PERCHÉ BERLINO PAGA ZERO, di Federico Fubini

(da Il Corriere della sera, 24 maggio 2012)

 

 

PERCHÉ BERLINO PAGA ZERO,

di Federico Fubini (da Il Corriere della sera, 24 maggio 2012)

 

Subito prima che iniziassero i primi sintomi di questa crisi, nel 2007, per indebitarsi a due anni la

Germania pagava il 4,5%. Ieri invece ha pagato zero.

Eppure, in teoria, ii (picco) rischio di fallimen­to tedesco sarebbe superiore adesso rispetto al 2007, dato che il debito pubblico ora è più alto di 400 miliardi. La grande “fuga verso la sicurezza dei Bund dalla periferia d’Europa (e da fuori) sta pro­ducendo un effetto paradossale: permette al gover­no di Berlino di praticare tassi sempre più bassi, perché troverà comunque investitori pronti a met­tere al riparo in Germania il loro denaro. A qualun­que condizione.

È per questo che, in conseguenza della crisi, que­st’anno la Repubblica federale pagherà in interessi passivi circa 20 miliardi in meno di cinque anni fa. Anche se ii debito è molto più alto. A loro volta, le imprese tedesche beneficiano di questo afflusso di denaro in fuga dal resto d’Europa, finanziandosi a condizioni migliori rispetto alle concorrenti france­si o italiane. Grazie anche al crollo della fiducia in corso a un’ora di volo dalle loro case – un’ora verso Sud – gli elettori tedeschi non vedono e non sento­no la crisi. Non ritengono che li riguardi e in que­sto almeno somigliano ai greci, o a molti italiani: tutti sono fermamente convinti che questa situa­zione la debba nsolvere qualcun altro, non (an­che) loro. I greci, gli italiani o i francesi pensano che l’arma segreta si chiami eurobond, eufemismo per dire che i tedeschi devono accollarsi parte dei loro debiti, prodotti da eccessi passati e presenti: come se ciò rendesse davvero l’Italia o la Grecia più capaci di affrontare la competizione internazio­nale senza riforme interne del lavoro, della spesa, della giustizia civile o del pubblico impiego.

I tedeschi invece sono convinti che i Paesi del Sud debbano, semplicemente, diventare più simili a loro al più presto: come se ciò fosse facile mentre il risparmio fugge dal Sud verso la Germania, le imprese diventano illiquide, le banche fragili e in­capaci di contare su strumenti europei davvero ef­ficaci. TI progetto sulle garanzie bancarie su scala europea, chiaramente suI tavolo dei leader, per ora resta tale: giusto un progetto.

Sono queste le contraddizioni che stanotte han­no complicato ii vertice dei leader dell1Jnione Eu­ropea Mai come ieri si è capito che quello in corso non è solo un panico finanziario, ma l’interazione fra quest’ultimo e una crisi del sistema politico. Fin dall’inizio, le decisioni economicamente più razionali sono sempre state ritardate da qualche

governo in campagna elettorale: Un’elezione di Land in Germania, una nazionale in Spagna, una campagna popuIista in Grecia ieri, le politiche in Francia oggi, magari l’Olanda o l’Italia domani. L’Europa deve far fronte alla crisi in una cam-

pagna elettorale permanente. Ma gli elettori non capiscono perché mai accettare i cambiamenti, convinti come sono dai loro politici che lo sforzo principale debba spettare sempre a qualche altro Paese. Tede­schi e greci sono in. questo opposti ma identici.

L’ultimo esempio è quello offerto da François Holla.nde ieri sera a Bruxelles. A metà giugno il neo-presidente francese deve affrontare ii voto per I!Assemblea nazionale, sul quale si gioca buona parte del suo quinquennio al potere. Hollande ha dunque deciso di fare degli eurobond ii simbolo della sua capacità di far fronte al­l’austerità della tedesca Angela Merkel, benché nessuno pensi davvero che discutere di eurobond ora possa portare a quaIcosa di concreto. Le pres­sioni pubbliche e i gesti teatrali di Hòllande, che non ha visto lacancelliera prima del summit, han­no finito per distrarre tutti dagli argomenti più ur­genti.

Uno di questi riguardava le misure per attutire la recessione, a causa della quale l’austerità in Ita­lia o Spagna sta diventando ìnsostenibile, E anche qui sono tornati i veti incrociati di politici insicuri della propria rielezione. TI premier di Londra David Cameron per esempio appoggia il rigore di bilan­cio di Merkel, solo perché ciò legittima i forti tagli alla spesa che persegue in Gran Bretagna; ma Ca­meron, allo stesso tempo, per ora blocca l’aumen­to di capitale della Bei che porterebbe investimenti preziosi per far uscire il Sud Europa dalla recessio­ne: ii premier britannico ritiene che Londra non ne avrebbe vantaggi. Merkel invece accetta l’aumento di capitale della Bei ma intanto vuole limitare i «proiect bond» europei, che finanzierebbero infra­strutture, nel timore che essi diventino l’embrione di un eurobond.

La lista dei calcoli di breve respiro potrebbe con­tinuare, anche suI tema di cui i leader preferiscono non parlare in pubblico nel timore che aumenti il panico attorno alle banche: le garanzie europee sui depositi allo sportello. Tutti in fondo pensano che la Banca centrale-europea aprirà comunque il para­cadute, perché lo ha sempre fatto. La Bce di Mario Draghi è disposta a aiutare, magari a luglio, ma so­lo ad alcune condizioni. L’Eurotower è pronta a preservare il sistema bancario greco dal collasso, prestando a volontà, ma solo se i governi europei la indennizzeranno da eventuali perdite. Un patto simile con la Bee, in segreto, fu concluso già con il primo aiuto alla Grecia due anni fa Ma, soprattut­to, i banchieri centrali di Francoforte chiedono che il progetto delle garanzie europee sui depositi ban­cari divenga realtà. E che si possa usare il fondo salvataggi europeo per entrare nel capitale delle banche in difficoltà, per esempio in Spagna. In quel caso la Bee è disposta ad agire, tagliando i tas­si o immettendo moneta

Ora servono decisioni politiche costose, non so­lo per Angela Merkel. Ma solo se metteranno da parte la campagna elettorale permanente, ormai, questi leader europei potranno salvare 60 anni di progresso civile del continente.

 

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