione di saccheggio nel fotovoltaico e nell’eolico contemporaneamente alla moltiplicazione della bruciatura di scorie che, dopo la Saras e la Portovesme srl, si intensificherà anche con il catrame a Portotorres.

Tutto capita ora. Meglio: ogni nodo arriva ora al pettine della nostra storia. Che facciamo? Litighiamo tra noi sulle province, e affini, o prendiamo il toro per le corna e ci organizziamo per mettere ordine in casa e sistemare le cose con l’esterno? Insomma: non c’è alternativa al dover cambiare. Ed è una bella impresa!

Dovremo affrontarli, tutti, i problemi, con intelligenza, reciproca comprensione e con decisione. Senza perdere il  meglio di quanto  fatto in questi anni. Ad esempio: se c’è un territorio provinciale per il quale è stata minima la polemica nella decisione di sopprimerlo, questo è stato il Medio – Campidano. Io stesso pubblicai dei pezzi fortemente sarcastici sul maggiore giornale dell’Isola mentre ne si decideva la promozione, qualche anno fa. Eppure non possiamo non riconoscere e apprezzare l’impegno svolto da quella presidenza nel promuovere il ruolo dell’agricoltura nel Campidano, la promozione attiva di una necessaria nuova ruralizzazione della Sardegna. La provincia di Cagliari non avrebbe saputo né voluto fare altrettanto. Nel futuro, possiamo permetterci il lusso di perdere una simile esperienza? E ancora, per i vincitori (è l’ultima volta che utilizzo questo brutto termine, e solo perché non trovo un eufemismo) si imporranno problemi non facili quando saranno obbligati a rispondere dell’oggettivo incremento del cagliari-centrismo accentuato dagli ultimi eventi. Saranno tante le considerazioni che arriveranno dai comuni e dalle altre città della Sardegna. Diciamocela tutta: i temi espliciti ed impliciti espressi in questi referendum rappresentano non  solo un problema giuridico, o solo costituzionale, ma innanzitutto politico e culturale. E’ la questione del modello di democrazia e del livello di sovranità che intendiamo assegnarci nel prossimo futuro.

In Sardegna, più che in Italia il rapporto tra il popolo e la politica ha intrapreso un suo nuovo percorso. La tappa dell’Assemblea Costituente del popolo sardo ne rappresenta l’appuntamento fondamentale. Quando il Consiglio regionale chiamerà il popolo a confermare o respingere la sua riforma delle province, quella può essere la data per eleggere l’assemblea costituente, per la quale dovrà essere a breve approvata la legge istitutiva. Intanto, la credibilità del Palazzo troverà una pubblica verifica in occasione della legge che i consiglieri regionali dovranno approvare per decidere entità, estensione e durata dei propri emolumenti. Non sarà per loro una vicenda nè facile né simpatica, discutere in pubblico di quanto meriti che entri nelle loro tasche. Ma la ragionevole considerazione di un loro dignitoso riconoscimento, che si parametri con la media del reddito (quanto in più?) di tutti i cittadini sardi, richiamerà l’opinione pubblica alla saggezza e al rispetto della giusta considerazione del loro impegno.

Per vincere i tanti ostacoli che inevitabilmente si accumuleranno sulla strada delle riforme è necessario attaccarli frontalmente animati da una forte passione. Si sente l’ardore di questa fiamma negli appelli che giungono dai giovani senza lavoro come dal bisogno di identità e dall’esigenza di rispetto da parte del nostro popolo. Il coraggio, la pazienza e la costanza accompagneranno una classe dirigente impegnata e onorata di rispondere alle urgenze dell’ora. L’ora dei Sardi.

 


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