CAPITALISMO, di Federico Rampini

Dal mercato alle disuguaglianze, la crisi di un modello globale. (da la Repubblica di giovedì 26 gennaio 2012)

 

 

 

 

 

Federico        Rampini

 

Giornalista, scrittore di numerosi volumi di inchieste. È stato allievo del sociologo liberale francese Raymond Aron a  Parigi, e di Mario Monti alla Bocconi. Ha iniziato la sua attività di giornalista nel 1977 , è stato prima vicedirettore de Il Sole 24 Ore poi a   La Repubblica .  Attualmente è inviato per La RepubblicaNew York.

Il capitalismo ha un deficit mortale di autostima. La crisi di fiducia in se stesso traspare dai dibattiti che animano due dei più in­fluenti media economico- finan­ziari. il Financial Times e The Economist dedicano inchieste, dibattiti e analisi a un interrogativo esistenziale: quella che vivia­mo è una crisi “terminale” o è an­cora curabile all’interno delle re­gole di un’economia di mercato? Ha più probabilità di sopravvi­venza il capitalismo di Stato che. governa i Bric, cioè Cina India Brasile Russia?

Martin Wolf,l’ economista più autorevole del Financial Times, ammette che l’idea di una “estin­zione” del capitalismo oggi ha ancora più peso di quanto ne avesse quattro anni fa nell’epi­centro della recessione. «Nel 2009 – osserva Wolf – dedicava­mo una serie di inchieste al futu­ro del capitalismo, oggi abbiamo cambiato il titolo e il dibattito ‘ ruota sul capitalismo in crisi», La ragione: cinque anni dopo il di­sastro sistemico de1200B, non ne siamo ancora usciti. Tramonta ogni illusione di avere a che fare con un normale evento ciclico, nella fisiologica “distruzione creatrice”. Chiamando a raccolta

i migliori intelletti del mondo an­gloamericano, il Financial Times conclude che per sopravvivere il capitalismo deve affrontare sette sfide. Sono sette temi familiari, in cima alle preoccupazioni dell’o­pinione pubblica, presenti nel­l’agenda dei governi e sugli schermi radar degli esperti.

Al primo posto c’ è la questione sociale: lavoro e diseguaglianze. Questo capitalismo ha generato società sempre più ineguali e la sua capacità di creare occupa­zione declina paurosamente. Le cause sono state individuate in  passato nella globalizzazione e nel progresso tecnologico; più di recente si è rafforzata la scuola di pensiero secondo cui le disegua­glianze sono “fabbricate” da un sistema politico dove le oligar­chie esercitano un’influenza spropositata.

A questo sono collegati altri tre temi. La questione fiscale, che ie­ri Barack Obama ha messo al centro del suo discorso sullo Sta­to dell’Unione: il finanziamento della spesa pubblica si è spostato in modo anomalo sul lavoro di­pendente, alleggerendo il capita­le. il dinamismo dell’ economia di mercato necessita di profonde riforme fiscali, tanto più in una fase di shock demografico per l’arrivo all’età pensionabile delle generazioni più popolose.

Terza questione, il rapporto fra democrazia e denaro; non è solo politica ma anche economi­ca, perché la deriva oligarchica è una “inefficienza” che distorce sistematicamente le decisioni collettive, vedi le lobbyscatenate contro le riforme del governo Monti.

Quarto tema nell’elenco del Fimanclal Times è la riforma del sistema finanziario, un cantiere ancora largamente bloccato nonostante lo shock del 2008. La finanza ha sempre avuto una ten­denza degenerativa analizzata dal grande economista Hyman Minsky: dall’arbitraggio delle opportunità si scivola verso la speculazione, da questa si precipita nella frode. È una storia an­tica ma le potenzialità di­struttive sono amplificate dalla dimensione e interconnessione dei mercati fi­nanziari moderni.

E’ impossibile aggredire le patologie del sistema ban­cario senza affrontare la questione della corporate governance (numero cin­que): l’azienda moderna ha tradito i principi di re­sponsabilità e di controllo, nel momento in cui l’élite manageriale si è affrancata dagli azionisti, per esem­pio fissando paghe sempre più stratosferiche e inappellabili.

Il problema numero sei  è la questione dei ‘beni pubblici’ in una economia globale: il mercato si è rivelato un meccanismo inade­guato a gestire beni universali ma scarsi come l’acqua, l’aria, le risorse naturali; la sicurezza o l’accesso all’istruzione.

Infine, la settima emergenza riguarda la gestione delle “macro-instabilità” e

la concorrenza tra sistemi­ paese. Il mercato rischia di incoraggiare una competizione al ribasso: in cui tutti i problemi elencati sopra (disuguaglianze, bassa tassazione dei capitali, saccheggio ambientale) si risolvono in una rincorsa del peggiore verso il comu­ne denominatore. Cl sono però indicazioni contrarie: per esem­pio società fortemente egualitarie o meno ingiuste della media (Germania o paesi nordico-scandinavi) che si dimostrano competitive nella globalizzazione.

La questione della concorren­za tra sistemi è quella evocata daIl’Economist nell’inchiesta sul ritorno del capitalismo di Stato, La Cina è un modello alternativo la cui forza contribuisce al crollo di autostima dell’Occidente. An­che India Brasile e d statalista ha sempre avuto fortuna nelle fasi di decollo iniziale (dalla Prussia al Giappone, all’Italia dell Irì), poi con l’arrivo alla maturità le crepe del modello dirigista diventano evidenti. In passato però la crisi dei capitalismi di Stato si affrontava con al forza del paradigma puro, quello americano: oggi invece anche nel cuore di questo modello originario il dubbio esistenziale ha messo ra­dici.

 

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