Ci chiamavano pecorai… intervista a Gigi Riva.

da  L’UNIONE SARDA, 11 maggio 2012

 

 

L’UNIONE SARDA – Politica: Riva: ci chiamavano pecorai

11.05.2012

«Gli insulti dagli spalti di tutta Italia mi hanno fatto sentire subito uno di voi» I ricordi dell’ex bomber del Cagliari, isolano d’adozione Uno dice: diventare sardi senza essere nati e cresciuti qui, che assurdità. Poi basta pensare un attimo a Gigi Riva e si cambia idea immediatamente. «Ma certo che si può diventare sardi», dice lui a proposito delle risposte al sondaggio dell’Università di Cagliari, «mi fa piacere che il 71% abbia detto sì a quella domanda». Cosa fu a farle sentire di essere diventato uno di noi? «Successe a tutti quelli della squadra di allora, perché quando fuori ci chiamavano pecorai, banditi, era inevitabile incavolarci. E allora vincevamo di più». Una rivincita, insomma. «Beh, sicuramente i torti che subivamo allora noi sardi hanno contribuito a farmi identificare con questo popolo. Ma insieme ai valori che ho incontrato. Sono 50 anni che giro l’Isola, sono di casa a Orgosolo, Mamoiada. Ho incontrato gente meravigliosa». Negli anni ’60, scegliere la Sardegna non era facile. «Facile? Era una pazzia. Erano i tempi del “ti sbatto in Sardegna”. Eravamo la regione peggio considerata in Italia. Gli aerei in ritardo erano sempre quelli per l’Isola. La Costa Smeralda l’hanno scoperta dopo». A proposito: lei è di casa a Orgosolo, ma è vero che non è mai stato a Porto Cervo? «Sì. Sono stato in Costa Smeralda ma solo d’inverno, per giocare a golf. E vedevo esclusivamente il campo da golf. Mai fatta un’estate lì». Non è Sardegna anche quella? «No, è un mondo fasullo. Cambiarsi tre volte al giorno, le ciabattine bianche abbinate ai pantaloni bianchi, lo spumantino in barca… Non fa per me». Ma lei come avrebbe risposto al sondaggio dell’Università? Si sente più sardo o più italiano? «Tutti e due, purché si rispetti la Sardegna. Come si fa rispettare la Sicilia. Ma noi siamo diversi». Non sappiamo alzare abbastanza la voce? «Siamo più remissivi. Soprattutto i politici. Li trovo sempre in aereo, vanno a Roma e tornano con un pugno di mosche. Quando protestano, lo fanno per un giorno: non serve a niente, devi protestare per sei mesi». E tutto questo, secondo lei, da cosa dipende? «Dal fatto che chi ci rappresenta è condizionato da mamma politica, che sta in Italia. Sono degli impiegati dei partiti nazionali, e devono obbedire a loro». Allora le farà piacere questa rinnovata fortuna del pensiero indipendentista. «Beh, se l’Italia ci tratta come ci tratta, se il Governo non ci dà quel che ci spetta, tanto vale provare a cavarcela da noi. Sembra che ci sia una voglia di cambiamento. Solo che spesso si parla tanto ma poi ci si ferma». Poca concretezza? «Forse a volte mancano progetti seri. Però è un segnale positivo che siano passati i referendum dell’altro giorno, una piacevole sorpresa». C’è chi propone di creare la nazionale sarda di calcio. Lei che ha ancora il record di reti in quella italiana, che ne pensa? «Che non potrei scendere in campo, alla mia età mi strappo…» Però è bello immaginare, in un team di tutti i tempi, Zola che manda in gol Gigi Riva… «Sì, ma non vorrei che fare oggi una squadra sarda venisse buttato sullo scherzo. Forse dobbiamo mandare altri segnali, più forti. E stampa e tv ci dovrebbero aiutare a farlo».

 

 

L’UNIONE SARDA – Politica: «Veri sardi si diventa»

11.05.2012

Risposte inattese al sondaggio accademico su identità e autonomia Il luogo di nascita non conta, ma l’accento è ancora un problema EDIMBURGO Sarà anche vero che tutti i popoli con un forte orgoglio nazionale si assomigliano: ma poi ciascuno è orgoglioso a modo suo. Sardi e scozzesi, per esempio: in comune un accento marcato, che li identifica con chiarezza solare in mezzo a italiani e britannici. Però probabilmente la parlata sarda è ancora fonte di imbarazzo, per qualcuno. Mentre in Gran Bretagna l’accento del nord è diventato persino cool (un giovane italiano direbbe che fa figo ). IDENTITÀ DINAMICA È una delle curiosità emerse nel seminario congiunto tra l’Università di Cagliari e quella di Edimburgo, dedicato ai temi delle autonomie regionali, che si è svolto poche settimane fa nella capitale scozzese. Ma non è quello sugli accenti il dato più sorprendente. Sembrerà strano, ma sardi si diventa: lo dicono le risposte a una delle tante domande del questionario sull’identità e l’autodeterminazione, diffuso dalla cattedra di Diritto costituzionale dell’ateneo cagliaritano (coordinatore della ricerca è Gianmario Demuro) insieme a quella di Statistica del professor Francesco Mola. «Si può diventare sardi?», recitava letteralmente il quesito. E tra quelli che hanno compilato il questionario (circa seimila, un numero elevatissimo per una ricerca statistica) il 71% ha risposto sì. Sintomo di un concetto di identità dinamico, non su base etnica. «D’altra parte in Sardegna, negli ultimi anni, si è affermato un indipendentismo non nazionalista», ha sottolineato Ilenia Ruggiu, docente di Diritto costituzionale, nell’incontro con i colleghi scozzesi. Proprio questi ultimi sono apparsi molto colpiti da quella risposta. «Da noi sono più decisivi i fattori etnici», è stata la considerazione del sociologo Michael Rosie: «Conta dove tu sei e dove sei nato». MEETING A CAGLIARI La ricerca guidata da Demuro, e avviata tre anni fa grazie a un finanziamento della Regione, mirava a cogliere la percezione dei sardi rispetto all’identità locale e all’autogoverno dell’Isola. Un modo per avere dati concreti, e statisticamente attendibili, su cui basare le famose riforme istituzionali. È stato quasi naturale cercare una comparazione con la Scozia, terra di forti fermenti indipendentisti. L’ateneo di Edimburgo conduce da anni dei sondaggi sugli stessi temi, e anzi il questionario sardo è in parte ispirato a quelli scozzesi. I risultati definitivi della ricerca saranno resi noti il 30 maggio a Cagliari, in un convegno a cui parteciperà anche il team britannico. Ma tra le anticipazioni si rilevano, appunto, i diversi sentimenti rispetto agli accenti. SE PARLA GEPPI Una domanda del questionario chiedeva di attribuire un punteggio, da 1 a 10, a sei elementi considerati i più importanti per «sentirsi sardi». Cinque di questi hanno ottenuto un voto di poco superiore o di poco inferiore a 8: essere nati in Sardegna, viverci, conoscerne la cultura, parlare la lingua, avere genitori sardi. L’unica risposta che si piazza molto sotto (con una valutazione tra il 5 e il 6) è appunto «avere un accento sardo». Gianmario Demuro ipotizza che «ci dia ancora un po’ di fastidio essere identificati in quel modo», in base alla chiusura delle vocali o alle doppie distribuite con generosità. «Era così anche da noi», ha risposto durante il seminario Eve Hepburn, responsabile dell’Academy of Government dell’Università di Edimburgo: «Ma dagli anni ’80 in poi è diventato popolare». Dalle nostre parti non è ancora così, ma forse qualcosa è già cambiato: basta vedere con quale successo porti in tv il proprio forte accento una come Geppi Cucciari. RIVENDICAZIONI Nel convegno di fine maggio saranno illustrati nel dettaglio anche i risultati della parte del questionario relativa alle istituzioni locali, e alle politiche concrete della Regione. «In generale – ha spiegato a Edimburgo Elisabetta Piludu, ricercatrice di Statistica – gli intervistati riconoscono una difficoltà della Sardegna a gestire la propria autonomia speciale, ma invocano comunque maggiori poteri di autogoverno». Però non mancano alcuni dati controversi. Come la risposta alla domanda su chi debba provvedere alla spesa per la sanità pubblica e l’istruzione: il Governo o la Regione? Il 59% del campione ha scelto la prima opzione. «Sembra in contraddizione – ha notato Eve Hepburn – con la richiesta di autonomia fiscale che emerge da altre risposte». Perché sognare di far da soli è affascinante, ma forse fa ancora un po’ paura.

 

 

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