COLDIRETTI SARDEGNA: La lenta morte della Sardegna. Coldiretti denuncia: importiamo tutto, persino il grano per il pane carasau. Indispensabile un solido Piano di Rinascita

 

 

COLDIRETTI SARDEGNA

Comunicato stampa

La lenta morte della Sardegna

Coldiretti denuncia: importiamo tutto, persino il grano per il pane carasau.

Indispensabile un solido Piano di Rinascita

L’agricoltura sarda si dissangua lentamente e, con essa, rischia la morte l’intera economia dell’Isola. Si tratta di una constatazione amara, che sintetizza un processo che, giorno dopo giorno, impoverisce la nostra economia e sposta ricchezza verso altri paesi del mondo.

 

E’ infatti un dato di fatto, presente anche nel comune sentire della gente, che una delle ricchezze più importanti della Sardegna, assieme all’ambiente incontaminato ed alle bellezze naturalistiche, è l’enorme varietà e bontà delle sue produzioni agroalimentari. I due aspetti, indissolubilmente connessi, dovrebbero garantire alla nostra isola un’economia florida.

 

La denuncia

In realtà non è cosi: il grosso delle produzioni agroalimentari Sarde sono fatte con materie prime importate.

 

Un sistema folle nel quale ad esempio, nonostante il nostro comparto suinicolo abbia potenzialità produttive sufficienti a garantire l’autoconsumo, vediamo la quasi totalità di prodotti trasformati realizzati con carni estere.

 

Un sistema malato, nel quale persino le produzioni più tipiche, il pane carasau, sono fatte con materie prime di origine ignota.

 

Una follia che uccide il nostro tessuto produttivo primario e che porterà al collasso l’intero sistema economico isolano.

 

Infatti, in una Sardegna che piano piano perde pezzi di industria, che vede i poli chimici sempre più in difficoltà avviati verso la chiusura o verso una difficile riconversione, l’unico elemento che può consentirci di evitare il default  è la realizzazione di un sistema che garantisca ai nostri punti di forza, agroalimentare in primis, di funzionare come volano per il tessuto economico autoctono.

 

In altri termini, o si valorizza la capacità produttiva delle imprese Sarde, o si andrà verso un inesorabile declino, un’inarrestabile implosione che porterà la Sardegna intera alla desertificazione produttiva e sociale!

 

I Numeri

Quanto finora affermato è chiaramente desumibile dai dati sulla nostra bilancia commerciale: siamo importatori, per fare alcuni esempi, di cereali (per oltre il 60 mln di euro) e di carne (oltre 23 mln di euro). In questo modo il nostro bilancio complessivo import-export vede il settore primario dipendere per circa 121 mln di euro da produzioni extraisolane, e quello alimentare per altrettanti 104 mln.

 

Complessivamente la Sardegna esporta beni agroalimentari per 140 mln di euro, ma ne importa per 225 mln.

 

La proposta

La politica deve iniziare a fare delle scelte. Deve capire che lo sviluppo reale non si fa creando posti di lavoro fittizi, ma incidendo in maniera efficace sui nodi che possono favorire il fare impresa in Sardegna.

 

Un esempio su tutti: se la nostra bilancia commerciale è fortemente dipendente dall’importazione di prodotti extraisolani, è assolutamente indispensabile invertire questa tendenza.

 

Come farlo?

Lo si può fare partendo proprio dalla domanda della pubblica amministrazione (Servizi di Ristorazione Collettiva) promuovendo “Servizi di ristorazione a ridotto impatto ambientale” con elementi di premialità legati alla somministrazione di alimenti e bevande nella ristorazione collettiva pubblica provenienti da produzione biologica, produzione integrata, con l’utilizzo di prodotti IGP, DOP e STG, produzioni legati alla stagionalità e caratterizzati da una bassa emissione di gas a effetto serra, espressi in termini di emissione di CO2 (KM0).

 

Con quale impatto?

Si stima che allo stato attuale i servizi di ristorazione collettiva garantiscano più di 10 milioni di pasti solo nelle mense pubbliche, con oltre 50 milioni di euro annui in termini di valore.

 

E’ facilmente intuibile che un’azione di questo tipo avrebbe effetti virtuosi diretti, incrementando il consumo di prodotti realmente isolani, ma anche indiretti perché favorirebbe quel processo di rieducazione alimentare al consumo consapevole che porterebbe ad un ulteriore aumento della domanda di prodotti sardi.

 

E’ chiaro che questo intervento, che sembra l’uovo di colombo, ha necessità di azioni importanti di ristrutturazione delle aziende agricole, di sostegno al mondo della cooperazione, di facilitazione dell’accesso al credito.

 

E’ quindi necessario un vero e proprio Piano di Rinascita, un progetto complesso, che contempli una serie di interventi che vadano oltre il tamponamento delle emergenze, un’insieme di azioni  utili ad incidere in maniera importante sui meccanismi che nei prossimi 50 anni potranno garantire uno sviluppo alla nostra isola: si tratta di una sfida importante, e noi sosterremo con forza chi avrà il coraggio di intraprenderla.

 

Con cortese preghiera di pubblicazione e diffusione

 

Cagliari, 30 aprile  2012                    Coldiretti Sardegna

 

 

La lenta morte della Sardegna

Coldiretti denuncia: importiamo tutto, persino il grano per il pane carasau.

Indispensabile un solido Piano di Rinascita

L’agricoltura sarda si dissangua lentamente e, con essa, rischia la morte l’intera economia dell’Isola. Si tratta di una constatazione amara, che sintetizza un processo che, giorno dopo giorno, impoverisce la nostra economia e sposta ricchezza verso altri paesi del mondo.

 

E’ infatti un dato di fatto, presente anche nel comune sentire della gente, che una delle ricchezze più importanti della Sardegna, assieme all’ambiente incontaminato ed alle bellezze naturalistiche, è l’enorme varietà e bontà delle sue produzioni agroalimentari. I due aspetti, indissolubilmente connessi, dovrebbero garantire alla nostra isola un’economia florida.

 

La denuncia

In realtà non è cosi: il grosso delle produzioni agroalimentari Sarde sono fatte con materie prime importate.

 

Un sistema folle nel quale ad esempio, nonostante il nostro comparto suinicolo abbia potenzialità produttive sufficienti a garantire l’autoconsumo, vediamo la quasi totalità di prodotti trasformati realizzati con carni estere.

 

Un sistema malato, nel quale persino le produzioni più tipiche, il pane carasau, sono fatte con materie prime di origine ignota.

 

Una follia che uccide il nostro tessuto produttivo primario e che porterà al collasso l’intero sistema economico isolano.

 

Infatti, in una Sardegna che piano piano perde pezzi di industria, che vede i poli chimici sempre più in difficoltà avviati verso la chiusura o verso una difficile riconversione, l’unico elemento che può consentirci di evitare il default  è la realizzazione di un sistema che garantisca ai nostri punti di forza, agroalimentare in primis, di funzionare come volano per il tessuto economico autoctono.

 

In altri termini, o si valorizza la capacità produttiva delle imprese Sarde, o si andrà verso un inesorabile declino, un’inarrestabile implosione che porterà la Sardegna intera alla desertificazione produttiva e sociale!

 

I Numeri

Quanto finora affermato è chiaramente desumibile dai dati sulla nostra bilancia commerciale: siamo importatori, per fare alcuni esempi, di cereali (per oltre il 60 mln di euro) e di carne (oltre 23 mln di euro). In questo modo il nostro bilancio complessivo import-export vede il settore primario dipendere per circa 121 mln di euro da produzioni extraisolane, e quello alimentare per altrettanti 104 mln.

 

Complessivamente la Sardegna esporta beni agroalimentari per 140 mln di euro, ma ne importa per 225 mln.

 

La proposta

La politica deve iniziare a fare delle scelte. Deve capire che lo sviluppo reale non si fa creando posti di lavoro fittizi, ma incidendo in maniera efficace sui nodi che possono favorire il fare impresa in Sardegna.

 

Un esempio su tutti: se la nostra bilancia commerciale è fortemente dipendente dall’importazione di prodotti extraisolani, è assolutamente indispensabile invertire questa tendenza.

 

Come farlo?

Lo si può fare partendo proprio dalla domanda della pubblica amministrazione (Servizi di Ristorazione Collettiva) promuovendo “Servizi di ristorazione a ridotto impatto ambientale” con elementi di premialità legati alla somministrazione di alimenti e bevande nella ristorazione collettiva pubblica provenienti da produzione biologica, produzione integrata, con l’utilizzo di prodotti IGP, DOP e STG, produzioni legati alla stagionalità e caratterizzati da una bassa emissione di gas a effetto serra, espressi in termini di emissione di CO2 (KM0).

 

Con quale impatto?

Si stima che allo stato attuale i servizi di ristorazione collettiva garantiscano più di 10 milioni di pasti solo nelle mense pubbliche, con oltre 50 milioni di euro annui in termini di valore.

 

E’ facilmente intuibile che un’azione di questo tipo avrebbe effetti virtuosi diretti, incrementando il consumo di prodotti realmente isolani, ma anche indiretti perché favorirebbe quel processo di rieducazione alimentare al consumo consapevole che porterebbe ad un ulteriore aumento della domanda di prodotti sardi.

 

E’ chiaro che questo intervento, che sembra l’uovo di colombo, ha necessità di azioni importanti di ristrutturazione delle aziende agricole, di sostegno al mondo della cooperazione, di facilitazione dell’accesso al credito.

 

E’ quindi necessario un vero e proprio Piano di Rinascita, un progetto complesso, che contempli una serie di interventi che vadano oltre il tamponamento delle emergenze, un’insieme di azioni  utili ad incidere in maniera importante sui meccanismi che nei prossimi 50 anni potranno garantire uno sviluppo alla nostra isola: si tratta di una sfida importante, e noi sosterremo con forza chi avrà il coraggio di intraprenderla.

 

Con cortese preghiera di pubblicazione e diffusione

 

Cagliari, 30 aprile  2012                    Coldiretti Sardegna

 

 

I numeri della Bilancia Commerciale della Sardegna

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

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