MESSAGGIO DEL PRESIDENTE DELLA REGIONE AL POPOLO SARDO

 

 

Il discorso fu scritto nel luglio 1967 per essere rivolto al Popolo Sardo dai canali della RAI dal Presidente della Regione Giovanni Del Rio. Censurato dalla presidenza dell’emittente radiotelevisiva statale, il discorso del presidente ai suoi concittadini in un momento drammatico della storia sarda ,  è stato ritrovato presso l’archivio della Fondazione Sardinia nelle carte del Fondo Titino Melis, allora segretario del Psd’az deputato e componente del consiglio di amministrazione della rai. Viene reso pubblico per la prima volta in occasione del nuovo contrasto tra le istituzioni della Sardegna e lo Stato italiano.

(In quest sito è possibile trovare una ricostruzione storica del periodo e della vicenda cliccando in alto su PUBBLICAZIONI/MONOGRAFIE/SARDISTI II, a partire dalla pag. 535 ss.)

Cittadini,

nel breve discorso che a me oggi spetta la responsabilità e l’onore di rivolgere al Popolo Sardo, mi sembra anzi ­tutto necessario offrire alcuni chiarimenti circa i pressanti motivi che hanno indotto il Consiglio Regionale della Sardegna ad assumere un atteggiamento polemico e di protesta nei confronti del Governo nazionale; protesta e polemica a cui avremmo ben volentieri rinunziato, ma che non possiamo evitare perché dagli eventi e dalla congiuntura presente ci vengono imposte come improrogabile azione di difesa delle nostre più giuste aspirazioni, ovvero di quel vasto e profondo processo di sviluppo di cui tanto si parla e a cui si fa riferimento, di solito, con la parola “Rinascita”.

Dopo secoli di abbandono a un triste isolamento, vogliamo ricordare che nel clima nuovo e democratico seguito alla caduta del Fascismo e alla fine della guerra, fu riconosciuto ai sardi il diritto alla autonomia, tanto appassionatamente ambita, affinché attraverso l’autonomia si tentasse di colmare l’ingiusto divario di civiltà, di cultura e di benessere che mortificava l’Isola nostra nei confronti delle regioni più avanzate d’Italia.

Si trattava di affrontare infiniti e complessi problemi economici e sociali, di creare nuove strutture produttive, di modificare e rimuovere quelle esistenti ma arretrate e quasi primitive perché da troppo tempo immobili e appena sufficienti ad una stentata sussistenza; si trattava di studiare metodi e strumenti razionali, di determinare nelle popolazioni fiducia nella propria virtù e di orientamenti indispensabili al progresso e all’organizzazione moderna del lavoro e della vita. Si trattava dunque di uno sforzo immenso di cui i Sardi tanto meno potevano essere capaci quanto più erano poveri e depressi.

E lo Stato riconobbe giustamente l’esigenza di soccorrere la Sardegna con un piano di interventi straordinari che valessero, come una forte carica di lancio, a rompere l’immobilità della nostra economia e a imprimerle un moto vigoroso di espansione e di progresso.

Ora io non ignoro che la maggior parte dei Sardi, vuoi perché troppo ansiosi e ingenuamente illusi che sarebbe stato facile mutare da un giorno all’ altro la sorte dell’ Isola, vuoi perché non hanno potuto seguire né valutare attentamente il grave travaglio dei governi regionali finora succedutisi, non ignoro che molti sono delusi, amareggiati, scoraggiati.

Eppure molta strada si è fatta, ove si voglia onestamente riconoscere che siamo partiti da quote estremamente basse, senza strumenti di sorta, senza esperienza, senza chiarezza e forse con pochissime idee. Oggi molte strutture accennano a muoversi modernamente, oggi sappiamo chiaramente che cosa vogliamo e dove andiamo.

Non dico queste cose in difesa della classe politica dirigente o per apologia del governo regionale, bensì perché è ancora necessario, ora più che mai, che il popolo sardo non perda la fiducia di vincere la sua battaglia; e questo è appunto un momento cruciale e forse determinante della lotta per la rinascita.

I governi e gli uomini politici non sfuggiranno alle loro responsabilità né al giudizio della storia e dei sardi; ma non è questa l’ora di recriminazioni vane, di accuse e di processi a noi stessi. Ora ci troviamo di fronte a un fatto troppo importante che può veramente decidere il nostro avvenire e che pertanto richiede da parte nostra una ferma concordia e unità d’intenti.

Ho accennato rapidamente all’ esigenza, peraltro riconosciuta dallo Stato, di quella carica di lancio, per così dire, indispensabile ad avviare la Sardegna verso forme moderne di sviluppo; questo intervento statale di rottura, come tutti sanno, è rappresentato dalla somma di 400 miliardi da erogare in 12 anni. Ma era ovvia e chiarissimo che tale intervento doveva considerarsi straordinario e aggiuntivo e che gli altri interventi non solo non dovevano essere lesinati ma dovevano anzi sempre più adeguarsi alla reale situazione di bisogno dell’isola.

A tal fine, il Consiglio Regionale, nella seduta del 1O maggio 1966, approvava un ordine del giorno-voto al Parlamento nel quale, fra le altre cose, si constatava che “i fondi straordinari previsti dalla legge 588 del 1962 rappresentano soltanto il 17% dei mezzi di investimento necessari alla Sardegna per avviare la rinascita”; si ricordava che “il Piano regionale sardo deve avere come sue caratteristiche fondamentali la globalità, la aggiuntività e la straordinarietà”, e si facevano voti affinché, nel quadro di una rinnovata politica meridionalista, fosse data “assoluta priorità allo sviluppo del Mezzogiorno e delle Isole”; si richiamava infine la citata legge 588 laddove è imposto ai Ministeri e in particolare a quello delle Partecipazioni Statali e agli Enti pubblici e segnatamente all’ENE1, di disporre i loro interventi secondo le direttive vincolanti del Piano regionale di sviluppo.

Si chiedeva, specialmente, al Governo che la quota di spesa pubblica prevista nel programma economico nazionale per il Mezzogiorno e le Isole venisse adeguata in relazione alla assoluta insufficienza dei mezzi degli Enti locali; che si incentivasse l’industrializzazione e si localizzassero nel Sud tutte le nuove iniziative a carattere pubblico; che si adottasse un sistema di tariffe elettriche differenziate per il Mezzogiorno e la Sardegna onde favorire lo sviluppo delle industrie e delle attività agricole e artigianali; che si assicurasse un adeguato incremento dei mezzi finanziari a disposizione del Credito Industriale Sardo; che si ripristinasse il finanziamento dei piani particolari di opere pubbliche e di trasformazioni fondiarie” così come previsto nello Statuto speciale; che si creasse un sistema di collegamenti interni ed esterni, tali da consentire l’effettiva integrazione dell’ isola nella struttura economica italiana ed europea; che si avviasse insomma un processo di sviluppo capace di garantire la massima occupazione stabile e livelli di reddito adeguati.

Il Governo nazionale, la cui tensione meridionalista sembra fortemente allentata, ha accolto il voto dei Sardi con un debole e per nulla incoraggiante “terremo conto”, laddove l’accoglimento totale delle giuste richieste è da noi considerato assolutamente indispensabile non dico per proseguire nel cammino della Rinascita ma, più veramente, per entrare nel cammino della Rinascita e cioè per la creazione di un tessuto industriale sano ed efficiente, per lo sviluppo dell’agricoltura, per il potenziamento del turismo e di ogni altra attività, per eliminare la disoccupazione, per limitare la drammatica necessità dell’emigrazione, uno dei fenomeni più gravi che minaccia di privare la Sardegna delle sue forze migliori.

Dinanzi a tali atteggiamenti fortemente lesivi dei supremi interessi dei Sardi, non possiamo restare né indifferenti né inerti, e il Consiglio Regionale, per l’urgenza evidente di accelerare il processo di Rinascita, ha perciò voluto richiamare l’attenzione degli Organi centrali, ma specialmente del Governo, sulla grave responsabilità che essi si assumono nel momento in cui praticamente respingono le istanze del popolo sardo.

Il Consiglio Regionale unanime rivolge in quest’ ora un caldo appello a tutte le popolazioni affinché siano consapevolmente partecipi e solidali nel momento in cui esprimiamo la nostra insoddisfazione e il più fermo proposito perché il Voto al Parlamento sia sostanzialmente accolto. Soltanto a questo patto il mito della Rinascita si farà operante realtà per i contadini sardi, per i pastori, gli operai, gli artigiani, i pescatori, i lavoratori tutti, gli impiegati e i professionisti, e la Sardegna potrà finalmente rompere l’isolamento che la rese povera e infelice.

Cittadini di tutta la Sardegna!

In rappresentanza della Giunta e di tutto il Consiglio Regionale, io mi rivolgo a voi con affetto di concittadino responsabile e vi invito, vi prego di non rinunziare alle vostre speranze, di non cedere alla sfiducia e al pessimismo, ma di vigilare, operare, meditare sul presente e sul futuro destino di questo popolo coraggioso e sfortunato che vive dolorosamente e cerca la sua via in un lembo di terra la quale non più, oggi, per sole difficoltà di geografia naturale, non più dovrebbe negare ai suoi figli di comparire con parità di giudizio e di rispetto davanti alle più civili e più libere comunità dell’Europa.

Questa terra, al centro del più bello, più famoso e più conteso mare che esista, non pretendiamo che per sua natura debba essere il giardino del mondo; ma siamo convinti che dispone di sufficienti risorse per offrire giuste ragioni di vita al popolo che l’abita purché si rimuovano, con slancio ulteriore e decisivo, i secolari impedimenti che ostacolano la strada del suo riscatto.

Questo sforzo appunto noi chiediamo allo stato italiano, sicuri di non chiedere soltanto la Rinascita della Sardegna ma, in una visione più vasta, il progresso complessivo dell’Italia, della quale siamo parte non ultima, della quale vogliamo essere parte non diversa, né più sottomessa per poter contribuire più degnamente e da liberi cittadini al suo più grande benessere e alla sua maggiore civiltà.

 

(Archivio della Fondazione Sardinia, Fondo Giovanni Battista Melis, c.502, f.27)

 

 

 

Lettera di Giovanni Del Rio, presidente della Giunta Regionale della Sardegna a Giovanni Battista Melis (datata Cagliari, 20 luglio 1967), in allegato:

 

A)  telegramma al dottor Ettore Bernabei, direttore generale della R.A. I. ;

 

B)  testo del discorso che il Presidente Giovanni Del Rio avrebbe pronunciato in occasione della “giornata di lotta del 17 luglio 1967.

 

Egregio Onorevole,

 

ritengo doveroso e opportuno informarLa ufficialmente dell’increscioso    incidente intervenuto, qualche giorno addietro, fra me e i dirigenti della RAI-TV.

 

In attuazione ad un ordine del giorno, votato unanimemente dal Consiglio regionale, che impegnava la Giunta a prendere le opportune iniziative per la organizzazione di una “giornata regionale di azione rivendicativa”, ho pensato fosse quanto mai utile, oltre alle altre iniziative, rivolgere ai cittadini sardi un messaggio di saluto che servisse a spiegare e a precisare motivazioni, che avevano indotto tutte le parti politiche presenti in Consiglio regionale a organizzare la giornata di protesta.

Attraverso l’Ufficio….                            la Presidenza della giunta

regionale vi furono … con la sede di Cagliari della RAI e con la Direzione Generale della RAI-TV, per precisare le modalità della trasmissione. A seguito di  … a richiesta fu altresì inviata copia del testo e messaggio che si sarebbe dovuto diffondere.

Sabato mattina, 15 luglio, mi fu personalmente comunicato dal responsabile romano del giornale radio e dal Direttore generale, Dottor Ettore Bernabei, che la RAI-TV non poteva accogliere la mia richiesta, portando motivazioni di varia natura.

La convinzione che i motivi offerti non fossero validi e che si stesse commettendo una palese violazione dei precisi diritti costituzionali, mi hanno indotto a protestare telegraficamente con lo stesso Dottor Bernabei e a rendere successivamente pubblici i testi del telegramma e del messaggio.

Questi sono i fatti sui quali ritengo sia quanto mai lecito attendersi un giudizio motivato e una valutazione politica della Commissione parlamentare per la vigilanza sulle radio diffusioni. Questo non tanto per invocare accertamenti di responsabilità di persone od organi e conseguenti provvedimenti, quanto per attirare l’attenzione dell’ on .1e Commissione su un fatto che, se diventasse regola, potrebbe portare a pericolose deviazioni delle norme di corretta vita democratica.

Le accludo in copia i testi del telegramma inviato al Dottor Bernabei e del messaggio non autorizzato per la diffusione radiofonica.

Distinti saluti.

 

 

 

- Giovanni Del Rio –

 

 

 

 

 

 

A)

TELEGRAMMA URGENTE                        Cagliari, 15 luglio 1967

DOTTOR ETTORE BERNABEI DIRETTORE GENERALE RAI TV

ROMA

 

 

A)TELEGRAMMA URGENTE                   Cagliari, 15 luglio 1967

DOTTOR ETTORE BERNABEI DIRETTORE GENERALE RAI TV

ROMA

N. 02399/GAB. PROFONDAMENTE AMAREGGIATO PER SUA IMPREVISTA ET IMPREVEDIBILE DECISIONE DIRETTA AT NON CONSENTIRMI RIVOLGERE INDIRIZZO AT MIEI CONCITTADINI SARDI OCCASIONE GIORNATA PROTESTA PER MANCATO ACCOGLIMENTO ORDINE DEL GIORNO VOTO CONSIGLIO REGIONALE DA PARTE GOVERNO VIRGOLA PROTESTO VIVAMENTE PER OFFESA CHE VIENE ARRECATA NON TANTO ALLA MIA PERSONA QUANTO INTERA GIUNTA REGIONALE ET POPOLAZIONE SARDA SOTTOPOSTE ANCORA A GRAVE UMILIAZIONE DA ATTEGGIAMENTO CHE ESIMOMI QUALIFICARE PUNTO RISERVOMI INFORMARE SINGOLI MEMBRI COMMISSIONE PARLAMENTARE VIGILANZA RAI TV PUNTO DISTINTI SALUTI PUNTO

 

DEL RIO PRESIDENTE REGIONE SARDA

 

B)

Cittadini,

nel breve discorso che a me oggi spetta la responsabilità e l’onore di rivolgere al Popolo Sardo, mi sembra anzi ­tutto necessario offrire alcuni chiarimenti circa i pressanti motivi che hanno indotto il Consiglio Regionale della Sardegna ad assumere un atteggiamento polemico e di protesta nei confronti del Governo nazionale; protesta e polemica a cui avremmo ben volentieri rinunziato, ma che non possiamo evitare perché dagli eventi e dalla congiuntura presente ci vengono imposte come improrogabile azione di difesa delle nostre più giuste aspirazioni, ovvero di quel vasto e profondo processo di sviluppo di cui tanto si parla e a cui si fa riferimento, di solito, con la parola “Rinascita”.

Dopo secoli di abbandono a un triste isolamento, vogliamo ricordare che nel clima nuovo e democratico seguito alla caduta del Fascismo e alla fine della guerra, fu riconosciuto ai sardi il diritto alla autonomia, tanto appassionatamente ambita, affinché attraverso l’autonomia si tentasse di colmare l’ingiusto divario di civiltà, di cultura e di benessere che mortificava l’Isola nostra nei confronti delle regioni più avanzate d’Italia.

Si trattava di affrontare infiniti e complessi problemi economici e sociali, di creare nuove strutture produttive, di modificare e rimuovere quelle esistenti ma arretrate e quasi primitive perché da troppo tempo immobili e appena sufficienti ad una stentata sussistenza; si trattava di studiare metodi e strumenti razionali, di determinare nelle popolazioni fiducia nella propria virtù e di orientamenti indispensabili al progresso e all’organizzazione moderna del lavoro e della vita. Si trattava dunque di uno sforzo immenso di cui i Sardi tanto meno potevano essere capaci quanto più erano poveri e depressi.

E lo Stato riconobbe giustamente l’esigenza di soccorrere la Sardegna con un piano di interventi straordinari che valessero, come una forte carica di lancio, a rompere l’immobilità della nostra economia e a imprimerle un moto vigoroso di espansione e di progresso.

Ora io non ignoro che la maggior parte dei Sardi, vuoi perché troppo ansiosi e ingenuamente illusi che sarebbe stato facile mutare da un giorno all’ altro la sorte dell’ Isola, vuoi perché non hanno potuto seguire né valutare attentamente il grave travaglio dei governi regionali finora succedutisi, non ignoro che molti sono delusi, amareggiati, scoraggiati.

Eppure molta strada si è fatta, ove si voglia onestamente riconoscere che siamo partiti da quote estremamente basse, senza strumenti di sorta, senza esperienza, senza chiarezza e forse con pochissime idee. Oggi molte strutture accennano a muoversi modernamente, oggi sappiamo chiaramente che cosa vogliamo e dove andiamo.

Non dico queste cose in difesa della classe politica dirigente o per apologia del governo regionale, bensì perché è ancora necessario, ora più che mai, che il popolo sardo non perda la fiducia di vincere la sua battaglia; e questo è appunto un momento cruciale e forse determinante della lotta per la rinascita.

I governi e gli uomini politici non sfuggiranno alle loro responsabilità né al giudizio della storia e dei sardi; ma non è questa l’ora di recriminazioni vane, di accuse e di processi a noi stessi. Ora ci troviamo di fronte a un fatto troppo importante che può veramente decidere il nostro avvenire e che pertanto richiede da parte nostra una ferma concordia e unità d’intenti.

Ho accennato rapidamente all’ esigenza, peraltro riconosciuta dallo Stato, di quella carica di lancio, per così dire, indispensabile ad avviare la Sardegna verso forme moderne di sviluppo; questo intervento statale di rottura, come tutti sanno, è rappresentato dalla somma di 400 miliardi da erogare in 12 anni. Ma era ovvia e chiarissimo che tale intervento doveva considerarsi straordinario e aggiuntivo e che gli altri interventi non solo non dovevano essere lesinati ma dovevano anzi sempre più adeguarsi alla reale situazione di bisogno dell’isola.

A tal fine, il Consiglio Regionale, nella seduta del 1O maggio 1966, approvava un ordine del giorno-voto al Parlamento nel quale, fra le altre cose, si constatava che “i fondi straordinari previsti dalla legge 588 del 1962 rappresentano soltanto il 17% dei mezzi di investimento necessari alla Sardegna per avviare la rinascita”; si ricordava che “il Piano regionale sardo deve avere come sue caratteristiche fondamentali la globalità, la aggiuntività e la straordinarietà”, e si facevano voti affinché, nel quadro di una rinnovata politica meridionalista, fosse data “assoluta priorità allo sviluppo del Mezzogiorno e delle Isole”; si richiamava infine la citata legge 588 laddove è imposto ai Ministeri e in particolare a quello delle Partecipazioni Statali e agli Enti pubblici e segnatamente all’ENE1, di disporre i loro interventi secondo le direttive vincolanti del Piano regionale di sviluppo.

Si chiedeva, specialmente, al Governo che la quota di spesa pubblica prevista nel programma economico nazionale per il Mezzogiorno e le Isole venisse adeguata in relazione alla assoluta insufficienza dei mezzi degli Enti locali; che si incentivasse l’industrializzazione e si localizzassero nel Sud tutte le nuove iniziative a carattere pubblico; che si adottasse un sistema di tariffe elettriche differenziate per il Mezzogiorno e la Sardegna onde favorire lo sviluppo delle industrie e delle attività agricole e artigianali; che si assicurasse un adeguato incremento dei mezzi finanziari a disposizione del Credito Industriale Sardo; che si ripristinasse il finanziamento dei piani particolari di opere pubbliche e di trasformazioni fondiarie” così come previsto nello Statuto speciale; che si creasse un sistema di collegamenti interni ed esterni, tali da consentire l’effettiva integrazione dell’ isola nella struttura economica italiana ed europea; che si avviasse insomma un processo di sviluppo capace di garantire la massima occupazione stabile e livelli di reddito adeguati.

Il Governo nazionale, la cui tensione meridionalista sembra fortemente allentata, ha accolto il voto dei Sardi con un debole e per nulla incoraggiante “terremo conto”, laddove l’accoglimento totale delle giuste richieste è da noi considerato assolutamente indispensabile non dico per proseguire nel cammino della Rinascita ma, più veramente, per entrare nel cammino della Rinascita e cioè per la creazione di un tessuto industriale sano ed efficiente, per lo sviluppo dell’agricoltura, per il potenziamento del turismo e di ogni altra attività, per eliminare la disoccupazione, per limitare la drammatica necessità dell’emigrazione, uno dei fenomeni più gravi che minaccia di privare la Sardegna delle sue forze migliori.

Dinanzi a tali atteggiamenti fortemente lesivi dei supremi interessi dei Sardi, non possiamo restare né indifferenti né inerti, e il Consiglio Regionale, per l’urgenza evidente di accelerare il processo di Rinascita, ha perciò voluto richiamare l’attenzione degli Organi centrali, ma specialmente del Governo, sulla grave responsabilità che essi si assumono nel momento in cui praticamente respingono le istanze del popolo sardo.

Il Consiglio Regionale unanime rivolge in quest’ ora un caldo appello a tutte le popolazioni affinché siano consapevolmente partecipi e solidali nel momento in cui esprimiamo la nostra insoddisfazione e il più fermo proposito perché il Voto al Parlamento sia sostanzialmente accolto. Soltanto a questo patto il mito della Rinascita si farà operante realtà per i contadini sardi, per i pastori, gli operai, gli artigiani, i pescatori, i lavoratori tutti, gli impiegati e i professionisti, e la Sardegna potrà finalmente rompere l’isolamento che la rese povera e infelice.

Cittadini di tutta la Sardegna!

In rappresentanza della Giunta e di tutto il Consiglio Regionale, io mi rivolgo a voi con affetto di concittadino responsabile e vi invito, vi prego di non rinunziare alle vostre speranze, di non cedere alla sfiducia e al pessimismo, ma di vigilare, operare, meditare sul presente e sul futuro destino di questo popolo coraggioso e sfortunato che vive dolorosamente e cerca la sua via in un lembo di terra la quale non più, oggi, per sole difficoltà di geografia naturale, non più dovrebbe negare ai suoi figli di comparire con parità di giudizio e di rispetto davanti alle più civili e più libere comunità dell’Europa.

Questa terra, al centro del più bello, più famoso e più conteso mare che esista, non pretendiamo che per sua natura debba essere il giardino del mondo; ma siamo convinti che dispone di sufficienti risorse per offrire giuste ragioni di vita al popolo che l’abita purché si rimuovano, con slancio ulteriore e decisivo, i secolari impedimenti che ostacolano la strada del suo riscatto.

Questo sforzo appunto noi chiediamo allo stato italiano, sicuri di non chiedere soltanto la Rinascita della Sardegna ma, in una visione più vasta, il progresso complessivo dell’Italia, della quale siamo parte non ultima, della quale vogliamo essere parte non diversa, né più sottomessa per poter contribuire più degnamente e da liberi cittadini al suo più grande benessere e alla sua maggiore civiltà.

 

(Archivio della Fondazione Sardinia, Fondo Giovanni Battista Melis, c.502, f.27)

 

 

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    3 Comments to “MESSAGGIO DEL PRESIDENTE DELLA REGIONE AL POPOLO SARDO”

    1. By mariocarboni, 20 marzo 2012 @ 17:26

      Utilissima documentazione di una vicenda ben conosciuta in ambienti sardisti e neosardisti che proprio da quegli anni iniziavano un percorso che avrebbe generato il vento sardista.
      E’ sempre stata portata ad esempio di una maniera, quando la crisi è all’apice, di suonare il campanello allo Stato centrale rimanendo organici a questo e accontentandosi poi del cappetto teso a elemosina e riempito di qualsiasi cosa.
      La vicenda era nota anche se oggi è dimenticata da molti e sopratutto sconosciuta ai giovani.
      La pubblicazione è utilissima proprio perchè in quegli anni prese il via l’ultima ondata della colonizzazione economica e culturale, garantita dalle maggioranze democristiane e dai suoi alleati.
      Proprio allora si teorizzò l’industrializzazione del centro Sardegna per cancellare una cultura e fare il lavaggio del cervello al centro Sardegna e da li a tutta l’Isola per dimenticare le proprie origini, identità, storisa, cultura ed aspirazioni d’autodecisione e libertà.
      La complicità della DC e del PCI fu in questo totale con una divisione di ruoli ma con un unico obiettivo: assimilare i sardi a una realtà straniera.
      Leggendo con gli occhi di adesso i testi, dopo le evoluzioni del persiero nazionalista sardo che superarono autonomista con la messa in chiaro del protagonismo della Nazione sarda, sembrerebbero vuoti di contenuti e appaiono una semplice richiesta d’attenzione , molto economicista, senza contenuti di autodeterminazione.
      Forse però anche inespressi si leggevano fra le righe e lo Stato se ne accorse attento com’è sempre stato ai moti profondi dei sardi e che sono attentamente monitorati dalle prefetture.
      Eppure fece scandalo e venne censurata dalla RAI.
      La censura causò alte grida di sdegno nell’Isola e nella Penisola nesuno seppe nè se n’accorse.
      In ambiente sardista e nel nascente neosardismo è sempre stato portato come esempio del’atteggiamento democristiano verso lo Stato centrale e i Governi democristiani. Chiagni e fotti..
      In quegli anni proprio le maggioranze democristiane effettuarono il sacco dei piani di rinascita a favore dei petrolieri e altri grandi colonialisti della chimica e del tessile per finire con la trufffa di Ottana e le industrie dell’Alluminio e dei velenosissimi fumi d’acciaieria .
      Oggi siamo all’epilogo di quella stagione col crollo classico di un sistema economico coloniale.
      Purtroppo ancora oggi si continua con gli ordini del giorno e gli stati generali, in una liturgia quasi sovietica ( ci manca che venga riproposto ilCongreso del Popolo Sardo di pcista memoria ) senza cavare un ragno dal buco e affrontare concretamente e con proposte il confronto con lo stato. Questioni come la lingua, la fiscalità di vantaggio o zona franca e siopratutto il nuovo statuto, non sono poste all’ordine del giorno.
      Solo a volte enunciate o diluite nella ricerca di percorsi che rimandano all’infinito il proporre concretamente.
      E’ invece tempo di porre sul tavolo proposte concrete e articolate e su queste confrontarsi e se necessario per realizzarle autonomamente e senza accordo con lo Stato come applicazione del principio d’autodeterminazione che come si sa è tale solo con atti politici unilaterali.
      Atti politici unilaterali come realizzare la sovranità, con leggi regionali o applicare lo statuto vigente senza le ridicole e umilianti norme d’attuazione, con atti anche di corale disubbidienza civile.
      Solo così, a mio parere, si supera il metodo “Del Rio”..verboso, reticente, piagnone e assistenzialista di una classe politica autocolonizzata e succursalista che fa solo “ammuina” e s’inchina sempre ai loro capi romani..

    2. By Giacomo Meloni / CSS, 16 marzo 2012 @ 18:55

      La storia si ripete.Trovo estremamente attuale il grido di dolore del Presidente Del Rio.
      Vi propongo il mio intervento all’Assemblea degli Stati Generali del Consiglio Regionale
      della Sardegna .Oggi non c’è solo aria di crisi,ma di fallimento.La sensazione è che questa classe politica non ce la fa da sola a portarci in zona sicurezza.Occorre uno sforzo corale di popolo per determinare una vera svolta.

      On. le Presidente del Consiglio

      On. le Presidente della Giunta

      On. li Senatori e Deputati sardi

      On. li Consiglieri Reg. li

      Signore e Signori,

      “Per intraprendere una lotta ci vuole una certa unità, ma è nella lotta che tale unità prenderà corpo e si consoliderà. Alcuni uomini, che non sono dei politici, ritengono sia giunto il momento di assumersi questo rischio, di contare su questo fattore per suscitare, da un capo all’altro della nostra isola, una valida coscienza nazionale”.
      (Antonio Simon Mossa Sassari, 10 gennaio 1944)

      “Le finzioni sono finite. I miti non possono nascondere la verità. Uno stato sardo sovrano e indipendente è diventata l’unica strada che ai giorni nostri può portare ad una cooperazione fruttuosa non solo tra la Sardegna e l’Italia, ma tra il Popolo Sardo l’Europa e il resto del mondo”.
      (Antonio Simon Mossa Nuoro, 16 ottobre 1946)

      Potrebbero suonare strane queste parole, quasi fuori dalla storia, in un momento in cui tutta l’attenzione è concentrata nel come uscire dalla crisi finanziaria ed economica che ha coinvolto l’intera Europa, ha schiacciato fino a spingerla al default la nazione Greca, minaccia il Portogallo e la Spagna, intimorisce e rende debolissima la stessa Italia che è stata costretta a fare i conti con la spirale incontenibile e travolgente dello spread.
      La manovra “lacrime e sangue” del Governo Monti, reclamata come necessaria ed urgente, ha salvato dal baratro il Paese Italia, ma ora rischia di essere una cura troppo forte fino al timore reale di portare alla morte lo stesso malato, al punto che la stessa Corte dei Conti ha voluto recentemente richiamare il Governo perché la pressione fiscale non schiacci i contribuenti onesti.

      Eppure il 5 ottobre del 2010 nell’Assemblea degli Stati Generali c’era sembrato di aver intrapreso la strada maestra della riforma del nostro Statuto Sardo in un contesto aperto di riforma federale dello Stato, in cui concetti come sovranità e indipendenza venivano coniugati senza infingimenti nelle dieci Mozioni discusse ed approvate solennemente da questa stessa Aula in un dibattito lungo e partecipato, iniziato nel marzo 2010 e concluso coll’Ordine del Giorno N°41 del 18 novembre dello stesso anno e approvato all’unanimità.
      Tale era allora il clima di unità ed entusiasmo che non ebbi dubbi ad affermare: “I nostri Padri avrebbero gioito sicuramente oggi nel vedere questa solenne assemblea confermare la strada intrapresa del federalismo e della indipendenza, concetti attorno ai quali è venuta meno la retorica e la propaganda ideologica del passato, perché Indipendenza oggi – in termini moderni – non può che essere rivendicata in un quadro europeo, di una Europa dei Popoli e delle Nazioni dove la sovranità è quella trasferita e ceduta dagli Stati Nazionali ed è esercitata nel rispetto delle regole comuni, alla cui base c’è l’assunzione dei principi di libertà, di pace, di non violenza, della democrazia, della coesione, della solidarietà, di sussidiarietà e di fratellanza. Principi che esaltano i diritti allo sviluppo e al lavoro, al reciproco rispetto, alla felicità.
      Il diritto non solo alla non discriminazione, che postula l’accettazione del pluralismo delle idee, dei popoli e delle nazioni, ma la diversità dei soggetti plurimi e diversi con le loro culture e lingue; ma anche il diritto alla non assimilazione che protegge da tutte le tentazioni vecchie e nuove al centralismo e all’appiattimento delle specificità e peculiarità. A noi sardi serve questa certezza perché la nostra identità, fatta di cultura – limba – tradizioni – odori e sapori – paesaggi – paesi e ambiente è un valore insopprimibile e come tale deve essere amata e garantita da tutti”, seguendo lo esempio ed insegnamento del grande prof. Giovanni Lilliu, sardus pater, a cui tutti noi ci inchiniamo profondamente commossi ad un mese della sua scomparsa.
      Dagli Stati Generali dell’ottobre 2010 sono trascorsi appena 17 mesi è tutto sembra cambiato, la stessa Europa sembra mostrare un volto da matrigna ed i fondamentali di coesione e di solidarietà sembrano essere scossi in profondità e la stessa richiesta di inserire nelle Costituzioni dei singoli Stati aderenti la norma dell’obbligo del pareggio di bilancio sembra una forzatura e comunque una presa d’atto che è finito un periodo ed un’epoca intera in cui la propria debolezza poteva contare nella solidarietà dei Paesi più forti.
      C’è da chiedersi allora che fine farà la nostra Sardegna, se dai dati della crisi, messi drammaticamente in risalto dagli ultimi scioperi generali sindacali,ma non solo: penso alle lotte, alle manifestazioni dei pastori, degli agricoltori, degli artigiani e commercianti, delle Partite IVA, degli esecutati L. R..44/88 e tartassati da Equitalia sull’orlo della disperazione; per cui la Sardegna risulterebbe essere già in area di default come la Grecia.

      Le aziende sarde indebitate con il fisco, al 31 dicembre 2010, erano 64.104 su un attivo di 160.000 imprese presenti sul territorio, con una esposizione debitoria di 3 miliardi e 516 milioni di euro, vale
      a dire che il 40 per cento delle imprese sarde era gravata in media da un debito verso l’erario di circa 55.000 euro; solo nella provincia di Cagliari, nel gennaio 2011, 33.956 imprese (+11% rispetto a gennaio 2010) risultano essere indebitate con Equitalia per oltre 2 miliardi e 232 milioni di euro contro il miliardo e 700 milioni del gennaio 2010; industria, commercio, artigianato in sostanza in circa 12 mesi il sistema imprese della provincia di Cagliari ha incrementato i propri debiti nei confronti di Equitalia quasi del 24 per cento; nello specifico si registra un +23,30% relativo alla sezione Erario, (+20,56% in Sardegna), +10,89% nella sezione Inps (+11,15% in Sardegna) e +21,46% nella sezione Altri (+14,37% in Sardegna); i primi dati e le previsioni per l’anno in corso sono tutt’altro che confortanti visto che il numero di imprese indebitate con il fisco per il 2011 sembra destinato a toccare la cifra di 70.450 imprese, a fronte di un debito da riscuotere pari ad un importo di 4,27 miliardi di euro, con un ulteriore crescita del 22% in più rispetto all’anno precedente.

      Chi salverà la Sardegna dal fallimento?
      Vorrei essere chiaro. Non sono qui a chiedere più fondi per la povertà e l’assistenza, rispetto ai quali riconosco che questo Consiglio Reg. le anche nell’ultima finanziaria – pur tra mille difficoltà e oggettive ristrettezze di cassa – ha destinato rilevanti risorse. (Dico sommessamente: semmai ci vorrebbero più controlli e oculatezza nell’amministrazione dei soldi pubblici anche su questo versante dove crescono troppe associazioni “caritatevoli”). Né ho mai nascosto la posizione mia e della CSS che i cassa integrati debbono essere considerati forza lavoro e come tali impegnati nei lavori socialmente utili-penso a titolo d’esempio alla manutenzione delle scuole,degli arredi urbani e degli archivi, pena la decadenza – in caso di rifiuto – dal loro “status” su cui occorre investire soprattutto in termini di formazione per il reinserimento nel mondo produttivo.
      Credo che, come ebbe a dire lo stesso Gesu’ Cristo nei Vangeli, rivolto agli Apostoli che gli ricordavano i poveri ogni volta che c’era da affrontare una situazione nuova: “I poveri li avrete sempre con voi…”. Conosco l’esegesi e so che il riferimento era alla sua persona che da lì a poco sarebbe finita sulla croce,ma anche risorta a vita nuova. Come dire: “Bisogna andare avanti, avere il coraggio di superare l’emergenza e la necessità. BISOGNA RISORGERE.
      Ebbene a questo punto credo sia giusto e s’imponga un ripensamento radicale. Se la Sardegna ha solo 450 mila lavoratori dipendenti effettivi, se i cassa integrati superano i 100 mila e i dati ci dicono che vi sono più di 350 mila famiglie che vivono sotto la soglia di povertà e che i disoccupati sono, compresi i cosiddetti scoraggiati, il 24% ed i giovani disoccupati balzano al 44%, questa realtà non ci aiuta da uscire dalla crisi, anzi è essa stessa la fotografia di una crisi di sistema, rispetto alla quale l’unica via d’uscita è la crescita, che, soprattutto in Sardegna significa investire in un NUOVO MODELLO DI SVILUPPO.
      Sono convinto, che prima ancora dei soldi – che giustamente rivendichiamo ci siano restituiti dalla Stato uniti tutti insieme nella Vertenza Sardegna – dobbiamo avere IL PROGETTO di come vogliamo investire queste risorse. Se lo Stato Italiano non ha in questo momento la disponibilità di cassa, conceda da subito alla Sardegna di potere andare in deroga per almeno tre anni al PATTO di STABILITA’in modo che il Bilancio Reg.le liberi maggiori risorse sul piano della crescita, di sostegno alle imprese e ai posti di lavoro, alla ricerca, alla cultura e alla scuola e di conseguenza sciolga dal patto di stabilità le rilevanti risorse ora bloccate nelle casse dei nostri comuni.
      Mi rivolgo a voi tutti che siete la classe dirigente di questa nostra Isola.
      Non accettiamo che siano gli altri dall’esterno – come avvenne negli anni sessanta e settanta – a disegnare il nostro sviluppo. Noi sardi abbiamo l’intelligenza e le forze per sognarlo e progettarlo questo nostro futuro con uno slancio corale di popolo, legando questo nuovo sviluppo alle nostre risorse locali, sapendo coniugare turismo, ambiente, ricerca e lavoro.
      Dobbiamo realizzare e sfruttare la grande occasione di sviluppo che sono i porti franchi,dobbiamo rinnovare e modernizzare il comparto agroalimentare, puntando sull’agricoltura e pastorizia legate all’industria di conservazione e trasformazione dei prodotti. Ma occorre scegliere le priorità, sapendo che il tempo non è a nostro favore e che anzi è sempre più tiranno.
      Vogliamo discutere in casa nostra, qui in questo Consiglio Regionale, le scelte sulla Chimica Verde e sul Galsi senza condizionamenti e barriere.
      Chiedo sommessamente a questo Consiglio se sia stato valutato cosa significhi cedere 30 mila ettari di terreno per mettere a dimora cardi da bruciare per alimentare a biomasse un mega inceneritore di 40 MGW?
      Chiedo se il Progetto Galsi sia stato valutato sotto tutti i suoi aspetti di impatto ambientale e se soprattutto i sardi avranno mai il beneficio del metano a prezzi convenienti, se tutte le opere di derivazione della rete sono a spese dei sardi?
      Vogliamo trovare noi il coraggio e la forza di chiudere le fabbriche obsolete ed inquinanti, restituendo ai lavoratori ed agli abitanti di quei territori speranza e futuro in nuove imprese. Lo dico con grande rispetto dei drammi e delle lotte operaie di questi giorni, ma il rumore assordante dei caschetti sbattuti sul selciato e ahimè sulle vetrate del Consiglio Regionale non possono esimere tutta la classe dirigente del nostro Paese dal dire fino in fondo la verità sulle prospettive reali di queste fabbriche e – seppure con grande ritardo- aprire nuovi orizzonti e intraprese.

      Sogno una Sardegna che scelga un modello di sviluppo ecocompatibile, sostenuto da un Piano Energetico basato principalmente sulle fonti rinnovabili. Sogno una miriade di fabbriche di pannelli e tegole fotovoltaiche impiantate attorno alla nostra ricchezza naturale di sabbie silicee. Vedo da oggi aprirsi migliaia di cantieri legati alle bonifiche delle zone militari e industriali dismesse finanziati con i soldi di coloro che troppo a lungo e indisturbati hanno inquinato e distrutto gran parte del nostro territorio, lucrando sulle basi militari e sulla salute dei sardi.
      Vorrei che avessimo tutti noi più coraggio per cambiare ed andare avanti, mettendo al centro nuovamente la Sardegna e i sardi ad iniziare dai giovani, a cui dobbiamo cedere il passo ed il testimone.

      Cagliari, 16 marzo 20 Il Segretario Generale della CSS
      Dr Giacomo Meloni

    3. By Convert WMA to MP3 Converter Free, 16 marzo 2012 @ 07:22

      Great information. It’s really useful. Thanks