Sulla terra sardi, in cielo con Ryanair
di Mario Cubeddu
Le confederazioni sindacali hanno proposto ai lavoratori e ai pensionati sardi uno sciopero generale per il 13 marzo, mercoledì prossimo. Dicono di difendere gli interessi economici e sociali dei sardi. Ci sono però dei casi in cui le posizioni dei sindacati fanno molto dubitare sul reale interesse delle confederazioni a difendere la condizione dei sardi in generale. E’ capitato di leggere ultimamente a proposito di alcuni problemi scottanti, vissuti dalla maggioranza dei sardi in modo critico e problematico, posizioni sindacali che andavano assolutamente in senso opposto. Posizioni non solo sindacali, ma condivise spesso da buona parte della sinistra sarda. Quest’ultima però si espone di meno, preferisce esprimersi con il silenzio in modo da sfuggire al giudizio delle parti in conflitto. I casi a cui mi riferisco sono piuttosto eclatanti e spesso all’attenzione dell’opinione pubblica sarda. Il primo è quello della presenza delle basi in Sardegna e in generale delle aree soggette a servitù militare. Il poligono del salto di Quirra ha finito per attirare l’intervento deciso della magistratura dopo che per decenni gruppi minoritari avevano lanciato l’allarme sulle conseguenze drammatiche provocate a danno dell’ambiente e della salute delle popolazioni locali. Appelli, articoli di giornale, libri che trattavano l’argomento sono stati ignorati per tanto tempo. La mobilitazione per arrivare a un chiarimento definitivo sui danni arrecati dal poligono è sempre stata minoritaria. Si pensa generalmente che la resistenza sindacale a mobilitarsi su questo tema sia dovuta alla difesa dei posti di lavoro di chi lavora nelle basi. In località isolate in cui non vi è alcuna importante attività industriale o turistica un posto di lavoro qualunque, anche se avvelenato, sembra debba essere considerato prezioso. E’ un ricatto inaccettabile da parte di una politica e di associazioni dei lavoratori che dovrebbero manifestare ben altra serietà. Si accetta senza batter ciglio il ridimensionamento e la scomparsa di intere categorie di lavoratori autonomi, condannati dall’obsolescenza del loro ruolo produttivo. Decine di migliaia di contadini e artigiani hanno dovuto cambiare mestiere e nessuno si è mai preoccupato di fissare in eterno il loro ruolo e la loro condizione economica. Gli altri due casi in cui la posizione sindacale appare ambigua o decisamente contraria agli interessi dei sardi riguardano entrambi la questione trasporti. La vicenda Tirrenia ha avuto un ritorno di fiamma con il confronto in Parlamento tra i deputati sardi e il nuovo ministro dei trasporti Corrado Passera. Del modo in cui è andata precipitando la questione del trasporto marittimo in Sardegna abbiamo tutti avuto testimonianza l’estate scorsa con l’aumento vertiginoso del prezzo dei traghetti in seguito all’ormai acquisita monopolizzazione dei trasporti per la Sardegna da parte di un gruppo di armatori continentali. La conseguenza del caro trasporti non è stata solo quella di dare un colpo alle attività turistiche, ma anche di spingere migliaia di emigrati sardi che non potevano permettersi quelle tariffe a rinunciare a tornare durante l’estate alle case loro, dei parenti, dei compaesani. In questa situazione colpisce l’assenza di prese di posizione e di iniziative di mobilitazione dei sindacati e dei partiti di sinistra della Sardegna. La piattaforma sindacale per lo sciopero del 13 marzo è assolutamente generica. Come sempre a cercare di far sentire la loro voce sono piccole minoranze. Per i primi invece altri interessi rispetto a quelli dei sardi sembra siano prevalenti. Il giocattolo scassato della Tirrenia non va toccato per non intaccare consolidati interessi economici e sociali che niente hanno a che fare con quelli della Sardegna. Le posizioni del sindacato trasporti in proposito sono in evidente contrasto con gli interessi dei sardi. Lo stesso avviene per il trasporto aereo, il settore forse oggi più importante e delicato. Nei giorni scorsi abbiamo avuto la notizia sorprendente che Ryanair è diventato il primo vettore aereo in Italia con 28 milioni di persone trasportate contro i 25 milioni delle “compagnie di bandiera”. La notizia non può che essere accolta con soddisfazione e con l’auspicio che il ruolo di Ryanair si consolidi e che la sua presenza sul territorio si diffonda. Non perché si preferiscano gli irlandesi agli italiani e agli inglesi, ma perché nessuno nella storia della Sardegna ha mai contribuito altrettanto a liberarci dall’isolamento. Si vola con gli stessi standard di qualità a un prezzo di diverse volte inferiore a quello degli altri. Si viaggia dalla Sardegna spendendo meno di ciò che costerebbe un equivalente, ma più lungo e noioso viaggio in treno. Masse di sardi, lavoratori e pensionati soprattutto, stanno viaggiando per l’Europa in modi che da sempre sognavano. I giovani e i lavoratori possono vivere in maniera serena la loro distanza, visto che quando hanno un po’ di tempo libero possono prendere un mezzo di trasporto economico e tornare a casa. Bene, questo non rende tutti felici. Un quotidiano sardo che sostiene il centro destra non risparmia attacchi con ragioni più o meno pretestuosi alla compagnia irlandese. Anche il signor Vito Riggio, presidente dell’ENAC, si preoccupa del successo di Ryanair. Ne riconosce i meriti, bontà sua, ma si preoccupa del fatto che la compagnia non paghi le tasse in Italia. Non sembra una questione che dovrebbe interessare più di tanto chi si occupa di far funzionare nel modo migliore il trasporto aereo. Lo stesso argomento è ripreso dal segretario nazionale dei lavoratori del trasporto CGIL. Minaccia addirittura di portare la questione in Europa. L’argomento polemico è quello dell’evasioni fiscale e contributiva che verrebbe operata da Ryanair. Crediamo che il vero obiettivo non sia quello, ma piuttosto il ritorno alla posizione di preminenza e di monopolio da parte di Alitalia e Meridiana. Con le conseguenze che i sardi sperimentano da una vita. Pagare per viaggiare in Italia prezzi superiori a quelli che consentono oggi di raggiungere capitali europee e di altri continenti è per i sardi umiliante. Anche su questo terreno si gioca oggi la partita della nostra libertà. Che non sta molto a cuore, a quanto pare, a partiti e sindacati che si preoccupano d’altro.
By carlo, 14 marzo 2012 @ 13:51
Ora che la manifestazione si è svolta possiamo tirare un sospiro di sollievo, liturgia rispettata, slogan, striscioni e toni severi dal palco, poi tutti a pranzo.
I big sindacali in ristorante presumo, per il popolo un panino.
Non sopporto più questa ipocrita messa laica condita da presa in giro dei lavoratori.
Quella ridicola combriccola di cialtroni ignoranti e arroganti che governa la Sardegna e ci ha portato al disastro che viviamo, è stata accolta con piacere da gran parte dei sindacati che ora protestano, in quel momento era più importante risolvere alcune cosette e si badava al sodo, solo dopo ci si è resi conto che si metteva la Sardegna nelle mani di una classe dirigente ( si fa per dire ) totalmente inadeguata.
Ma la questione dirimente è un altra, abbiamo dei sindacati che troppo spesso mostrano un approccio arcaico alla questioni, spesso chi osserva ha la sgradevole sensazione di trovarsi di fronte ad un metodo lobbistico, si protegge il lavoro dei propri iscritti senza una visione globale degli interessi della comunità nel suo complesso, gli esempi sono tanti, la vicenda della chimica verde, le servitù militari, l’inceneritore di Tossilo.
Questioni fondamentali come la tutela della salute, l’ idea di uno sviluppo armonioso della comunità con la tutela del territorio e del paesaggio e conseguente lavoro degli altri sardi, appaiono spesso sacrificati sull’altare del lavoro purchè sia.
Il disastro provocato da uno sviluppo industriale di stile coloniale, che lascia il conto da pagare alla Sardegna con un terribile inquinamento, non sembra avere minato i nostri dinosindacalisti dalla cieca fiducia sulle magnifiche sorti e progressive di progetti industriali decotti oppure finti verdi e sopratutto quasi sempre portati avanti da prenditori che invariabilmente scappano con il bottino dopo pochi anni.
La disarmante assenza di un progetto di lungo respiro per la Sardegna di questi sindacati, mi sgomenta, vivono in un altra epoca, con metodi e liturgie di un mondo che non esiste più e sono la stessa classe dirigente che fingono di contestare in piazza.