E’ immorale lavorare in una banca? di NICHOLAS D. KRISTOF

 

 

 

Recentemente, parlando allo Swarthmore College, sono rimasto sorpreso da una domanda: per uno studente è immorale cercare lavoro in una banca? Il corollario di questa domanda, è questo: guadagnare milioni di dollari con il private equityè “antìetìco”!

No, a entrambe le domande.

Guardo con simpatia al movimento Occupy Wall Street, ma bisogna che ci rendiamo conto che la finanza non è il de­monio. Le banche hanno dato un immenso contributo alla ci­viltà moderna: indirizzando il capitale sugli impieghi più effi­cienti hanno gettato le basi della rivoluzione industriale e del­la rivoluzione dell’informazione. Anche gli attacchi contro Il private equity sono esagerati: non ha lo scopo di distruggere le aziende e raccoglierne le carcasse. L’ obbìettìvo e quello dì acquisire aziende mal gestite, renderle più efficìenti (a volte licenziando la gente, ma spesso rivoìuzionando il modello di impresa) e poi rivenderle realizzandoci un profitto. Questa è la natura dura e spietata del capitalismo.       .

Spero che i giovani che si dedicheranno alla finanza dimo­strino giudizio, equilibrio e principi, invece di avidità e voglia di truccare le carte, come la generazione precedente. Così co­me i comunisti sono riusciti a distruggere il comunismo, i capitalisti stanno screditando il capitalismo.      .

Un sondaggio del Pew Research Center, a dicembre, ha scoperto che solo un americano su due reagisce positiva­mente alla parola capitalismo, contro un 40 per cento che rea­gisce negativamente. Nella fascia d’ età fra i 18 e i 29 anni quel­li che avevano una visione negativa del capitalismo erano più numerosi di quelli che ne avevano una visione positiva. Que­sti giovani americani vedono il socialismo in una luce più fa­vorevole del capitalismo. In altre parole, i capitalisti arraffoni dell’ America stanno trasformando i giovani americani in socia­listi. Lo scetticismo dell’ opinione pubblica è giustificato, a mio parere. Quasi tutte le grandi aziende hanno superpagato i loro amministratori delegati, compensando generosamente non so­lo i successi, ma anche i fallimenti. Le banche che hanno contri­buito a provocare il disastro finanziario in cui ci troviamo sono riuscite a ottenere di essere salvate: hanno privatizzato i profitti e socializzato le perdite. Contemporaneamente, più di 4 milio­ni di famiglie si vedevano pignorare la casa. Banchieri e azioni­sti hanno trovato una rete di sicurezza a salvarli dalla caduta, le famiglie dei lavoratori no.

Negli ultimi anni, questo è certo, tutti i giovani che si sono lan­ciati nel mondo della finanza non l’hanno fatto per smania di riformare questo sistema truccato, ma per spremerlo fino all’ul­tima goccia. Nel 2007, alla vigilia della crisi finanziaria, il 47 per cento dei laureati di Harvard è andato a lavorare in società del settore finanziario: una colossale misallocation di capitale uma­no. Magari partono con buone intenzioni, ma poi tutti questi neolaureati finiscono per farsi prendere anche loro dalla smania dell’ assalto alla diligenza.

Quando i finanzieri truccano il sistema dovrebbero ricordar­si dell’ ammonimento di John Maynard Keynes: «L’uomo d’affari è tollerabile soltanto se è possibile riscontrare una qualche cor­relazione, anche approssimativa, fra i suoi guadagni e quello che le sue attività hanno apportato alla società».

Le banche e il private equity non sono il male e io non esorte­rei mai gli studenti del college a tenersene alla larga. Forse i gio­vani simpatizzanti socialisti di oggi, insieme a una sana regola­mentazione e allo sdegno esplicito dell’ opinione pubblica, con­tribuiranno a salvare il capitalismo dai suoi capitalisti corrotti.

 

(Traduzione di Fabio Galimberti) Copyright TheNew York

Times-laRepubblica, 26 gennaio 2012

 

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