Parlare di sobrietà solidale, significa innanzitutto parlare di un modo di vivere»
di Cécile Renouard, religiosa assunzionista, teologa
* (ndr. nella traduzione in italiano sono stati usati i termini “sobrietà”, “sobrio” per le espressioni francesi “tempérance”, “tempérant” usati dall’autrice), in “La Croix” del 3 marzo 2012, traduzione: www.finesettimana.org)
Le Conferenze della Quaresima 2012 a Notre Dame di Parigi
Parlare di sobrietà solidale, significa innanzitutto parlare di un modo di vivere», di Cécile Renouard, religiosa assunzionista, teologa
Cercare la giustizia del Regno, significa cercare in ogni momento i mezzi della trasformazione dei nostri comportamenti e delle nostre istituzioni quando sono inique; significa rimettere in discussione le strutture di peccato – come la “sete esclusiva del profitto” e la “sete di potere con lo scopo di imporre agli altri la propria volontà” – descritte da Giovanni Paolo II nell’enciclica Sollicitudo rei socialis, strutture che distruggono il vivere-insieme e sono antinomici rispetto alla solidarietà. Cercare la giustizia del Regno, significa collegare la ricerca di giustizia con la dismisura, la sovrabbondanza, proposta dal vangelo, che permette di andare al di là del solo rispetto delle norme. Significa associare la logica di equivalenza, che la giustizia rappresenta, alla logica di sovrabbondanza (1), che introduce un eccesso, uno spazio di gratuità, di dono, di perdono nelle nostre istituzioni. (…)
Applicato ai soggetti economici, questo atteggiamento porta ad andare al di là del semplice impegno contrattuale, ad agire facendo spazio ad una dose di convivialità, all’aiuto e alla cooperazione, nella vita professionale. Non si tratta certo di promuovere solo la filantropia e le azioni caritative: queste ultime sono un modo per l’impresa di manifestare il suo ancoramento in un territorio o il suo impegno per una causa, ma non potrebbero svolgere la funzione di impegno etico, sappiamo che fondazioni e altre organizzazione filantropiche si sono sviluppate in periodi di deregulation e di minima pressione fiscale. Questo è avvenuto in particolare negli Stati Uniti da una trentina d’anni. All’opposto, per l’impresa, articolare giustizia e dono, etica e sovrabbondanza, significa dare spazio ad un progetto che mira a mobilitare diversi soggetti, riuniti per un obiettivo comune, in una prospettiva che vuole essere attenta a coloro che la circondano e agli effetti vicini e lontani della sua attività.
Significa favorire una giustizia contabile e fiscale, e denunciare le pratiche di dannosa ottimizzazione fiscale, anche se vantaggiose per la propria organizzazione. Significa mettere al primo posto la qualità delle relazioni intrattenute all’interno dell’impresa e con le parti interessante, e con tutto l’ambiente economico, l’ecosistema (2). Significa riconoscere la “creazione di valore” sotto l’angolazione della qualità relazionale piuttosto che sotto l’angolazione della massimizzazione del profitto per gli azionisti. Ciò significa, in ogni momento, che il profitto non è e non deve restare solo un mezzo a servizio di una finalità economica, dell’impresa e della società.
Significa darsi i mezzi per correggere i rapporti di forza e le strutture di potere nell’impresa e tra imprese e parti interessate, per ridare a ciascuno il proprio posto e la propria giusta parte in un progetto federatore. Significa, infine, mettere la direzione dell’impresa a servizio dello sviluppo delle capacità relazionali di ciascuno.
Se facciamo l’esperienza del pieno sviluppo, dell’armonia, della felicità di una vita in cui i rapporti contano più dei beni, allora diventa più facile promuovere pratiche economiche mosse dai criteri della giustizia della sovrabbondanza. La molteplicità delle iniziative attuali a favore di nuovi modi di consumare, di scambiare, di produrre ne è del resto la dimostrazione. Lo testimoniano la vitalità del settore dell’economia equa e solidale, e molti progetti che hanno lo scopo di rafforzare l’ancoramento territoriale del settore dell’attività economica e di promuovere un’economia fondata sull’uso condiviso dei beni piuttosto che sulla loro proprietà privata. (…)
Questo ci mette quindi in cammino al fine di procedere verso una trasformazione radicale dei nostri sistemi di produzione e di consumo: il problema allora è sapere come avviarci verso una sobrietà solidale, che passi attraverso la decrescita dei nostri consumi in certi ambiti, al fine di assicurare le condizioni di uno sviluppo veramente sostenibile nei paesi del Sud del mondo.
Decrescita? La parola è poco seducente, perché è contro-intuitiva, perché è carica di un forte peso ideologico, e perché è senza dubbio insopportabile per coloro che sono danneggiati da una crescita rallentata.
Eppure, ci illudiamo se speriamo in una ripresa della crescita secondo le modalità che abbiamo conosciuto nel corso dei passati decenni. Bisogna saper guardare la realtà e ammettere che la crescita, come è concepita ancor oggi, è suicida per l’umanità. Parlare di sobrietà solidale, significa innanzitutto parlare di un modo di vivere e di un modo di essere nella società; ed è forse nei tempi di crisi, come in tempo di guerra, che l’appello alla creatività in vista di una trasformazione radicale dell’apparato economico è più forte. Sobrietà sembra opporsi a passione. Non è così! Si tratta, invece, di essere appassionati della solidarietà, ed è in questo slancio che impareremo ad essere sobri.
(1) Paul Ricœur, Amour et Justice, 1990, Seuil, Collection Points, 2008
(2) Gaël Giraud et Cécile Renouard (dir.), 20 propositions pour réformer le capitalisme, Flammarion, « Champs », 3e édition révisée, 2012