Lo sconforto dell’uomo di fede, Enzo Bianchi

E tuttavia: che fare, che dire, di fronte a una chiesa che sembra aver smarrito, in molti suoi responsabili che portano l’onere del servizio a tutti, la tensione verso l’unità e la carità? Se un tempo creavamo atei con immagini distorte di Dio da noi fabbricate e predicate, oggi non siamo più significativi e ci ritroviamo paralizzati dallo spettacolo che offriamo. Gli uomini e le donne non appartenenti alla chiesa si sentono confermati nella loro estraneità rispetto a quanti si dicono impegnati nella nuova evangelizzazione, mentre molti cristiani se ne vanno in modo silenzioso, senza contestazione o tentano di vivere la fede “nonostante la chiesa”, etsi ecclesia non daretur.
Benedetto XVI, nel Messaggio per la Quaresima 2012 esorta a riscoprire la dimensione della correzione fraterna come costitutiva della vita cristiana. Di correzione è bisognoso il singolo come la comunità cristiana nel suo insieme, l’ekklesía. E la correzione avviene con parole e opere, così come l’evangelizzazione, la liturgia, la storia di salvezza.
Il degrado della vita ecclesiale è anzitutto abbandono dell’ascolto della Parola di Dio, uscita dalla postura salvifica dell’ascolto, nella quale si raccoglie tutta l’esistenza della chiesa e da cui solo può procede ogni suo atto di parola. Ma il primato della Parola di Dio è tale non solo quando è alla base della predicazione e della parola magisteriale della chiesa, ma anche quando regola e corregge il parlare intraecclesiale, quando diviene ascesi della parola nella chiesa per costruire una comunicazione “evangelica” che sfugga alle doppiezze, alle menzogne, alle manipolazioni, alle adulazioni. La schiettezza, la parresía, la trasparenza e anche la condivisione della parola, la dimensione comunitaria e collegiale della parola, sono la risposta ecclesiale alla Parola di Dio che cerca comunione e la crea convertendo il parlare umano sull’esempio di Gesù, di cui la gente diceva: “Mai un uomo ha parlato così” (Gv 7,46).

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