SARDEGNA: DALLA CRISI ALLA RINASCITA. RIPARTIRE DALLA TERRA PER UN NUOVO MODELLO DI CIVILTA’, di Stefano Piroddi

Stefano Piroddi, giovane avvocato cagliaritano, romanziere e attivista culturale.

 

SARDEGNA: DALLA CRISI ALLA RINASCITA

 

RIPARTIRE DALLA TERRA PER UN NUOVO MODELLO DI CIVILTA’

 

di Stefano Piroddi

PREMESSA

 

Essere Sardi, oggi, significa innanzitutto avere la sensibilità per saper cogliere il grido di dolore che proviene dalla nostra terra. Una terra umiliata da profittatori e speculatori di ogni genere. Una terra violentata dall’imposizione di un’industrializzazione coatta, che ha attuato un vero e proprio genocidio culturale e ne ha profondamente alterato la vocazione economica naturale, fatta di agricoltura,  pastorizia, artigianato, piccolo commercio, turismo eco-compatibile.

 

Ma essere Sardi, oggi, significa anche riuscire a vedere la Rinascita della nostra terra sullo sfondo di un più generale contesto italiano, europeo e mondiale. In altre parole, è impossibile anche solo immaginare il cambiamento se prima non prendiamo atto della profonda crisi materiale e di valori delle società in cui viviamo e se prima non consideriamo i mutamenti epocali che possono fare dell’attuale momento storico lo spartiacque di due diverse ere nella storia dell’umanità.

 

 

LA NOSTRA EPOCA, UNA DECADENZA SENZA FINE

 

Questa è l’epoca delle passioni tristi; di passioni non legate a valori o lotte ideali, ma a “cose”: è l’epoca in cui si desidera fortemente qualsiasi cosa venga imposta dal bombardamento pubblicitario, ci si “appassiona” ad essa e la si dimentica subito dopo averla ottenuta per puntare a quella successiva, perché così vuole un vuoto interiore che si tenta di riempire con il consumismo, e perché così vuole un intero Sistema che si regge su vendite e acquisti senza fine per non entrare in crisi. Questa è l’epoca in cui si può avere tutto, ma non si conosce il valore di niente.

 

Gli uomini del nostro tempo sembrano avere una sola dimensione: quella materiale. L’Uomo non è più una persona inserita in un contesto naturale e comunitario ispirato alle leggi dell’Armonia e dell’Equilibrio, ma un individuo abbrutito moralmente, senza più legami con il Passato, con le Tradizioni della sua terra e con i suoi simili, mosso solo da bisogni materiali, in gran parte inutili e superflui, per appagare i quali è disposto a sfruttare criminalmente la Natura in uno stato di concorrenza permanente con gli altri uomini. L’uomo moderno è niente di più che la caricatura di se stesso: un atomo slegato da tutto che si muove schizofrenico in uno spazio indefinito, senza un’origine a cui ricondursi, senza una direzione a cui guardare, senza un senso chiaro dell’esistenza che non sia quello del profitto e del consumo.

 

Il Sistema politico, sociale ed economico che si è fondato su questa idea dell’uomo è quanto di più orribile si possa immaginare ed è sotto gli occhi di tutti: l’economia è scriteriatamente ispirata ai falsi dogmi del Prodotto Interno Lordo e della Crescita illimitata; la società è un insieme indistinto di individui per lo più soli, stressati, depressi: carnefici e vittime di un vuoto emotivo e di valori che non ha precedenti nella storia dell’uomo; donne e uomini che si inseguono nei fast food, si cercano con gli sms, si trovano su facebook, si perdono nei centri commerciali, si riconoscono nelle pubblicità: una società in perenne stato d’assedio che spende in ansio-litici e anti-depressivi una cifra pari a quella che basterebbe a risolvere per i prossimi cinquant’anni il problema della fame nel mondo.

Vittime di uno stile di vita disumano, pesantemente condizionato da stress, inquinamento e fretta, assistiamo ogni giorno a un aumento vertiginoso dei casi di tumore e delle malattie all’apparato cardio-circolatorio.

E’ un mondo in cui l’effimero e il senso di vuoto la fanno da padroni fino a ridurre a uno stato larvale intere fette della gioventù d’oggi, abbandonata dallo sfacelo di famiglia e scuola, e consegnata all’abbraccio mortale del Dio-Mercato, l’unico che si interessa veramente di loro per condurli sulla via del divertimento e del consumo, dove ciò che si consuma veramente è la loro stessa vita.

Per reggere tutto questo, la Natura è stata talmente violata e deturpata da mutare letteralmente il suo volto ogni giorno che passa, nei termini oggettivamente valutabili della desertificazione, della perdita della biodiversità, dell’estinzione di intere specie animali, della progressiva riduzione delle aree verdi del nostro pianeta.

 

DAL GLOBALE AL LOCALE: LA SITUAZIONE SARDA

Non c’è bisogno di troppe parole per descrivere la situazione di estremo disagio sociale ed economico che ha investito la nostra terra: fine dell’industria, agricoltura quasi inesistente, artigianato in ginocchio, disoccupazione, spopolamento e degrado delle zone interne, inquinamento, disagio sociale ed esistenziale, giovani senza radici e, di conseguenza, senza un futuro. Due, sostanzialmente, possono essere ritenute le cause principali: 1) l’industrializzazione forzata della nostra isola; 2) il processo di Globalizzazione.

 

 

L’INDUSTRIALIZZAZIONE COATTA

 

Fino ai primi anni sessanta, i Sardi vivevano di agricoltura, allevamento, artigianato e piccolo commercio. L’economia rispettava l’ambiente perchè la Natura veniva considerata l’elemento più importante, addirittura sacro, sullo sfondo di una società in cui la vera ricchezza consisteva in un profondo senso di appartenenza a una comunità e a un territorio e non in una vuota rincorsa al denaro e all’apparenza. Non si trattava ovviamente di un modello perfetto, ma era di certo molto più umano ed eco-compatibile di quello odierno, senza l’inquinamento, il malessere, gli eccessi e gli sprechi di oggi. Tutto, però, svanì quando gli autorevoli “tromboni” del cosiddetto “progresso” e della Crescita senza regole imposero alla Sardegna un modello di sviluppo che con la nostra terra non aveva proprio nulla a che spartire. Dietro l’ambigua promessa di un benessere per tutti, crearono dal nulla centinaia di fabbriche puzzolenti e deturpanti: le famose “Cattedrali nel deserto”, erette sull’altare del profitto e dello scempio ambientale.

Ma il danno maggiore si ebbe a livello culturale: qualsiasi lavoro che avesse a che fare con la terra, quindi l’agricoltore e l’allevatore, venne degradato a simbolo di arretratezza  e a volte addirittura criminalizzato. L’equazione “pastore = bandito” sfondò nell’immaginario collettivo fino a divenire un clichè difficilmente cancellabile. Erano le abili mosse di una propaganda progressista che aveva il subdolo scopo di sottrarre ai campi e ai pascoli migliaia di giovani, per rinchiuderli in maleodoranti prigioni di cemento armato a fare da servi a macchine e ingranaggi.  L’industrializzazione aveva trionfato anche da noi. Comunità millenarie, rette da valori ancestrali e legate da un tessuto solidaristico profondo, vennero dilaniate dall’individualismo e dall’alienazione tipiche di ogni società industriale. Come disse Fabrizio De andrè: “La Sardegna non ha più un’anima perchè le è stata tolta con l’inganno e la sopraffazione”.

 

LA GLOBALIZZAZIONE

 

A quanto detto, si sono aggiunti negli ultimi anni anche gli effetti dell’ennesima “promessa mancata” del Sistema: la Globalizzazione, un fenomeno che, nelle parole dei burocrati della politica,  avrebbe dovuto portare ricchezza e benessere ovunque, e ha, invece, accentuato le disarmonie e le contraddizioni del liberismo selvaggio. E’ ormai chiaro, infatti, che gli unici soggetti che ne hanno tratto profitto sono quelli che la fanno da padroni su ogni mercato: i grandi istituti finanziari e le multinazionali. Così come è evidente che istituzioni sovra-nazionali come l’Unione Europea contribuiscono a “governare” la globalizzazione con metodi iper-burocratici e assolutamente opinabili. La PAC (Politica Agricola Comunitaria) ne è uno degli esempi più eclatanti: anziché permettere a ogni territorio di sviluppare in totale libertà la propria Agricoltura, la si colpisce vietando determinate coltivazioni o addirittura incentivando gli agricoltori a rinunciarvi spontaneamente. Il risultato è stato un impoverimento della qualità e della varietà stessa dei prodotti, nonché la paralisi di un settore fondamentale della nostra economia. Ma poiché tale effetto non ha riguardato solo la Sardegna e l’Italia, ma ogni singola realtà locale del mondo occidentale, il senso (o non-senso, se si preferisce) è da ricercare solo in un disegno globale organico agli interessi di grandi banche e multinazionali: fare del mondo un immenso mercato globale in cui produrre una certa merce da una parte, e un’altra merce da un’ altra parte ( a seconda della convenienza economica), riducendo a schiavi i lavoratori della terra nel terzo mondo e a meri consumatori di merci i cittadini del mondo sviluppato.

Ciò che è stato fatto nel settore industriale con la de-localizzazione delle fabbriche in luoghi dove la manodopera costa meno, è stato fatto anche e soprattutto nel settore primario dell’Agricoltura.

 

Oggi la Sardegna paga più che mai le scelte scellerate di una classe politica regionale e nazionale che ha avallato entusiasticamente sia il Piano di rinascita (clamorosamente fallito con la chiusura delle fabbriche) che il processo di globalizzazione, dimostrando un’incapacità  di “leggere” la realtà e una mancanza di progettazione difficilmente perdonabili.

 

LA PROPOSTA

Basterebbero due soli dati a indicare la via migliore per porre un rimedio al disastro della situazione che stiamo vivendo: 1) l’85% di ciò che i Sardi trovano quotidianamente sulle loro tavole è prodotto fuori dalla Sardegna. 2) Secondo una stima emersa nella scorsa Conferenza mondiale di Copenaghen sui problemi dell’Ambiente, ben il 50% delle emissioni di CO2 è imputabile ai trasporti trans-continentali di derrate alimentari. Qualunque uomo politico dotato di un po’ di cervello e animato da una vera sensibilità per certi problemi, capirebbe che, rilanciando la nostra agricoltura in un’ottica di rapporto corretto e mai invasivo con la terra, si darebbe vita a un circolo virtuoso i cui effetti più evidenti sarebbero la Sovranità Alimentare, lo sviluppo locale, un aumento considerevole di posti di lavoro, il recupero della biodiversità e dei saperi locali, genuinità e stagionalità degli alimenti, drastica riduzione delle emissioni nocive dovute all’importazione di derrate alimentari. In poche parole: è necessario ripartire dalla terra.

 

 

UNO SCONTRO DI CIVILTA’

 

Un simile proposito non avrebbe solo un positivo risvolto sul piano sociale e politico, ma ancora di più sul piano culturale. Se oggi è il grande capitale finanziario a farla da padrone, che decide come e dove investire, che sfrutta e distrugge intere comunità locali, che smercia prodotti tutti uguali per consumatori tutti uguali, che depaupera campi e pascoli con lo sfruttamento intensivo e inquina l’aria e l’acqua coi trasporti trans-continentali, allora “ripartire dalla terra” diventa la sintesi di una visione del mondo e della vita completamente alternativa a quella oggi dominante. La crisi finanziaria dell’autunno 2008, quella che ha gettato il mondo intero nella recessione, è stata causata dalle speculazioni delle grandi banche, ma nessuna di esse ha pagato: la politica le ha invece salvate facendo ricadere i costi sul resto della comunità. Ha senso? Certamente no, se pensiamo che nulla è stato fatto per invertire la rotta. Ma un’altra strada è possibile: alla pseudo-civiltà delle banche, che fa e disfa a suo piacimento senza alcun rispetto per la dignità dell’Uomo e della Natura, si può opporre una nuova “civiltà della terra”, che, al contrario, rappresenta la base ideale su cui ogni essere umano e ogni comunità possono costruire degnamente il proprio futuro. Alla volatilità e alla insicurezza proprie del capitale finanziario si può opporre la solidità e la certezza della terra; al consumismo fine a se stesso e all’omologazione del “sistema dei Banchieri”, si devono opporre la particolarità culturale e la libertà di ogni popolo che solo nella Tradizione e nella Terra possono affondare le loro radici più sicure.

 

“Un nuovo mondo è possibile”, si dice sempre più spesso e da più parti. Ebbene, se sapremo ripartire dalla Sardegna, dai suoi tanti problemi, ma anche dalle sue infinite potenzialità naturali e culturali, potremo fare della nostra terra il laboratorio politico ideale di un nuovo modello di civiltà: esempio concreto per una società occidentale che ha smarrito se stessa e contagiato con la sua follia il resto del Pianeta.

 

 

 

 

Condividi su:

    Comments are closed.