LA POLITICA DELLA DEMOCRAZIA

Rassegna stampa di oggi: il ‘SI’ ai referendum, dati e commenti.

 

COMUNICATO DELLA PRESIDENZA DELLA REGIONE SARDA

CAGLIARI, 7 MAGGIO 2012 – I risultati dello scrutinio dei dieci quesiti referendari nelle 1.826 sezioni confermano la posizione prevalente dei sardi a favore del sì.

Questi i dati in percentuale per ogni singolo quesito:
Referendum n. 1 (Volete voi che sia abrogata la legge regionale sarda 2 gennaio 1997, n. 4 e successive integrazioni e modificazioni recante disposizioni in materia di “Riassetto generale delle Province e procedure ordinarie per l’istituzione di nuove Province e la modificazione delle circoscrizioni provinciali?) Si 96,94% – No 3,05%;
Referendum n. 2 (Volete voi che sia abrogata la legge regionale sarda 1 luglio 2002, n. 10 recante disposizioni in materia di “Adempimenti conseguenti alla istituzione di nuove Province, norme sugli amministratori locali e modifiche alla legge regionale 2 gennaio 1997, n. 4?) Sì 97,60 – No 2,39;
Referendum n. 3 (Volete voi che sia abrogata la deliberazione del Consiglio regionale della Sardegna del 31 marzo 1999 (pubblicata sul BURAS n. 11 del 9 aprile 1999) contenente “La previsione delle nuove circoscrizioni provinciali della Sardegna, ai sensi dell’art. 4 della legge regionale 2 gennaio 1997, n. 4?) Sì 97,71 – No 2,28;
Referendum n. 4 (Volete voi che sia abrogata la legge regionale sarda 12 luglio 2001, n. 9 recante disposizioni in materia di “Istituzione delle Province di Carbonia-Iglesias, del Medio Campidano, dell’Ogliastra e di Olbia-Tempio?) Sì 96,87 – No 3,12;
Referendum n. 5 (Siete voi favorevoli all’abolizione delle quattro province “storiche” della Sardegna, Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano?) Sì 65,98 – No 34,01;
Referendum n. 6 (Siete voi favorevoli alla riscrittura dello Statuto della Regione Autonoma della Sardegna da parte di un’ Assemblea Costituente eletta a suffragio universale da tutti i cittadini sardi?) Sì 94,42 – No 5,57;
Referendum n. 7 (Siete voi favorevoli all’elezione diretta del Presidente della Regione Autonoma della Sardegna, scelto attraverso elezioni primarie normate per legge?) Sì 96,85 – No 3,14;
Referendum n. 8 (Volete voi che sia abrogato l’art. 1 della legge regionale sarda 7 aprile 1966, n. 2 recante “Provvedimenti relativi al Consiglio regionale della Sardegna” e successive modificazioni?) Sì 97,17 – No 2,82;
Referendum n. 9 (Siete voi favorevoli all’abolizione dei consigli di amministrazione di tutti gli Enti strumentali e Agenzie della Regione Autonoma della Sardegna?) Sì 97,06 – No 2,93;
Referendum n. 10 (Siete voi favorevoli alla riduzione a cinquanta del numero dei componenti del Consiglio regionale della Regione Autonoma della Sardegna?) Sì 98,27 – No 1,72.

L’UNIONE SARDA – Politica: Sì, vittoria schiacciante

08.05.2012

Quorum raggiunto per tutti i quesiti, che passano con il 97% dei sì Si dimette Cherchi, presidente della Provincia Carbonia-Iglesias A metà mattina di ieri sembrava che l’unico quesito a non raggiungere il quorum fosse il numero 9, quello che chiedeva ai sardi un sì o un no all’abolizione dei consigli di amministrazione degli enti e delle agenzie regionali. Un’incoerenza inspiegabile: perché gli elettori avrebbero dovuto votare sì a tutti tranne che a questo? Infatti era un falso allarme: alle 14 e 26 una nota ufficiale della Regione informava che «tutti i quesiti referendari hanno superato il quorum di un terzo previsto dalla legge per considerare valida ciascuna consultazione». VITTORIA SCHIACCIANTE Il risultato dei sì è stato schiacciante: una media regionale del 96,89%, con punte del 98,56% a Cagliari per il quesito numero dieci (riduzione da 80 a trenta del numero dei consiglieri regionali) e, all’estremo opposto, il 59,24% registrato a Oristano per il quinto quesito, quello legato all’abolizione delle quattro Province storiche. Un argomento sul quale i sardi sono stati tiepidi: solo il 65,98% di sì. Un dato che deve far riflettere. Perché se è vero che il quorum è stato superato e il referendum (consultivo) è valido, dunque impegna la classe politica ad agire di conseguenza, è altrettanto vero che a dire sì all’abolizione delle Province storiche è stato meno di un decimo degli elettori, 134 mila sardi su 1.480.366 che avevano diritto al voto. ADDIO NUOVE PROVINCE Diverso il discorso sulle quattro nuove Province: il sì alla loro abolizione è stato unanime tra gli elettori. Un avviso di sfratto così chiaro che ieri, primo tra i quattro colleghi esautorati, il presidente della Provincia Carbonia-Iglesias Tore Cherchi ha annunciato le sue dimissioni, che formalizzerà un minuto dopo che la Corte d’Appello ufficializzerà il risultato. CHERCHI SI DIMETTE «Rispetto l’esito del referendum e voglio liberare il campo da possibili strumentalizzazioni: non sono attaccato alla poltrona», dice l’esponente del Pd. «Ho detto in tempi non sospetti che senza norme che garantissero una transizione indolore sarebbe stato il caos, e così sarà. Ho posto problemi concreti che nessuno ha affrontato». INDENNITÀ TRAVOLTE L’esito dei referendum è intriso della stessa furia antipolitica che nei Comuni italiani (dove si è votato domenica e ieri) ha spazzato via i partiti che hanno dominato negli ultimi tre lustri. Lo stesso sentimento che ha travolto uno dei privilegi più odiati: le indennità dei Consiglieri regionali. Con il 97,17% di sì, gli elettori hanno ordinato la cancellazione della norma che lega gli stipendi degli onorevoli sardi a quelli dei colleghi del Parlamento, seppure “in misura non superiore all’80 per cento”. La metà dei sardi che campa a fatica non ha tollerato che ci siano persone che per governarli («male») portano a casa da 11 a 14 mila euro netti al mese a seconda del ruolo che ricoprono. ADDIO CDA NEGLI ENTI Molto più sei sessantamila, in questo caso lordi, che portano a casa i consiglieri di amministrazione degli enti e delle agenzie regionali. I sardi hanno detto basta ritenendo che si tratti di inutili posti di sottogoverno destinati, spesso, a candidati trombati. Anche su questo gli elettori hanno voluto segnare una linea di confine: è finita. Oltre 385 mila elettori hanno detto, inoltre, che 80 consiglieri sono troppi: meglio 50. Dieci in meno di quanti ne ha previsto la proposta di legge costituzionale già approvata in prima lettura alla Commissione Affari costituzionali del Senato e che attende il via libera della Camera. LA SCELTA DEL PREMIER Che la fiducia nella classe politica sia finita, come le cambiali (politiche), è dimostrato anche dal successo di altri due quesiti, apparentemente meno popolari ma estremamente significativi. Il numero sette, passato con il 96,85% dei voti, contiene due indicazioni: ribadisce che i sardi vogliono eleggere direttamente il presidente della Regione e, dunque, non gradiscono un ritorno al proporzionale (semmai qualcuno fosse tentato) e sottolinea che il candidato presidente deve essere scelto attraverso le elezioni primarie. Certo, i partiti possono sempre pilotare la scelta ma l’esito delle amministrative di ieri, e prima ancora il caso Cagliari, dimostrano che i cittadini espellono i candidati non graditi. Anche il quesito numero sei, quello sulla riscrittura dello Statuto speciale da parte di un’Assemblea costituente composta da esponenti di tutti i settori della società, conferma l’elemento chiave di questa consultazione: la sfiducia nelle attuali istituzioni.

L’UNIONE SARDA – Politica: L’indecisione di Pdl e Pd

08.05.2012

L’ANALISI. Cappellacci, Riformatori e sindaci escono rafforzati Vincitori e vinti ora alla prova delle riforme Il gioco del chi vince e chi perde questa volta non è agevole, se è vero com’è vero che i referendum anti-casta lasciano sul campo morti e feriti (politicamente) che ancora non hanno un nome. È possibile, però, fare un’analisi del voto, cercando di prefigurare gli scenari delle prossime settimane se non dei prossimi mesi. UGO CAPPELLACCI Il governatore esce indubbiamente rafforzato dall’appuntamento con le urne. In questo caso potrebbe capitalizzare il successo dei referendum in misura ancora maggiore rispetto a quello del quesito sul nucleare, celebrato nel 2011. Anche in quel caso il presidente della Giunta si era esposto in prima persona, ma il fronte era così ampio e composito che i “ritorni” sono stati infinitesimali. In questo caso c’è da riconoscere a Cappellacci di essere stato coraggioso a sposare una causa che pareva persa in partenza. In caso di mancato raggiungimento del quorum, infatti, i suoi nemici avrebbero avuto buon gioco a chiederne le dimissioni. Ora la palla è in mano al governatore: rispetto alla sua litigiosa maggioranza può giocare la carta del voto popolare nella battaglia per ridurre sprechi e rendite di posizione. RIFORMATORI La battuta più gettonata sul web è “Finalmente i Riformatori hanno riformato qualcosa”. Tra tutti Pierpaolo Vargiu, Michele Cossa e Massimo Fantola si sono spesi con generosità accanto al comitato promotore. Ora devono confermare la posizione in Consiglio, cercando di sfruttare l’onda lunga. I SINDACI Senza il loro entusiasmo l’avventura referendaria non sarebbe nemmeno iniziata. Rappresentano la classe dirigente del futuro, molti di loro possono dire di essere partiti bene. TORE CHERCHI In molti lo definiscono un politico con la p maiuscola. E le sue dimissioni di ieri ribadiscono una statura innegabile, una risorsa per il sistema-Sardegna. PDL E PD I due maggiori partiti hanno lasciato libertà di voto ai loro iscritti, nel non troppo nascosto tentativo di conciliare le varie anime presenti al loro interno. Soprattutto una folta schiera di amministratori locali, consulenti, componenti di Cda ha tifato per far fallire la consultazione. Ora recuperare posizioni sarà difficile. A Silvio Lai e Settimo Nizzi toccherà far buon viso a cattivo gioco. Il primo ha il vantaggio di essere all’opposizione e di riversare sulla maggioranza la responsabilità di risolvere il caos sulla riorganizzazione delle competenze delle Province abrogate. Il secondo, avendo responsabilità di governo, rischia di pagare due volte.

L’UNIONE SARDA – Politica: Nizzi (Pdl): «Un caos normativo» Lai (Pd): «Rafforziamo i Comuni» Medde (Cisl): «Ora la Costituente»

08.05.2012

LE REAZIONI. Partiti in ordine sparso dopo il voto La politica sarda è ancora disorientata perché, in verità, la convinzione diffusa era quella che il quorum per i dieci referendum anti-casta non venisse raggiunto. Così il riposizionamento e l’analisi di quanto è accaduto domenica paiono interlocutori. La sensazione è che i partiti non abbiano ancora realizzato quanto è accaduto. Il coordinatore del Pdl Settimo Nizzi : «Si è ingenerato un caos normativo. Tutte le Province devono considerarsi morte. La vera difficoltà che abbiamo davanti è quella di verificare quali risposte dare ai territori. Con l’anti-politica non arrivano cose concrete». Da uno dei promotori del referendum, il giovane avvocato di Ollolai Efisio Arbau , arriva un giudizio tranchant: «I risultati dei referendum lasciano sul campo le macerie di una classe politica vecchia ed inadeguata. Questo però è il passato che cercherà di trascinarsi per tirare a campare. Adesso dobbiamo pensare alla Sardegna che cambia, quella che hanno voluto gli oltre 500 mila sardi che sono andati a votare e gli altrettanto numerosi che non sono andati, schifati dalla politica». Giulio Calvisi , deputato del Pd, segnala il rischio di «un effetto perverso per i cittadini: abbiamo invitato lo Stato ad abbandonare i territori. Rischiano ora la cancellazione le sedi giurisdizionali periferiche che si erano salvate dai tagli ministeriali solo perchè site nei nuovi capoluoghi di Provincia». Per il segretario regionale del Pd Silvio Lai «i sardi hanno dato un’indicazione chiara che va rispettata e tocca ora alla Giunta, prima di tutto, e al Consiglio regionale applicare quelle indicazioni nel rispetto della Costituzione, individuando una nuova architettura istituzionale semplificata, moderna ed efficiente che dovrà basare le sue fondamenta sui Comuni uniti e coordinati piuttosto che su un neo centralismo regionale. I referendum non riguardano solo le 4 nuove Province ma anche quelle storiche». Per il vicecapogruppo del Pdl in Consiglio regionale Pietro Pittalis «i referendum rappresentano una vittoria dei sardi, che non hanno ceduto ai silenzi e all’ostruzionismo del fronte della conservazione e hanno dato luogo a una giornata di mobilitazione e di partecipazione popolare democratica». Per il segretario di Sel Michele Piras «è evidente il fatto che la società sarda è attraversata da un bisogno di rinnovamento e da un sentimento di repulsione per la politica tradizionale. Questo è certamente deducibile dall’esito dei referendum e non costituisce nemmeno una novità». Per il vicepresidente del Consiglio regionale Michele Cossa «i sardi si sono espressi, adesso tocca alla politica non deludere le aspettative degli elettori». L’Anci regionale, per bocca del presidente Cristiano Erriu chiede ora «più funzioni, più risorse e più personale per i Comuni», mentre il consigliere regionale di Sel Luciano Uras penso sia sbagliato «ogni trionfalismo personale sui risultati dei referendum», riferendosi al governatore Cappellacci. Il segretario regionale sardista Giovanni Colli sottolinea che «il primo rilevante dato politico è la chiarezza della volontà popolare che si è espressa in maniera diretta e senza intermediazioni, soprattutto a proposito di un’Assemblea costituente eletta a suffragio universale», mentre il vicepresidente del Consiglio regionale Mario Bruno parla degli «oltre 500 mila sardi che con la partecipazione al referendum hanno detto una cosa sola: in Sardegna c’è bisogno di cambiamento». Non poteva poi mancare il commento di due storici leader referendari isolani come Mario Segni e Arturo Parisi . Il primo sottolinea che «con un voto saggio i Sardi hanno cancellato ieri con un referendum le quattro province istituite follemente 10 anni fa», mentre il secondo parla di «straordinaria vittoria della democrazia». Per l’ex assessore regionale all’Agricoltura Andrea Prato è stata vinta «una prima grande battaglia, non certo la guerra». Per il segretario della Cisl Mario Medde «l’Assemblea costituente del popolo sardo deve essere promossa in tempi rapidi», di poco anticipato dal consigliere regionale riformatore Pierpaolo Vargiu , che per mesi ha lavorato per i referendum: «Credo che sia un primo passo verso una strada diversa e verso il cambiamento. Il referendum non è la bacchetta magica e non è un miracolo, ma è importante per il futuro della Sardegna». Più politica la lettura del consigliere regionale del Pd Chicco Porcu : «Il risultato del referendum è una messa in mora di Cappellacci e della sua maggioranza». Per il sindaco di Quartu Mauro Contini dalle urne è arrivato «un messaggio inequivocabile contro la casta, un’indicazione che le istituzioni e la classe politica devono recepire con senso di responsabilità». Antonio Satta , segretario dell’Upc , dice di «avere rispetto per chi va a votare, ma il risultato dei referendum comporterà molta approssimazione nella gestione della cosa pubblica e indebolirà i territori periferici della Sardegna». L’ex presidente della Regione Federico Palomba parla di «intimazione di sfratto alla classe politica sarda di maggioranza».

L’UNIONE SARDA – Politica: Onorevoli senza stipendi

08.05.2012

Claudia Lombardo: «Ora deve essere approvata una nuova legge: se non si facesse così, indennità sospese o concesse solo in parte» Una domanda, all’indomani della vittoria dei referendum anticasta, scuote il Palazzo. E cioè: che fine farà il superstipendio dei consiglieri regionali? Sicuramente subirà una sforbiciata, e l’entità del taglio dovrà essere stabilita per legge. Se però al momento dell’entrata in vigore dei referendum (con la pubblicazione sul Buras) questa norma non dovesse esistere, l’indennità e i privilegi (diaria e rimborsi) degli onorevoli di via Roma potrebbe essere corrisposta nella misura di un’anticipazione oppure sospesa. A profilare l’eventualità è il presidente del Consiglio regionale Claudia Lombardo . Esperti, in queste ore, starebbero valutando anche le conseguenze sui dipendenti dei gruppi consiliari: anche loro, stando così le cose, sarebbero a rischio. IL PRESIDENTE DELL’ASSEMBLEA «Serve senz’altro una nuova legge per dare attuazione all’articolo 26 dello Statuto che prevede la corresponsione di un’indennità per l’esercizio della funzione di consigliere regionale». Per la Lombardo sarebbe quindi necessaria «una norma che, a seguito della pubblicazione sul Buras del decreto del presidente della Regione che abroga la precedente, definisca il quantum dell’indennità». A differenza del discorso sulle Province, «per le quali le correnti di pensiero sono diverse a seconda delle interpretazioni date, per cui non è ancora chiaro che cosa succederà nell’immediato e quale percorso dovrà essere seguito per l’attribuzione delle loro competenze e per la sorte del personale, per la questione delle indennità l’unico problema che si potrebbe porre riguarderebbe la mancanza della norma nel momento dell’entrata in vigore dell’abrogazione». Soluzioni, per ora, non ce ne sono: «Gli uffici del Consiglio stanno approfondendo giuridicamente il caso e le strade potrebbero essere due: sospensione dell’indennita o un’anticipazione». LA PROPOSTA In Consiglio il raggiungimento del quorum per questo quesito (l’ottavo) è stato accolto da pareri piuttosto articolati. Sotto banco la preoccupazione di perdere qualcosa aleggia tra consiglieri ed ex consiglieri regionali. «Lo si avverte da messaggi trasversali», confida Attilio Dedoni (Riformatori): «C’è chi ha paura per il blocco delle indennità. A tutti diciamo di stare tranquilli. C’è senz’altro la necessità di fissare parametri più equi. Non conosco i meccanismi giuridici ma bisognerebbe riconoscere ai consiglieri regionali indennità pari a quelle dei dirigenti, che sono divise in due categorie: una base, un’altra legata alla produttività. Perché bisogna mettersi in testa che si deve lavorare e che è finita l’era dei maxistipendi alle spalle dei sardi». IL CENTRODESTRA Sul fronte del Pdl interviene subito Alberto Randazzo : «È giusto così se dalle urne è emersa questa indicazione», dice. «Personalmente ero d’accordo anche in precedenza: siamo stati i primi a ridurci le spettanze, a differenza dei parlamentari nazionali». Per lui, come per l’ex assessore all’Agricoltura Mariano Contu «il referendum, in questo senso, è stato anticipato». Quindi Pietro Pittalis : «La nuova legge servirà per individuare l’organo che dovrà stabilire l’indennità. L’indirizzo generale non potrà prescindere dal discorso generale del taglio dei costi della politica sui quali siamo d’accordo». IL CENTROSINISTRA Sul fronte dell’opposizione, il vicepresidente della commissione Autonomia Pietro Cocco (Pd) dice: «Indennità, diaria e rimborsi vengono azzerati, ora dobbiamo ripartire e fissare i parametri. Oggi in in Consiglio affronteremo anche questi aspetti. Cioè che dobbiamo fare leggi complessive che tengano conto del risultato referendario». Più duro Chicco Porcu (Pd) , anche lui Pd : «Basta demagogia: chi ha voluto i referendum ora dica come il Consiglio debba stare in piedi. Comunque la nostra indennità non è il primo problema. Personalmente sono disposto a fare penitenza, ma prima occorre verificare se esiste una maggioranza politica in grado di fare proposte, altrimenti si vada al voto». Chiude Adriano Salis (Idv): «Dobbiamo cancellare i privilegi, ma non si può pensare di eliminare tout court le indennità: vanno semmai conciliate con la riduzione dei costi della politica e con la crisi che il Paese sta attraversando».

L’UNIONE SARDA – Politica: Province in liquidazione

08.05.2012

Arriveranno i commissari ma prima serve una legge ad hoc Molte incognite sul futuro dei 505 dipendenti degli enti cancellati Saranno ricordate come le Province-meteora. Nate effettivamente nel 2005, soppresse nel 2012: sette anni, nella storia delle istituzioni, sono un battito di ciglia. Ma Gallura, Sulcis, Ogliastra e Medio Campidano non sono ancora morte. Hanno una ventina di giorni di vita, fino alla pubblicazione del decreto che darà atto dei risultati del referendum. Poi spariranno per sempre, e al posto dei rispettivi presidenti arriveranno i commissari. LA TRANSIZIONE Non è ancora ufficiale, ma è l’orientamento della Giunta regionale. Si va verso una fase di liquidazione delle nuove Province. A oggi però il commissariamento non è possibile: nessuna legge lo prevede. È probabile che il Consiglio regionale sia chiamato, prestissimo, a vararla. La leggina dovrebbe contenere anche i criteri per la fase liquidatoria. I problemi giuridici sono molti, il principale riguarda i dipendenti delle Province: 505 quelli a tempo indeterminato. Non perderanno il posto, passeranno ad altre amministrazioni. Magari le Province rimanenti. Ma non si escludono ipotesi diverse. Altri problemi riguardano la gestione dei finanziamenti, degli appalti, dei progetti in corso. E poi le competenze, a partire dalla manutenzione di strade e scuole. Una cosa è certa: l’abrogazione referendaria agirà immediatamente. Giusto i tempi tecnici previsti dalla legge regionale: la Corte d’appello di Cagliari ha quindici giorni (dalla data della consultazione) per proclamare i risultati, «in pubblica adunanza» e «con intervento del procuratore generale». A quel punto, entro altri cinque giorni, il presidente della Regione dovrà dichiarare, con un suo decreto, «l’avvenuta abrogazione» delle leggi citate dai quesiti. Dal giorno successivo alla pubblicazione del decreto sul Buras (il Bollettino ufficiale della Regione), le quattro Province non esisteranno più. VUOTO NORMATIVO Ancora per qualche settimana, dunque, i dipendenti possono continuare col lavoro normale. Ma poi verrà meno la struttura amministrativa dei quattro enti. E si creerà, secondo il presidente dell’Unione Province sarde Roberto Deriu, una enorme «incertezza giuridica, amministrativa e politica». Perché «non ci saranno più le leggi che autorizzano le nuove Province a esistere, ad avere dei contratti e dei dipendenti. Spero che non cerchino le Province superstiti, perché non abbiamo competenza in materia». «È un caso senza precedenti», testimonia Tore Cherchi, subito dopo l’annuncio delle sue dimissioni dalla presidenza della Provincia del Sulcis: «Abbiamo in corso investimenti per 85 milioni nell’ambiente, nella portualità e in altri settori. Iniziative che ora saranno mortificate. I servizi che abbiamo messo in piedi andranno allo sbando. Non capisco perché non è stato regolato il passaggio, spero che il Consiglio regionale colmi in fretta il vuoto». L’ESPERTO «È vero che manca una norma che risolva la questione», riflette Andrea Deffenu, costituzionalista e docente di Diritto regionale alla facoltà di Scienze politiche di Cagliari. «Il testo unico sugli enti locali prevede il commissariamento per vari casi, come la morte o la sfiducia del presidente. Ma stavolta è diverso. Quando gli enti vengono soppressi dal legislatore, si regolano le conseguenze: cosa che con il referendum non è possibile». Perciò «è necessaria una legge che stabilisca le modalità del commissariamento», prosegue Deffenu: «Ma non è facile capire cosa possa accadere tra il momento della cancellazione ufficiale delle Province e l’arrivo dei liquidatori». Si potrebbe forse ipotizzare una gestione del presidente in carica (se non è dimissionario), per il principio della continuità amministrativa: «Ma di certo non sono pensabili atti di indirizzo politico». INCARICHI AI PRESIDENTI? La leggina sui commissari dovrà dunque essere varata in gran fretta. Probabilmente nei prossimi giorni il governatore Ugo Cappellacci convocherà la maggioranza, per arrivare al giorno della pubblicazione sul Buras con una proposta già pronta. E poi ci sarà anche da scegliere i nomi dei commissari: in teoria non è escluso che l’incarico possa essere affidato ai presidenti uscenti. Ma al momento non è l’unica ipotesi in campo.

L’UNIONE SARDA – Politica: Referendari e sindacati d’accordo «La Provincia? Vero fallimento»

08.05.2012

MEDIO CAMPIDANO. Da Sanluri a Villacidro alle urne il 42,5 per cento Se i dieci referendum sono risultati validi, con l’affluenza al 35,50 per cento, lo si deve anche al Medio Campidano. La Provincia verde ha votato in massa (42,5 per cento) per autoabolirsi, ma ha contribuito ad abolire anche gli altri enti intermedi. Il coro è stato unanime in tutti i ventotto paesi del territorio. Dove si è votato meno è stato a Las Plassas con appena il 25,8 per cento. A Setzu, il più piccolo paese del Medio Campidano, dove nel 2005 si tenne la prima seduta del Consiglio provinciale, invece, ha puntato l’indice contro la nuova provincia il 58,27 per cento degli elettori. E così Genuri con il 50,5 e Serramanna (50,4). Ma si è distinta anche Villacidro (49,3%), capoluogo insieme a Sanluri (38,28), San Gavino (48%) e Guspini 40,4. «È un risultato straordinario. L’ora del cambiamento è arrivata. Gli elettori si sono ribellati alla casta. Nel Medio Campidano, in particolare, si è voluto evidenziare il fallimento della Provincia. C’era già stato un primo segnale nelle elezioni del 2010 con un record negativo di affluenza alle urne, ora l’elettorato ha voluto rimarcare che non piace la politica portata avanti da Fulvio Tocco», afferma Giorgio Zucca, ex sindaco di Sardara, ex consigliere provinciale e componente del Movimento referendario. Nella sede della giunta provinciale nessun commento ufficiale, rispettano il voto. «Abbiamo già provato cosa vuol dire essere sotto Cagliari, le nostre risorse non saranno valorizzate», commentano in Provincia. Per Efisio Lasio e Edoardo Bizzarro, rispettivamente segretari generali del Medio Campidano della Cgil e della Cisl, era un risultato aspettato. «Il malcontento della gente è a livelli alti. C’è molta rabbia contro la classe politica e ora a pagarne le conseguenze sono state le Province. Sappiamo che le risposte che hanno dato sono insufficienti», afferma Edoardo Bizzarro. Il sindacato territoriale si era tanto battuto per la costituzione dei nuovi enti intermedi. «La Cgil, Cisl e Uil sono state fautrici della Provincia del Medio Campidano, anche se allora si ipotizzava un ente intermedio che comprendeva anche la Trexenta, una parte del Sarrubus e della Barbagia. Disegno morto miseramente per le solite battaglie di campanile. È stato istituito un quartiere e non una provincia», afferma Efisio Lasio. Per i due sindacalisti «la politica di adesso, quella contestata e rifiutata, è obbligata a tener conto del risultato del referendum. Ma la riforma va fatta con un progetto organico».

L’UNIONE SARDA – Politica: Ai seggi un segnale di autonomia ma il baby ente è già naufragato

08.05.2012

OGLIASTRA. Affluenza al 28,75 per cento ma non cambia il risultato Passeggeri di terza classe nella nave che affonda. C’è aria di naufragio nella baby Provincia, l’inquietudine unisce magicamente i due capoluoghi campanili Lanusei e Tortolì, dilaga tra i 23 comuni di un’ente giovane, l’adolescenza tormentata da vistosi problemi di identità. Alle urne si è presentato il 28,75%. Il presidente Bruno Pilia aveva consigliato agli elettori di non andare a votare. Ieri mattina ha convocato la Giunta. Alla riunione hanno partecipato anche i consiglieri regionali Franco Sabatini (Pd) e Angelo Stochino (Pdl). Tra gli assessori incredulità diffusa e volti scuri. «La nostra priorità è dare garanzie ai 92 dipendenti della Provincia. Molti sono giovani, lavorano da pochi anni. Io posso anche andare a casa, non mi sento affatto un membro della casta. Ma loro devono avere garanzie sul futuro». Neppure il tempo di farsi le ossa e bisogna andare a casa. Ma Pilia è serafico. «Un referendum è un atto politico importante. La gente è andata a votare contro la casta. Ora la soluzione non può che essere legislativa. Noi pensiamo che la politica debba legiferare non scatenare le peggiori passioni. Un voto di protesta non può risolversi in un semplice abrogazione». Vuoto di potere, commissariamento, proroga delle competenze fino alla scadenza naturale del mandato. Ipotesi e scenari uno meno gradito dell’altro. «Ogliastra e Gallura hanno fatto sentire in maniera decisa il loro desiderio di autonomia. Ma sia chiaro che gli elettori hanno espresso chiaramente il desiderio di abrogare tutte le Province». L’incubo è sempre lo stesso e si chiama Nuoro. «Si prospetta una scomposizione e una ricomposizione dell’organizzazione amministrativa. In questo l’Ogliastra sarà un territorio autonomo. Nessuna annessione, ma libero arbitrio». Caustico Raffaele Sestu, presidente regionale Pro loco.« Se non possiamo permetterci piccole province meno che mai possiamo permetterci quelle grandi». L’esito del referendum ha sorpreso un po’ tutti e generato montagne di dubbi. Tra le domande ricorrenti quelle sui servizi ai cittadini. Poi ci sono i sindaci che guardano con preoccupazione ai Piani urbanistici. Guardacaso della Valutazione ambientale strategica si sta occupando proprio la Provincia. Piero Carta, primo presidente nel 2005, mastica amaro. «Le province dovranno per lungo tempo realizzare funzioni e progetti in un contesto distorto da una legittimitazione. Si è fatto un grande errore e si è messo in moto un grande equivoco».

L’UNIONE SARDA – Politica: Il Sulcis è già al dopo-Cherchi «Il territorio non sia sacrificato»

08.05.2012

Dopo le dimissioni del presidente, incarico provvisorio alla sua vice Non aspetterà il decreto di scioglimento: Tore Cherchi, ex parlamentare del Pd e presidente della Provincia di Carbonia Iglesias ha deciso di anticipare i tempi e si è dimesso. Dimissioni irrevocabili che decorreranno nel momento in cui sarà proclamato ufficialmente il risultato dei referendum. Massimo tre giorni e Cherchi lascerà la presidenza alla quale è stato eletto nel giugno di due anni fa “in una consultazione ben più ampia di quella referendaria“, come sottolinea l’esponente del Pd. Il suo è un addio amaro. Perché “la cancellazione del Sulcis”, come la definisce Cherchi, avrà sicuramente conseguenze amare per il territorio più povero dell’Isola. Nel Sulcis, Provincia significa 130 posti di lavoro, servizi decentrati nel territorio come quelli fiscali o ambientali e in tema di di autorizzazioni. Senza contare la possibilità di gestire direttamente settori come quello dell’edilizia scolastica e della viabilità o, ancora del turismo. «Ora bisogna evitare che si finisca allo sbando. I problemi ora non sono tanto nei 450 mila euro dei costi politici della nostra Provincia quanto negli 85 milioni di euro di investimenti e attività che sono in cantiere», sottolinea ancora Cherchi. Insomma, si rischia di provocare uno spreco immane di risorse, altro che risparmi. Che la soppressione della Provincia sia un altro colpo per un territorio alla prese con una crisi economica senza precedenti è convinta anche Marinella Grosso, assessore al Turismo. «Con la Provincia di Cagliari – sottolinea – non si son mai viste tante risorse senza parlare delle opportunità di lavoro per i giovani che si sono aperte da quando è nata la nostra Provincia: per il Sulcis sarà una perdita grossa. Con tutti i problemi che abbiamo fungeva anche da ammortizzatore sociale». Peppino La Rosa, coordinatore dei Riformatori guarda già oltre: «Apprezziamo la scelta di Cherchi che ha voluto rispettare l’indicazione referendaria, e auspichiamo che si voglia impegnare insieme a tutti quelli che lo vogliono affinché anche gli altri referendum consultivi siano trasformati in provvedimenti di legge». Per La Rosa il Sulcis non dovrebbe soffrirne: «Dobbiamo lavorare perché nessuno ci perda, l’entità territoriale non deve scomparire, ci sono le possibilità di dare vita a organismi di secondo livello ma il tempo era maturo per abolire le Province». Per ora a guidare la Provincia di Carbonia Iglesias sarà la vicepresidente Carla Cicilloni insieme agli altri assessori.

L’UNIONE SARDA – Politica: Sanciu contro i referendari: «Un salto nel vuoto, sarà il caos»

08.05.2012

OLBIA. Il senatore: «Ora chi pagherà gli stipendi ai lavoratori?» «Un salto nel vuoto, hanno abrogato le province, ma non sanno bene che cosa accade da oggi in poi. Ve lo dico io: succede un casino totale». Fedele Sanciu sui referendari e sui referendum ha molte cose da dire, qualcuna anche vietata ai minori. «Se non si sbrigano – attacca subito il senatore Pdl che a livello nazionale ha sempre sposato le iniziative anti sprechi – non sapremo più chi paga gli stipendi, chi offre i servizi ai cittadini. Entro una decina di giorni, il termine ultimo è il via libera della Corte d’appello sulla regolarità delle consultazioni referendarie, si ritornerà al passato: sotto Sassari, con una presidente della provincia non votata dal territorio, un’assemblea senza un rappresentante della Gallura». La palla passa a Cappellacci: «Mi auguro che consiglio regionale e presidente lavorino insieme e risolvano il problema al più presto con una norma transitoria». Ma dopo la speranza, l’ultimo colpo di sciabola: «Ma quale referendum anticasta. Perché non hanno proposto un quesito sull’abrogazione delle Asl dove gli sprechi non mancano davvero». La linea dell’(ex) presidente della provincia di Olbia trova molti sostenitori tra i primi cittadini galluresi, ma anche una voce fuori dal coro. Quella del sindaco di Berchidda, Sebastiano Sannitu (Riformatori), ex assessore regionale: «Non sono certo contento – dice a margine dell’assemblea dei piccoli comuni della Sardegna a Padru – ma i cittadini con questo voto hanno dato una risposta seria: la Regione ha fatto una legge istitutiva delle province che è una porcata, gli elettori questa porcata oggi l’hanno cancellata con il voto referendario». La conclusione è molto amara: «Paga l’unica Provincia che avrebbe avuto un senso di esistere. Quella di Olbia». Se si tratta di delusione, quella del sindaco di Olbia Gianni Giovannelli batte tutti. Sia come rappresentante delle istituzioni, sia come firmatario della legge istitutiva delle nuove province: « Era ed è un referendum ingiusto, cancella una battaglia trentennale, sancita da una sentenza della Corte costituzionale che aveva dato pari dignità tra le nuove e vecchie province. Sono preoccupato per il futuro». Indigesto il risultato referendario anche per il primo cittadino di Golfo Aranci, Giuseppe Fasolino: «vanificato il grande lavoro realizzato dai sindaci precedenti, ci riporta a una situazione accentrata in cui occorrerà nuovamente andare a Sassari col cappello in mano per chiedere quello che ci spetta. Ancora una volta sono i piccoli a rimetterci».

L’UNIONE SARDA – Politica: Addio al Piano del melone in asciutto, simbolo dell’inutilità dei nuovi enti

08.05.2012

Scompariranno anche le targhe automobilistiche È Talana, nell’ormai defunta provincia dell’Ogliastra, il Comune dove si è votato meno in Sardegna: 13,66%. Una percentuale inferiore di 22 punti alla media nazionale e più bassa di 15 punti rispetto a quella, già esigua, registrata nel resto del territorio. Del resto, fosse stato per gli Ogliastrini, i Sulcitani e i Galluresi, il quorum non sarebbe stato raggiunto. Niente di strano: sono stati coerenti con la volontà manifestata a partire dalla metà degli anni ’90, quando hanno lottato per avere il loro ente intermedio, e concretizzata nel 2005 con le prime elezioni. IL MELONE IN ASCIUTTO Furono meno entusiasti del distacco da Cagliari i cittadini del Medio Campidano. L’esperienza di questi sette anni evidentemente li ha convinti che avevano ragione. Non a caso il “Piano di valorizzazione del melone in asciutto” attuato con orgoglio dalla nuova Provincia e citato dal suo presidente come uno dei motivi d’orgoglio dell’ente, è diventato uno dei principali emblemi nazionali della sua inutilità, citato mille volte tra gli sprechi più inutili del Paese degli sprechi. ADDIO ALLE TARGHE L’abolizione delle nuove Province sancisce anche l’addio alle nuove targhe: non vedremo più auto targate CI (Carbonia-Iglesias), OT (Olbia-Tempio), VS (Villacidro-Sanluri) e OG (Ogliastra). Sarà anche l’addio al dualismo tra capoluoghi, quello che aveva generato tali guerre di campanile che non era stato possibile individuare un solo capoluogo in territori grandi quando un paesello. Infatti tranne che in Ogliastra, le nuove province hanno due città-guida. Altrove ci hanno riso per anni. LA RIUNIONE La vittoria schiacciante dei sì sancisce anche uno dei rari successi dei Riformatori sardi, tra i principali promotori del referendum. Accusati da molti non aver mai riformato nulla, hanno spesso risposto agli interlocutori che il loro nome conteneva in realtà un auspicio. Ieri Massimo Fantola, Riformatore-simbolo, ha confessato di essersi commosso assieme ad alcuni esponenti del Movimento che si sono riuniti nella sede cagliaritana del partito. Hanno festeggiato e si sono detti che il loro compito non si è esaurito: ora vigileranno perché l’esito del referendum sia rispettato.

LA NUOVA SARDEGNA – Politica: DALLE URNE UNA SPINTA AL CAMBIAMENTO

08.05.2012

I referendum sardi hanno raggiunto il quorum e questa è una buona notizia per la democrazia. Una lezione politica inflitta a chi ha tentato di impedirne lo svolgimento, provando a cancellare per via giudiziaria quelli sulle nuove Province, e ancora agita lo spettro del caos invece di impegnarsi nel percorso di riforma che il voto ora impone. In controtendenza, la decisione di Salvatore Cherchi, presidente della Provincia di Carbonia-Iglesias, che si è dimesso dall’incarico. I referendum non sono la soluzione dei nostri mali, ma non sono neppure una forma di protesta demagogica. Si fa un gran parlare, in questo periodo difficile, di antipolitica e crisi di rappresentanza. I referendum rischiano di essere assimilati a una manifestazione di indistinto ribellismo populista, neanche nascessero da una propaggine del movimento di Beppe Grillo. Sono invece una sfida alla politica perché faccia meglio il suo mestiere, cogliendo l’occasione per autoriformarsi. Gli elettori sapranno giudicare chi sarà capace di raccoglierla. Perché il risultato del voto sardo, a un anno dalle elezioni regionali, mette alla prova tutti i partiti, o quel che ne rimane. Anche se non può farci dimenticare la responsabilità specifica di chi non è riuscito a sciogliere il nodo degli enti locali nella sede istituzionale propria: il governo regionale. Salvo poi schierarsi per il sì al referendum, forse per disperazione, forse per accurato calcolo politico. Questa volontà passa ora alla prova dei fatti, che comprenderà non solo la questione Province, ma anche gli altri interventi necessari a ridurre i costi della politica. Come i nostri dieci referendum, i risultati delle elezioni amministrative nel resto d’Italia hanno confermato il bisogno diffuso di cambiamento, che assume anche caratteristiche estreme come il boom dei grillini dimostra, ma che non può essere liquidato come una febbre passeggera della democrazia. La disfatta del Pdl e il crollo della Lega (fenomeno Tosi a parte) sono uno scossone destinato a provocare nuovi terremoti e consegnano al Pd, considerata anche la performance contraddittoria del terzo polo, un ruolo centrale nello scacchiere della governabilità. Non che il partito di Bersani abbia fatto cose memorabili per meritarselo. E se non riuscirà a interpretare e indirizzare meglio gli umori diffusi rischia di essere travolto come gli altri. Mentre la crisi continua a mordere con effetti laceranti, vince chi sa lanciare un’idea di rinnovamento etico, ma anche proporre soluzioni concrete che aiutino la gente a uscire dalla rassegnazione, superare la rabbia e cominciare a costruire un futuro. Anche andando a collocare dieci schede nell’urna, quando serve.

LA NUOVA SARDEGNA – Politica: Una valanga di «Sì» travolge le Province

08.05.2012

Tutti i dieci i referendum sardi hanno superato il quorum, una valanga di Sì ha abrogato le nuove Province e gli stipendi dei consiglieri regionali. Il terremoto «anticasta» ha provocato immediate conseguenze. La prima è politica: Tore Cherchi, uno dei dirigenti più noti dell’isola, ha annunciato le dimissioni dalla presidenza di uno degli enti intermedi tagliati dal voto (è possibile che lo seguano anche altri). La seconda è amministrativa: da qui alla promulgazione dei risultati dovrà essere riempito il vuoto normativo provocato dall’abrogazione di Olbia-Tempio, Ogliastra, Medio Campidano e Carbonia-Iglesias perché altrimenti in quegli quasi ex enti sarebbero il caos. La terza conseguenza riguarda il Palazzo: è passato infatti anche il quinto quesito abrogativo, quello che ha cancellato l’articolo di legge che disciplina le indennità dei consiglieri regionali; anche in questo caso è prevedibile una norma a breve scadenza. «Ma – avverte il capogruppo del Pd, Giampaolo Diana – non dovrà essere la prima nostra preoccupazione». Il risultato del voto di domenica è stato chiaro. Mentre diversi partiti e soprattutto i presidenti delle Province speravano in un flop, il quorum è stato superato in extremis ma è stato superato, di due punti e mezzo in percentuale. E sono andare alle urne ben 525 mila sardi, 32 mila in più rispetto al numero che segnava la differenza tra vittoria e sconfitta. Una valanga «anticasta» che ha lasciato il segno e che sta preoccupando le forze politiche. Significativi i risultati dei singoli referendum. Quelli contro le nuove Province hanno avuto una media del 97 per cento di Sì. C’è da tenere presente, comunque, che su alcuni di questi quattro quesiti chi ha votato No si fosse astenuto, quei referendum non avrebbero raggiunto il quorum. Più bassa la percentuale dei Sì sul quesito consultivo sul destino delle quattro Province storiche di Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano: hanno vinto con il 66 per cento. Insomma, la battaglia si è scatenata non tanto sulle Province in quanto tali ma soprattutto sugli enti intermedi nati sette anni fa. La percentuale più alta di Sì è stata registrata sul quesito che propone di tagliare non a 60 a a 50 il numero dei consiglieri regionali (che attualmente è di 80). Anche questo dato dimostra che non sono voti antistituzionali, ma sono voti che chiedono meno spese pubbliche. Sul piano più strettamente politico si è acuito lo scontro tra Cappellacci e le opposizioni. Il presidente ha cavalcato soprattutto nelle ultime settimane i referendum con l’obiettivo di rilanciarsi politicamente al suo quarto anno di presidenza, il centrosinistra ha invece rilevato che i referendum hanno denunciato proprio l’inerzia dell’istituzione regionale nel campo delle riforme istituzionali. Sempre ieri, forse per sottolineare che la vittoria deve essere assegnata a chi ha raccolto le firme e condotto l’intera battaglia, il movimento referendario ha deciso di non sciogliersi proprio perché vuole vigilare sul rispetto del dato elettorale: le riforme vanno fatte subito e in coerenza con il dettato degli elettori. Qualcuno ha interpretato la mossa come una presa di distanza da Cappellacci. Il cui rapporto con i Riformatori, l’unico partito che si riconosce totalmente nel movimento referendario, non è mai stato sereno. Qualche problema emerge anche nel centrosinistra e in particolare nel Pd. L’annuncio delle dimissioni di Tore Cherchi lascia intendere che il clima è pesante per il tipo di gestione della battaglia referendaria. Anche Roberto Deriu, presidente nuorese della Provincia e dell’Uds, ha ieri rimarcato di essere stato lasciato solo a condurre il conflitto con Cappellacci e con i referendari. Insomma, il terremoto politico è appena iniziato per tutti. Se non sarà trovato il modo di fare le riforme in Consiglio regionale, la politica rischia di essere travolta in maniera anche più forte da una prossima valanga

LA NUOVA SARDEGNA – Politica: I 4 commissari liquidatori

08.05.2012

C’è un vuoto, amministrativo, giuridico e politico, da colmare. Subito, immediatamente, massimo in due settimane. I referendum di domenica hanno sì abrogato le quattro nuove Province, ma non può bastare solo quel voto trionfale a poter dichiarare la morte immediata, l’estinzione rapida, di Olbia-Tempio, Ogliastra, Medio Campidano e Carbonia-Iglesias. Ci vorrà dell’altro, soprattutto perché fino a domenica gli enti che nessuno vuole più, avevano in carico bilanci, patrimoni, competenze, dipendenti e contratti. Sono tutti impegni che qualcuno (o qualcosa) dovrà pur caricarsi sulle spalle. Cosa accadrà? Non c’è ancora una risposta certa. Passata l’euforia, quasi tutti ora navigano a vista, e così le ipotesi si sprecano, con l’Ups, l’Unione delle Province, che in una dichiarazione del presidente Roberto Deriu, ha affondato il colpo: «Noi il caos l’avevamo previsto ed è colpa di chi e finora ha sottovalutato quelli che sarebbero stati gli effetti collaterali del voto referendario». Le certezze. L’argomento è complesso. Anche ieri dichiarazioni di fini giuristi si sono alternate ad altre molto più spicce ma chissà se praticabili. La certezze sono poche. La prima: è escluso il ritorno automatico del quartetto abrogato alle Province originarie e storiche. È impossibile per problemi di competenze, andrebbero tutte rimodulate, e perimetri territoriali da ridefinire e il tempo non c’è per nessuna delle due modifiche volanti. La seconda certezza è che il quartetto non può essere scaricato, come fosse una slavina, sulle spalle dei comuni e neanche di altri ipotetici enti intermedi. Quegli enti che seppure ipotizzati dal governo Monti e ancor prima dalla commissione Autonomia del Consiglio regionale, con la legge di riordino delle amministrazioni locali, sono ancora un ectoplasma. Terza certezza: le Province abolite domenica andranno comunque e subito messe in liquidazione. Lo scenario. D’accordo, lo scioglimento, è inevitabile, ma chi dovrà farlo e a cominciare da quando? Sul chi tutti ipotizzano la nomina di quattro commissari liquidatori e li identificano sempre negli attuali presidenti delle giunte provinciali in carica, che a quel punto avranno il mandato di garantire l’ordinaria amministrazione, compreso il pagamento degli stipendi ora in bilico. Questo passaggio, quello dei commissari, appare scontato, molto meno, chi dovrà nominarli e quale sarà l’iter. Decreto o legge? C’è chi sostiene: sarà sufficiente un decreto del presidente della giunta regionale. Perché preso atto del risultato referendario, potrebbe essere un solitario Cappellacci a trasformare d’ufficio i quattro presidenti in commissari liquidatori e potrebbe farlo subito dopo la proclamazione del risultato (massimo fra due settimane) da parte della Corte d’appello di Cagliari. No, è tutto sbagliato, dicono altri e sono quelli che sostengono questa versione: prima della promulgazione del risultato, dovrà esserci il passaggio obbligatorio, in Consiglio regionale, per l’approvazione di quella legge che dovrà dare senso e contenuto alla liquidazione delle ex nuove Province». Il percorso. L’ipotesi del doppio passaggio (prima la legge, poi il decreto) è sostenuta con argomenti difficili da non condividere. A cominciare da questo:come può essere commissariato un ente che seduta stante è stato abrogato dagli elettori?». In sostanza, se alle ex Province non sarà restituita, seppure a tempo, una qualche natura giuridica o amministrativa, gli ex presidenti risulteranno commissari del nulla. E invece qualche giorno prima dello scioglimento ufficiale del quartetto il Consiglio dovrà aver già pubblicato la legge destinata a stabilire mandato e tempi (entro l’anno?) assegnati ai presidenti-liquidatori. Dubbi e polemiche. Che servano, in tempi brevi, delle proposte per uscire dall’impasse è scontato. Ieri, col segretario regionale Silvio Lai, il Pd ha fatto sapere di avere «pronto un suo percorso» ma il primo passo non può che spettare a Cappellacci «perché la responsabilità delle soluzioni politiche e legislative è sua». Con l’immancabile stoccata: «Ci auguriamo che non abbia in mente quel Codice delle Autonomie locali pensato mesi fa dalla giunta e in cui sono previste ancora ben sei province». Sempre ieri dallo staff del governatore non è trapelato granché sull’exit strategy se non la conferma che Cappellacci «vuole un cambiamento immediato». Quale? A Villa Devoto la discussione è aperta da giorni. Oggi serve una parola definitiva.

LA NUOVA SARDEGNA – Politica: «Sardi meglio dei politici» Esultano Parisi e Segni

08.05.2012

Esulta il deputato del Pd Arturo Parisi e si gode «la gioia del giorno» – come afferma, con sorriso soddisfatto – per il risultato dei dieci quesiti referendari “anticasta”, soprattutto perchè «una quota elevata di cittadini ha dimostrato di voler correggere gli errori della politica, facendo sentire la propria voce con il voto». Una vittoria schiacciante dei sì che fa dire al leader storico dei Riformatori, Mario Segni, che «questo è il segnale che la speranza non è morta. Non è vero che il Paese è rassegnato di fronte all’inerzia politica. I cittadini hanno desiderio di parlare e soprattutto vogliono farsi ascoltare. Lo hanno fatto esprimendo un voto referendario: è una vittoria della democrazia e dell’autonomia». Sardegna come laboratorio della politica nazionale, alla quale l’elettorato sardo dà immediate risposte sui tagli alla “casta” e sulla riduzione della spesa accorpando le province, come richiesto nei giorni scorsi dalla Bce all’Italia. Una risposta secca, arrivata con il sì che boccia le quattro province regionali istituite dieci anni fa. Era stata «una scelta sbagliata, folle» e oggi «da sardo, orgogliosamente sardo – afferma Segni – dico che dall’isola arriva una lezione alla politica nazionale, quando afferma di voler abolire le province, ma finora non è stato mosso un granello. Quando il Governo Berlusconi pensò di sopprimerle, la Lega si schierò contro e la proposta si arenò». Adesso, mentre alcuni presidenti delle province da cancellare si sono dimessi, dalla Gallura arriva l’urlo di Fedele Sanciu (Pdl)per il «caos che ora si viene a creare» e la riflessione del presidente dell’Ups Roberto Deriu che si chiede «adesso, cosa succederà?». Per i due referendari Parisi e Segni è chiaro che «ogni referendum comporta adeguamenti. Spetta alla Regione l’intervento che serva a far rispettare la volontà popolare». «Il cambiamento va governato – aggiunge Parisi – per evitare che il disordine diventi stabile, come accade ancora oggi, a un decennio dall’istituzione delle quattro province regionali. Ci sono problemi irrisolti». Regna ancora la confusione, tanto che, ad esempio, la Provincia di Sassari continua a battere cassa nei confronti di Olbia-Tempio, per conti (economici) ancora in sospeso. Rispondendo a Sanciu, Parisi sottolinea che «durante la campagna referendaria non abbiamo visto in campo i conservatori. L’unico che si è speso, e con ragione ha posto i problemi come presidente dell’Unione province sarde, è stato Roberto Deriu». Come dire, se Sanciu voleva conseguire un risultato, doveva “movimentare” meglio l’elettorato e aprire un confronto; l’astensione di fronte a un quorum superato, non è un dato utile. Insomma, i sardi hanno mostrato con il voto “anticasta” la loro insofferenza e un desiderio di rinnovamento, di partecipazione diretta. Non si è ripetuto l’errore – dicono Parisi e Segni – compiuto l’11 maggio del 2003, quando non si raggiunse il quorum per la validità del referendum abrogativo delle province di Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra e Olbia-Tempio. Sarebbe bastata una legge regionale, si sarebbe evitata la chiamata alle urne, «adesso – sottolinea Parisi – il riassetto lo chiedono i sardi, che hanno preso la cosa pubblica nelle loro mani».

LA NUOVA SARDEGNA – Politica: «Voto da rispettare», ma i partiti si dividono

08.05.2012

CAGLIARI Tutti dicono che il voto degli elettori va rispettato ma i politici si divide sull’individuazione dei vincitori e sulle responsabilità di chi doveva fare le riforme e non le ha fatte. Nel centrosinistra il segretario del Pd, Silvio Lai, dà una prima indicazione dopo il successo del referendum contro le quattro nuove Province: «Ora – dice – va gestito il cambiamento, serve una architettura istituzionale moderna fondata sui Comuni». Sempre per il Pd, Mario Bruno, vice presidente del Consiglio regionale, afferma che i sardi «hanno bocciato chi sta governando la Regione e in particolare Ugo Cappellacci, che doveva fare le riforme e ha invece preferito cavalcare i referendum». Riferendosi a Cappellacci, Luciano Uras, capogruppo di Sel, parla di «trionfalismo sbagliato perché l’area del non voto è pari al 65 per cento, e del tutto ingiustificato». «La casta è rappresentata da Cappellacci , candidato personalmente da Silvio Berlusconi, e dal centrodestra», gli ha fatto eco il segretario del partito, Michele Piras. Il quale ha affermato che «dal voto emerge un bisogno di rinnovamento, ora servono risposte adeguate e urgenti dalla politica». Molto critico con Cappellacci e la maggioranza di centrodestra è Federico Palomba, segretario dell’Idv. «La vittoria dei referendum – spiega – è un’intimazione di sfratto nei confronti di chi governa e di un consiglio regionale che non ha saputo fare le riforme». Il capogruppo Adriano Salis: «Ora vanno cambiate la politica e le istituzioni». In difesa di Cappellacci si schiera Pietro Pittalis, vice capogruppo vicario del Pdl. «È una vittoria dei sardi – afferma – e del coraggio del presidente della Regione. Ora pensiamo alle riforme». Clima di grande soddisfazione tra i Riformatori. «Il voto va rispettato sino in fondo – dice il coordinatore Michele Cossa – il consiglio regionale deve agire al più presto». Pierpaolo Vargiu, che si era dimesso da capogruppo per impegnarsi nel movimento referendario, dichiara che «è stato compiuto un primo passo verso il cambiemento». Concetto espresso anche dall’ex assessore Andrea Prato, che aveva aderito al movimento referendario con i suoi “Pratici”: «Abbiamo vinto una prima battaglia, non la guerra». A proposito di movimento referendario, ieri c’è stata una riunione spontanea di dirigenti di primo livello: c’erano, tra gli altri, il deputato del Pd Arturo Parisi e il leader referendario regionale Massimo Fantola. Il quale ha spiegato: «Abbiamo deciso di non sciogliere il movimento, di continuare a esistere come pungolo, in modo da costringere il consiglio regionale ad approvare le riforme in coerenza con il voto dei cittadini». Alla riunione, svoltasi nella sede dei Riformatori, erano presenti anche esponenti del Pdl e di Fli

LA NUOVA SARDEGNA – Politica: La Gallura in rivolta: «Ci hanno tagliato l’indipendenza»

08.05.2012

Svegliarsi una mattina e ritrovarsi di nuovo tra le braccia della matrigna Sassari. Con la lotta per l’autonomia, lunga 30 anni, cancellata da un colpo di penna. In Gallura è rivolta contro il risultato dei referendum che qui nessuno osa definire anticasta. Più che al taglio delle poltrone si pensa al taglio dell’indipendenza. La fine della Provincia viene vista come l’ultimo scippo di Stato a un territorio che continua a crescere, ma che vede smaterializzarsi il tribunale, l’Inps, l’Agenzia delle entrate, la questura. Solo per fare un breve elenco. Il territorio si ribella al pensiero di una nuova cattività sassarese dopo avere conquistato l’autonomia. Il gallurismo è una forza trasversale, un collante universale più forte delle casacche della politica. Prevale l’avversione al paradosso. Il referendum per liberarsi degli sprechi della politica si è trasformato per la Gallura in una sorta di suicidio di massa. «Eliminare le nuove province significa affossare l’economia e sfregiare l’autodeterminazione dei sardi che, come nel caso della Gallura, hanno lottato per 30 anni per costruire la Provincia– dice il senatore Pd, Gian Piero Scanu –. Da subito la Gallura si deve mobilitare. I consigli comunali si devono pronunciare, i sindacati, il mondo delle imprese, quello delle associazioni. Ci deve essere un grande movimento. Penso a una manifestazione di piazza, al ricorso alla Corte costituzionale, alle dimissioni in massa di tutti. Questo voto crea una situazione di caos totale. La celebrazione di questo referendum è l’apoteosi della incapacità politica e del più becero opportunismo del presidente Ugo Cappellacci. Questa scelta crea un vulnus, una ferita. C’è un professionismo dei referendari costituito da politici che non risolvono problemi e fingono di inventarseli per avere celebrità. Sono loro l’antipolitica. C’è un progetto cagliaricentirco alla base di questi referendum. Cappellacci dà il colpo di grazia al nostro territorio da cui vanno via la direzione dell’agenzia delle Entrate, gli enti previdenziali, l’Enel la Telecom, il tribunale, la questura, la prefettura». Il presidente della Provincia, il senatore Fedele Sanciu è certo che si troverà una soluzione. «Io non voglio mettere le istituzioni contro. Dico no al ricorso al tribunale, ma serve il buon senso della politica. Sediamoci intorno a un tavolo e troviamo una via di uscita. La realtà è che da domani non si sa cosa si deve fare. Da domani a guidare la Gallura ci sarebbe un consiglio eletto a Sassari, con un presidente di Sassari, senza rappresentanti del territorio. Con doppi dirigenti e personale che nessuno saprebbe come gestire. Questi referendum hanno messo i sardi contro e creato cose assurde come la scelta di cancellare la Provincia, fatta non dai galluresi, ma da altri sardi di altri territori». Anche il deputato Pdl Settimo Nizzi mette uno dopo l’altro i limiti di questo voto. «Dopo anni di lotte ci troviamo davanti a un risultato devastante – dice Nizzi –. I cittadini alla politica chiedono risposte e non false rivoluzioni su false emergenze. Siamo nel caos giurisprudenziale. Perché le Province nuove devono essere cancellate, ma anche le vecchie. Ogni presidente di Provincia deve avere un ambito territoriale, ma questo dopo il referendum non è più lo stesso. Mi chiedo poi in base a quale legge si possa mandare a casa un corpo eletto. E dove andranno a lavorare i dipendenti. Chi dovrà coprire i costi del riordino. Servono soluzioni per i territori, non si devono creare ulteriori incertezze». Lucida l’analisi del deputato Pd Giulio Calvisi. «I cittadini hanno mangiato una mela avvelenata. Non sappiamo quali saranno le conseguenze di questo referendum. Le nuove province sono cancellate dal voto delle vecchie, che per paradosso traggono benefici da questo taglio. In realtà vince il caos. In questo modo non si cancella solo la provincia, ma tutti i presidi dello Stato, un abbraccio mortale per la Gallura». Pronto alla rivolta anche il sindaco di Olbia Gianni Giovannelli, uno dei padri della Provincia. «C’è una sentenza della Corte costituzionale che equipara le nuove province a quelle storiche. Non capisco in base a quale criterio si decida di abbattere solo quelle nuove. Mi chiedo quale sarà lo scenario. Sono inevitabili ricorsi al tribunale contro i referendum. La lotta è solo all’inizio». Sul piede di guerra anche Romeo Frediani, sindaco dell’altro capoluogo, Tempio. «Sono contrario alla abrogazione di tutte le province. Serve al contrario una discussione sui loro compiti. Mi chiedo come un territorio vasto come Sassari possa avere attenzione per questa area». Critico anche il segretario nazionale dell’Upc Antonio Satta, che è anche sindaco di Padru. «Non demonizzo i referendum, ma mi spiace che a portare avanti la campagna sia stato il presidente della Regione. Questo dimostra il fallimento della sua azione politica». Polemico anche il sindaco di Golfo Aranci Giuseppe Fasolino. «Assistiamo a un nuovo scippo a cui dobbiamo ribellarci».

LA NUOVA SARDEGNA – Politica: «Non mi dimetto, Cappellacci ora venga a Olbia»

08.05.2012

Deluso chi sperava che il presidente della Provincia Fedele Sanciu si dimettesse subito, come Tore Cherchi. «Non ci penso proprio – taglia corto Sanciu –. Il comandante non abbandona mai la nave. Al contrario attendo che il presidente Ugo Cappellacci si sieda intorno a un tavolo con il territorio e dialoghi per trovare una soluzione immediata alla questione». Sanciu sceglie il dialogo per difendere la Provincia nata appena anni sette fa . Il primo presidente è stato Pietrina Murrighile, espressione del centrosinistra. Poi nel 2010 di nuovo al voto con la vittoria del centrodestra e l’elezione di Sanciu. Ma la mobilitazione in Gallura è già partita. Il presidente del consiglio comunale di Olbia Vanni Sanna per venerdì ha convocato una riunione straordinaria e aperta del consiglio. Sono invitati tutti i sindaci del territorio, i parlamentari e i consiglieri provinciali e regionali. Un primo passo per far partire la vertenza Gallura. L’inizio di una battaglia che si annuncia durissima. (l.roj)

LA NUOVA SARDEGNA – Politica: Pilia: ogliastrini costretti a lunghe trasferte

08.05.2012

di Lamberto Cugudda wTORTOLÌ Ieri non si sono di certo viste facce allegre in consiglio provinciale. Il raggiungimento del quorum in tutti i quesiti referendari potrebbe portare al commissariamento dell’ente intermedio nell’arco di una settimana. Il presidente della Provincia Ogliastra, Bruno Pilia (Alleanza per l’Italia), nel tardo pomeriggio di ieri ha ragionato con grande calma di quanto accaduto e di quello che potrebbe verificarsi fra pochi giorni. «Le posizioni che si registrano fra i miei colleghi _ ha detto il presidente della Provincia più piccola d’Italia, che il voto di appena due giorni fa potrebbe cancellare entro pochi giorni _ sono differenti. Il presidente di Carbonia-Iglesias, Tore Cherchi, ha annunciato le proprie dimissioni a seguito del risultato del voto referandario, mentre il presidente di Olbia-Tempio, Fedele Sanciu, sostiene che “con il non voto di circa il 73 per cento dei galluresi è giunta un’indicazione ben precisa: la nostra entità territoriale deve restare”. Credo che Tore Cherchi, che è un ottimo presidente, sbagli ad abbandonare. In ogni caso, ognuno ha le proprie ragioni. Io la penso invece come Sanciu. Non per nulla, se nella Provincia di Olbia-Tempio si è registrata la minore partecipazione al voto referendario di tutta l’isola, con il 26,85 per cento, l’Ogliastra viene subito dopo con il 28,74 per cento dei votanti». Bruno Pilia prosegue: « Il pallino passa ora al presidente della Regione, Ugo Cappellacci, che ha fatto la campagna elettorale parlando di voto anticasta e di nuovo modello di governo della Sardegna. Noi siamo dalla parte dei cittadini che non intendono abdicare alla propria autonomia amministrativa (ed è stato pienamente dimostrato domenica con il non voto del 71,26 per cento) e che, dai prossimi giorni, se si arriverà alla cancellazione delle Province, dovranno fare i conti con la perdita di tanti servizi e nuove trasferte verso Nuoro o Cagliari. Ma siamo anche con i dipendenti dell’ente intermedio, che non sanno ancora nulla rispetto al loro futuro». Il presidente del consiglio provinciale, Bruno Chillotti (Pd), parte da un pressupposto: «A recarsi al voto, in Ogliastra, è stato poco più di un quarto degli aventi diritto. E oltretutto, i promotori del referendum, ma soprattutto il presidente della Regione, si sono ben guardati dallo spiegare che il referendum era abrogativo solo per le quattro nuove Province. Lo hanno mascherato con un voto anticasta, ma così non è stato. Non abbiamo fatto alcuna campagna contro, anche perché la popolazione, con la storiella dell’abbattimento della casta, avrebbe potuto pensare che viviamo solo per la poltrona. Ora attendiamo di capire come la Regione intende muoversi con le tanto decantate riforme. Oppure, Cappellacci e i Riformatori decideranno di continuare a nominare commissari al Consorzio di bonifica d’Ogliastra (commissariato da solo 21 anni) e al Consorzioi industriale di Tortolì-Arbatax? Non sarebbe stato il caso di puntare a chiudere prima enti inutili come questi due? Non è che ora cercheranno di fare una leggina per cercare di salvare quella di Olbia-Tempio, dove il centro-destra ritiene di essere molto forte? Non ci resta che attendere». Chi non ha timore di sparare ad alzo zero è l’assessore provinciale al Turismo, Giampietro Murru (Upc): «Mi ha fatto piacere leggere che i Riformatori e anche l’ex presidente Renato Soru abbiano invitato al voto referendario contro le nuove quattro Province. Non mi pare proprio che abbiano messo in pratica tanti atteggiamenti anticasta. È stato molto semplice sparare a zero contro gli ultimi quattro enti intermedi. A mio parere, sul voto ogliastrino ha inciso anche la voglia di “vendetta politica” legata a qualche amministrazione comunale e a faide di partito. Mentre a Tortolì-Arbatax si è registrata una certa disaffezione verso il nostro ente, perché il capoluogo non ha alcun consigliere provinciale, ma soltanto un assessore (fra l’altro tecnico)». Il segretario provinciale Ogliastra dell’Ust Cisl, Peppino Fanni, parla chiaro: «Con il voto referendario di domenica, i promotori e quanti si sono accodati hanno voluto dare una prova di forza per cancellare solo le nuove quattro e piccole Province. Come Cisl Ogliastra, riteniamo che invece sarebbe stato giusto dare un segnale forte, decidendo, se si stabilisce che non servono, di sopprimerle tutte e otto. Questi signori della politica hanno mascherato il tutto con un voto anticasta, ben sapendo che si dovrebbe invece partire, ma in maniera seria, dalla Regione. Cosa ne pensano, di tutto questo, i Riformatori? Attendiamo una risposta». Il vice presidente di maggioranza del consiglio provinciale, Santino Piras (Alleanza per l’Italia), punta subito al sodo: «Mi piacerebbe che quanti hanno mascherato la volontà di chiudere i quattro nuovi enti intermedi con la necessità di puntare su forti risparmi, e dare un forte colpo alla casta, spiegassero cosa stanno a fare in Regione e in vari enti. Agli ogliastrini, con il voto di domenica, voluto da quanti parlano di togliere privilegi ai politici, ma continuano a sedere in consiglio regionale prendendo mensilmente cifre esorbitanti, è stato negato il diritto ad avere una propria autonomia amministrativa. Attendiamo di conoscere le riforme di cui il presidente Cappellacci parla da anni, senza mai arrivare al dunque».

LA NUOVA SARDEGNA – Politica: Sulcis, il presidente Cherchi si è dimesso

08.05.2012

Tre ore dopo l’annuncio ufficiale della Regione sul raggiungimento del quorum per i dieci quesiti referendari, il presidsente della Provincia di Carbonia-Iglesias, Tore Cherchi, ha deciso di dimettersi. In una nota Cherchi spiega il gesto «nel rispetto dell’esito del referendum». La nota ufficiale della Provincia non manca di ricordare che Cherchi, «eletto nel giugno 2010 in una consultazione ben più ampia di quella referendaria, comunica che in rispetto dell’esito regionale del referendum ha deciso le dimissioni a decorrere dalla proclamazione ufficiale dei risultati. Nelle more delle deliberazioni del Consiglio regionale – continua la nota – l’attività ordinaria sarà assicurata dal Vicepresidente (l’assessore all’ambiente Carla Cicilloni, ndr) e dagli assessori cui Cherchi ha chiesto di restare in carica al fine di evitare la paralisi delle attività».Nessuna polemica con i promotori del referendum, ma l’auspicio che il Consiglio regionale adotti le necessarie decisioni tempestivamente, «soprattutto per evitare la stasi delle attività concernenti i servizi ai cittadini e alle imprese, e degli investimenti in atto, tenuto conto che sono impegnate risorse della Provincia per circa 85milioni di euro. Occorre inoltre evitare che il personale che segue con professionalità queste attività sia proiettato in un’incertezza mortificante per la loro dignità e negativa anche per la finanza pubblica». Cherchi rifiuta letture semplicistiche sulle sue dimissioni e nega che queste possano essere il preludio ad altri impegni futuri. «Ho deciso perchè è giusto così e soprattutto perchè nessuno mi dica che sono incollato alla sedia. Mi interessa molto di più ragionare, con chi ne ha voglia e interesse, sul futuro delle quattro province che andranno di qui a pochi giorni a scomparire. Se vogliamo discutere di riforme, come dicono di fare i promotori dei referendum, vorrei capire cosa hanno fatto quelli che sono chiamati in Consiglio Regionale a scrivere le leggi e a pensare alla riforma del sistema politico e istituzionale della Regione. Il mio interesse in questo momento è il vuoto normativo che si viene a creare. È serio e non va sottovalutato». Il presidente dimissionato della Provincia si dichiara seriamente preoccupato di cosa potrà accadere nei prossimi giorni a un ente che non può essere liquidato con un colpo di bacchetta magica. «Dopo che mi sono liberato dal problema della carica voglio capire quale percorso consentirà di risolvere questioni di carattere giuridico fiscale, e ambientale di cui forse coloro che hanno promosso il referendum ignorano la portata. E poi, oltre alle questioni politiche che voglio mettere da parte, vorrei capire che percorso avranno i pagamenti quotidiani, gli investimenti, gli atti di governo che prevedono 85 milioni di euro. Basterà una leggina di poche righe per cancellarli? Sicuramente no – aggiunge Cherchi – c’è bisogno di un atto legislativo organico e articolato, che rispetti la volontà popolare ma garantisca la continuità amministrativa sino al superamento dell’attuale assetto istituzionale. Il punto vero è che non c’è nulla che normi il passaggio da un assetto a un altro. Forse era il caso – ammette con un prudente rimbrotto al legislatore regionale – di stabilire prima norme certe». Secondo Cherchi i tempi per assumere le decisioni conseguenti allo scioglimento saranno immediati. «Nel giro di questa settimana le conseguenza del vuoto normativo si manifesteranno in maniera seria, se non ci sarà una base giuridica». Risultato inaspettato? «No, atteso. Da un anno le Province erano indicate come capro espiatorio delle storture della politica. Mi dispiace solo che anche il mio partito, privo di un organico disegno di riforma, abbia avuto paura di mettersi contro l’umore popolare». E adesso cosa farà Cherchi? Pensionato d’oro? «La passione politica si vive anche oltre le istituzioni». Risposta sibillina, o forse chiarezza cristallina.

LA NUOVA SARDEGNA – Politica: «Ora conteremo di meno»

08.05.2012

CARBONIA In città il gesto di Tore Cherchi ha suscitato commenti contrastanti negli ambienti politici e sindacali. «Il gesto del presidente – ha sostenuto Peppino La Rosa dei Riformatori – è apprezzabile da ogni punto di vista. In primis non aveva sottoscritto il ricorso presentato dall’Ups (Unione Province Sarde) e in secondo luogo si è sentito battuto dalla decisione degli eletti. Ovviamente ora si dovrà lavorare perché i risultati del referendum, quelli abrogativi e quelli consultivi siano ritenuti vincolati. Cherchi è un rappresentante di un grande partito e deve muovere le leve politiche perché venga concretizzato il volere dei cittadini. Molti hanno anche tentato di far fallire il referendum ed è stata una scelta sbagliata. E’ bene che si rispetti quanto espresso dall’urna». Negli ambienti sindacali c’è preoccupazione per l’atto del presidente. «Un gesto forse affrettato – ha commentato Mario Crò segretario generale della Uil – perché il territorio, in questo momento, aveva in corso alcune vertenze (Alcoa ed Eurallumina) che necessitano di un’azione unitaria e forte. Ora però si deve pensare al futuro e nessuno pensi di distruggere i servizi che la provincia Carbonia-Iglesias è riuscita a costruire». Si profila quindi un periodo di vuoto di potere che potrebbe incrementare le difficoltà delle categorie in crisi. «Certamente l’esito era scontato – ha evidenziato Fabio Enne della Cisl – perché con questo referendum gli elettori hanno voluto punire la casta. «Il Sulcis Iglesiente disponeva di un livello istituzionale vicino alla gente – ha concluso Roberto Puddu della Cgil – ed ora viene a mancare. C’erano gli enti da cancellare, i consigli di amministrazione, le consulenze e gli sprechi ed invece in modo subdolo si è proposta l’abolizione di un ente che, in fatto di spesa pubblica, è limitata. (e.a.)

LA NUOVA SARDEGNA – Politica: Medio Campidano, il sogno è finito ieri

08.05.2012

Il sogno-progetto del Medio Campidano, un territorio storicamente inventato agli inizi degli anni Novanta dalla necessità di affrancarsi dalla Provincia madre di Cagliari che ignorava la periferia, si è infranto nel voto referendario che ha visto proprio nelle urne mediocampidanesi la maggiore affluenza (42,5) di votanti. Un particolare, questo, che andrà esaminato attentamente per capire cos’è che non è andato per il verso giusto dato che proprio nelle aree geografiche che hanno formato poi il Medio Campidano – la bassa Marmilla, il Linas (Arburese-Guspinese-Villacidrese) e il Campidano “di mezzo” – erano insorti i fermenti sociali e politici che hanno portato nel tempo all’istituzione della Provincia. L’idea in proposito è bipartisan. «Il sentimento diffuso per gli sprechi e il malcostume della politica lo hanno pagato le nuove quattro province – è il pensiero di Luca Becciu, giovane sindaco di Serrenti -, sono diventate il bersaglio più facile e più immediato da raggiungere in questo momento di sfascio generale. Ma i veri sperperi sono altrove, a cominciare dalle istituzioni regionali e statali superiori».La delusione e l’amarezza fanno da contraltare alla soddisfazione e all’esultanza di chi si è speso a vari livelli per l’abolizione. Il presidente della Provincia, Fulvio Tocco (Pd), il primo e l’unico a ricoprire la carica, ha il morale sotto i tacchi. « Mi dispiace enormemente lasciare a metà un lavoro avviato con tanto entusiasmo e che proprio adesso stava cominciando a dare i frutti – attacca il capo dell’esecutivo provinciale – . Abbiamo fatto tanto: le scuole superiori ristrutturate, la viabilità provinciale ammodernata e messa in sicurezza, salvaguardato il patrimonio ambientale e culturale, dato nuovo impulso al settore agricolo con un progetto, “Vivere la Campagna”, che ha coinvolto 1300 aziende familiari e sul quale proprio adesso stiamo tirando le prime somme: per ogni euro investito c’è stato per gli imprenditori il ritorno economico di 4,5 euro. E’ questa la dimostrazione che il territorio produce se è messo nelle condizioni di farlo». E adesso? «Mi dimetterò nelle prossime ore – preannuncia Fulvio Tocco -, consapevole di aver dato tutto me stesso, non facendo mai il presidente tra- dizionale, ma stando in mezzo alla gente e ai suoi problemi. Mi auguro che il nostro territorio non torni a essere come lo avevamo ereditato dalla Provincia madre». Canta vittoria, invece, Giorgio Zucca (Fli), ex sindaco di Sardara e vicepresidente del consiglio provinciale nella precedente consiliatura, esponente di spicco del movimento referendario.«L’abolizione delle nuove province è la vittoria del popolo che si è rivoltato contro la casta – dice il “pentito” Zucca -. Per il Medio Campidano è la certificazione annunciata del fallimento per via della sua cattiva gestione, utilizzata spesso e volentieri per fini personali. Una provincia lontana dalla gente e dalle esigenze dei cittadini, con notevoli sprechi di denaro pubblico. I nodi vengono sempre al pettine e adesso è stato raccolto quanto seminato». Sulla metamorfosi del pensiero sulle province istituite sette anni fa, Giorgio Zucca ricorda: «Mi ero reso conto toccando con mano, e lo avevo denunciato più volte anche quando ero consigliere provinciale e vice presidente del Consiglio, che bisognava chiuderle. Uno sperpero di denaro e nient’altro. Questa è una prima sforbiciata, adesso si deve tagliare a salire». Più politica che amministrativa l’analisi di Luca Becciu: «Era compito dei partiti spiegare alla gente l’importanza di mantenere una Provincia nostra, non lo si è voluto fare scegliendo di stare a guardare e nella speranza che si raggiungesse il quorum. La gente è andata invece a votare sulla scia di un sentire diffuso di malcontento per il quadro generale della nazione e per il mal governo della politica. Pagano le province, ma altri sono i luoghi dell’inefficienza e degli sprechi». Un altro che gongola per la soppressione delle province è Mario Zurru, consigliere comunale di Gonnosfanadiga vicino all’Udc che si è speso non poco per portare la gente a votare ‘Si’.«Finalmente la gente ha preso coscienza che anche se ci sono buoni propositi ma la gestione è fallimentare, finisce sempre male. La Provincia del Medio Campidano era diventata una Pro loco che non ha fatto altro che occuparsi di sagre, fiere, vetrine, impegnandosi solo in quello che sembrava essere l’unico obiettivo: il progetto Vivere la Campgana». Contento quindi di tornare con Cagliari? «Ma cosa volete che sia? – prosegue Zurru -. Siamo distanti dal capoluogo mediamente 50-60 chilometri, arrivarci è un attimo. Il problema sarà eventualmente quello di avere la capacità di eleggere nella Provincia madre gente preparata. Dipende solo da noi».

LA NUOVA SARDEGNA – Politica: Il trionfo della rete: «Vinto grazie a noi»

08.05.2012

Domenica, ore 20: «È fatta? Si, forse. Anzi no, però manca poco». «Dai dai dai – scrive Marco su Facebook – io ho mandato un sms a tutta la rubrica per ricordare di andare a votare». Ore 22: «Avete novità? Per favore fatemi sapere qualcosa», chiede Giovanni sul social network. «Pare che ci siamo, a filo ma ci siamo», risponde Enrico. Ore 23.30: «Siiiiiiiiiiiii», esulta Marco. «35,5. Abbiamo vinto, la Sardegna ha vinto, la casta ha perso», aggiunge Silvia, e giù una valanga di “mi piace”. La vittoria. «Se ce l’abbiamo fatta, se il referendum è passato, è quasi tutto merito nostro. Grazie ragazzi». È commossa Marzia di fronte alla missione compiuta: un’impresa che sembrava impossibile – commentano molti on line – perché a promuovere i 10 quesiti «è stata solo la rete, i mass media tradizionali hanno praticamente ignorato l’appuntamento elettorale. E molte forze politiche hanno cercato di insabbiarlo, per non intaccare i loro privilegi». Invece è andata bene, aggiunge Marzia, «grazie alla rete, grazie a uno straordinario passaparola che ha aiutato tantissimi a formarsi un’opinione e a decidere consapevolmente di andare a votare e anche quali crocette barrare». La mobilitazione. Più che in qualsiasi altra occasione è lecito parlare di una vittoria del web: anche per il referendum contro le centrali nucleari nell’isola (nel maggio del 2011), la mobilitazione era stata forte. Ma in quel caso era stata corale, perché tutte le forze politiche avevano sostenuto la necessità di votare No. Questa volta invece «la battaglia l’abbiamo portata avanti in solitudine», commenta soddisfatta Federica. Ecco cosa scrive Simone, nel gruppo 10 Sì per il referendum: «Il quorum è stato raggiunto grazie a una grande mobilitazione dal basso che ha visto decine di persone volontariamente attivarsi per abrogare le province e per ridurre gli stipendi dei consiglieri regionali. Da questo momento siamo pronti a verificare, minuto per minuto, le risposte che il consiglio regionale saprà dare alle scelte chiare del popolo sardo». E poi: «Terremo il fiato sul collo di Cappellacci, che ha cavalcato strumentalmente questo referendum. Perché se avesse tenuto realmente ai quesiti avrebbe dovuto imporne la discussione alla sua maggioranza». Gli schieramenti. Le polemiche non si placano, e restano alcuni dubbi: «Chi mi spiega il reale significato del quesito 8? – scrive Carlo –. A prima vista sembrerebbe voler diminuire i compensi ai consiglieri regionali, in realtà sembra conferire maggiori poteri al presidente della Regione per aumentarli». Ancora: «Siamo sicuri che ridurre il numero dei consiglieri – domanda Chiara – sia la scelta giusta? Io ho votato sì, ma appena sono uscita dal seggio mi sono pentita». Ecco perché, secondo Romina, sarebbe stato meglio se, in mezzo alla pioggia di Sì, avesse prevalso anche qualche no. Per esempio sulle province che «andrebbero mantenute, a meno che non si preferisca andare fuori dalla Sardegna per fare tutti i documenti piuttosto che in una delle province che abbiamo ora». Qualcuno le fa notare che le competenze degli enti intermedi potranno essere assunte dai Comuni, ma Romina insiste: «Chi ha votato sì ha sbagliato». Basta sprechi. Il primo segnale, dicono nel web, «l’abbiamo dato andando a votare». Perché, questa è l’opinione diffusa, non presentarsi al seggio avrebbe significato non solo boicottare la consultazione democratica, ma anche «gettare nella spazzatura i 3 milioni di euro spesi per organizzarla». Dunque, dice Stefano, «chi ha snobbato il voto ha sbagliato due volte. Perché ha dimostrato di infischiarsene del bene comune scegliendo di fare il bastian contrario, salvo poi continuare a lamentarsi e a dire che tutto fa schifo. E ha contribuito a sprecare una montagna di soldi pubblici. Che dire a queste persone? Complimenti, per fortuna non siete stati determinanti, la democrazia ha prevalso». I contrari. Loro non stanno zitti. Nelle ultime settimane hanno portato avanti sul web una contro-campagna, cercando di convincere più persone possibile a non andare a votare. Ora che il quorum è stato raggiunto, dicono che «i sardi sono bravi a farsi del male da soli segnando un autentico autogol». Lo dice, tra gli altri, Alessandro: «Una parte del nostro popolo è caduto nella trappola della casta, la stessa casta che negli anni ha sguazzato nei privilegi. Un terzo dei sardi ha creduto a referendum truffa, ha dato il proprio benestare affinché il potere resti in mano a un numero sempre più inferiore di persone. Ma quale percorso di cambiamento. Ne vedremo delle belle». Amarissima la conclusione di Paola: «Non c’è niente da festeggiare, è stata una presa in giro e uno spreco di soldi. Altro che vittoria del popolo sovrano, questa è la vittoria dei politici più scaltri

 

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