GIACOMO MELONI, segretario generale della Confederazione Sindacale Sarda, parla agli Stati Generali del Popolo Sardo, il 16 marzo 2012
On. le Presidente del Consiglio, On. le Presidente della Giunta
On. li Senatori e Deputati sardi, On. li Consiglieri Reg. li
Signore e Signori,
“Per intraprendere una lotta ci vuole una certa unità, ma è nella lotta che tale unità prenderà corpo e si consoliderà. Alcuni uomini, che non sono dei politici, ritengono sia giunto il momento di assumersi questo rischio, di contare su questo fattore per suscitare, da un capo all’altro della nostra isola, una valida coscienza nazionale”.
(Antonio Simon Mossa Sassari, 10 gennaio 1944)
“Le finzioni sono finite. I miti non possono nascondere la verità. Uno stato sardo sovrano e indipendente è diventata l’unica strada che ai giorni nostri può portare ad una cooperazione fruttuosa non solo tra la Sardegna e l’Italia, ma tra il Popolo Sardo l’Europa e il resto del mondo”.
(Antonio Simon Mossa Nuoro, 16 ottobre 1946)
Potrebbero suonare strane queste parole, quasi fuori dalla storia, in un momento in cui tutta l’attenzione è concentrata nel come uscire dalla crisi finanziaria ed economica che ha coinvolto l’intera Europa, ha schiacciato fino a spingerla al default la nazione Greca, minaccia il Portogallo e la Spagna, intimorisce e rende debolissima la stessa Italia che è stata costretta a fare i conti con la spirale incontenibile e travolgente dello spread.
La manovra “lacrime e sangue” del Governo Monti, reclamata come necessaria ed urgente, ha salvato dal baratro il Paese Italia, ma ora rischia di essere una cura troppo forte fino al timore reale di portare alla morte lo stesso malato, al punto che la stessa Corte dei Conti ha voluto recentemente richiamare il Governo perché la pressione fiscale non schiacci i contribuenti onesti.
Eppure il 5 ottobre del 2010 nell’Assemblea degli Stati Generali c’era sembrato di aver intrapreso la strada maestra della riforma del nostro Statuto Sardo in un contesto aperto di riforma federale dello Stato, in cui concetti come sovranità e indipendenza venivano coniugati senza infingimenti nelle dieci Mozioni discusse ed approvate solennemente da questa stessa Aula in un dibattito lungo e partecipato, iniziato nel marzo 2010 e concluso coll’Ordine del Giorno N°41 del 18 novembre dello stesso anno e approvato all’unanimità.
Tale era allora il clima di unità ed entusiasmo che non ebbi dubbi ad affermare: “I nostri Padri avrebbero gioito sicuramente oggi nel vedere questa solenne assemblea confermare la strada intrapresa del federalismo e della indipendenza, concetti attorno ai quali è venuta meno la retorica e la propaganda ideologica del passato, perché Indipendenza oggi – in termini moderni – non può che essere rivendicata in un quadro europeo, di una Europa dei Popoli e delle Nazioni dove la sovranità è quella trasferita e ceduta dagli Stati Nazionali ed è esercitata nel rispetto delle regole comuni, alla cui base c’è l’assunzione dei principi di libertà, di pace, di non violenza, della democrazia, della coesione, della solidarietà, di sussidiarietà e di fratellanza. Principi che esaltano i diritti allo sviluppo e al lavoro, al reciproco rispetto, alla felicità.
Il diritto non solo alla non discriminazione, che postula l’accettazione del pluralismo delle idee, dei popoli e delle nazioni, ma la diversità dei soggetti plurimi e diversi con le loro culture e lingue; ma anche il diritto alla non assimilazione che protegge da tutte le tentazioni vecchie e nuove al centralismo e all’appiattimento delle specificità e peculiarità. A noi sardi serve questa certezza perché la nostra identità, fatta di cultura – limba – tradizioni – odori e sapori – paesaggi – paesi e ambiente è un valore insopprimibile e come tale deve essere amata e garantita da tutti”, seguendo lo esempio ed insegnamento del grande prof. Giovanni Lilliu, sardus pater, a cui tutti noi ci inchiniamo profondamente commossi ad un mese della sua scomparsa.
Dagli Stati Generali dell’ottobre 2010 sono trascorsi appena 17 mesi è tutto sembra cambiato, la stessa Europa sembra mostrare un volto da matrigna ed i fondamentali di coesione e di solidarietà sembrano essere scossi in profondità e la stessa richiesta di inserire nelle Costituzioni dei singoli Stati aderenti la norma dell’obbligo del pareggio di bilancio sembra una forzatura e comunque una presa d’atto che è finito un periodo ed un’epoca intera in cui la propria debolezza poteva contare nella solidarietà dei Paesi più forti.
C’è da chiedersi allora che fine farà la nostra Sardegna, se dai dati della crisi, messi drammaticamente in risalto dagli ultimi scioperi generali sindacali,ma non solo: penso alle lotte, alle manifestazioni dei pastori, degli agricoltori, degli artigiani e commercianti, delle Partite IVA, degli esecutati L. R..44/88 e tartassati da Equitalia sull’orlo della disperazione; per cui la Sardegna risulterebbe essere già in area di default come la Grecia.
Le aziende sarde indebitate con il fisco, al 31 dicembre 2010, erano 64.104 su un attivo di 160.000 imprese presenti sul territorio, con una esposizione debitoria di 3 miliardi e 516 milioni di euro, vale
a dire che il 40 per cento delle imprese sarde era gravata in media da un debito verso l’erario di circa 55.000 euro; solo nella provincia di Cagliari, nel gennaio 2011, 33.956 imprese (+11% rispetto a gennaio 2010) risultano essere indebitate con Equitalia per oltre 2 miliardi e 232 milioni di euro contro il miliardo e 700 milioni del gennaio 2010; industria, commercio, artigianato in sostanza in circa 12 mesi il sistema imprese della provincia di Cagliari ha incrementato i propri debiti nei confronti di Equitalia quasi del 24 per cento; nello specifico si registra un +23,30% relativo alla sezione Erario, (+20,56% in Sardegna), +10,89% nella sezione Inps (+11,15% in Sardegna) e +21,46% nella sezione Altri (+14,37% in Sardegna); i primi dati e le previsioni per l’anno in corso sono tutt’altro che confortanti visto che il numero di imprese indebitate con il fisco per il 2011 sembra destinato a toccare la cifra di 70.450 imprese, a fronte di un debito da riscuotere pari ad un impor
to di 4,27 miliardi di euro, con un ulteriore crescita del 22% in più rispetto all’anno precedente.
Chi salverà la Sardegna dal fallimento?
Vorrei essere chiaro. Non sono qui a chiedere più fondi per la povertà e l’assistenza, rispetto ai quali riconosco che questo Consiglio Reg. le anche nell’ultima finanziaria – pur tra mille difficoltà e oggettive ristrettezze di cassa – ha destinato rilevanti risorse. (Dico sommessamente: semmai ci vorrebbero più controlli e oculatezza nell’amministrazione dei soldi pubblici anche su questo versante dove crescono troppe associazioni “caritatevoli”). Né ho mai nascosto la posizione mia e della CSS che i cassa integrati debbono essere considerati forza lavoro e come tali impegnati nei lavori socialmente utili-penso a titolo d’esempio alla manutenzione delle scuole,degli arredi urbani e degli archivi, pena la decadenza – in caso di rifiuto – dal loro “status” su cui occorre investire soprattutto in termini di formazione per il reinserimento nel mondo produttivo.
Credo che, come ebbe a dire lo stesso Gesu’ Cristo nei Vangeli, rivolto agli Apostoli che gli ricordavano i poveri ogni volta che c’era da affrontare una situazione nuova: “I poveri li avrete sempre con voi…”. Conosco l’esegesi e so che il riferimento era alla sua persona che da lì a poco sarebbe finita sulla croce,ma anche risorta a vita nuova. Come dire: “Bisogna andare avanti, avere il coraggio di superare l’emergenza e la necessità. BISOGNA RISORGERE.
Ebbene a questo punto credo sia giusto e s’imponga un ripensamento radicale. Se la Sardegna ha solo 450 mila lavoratori dipendenti effettivi, se i cassa integrati superano i 100 mila e i dati ci dicono che vi sono più di 350 mila famiglie che vivono sotto la soglia di povertà e che i disoccupati sono, compresi i cosiddetti scoraggiati, il 24% ed i giovani disoccupati balzano al 44%, questa realtà non ci aiuta da uscire dalla crisi, anzi è essa stessa la fotografia di una crisi di sistema, rispetto alla quale l’unica via d’uscita è la crescita, che, soprattutto in Sardegna significa investire in un NUOVO MODELLO DI SVILUPPO.
Sono convinto, che prima ancora dei soldi – che giustamente rivendichiamo ci siano restituiti dalla Stato uniti tutti insieme nella Vertenza Sardegna – dobbiamo avere IL PROGETTO di come vogliamo investire queste risorse. Se lo Stato Italiano non ha in questo momento la disponibilità di cassa, conceda da subito alla Sardegna di potere andare in deroga per almeno tre anni al PATTO di STABILITA’in modo che il Bilancio Reg.le liberi maggiori risorse sul piano della crescita, di sostegno alle imprese e ai posti di lavoro, alla ricerca, alla cultura e alla scuola e di conseguenza sciolga dal patto di stabilità le rilevanti risorse ora bloccate nelle casse dei nostri comuni.
Mi rivolgo a voi tutti che siete la classe dirigente di questa nostra Isola.
Non accettiamo che siano gli altri dall’esterno – come avvenne negli anni sessanta e settanta – a disegnare il nostro sviluppo. Noi sardi abbiamo l’intelligenza e le forze per sognarlo e progettarlo questo nostro futuro con uno slancio corale di popolo, legando questo nuovo sviluppo alle nostre risorse locali, sapendo coniugare turismo, ambiente, ricerca e lavoro.
Dobbiamo realizzare e sfruttare la grande occasione di sviluppo che sono i porti franchi,dobbiamo rinnovare e modernizzare il comparto agroalimentare, puntando sull’agricoltura e pastorizia legate all’industria di conservazione e trasformazione dei prodotti. Ma occorre scegliere le priorità, sapendo che il tempo non è a nostro favore e che anzi è sempre più tiranno.
Vogliamo discutere in casa nostra, qui in questo Consiglio Regionale, le scelte sulla Chimica Verde e sul Galsi senza condizionamenti e barriere.
Chiedo sommessamente a questo Consiglio se sia stato valutato cosa significhi cedere 30 mila ettari di terreno per mettere a dimora cardi da bruciare per alimentare a biomasse un mega inceneritore di 40 MGW?
Chiedo se il Progetto Galsi sia stato valutato sotto tutti i suoi aspetti di impatto ambientale e se soprattutto i sardi avranno mai il beneficio del metano a prezzi convenienti, se tutte le opere di derivazione della rete sono a spese dei sardi?
Vogliamo trovare noi il coraggio e la forza di chiudere le fabbriche obsolete ed inquinanti, restituendo ai lavoratori ed agli abitanti di quei territori speranza e futuro in nuove imprese. Lo dico con grande rispetto dei drammi e delle lotte operaie di questi giorni, ma il rumore assordante dei caschetti sbattuti sul selciato e ahimè sulle vetrate del Consiglio Regionale non possono esimere tutta la classe dirigente del nostro Paese dal dire fino in fondo la verità sulle prospettive reali di queste fabbriche e – seppure con grande ritardo- aprire nuovi orizzonti e intraprese.
Sogno una Sardegna che scelga un modello di sviluppo ecocompatibile, sostenuto da un Piano Energetico basato principalmente sulle fonti rinnovabili. Sogno una miriade di fabbriche di pannelli e tegole fotovoltaiche impiantate attorno alla nostra ricchezza naturale di sabbie silicee. Vedo da oggi aprirsi migliaia di cantieri legati alle bonifiche delle zone militari e industriali dismesse finanziati con i soldi di coloro che troppo a lungo e indisturbati hanno inquinato e distrutto gran parte del nostro territorio, lucrando sulle basi militari e sulla salute dei sardi.
Vorrei che avessimo tutti noi più coraggio per cambiare ed andare avanti, mettendo al centro nuovamente la Sardegna e i sardi ad iniziare dai giovani, a cui dobbiamo cedere il passo ed il testimone.
Cagliari, 16 marzo 20 Il Segretario Generale della CSS
Dr Giacomo Meloni