Il ritorno alle vecchie gerarchie, di Bruno Ceccarelli (
(dal sito di SARDEGNA DEMOCRATICA)
Il ritorno alle vecchie gerarchie
di Bruno Ceccarelli (dal sito di SARDEGNA DEMOCRATICA)
Paneacqua, 16 maggio 2012: Il ritorno alle vecchie gerarchie sociali per contrastare le lezioni della cultura progressista. Inizio queste valutazioni con un riferimento scientifico un po’ singolare. Due righe sulla organizzazione sociale delle formiche. Sono, come molti altri imenotteri, insetti eusociali. Il nome eusociale (dal greco eu: “buono” + “sociale”) è inteso come alto livello di organizzazione sociale che si realizza in certi animali. Il termine fu creato nel 1966 da Suzanne Batra zoologa e biologa, che ha operato nel Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti. La organizzazione sociale delle formiche è oggetto di profondi studi e di importanti pubblicazioni scientifiche.
Sappiamo che la struttura delle colonie e la loro organizzazione sociale può variare da specie a specie. Oltre alla difesa contro i predatori, le formiche hanno necessità di proteggere le loro colonie dagli agenti patogeni. Quindi nel formicaio si pratica la divisione dei compiti. Alcune formiche operaie mantengono l’igiene della colonia e svolgono tutte le attività inerenti tra cui la necroforesi, la rimozione dalla colonia dei membri morti, altre che si possono distinguere per avere la testa più grande e mandibole potenti, sono invece formiche guerriere o soldato e hanno il compito della difesa del formicaio medesimo.
In situazioni paradossali e per certi versi un po’ assurdi si può ricorrere alla spiegazione della natura e del suo insegnamento (sui valori e sul comportamento) che ci viene trasmesso attraverso il codice genetico. A questo, infatti, ho pensato venendo a conoscenza, all’interno della tragica situazione politica in cui versa la Grecia, del fatto che gli elettori del partito neonazista Chrysi Avgi (alba d’oro) derivano (non tutti per fortuna) in modo numeroso dai poliziotti e uomini in divisa. A questo ho pensato mentre collegavo gli avvenimenti della crisi economica e dei suoi tragici risultati, alle difficoltà a porvi rimedio. Incredibili mediocrità da parte dei politici o colpevoli complicità sono alla base degli avvenimenti di crisi, non più solo economica, che turbano il pianeta e che gettano nella disperazione intere popolazioni.
Se guardiamo il nostro vecchio continente, appena nella superficie, i dati macroeconomici appaiono drammatici. Salvo la Germania che ha un tasso di disoccupazione giovanile appena (si fa per dire) dell’8%, i dati di altri paesi fanno venire la pelle d’oca: Spagna 50% (un giovane su due è nella disperazione) Grecia 48,3% , Portogallo oltre il 35%, Irlanda quasi il 30%. Il nostro paese è ben messo nella graduatoria del disastro, con una disoccupazione giovanile di oltre il 31% . Siamo in presenza di un cratere vulcanico infernale nel quale tutti possiamo precipitare e contemporaneamente (commedia che si aggiunge al dramma) siamo governati da persone che paiono non avere alcuna idea sul come evitare il precipizio.
Tutti si vive nella condizione descritta dal Manzoni nell’atto terzo del Coro dell’Adelchi (che già in altre circostanze ho citato) quando descrive la condizione disperata di un popolo che spera e sogna di uscire dalle condizioni di schiavo-suddito … dai fori cadenti, Dai boschi, dall’arse fucine stridenti, Dai solchi bagnati di servo sudor, Un volgo disperso repente si desta; Intende l’orecchio, solleva la testa Percosso da novo crescente romor. Ogni notizia ci pare buona. Salutiamo con soddisfazione, quasi entusiasmo, quanto politicamente ci sembra una discontinuità dal vecchio. Certo rimane in ciascuno di noi una collocazione culturale che permane, ma tuttavia, se visto con occhio neutro, questa rappresentazione è possibile, sia in Francia che in Italia che in Grecia, la dove si sono tenute tornate elettorali. Forse senza avvedercene siamo prigionieri di uno strabismo intellettuale, una sorta di schizofrenia culturale, che ci impedisce di ben vedere e capire. Mi provo, con difficoltà comprensibili, ad un approccio diverso.
E’ stato convenuto, forse perfino da culture profondamente diverse da noi e fortemente conservatrici, che la crisi che attraversiamo è crisi di Sistema. A parte il fatto che più che di crisi dovremmo dire delle crisi, ovvero di una serie di mutamenti negativi improvvisi che si sovrappongono (come delle armoniche, nello studio dei fenomeni oscillatori, che si accorciano e modificano la loro frequenza). La prima valutazione che dovremmo poter fare è quella di individuare se la proposta che ci viene propagandata come la soluzione che ci permetterà di riprenderci sia ancora dentro il Sistema o fuori di esso.
Perché il punto non è secondario. Se per affrontare la crisi prendo delle misure che stanno dentro il Sistema che ha generato la crisi appare evidente che la misura risulterà un palliativo che mi costringerà a prenderne altre sempre più dolorose. Mi pare quello che sta accadendo. E si sta verificando non in un solo paese ma globalmente. Infatti la crisi ha avuto gravissime conseguenze sull’economia reale del pianeta (per citare solo il dato più eclatante il numero dei malnutriti secondo la Fao è passato da800 acirca un miliardo di esseri umani). La richiesta spesso perentoria che autorità “globali” richiedono agli Stati attengono sempre a misure forti di stampo monetarista: misure che contrappongono esigenze di risanamento (?) ai diritti dei cittadini, dei lavoratori e dei pensionati. Un processo di erosione degli istituti della democrazia fortissimo. Un attacco alla conoscenza e ai saperi come mai c’era stato negli ultimi due secoli.
Se a tutto questo si accompagna un degrado complessivo fatto di malavita, corruzione, sollecitazione degli animal spirits dei singoli individui, completa assenza di politiche planetarie che governino le migrazioni di massa, seminagione dei valori della deresponsabilità collettiva che vede gli istituti della rappresentanza politica trasformati in oligarchie corrotte e dedite alla difesa dei loro privilegi, dovremmo poter arguire che tutto ciò non avviene per caso. Credo che la questione che dovremmo porci non è più soltanto sul come riuscire a venire fuori da questo sistema e realizzarne un altro, credo la faccenda sia diventata più complessa. A condizioni di sviluppo economico positivo a sinistra, lodevolmente, si era pervenuti ad una maturazione teorica che propugnava un altro modello. Lo si teorizzava per salvare il pianeta (le risorse non sono inesauribili) per salvaguardare la natura dall’inquinamento, dai cambiamenti climatici, per permettere ai paesi emergenti di potersi riscattare.
Insomma, ponderose discussioni e produzioni di cultura alta facevano intravedere possibili nuovi percorsi per l’umanità e per le specie viventi del pianeta. Chi ha teorizzato la necessità di uno sviluppo sostenibile e chi ha teorizzato la decrescita. Entrambe queste culture, pure spesso contraddittorie e in polemica tra di loro si collocano all’interno dei valori di progresso e di democrazia. La filosofia e le scienze ne hanno tratto notevoli benefici, oserei argomentare che in qualche misura questo dibattito, apparentemente tra gli addetti, ha invece fortemente influenzato la cultura in generale. Nella nostra epoca si è raggiunto un livello di conoscenza che mai era accaduto nella storia. Tutto girava nella direzione positiva: dai media alle università, dalla scolarizzazione di massa alla partecipazione, sempre più estesa, ai benefici derivati dalla alta produzione di beni che si sono determinati con l’uso delle tecnologie e della conoscenza.
Uno svolgimento apparentemente inesauribile. Ebbene in questo processo deve essere sfuggito qualche cosa. La naturale spinta ad un mondo sempre più unitario e globalizzato ha allentato i controlli e le regole. Ne è scaturita una globalizzazione che ha finito per alimentare gli istinti predatori mai sopiti che sono in una parte degli esseri umani (come le formiche soldato). Istinti che, come il pescecane, trova la sua acqua per sviluppare e crescere nella finanza e negli istituti che controllano il movimento delle monete. Il loro istinto predatorio li ha portati a costruirsi strumenti micidiali: le Agenzie di Rating e contestualmente a dominare i movimenti della moneta attraverso gli strumenti sofisticati dell’informatica.
Il passaggio successivo, nella messa in discussione del modello socio economico da utilizzare per lo sviluppo del Pianeta e quindi del Sistema di sviluppo tout court, è stato quello di avviare la riproduzione di quello che pure essendo arrivato al capolinea si era rivelato il più formidabile successo della loro cultura predatoria. Quindi si trattava semplicemente di riprodurlo ricominciando daccapo. Per poterlo fare occorreva far fare un salto indietro, di qualche secolo, alle popolazioni.
Quindi il governo dello spread e dell’economia finanziarizzata, mentre corrompeva anche culturalmente le classi politiche, poteva diventare il grimaldello per colpire al cuore i diritti acquisiti e la democrazia faticosamente conquistata dai popoli. La strada da percorrere, “copiando alla rovescia” la sinistra generosa e sognatrice, era quella di iniziare e portare a compimento la più grande rivoluzione reazionaria che sia mai stata tentata. Praticare la “decrescita” macro economica affamando moltitudini di cittadini di tutto il pianeta e in pochi decenni cancellare un paio di secoli di storia per tornare alle vecchie e odiose gerarchie sociali. Le difficilissime e spesso dolorose lotte che hanno realizzato conquiste ai diritti e alla democrazia dovevano essere archiviate. Il problema per lor signori era di farla franca. Nessuno si doveva accorgere che si era in guerra.
Penso invece che i cittadini se ne stiano accorgendo. Ancora in modo non completamente chiaro stanno passando al contrattacco. Con evidenza la cultura predatoria ha sbagliato in modo forte nel giudizio da dare alla democrazia. Si sta rivelando (non può essere altrimenti) un baluardo insormontabile. Siccome tra i suoi “strumenti di lotta” ci sono pure le elezioni, nelle circostanze che si presentano, ancorché nelle forme più contraddittorie, dai risultati che ne risultano se ne ricava che la cultura predatoria può essere sconfitta. Per farlo meglio e in modo evidente dobbiamo convincerci che è il tempo di sostituire anche le facce dei nostri rappresentanti. Non possiamo correre rischi. Tra chi non ha capito e chi invece si è trasformato in cortigiano non c’è molta differenza. E’ venuto il tempo della forte discontinuità e del cambiamento. E’ anche il vero, unico, modo per affermare davvero un Sistema diverso, stili di vita più conformi ad una umanità più consapevole e matura. Credo che potremmo farcela.