QUELL’ AVIDITA’ SENZA PIÙ FRENI? Opinioni di Max Weber e di Giorgio Ruffolo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MAX WEBER. L’avidità smodata di guadagno non si iden­tifica minimamente col capitalismo e me­no ancora col suo “spirito”. Il capitalismo può addirittura identificarsi” con l’ inibizione di que­sto impulso irrazionale, o almeno con la sua atte­nuazione razionale. Peraltro, il capitalismo si iden­tifica con la ricerca del guadagno: nell’impresa ca­pitalistica continua, razionale; di un guadagno sem­pre rinnovato: ossia della” redditività” .

Poiché così deve essere. In un ordinamento capitalistico del­1′intera economia, una singola impresa capitalistica che non adottasse il criterio della probabilità di con­seguire redditività sarebbe condannata a perire …

L’Occidente ha ingenerato un grado d’importan­za del capitalismo, e i suoi modi, forme e direzioni (che di tale importanza sono la causa) , quali non sono mai esistiti altrove.

 

QUELL’ AVIDITA’ SENZA PIÙ FRENI?

 

GIORGIO RUFFOLO

 

Ogni regime che abbia una durata considerevole deve poggiare su una base di consenso sociale. Si può parlare di consenso passivo quando si manifesta

nelle forme di una violenza repressa ma tollerata a causa della paura che suscita o del castigo divino che minac­cia; e di consenso attivo quando procede da un sostegno con­vinto. Così è per il capitalismo: una formazione storica tanto dinamica e mutevole da chiedersi se le fasi che attraversa pos­sano essere comprese in un concetto unitario.

Il capitalismo nasce da una transizione storica decisiva dai regimi sociali dell’ antichità, caratterizzati da rapporti sociali garantiti dalla forza politica e militare a quelli della modernità contraddistinti sempre più dalle relazioni di mercato una transizione che si compie lentamente nel medioevo. Quella transizione è per lungo tempo ostacolata, in Occidente, dalla morale cristiana, In quanto si fonda su passioni incompatibi­li con i suoi principi, come l’egoismo e l’avidità.

Questa resistenza è stata definitivamente vinta solo alle so­glie della modernità dalla filosofia illuministica e liberale del­l’utilitarismo. Fino a quel punto il “pregiudizio” cattolico che preclude al cammello di passare per la cruna di un ago getta sul mercante capitalista un’ ombra di discredito.

II paradosso utilitarista, introdotto da filosofi come Bentham nell’Inghilterra alla vigilia della rivoluzione industriale, permette al capitalismo di liberarsi di questo pregiu­dizio, fornendogli una preziosa legittimazione morale. Quel paradosso può essere compendiato nella sentenza del Mefi­stofele goethiano che presentandosi provocatoriamente co­me lo spirito della negazione, afferma di essere “una parte vi­vente di quella forza che perpetuamente pensa il male e fa il bene” . A Faust che gli chiede” che dir vuole codesto gioco di strane parole” Mefistofele risponde evasivamente. Gli ri­sponderanno invece gli economisti classici spiegando che il desiderio umano dell’arricchimento investito nella produ­zione competitiva si tradurrà in ricchezza per tutti, anche se in diversa misura per ciascuno. Dall’avidità può dunque nascere la prosperità.

Si possono muovere due obiezioni a questo ragionamento.

La prima, avanzata da Keynes, più che un’ obiezione morale è un rilievo pratico. Per superare la riprovazione etica – Keynes afferma _ il successo del capitalismo deve essere talmente de­cisivo da essere inimmaginabile. Il rilievo non convince. Il successo del capitalismo è stato effettivamente vincente.

La seconda è più convincente. L’avidità è una passione in­controllabile. Anziché tradursi in un processo virtuoso di pro­sperità si può avvitare in un circolo vizioso di sistematico ar­ricchimento. Fine a se stesso. E allora il tacito accordo che as­sicurala base del consenso necessario si rompe. È ciò che av­venne dopo la fine della prima guerra mondiale provocando una crisi che sfiorò la catastrofe. E ciò che rischia di avvenire ora se la crisi che ha quasi travolto il sistema finanziario dei paesi capitalistici sfocerà in una rovinosa recessione.

È possibile che il capitalismo superi anche questa crisi. Do­po tutto, come è stato detto, il capitalismo ha i secoli contati. Ma è anche possibile che non la supererà se resterà nel vorti­ce del turbocapitalismo, o capitalismo finanziario, che lo ha travolto (Luttwak)

Ha bisogno di ricostituire un equilibrio soddisfacente tra finanza ed economia reale. Ha bisogno di ristabilire un equili­brio tra economia e politica. Ha bisogno di rinnovare quel compromesso storico con la democrazia che gli ha permesso . di ritrovare le basi del consenso sociale nell’ età dell’ oro succeduta alla fine della seconda guerra mondiale.

 

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