COMENTE BIVEMUS IN BIDDAS NOSTRAS. Comunità di villaggio e serenità del vivere? di Raffaele Sestu

 

 

Raffaele Sestu (n. Arzana, 1955)  è medico del proprio paese.  Specializzato in nefrologia a Cagliari nel 1984 ed in reumatologia nel 1989. Presidente della pro-loco di Arzana, nel 1991 diviene presidente regionale delle pro-loco sarde.

Violenza del villaggio. La saggezza del villaggio. Ironia del villaggio. La giustizia del villaggio. La memoria del villaggio.

 

“La donzelletta vien dalla campagna … ” Oppure: “Ennesimo attentato contro gli Amministratori di un paese della Barbagià’. Il modo di vedere la vita di un villaggio può essere diametralmente opposto per chi vive fuori dallo stesso.

In realtà il villaggio è un microcosmo con leggi ben definite, con varie chiavi per entrarvi e soprattutto può ancora essere considerato capa­ce di vita autonoma.

 

Comunità di villaggio e serenità del vivere?

 

Violenza del villaggio.

In primo luogo mi chiedo e chiedo a Voi: il villaggio è vittima del dila­gare della violenza che invade ormai il mondo oppure esiste una violenza tipica del villaggio e, se questa esiste, quali rimedi possiamo realisticamen­te pensare di apponarvi? In effetti alcune manifestazioni di violenza che possiamo ancora definire tribali hanno luogo soprattutto nei piccoli villag­gi. Il rapporto diretto che nei paesi esiste tra cittadini e amministratori può, ad esempio, spiegare almeno in parte il moltiplicarsi di attentati.

lo ho da portare il mio piccolo esempio ed il nostro tentativo di tera­pia, che non può essere altro se non la “cultura”,

Otto anni e qualche mese fa, in uno dei periodi più torbidi della vita del mio paese, uno sconosciuto pensò di sistemare una bomba sotto la mia macchina e la fece saltare per aria. Un simile atto vandalico nei confronti di uno che faceva il medico venti quattr’ ore al giorno e basta destò molto scalpore anche nel mio paese abituato, ahimè, a cose anche più gravi.

Da tutti venne inquadrato come un segno destabilizzante e gratuito in un momento nel quale il paese era talmente allo sbando da non riuscire a trovare nemmeno una Amministrazione comunale.

 

In me, oltre alla rabbia, scatenò anche la decisione di fare ancora qual­che cosa di più per il luogo in cui ero nato.

 

Da allora decisi di fare Pro Loco e per una serie di circostanze fortunate ma soprattutto grazie al lavoro di tante componenti sociali, Arzana è diven~ tata quasi la capitale culturale della zona. Il risultato più rilevante di tUtta questa fatica lo abbiamo però visto in un’ altra sfortunata circostanza.

 

Quando, dopo tanti anni di relativa serenità, la vita del nostro villag­gio è stata scossa da un altro omicidio, i ragazzini delle scuole Arzanesi hanno deciso per la prima volta di scendere in piazza per manifestare con­tro la violenza ed un bambino ha letto una lettera con una frase terribile:

“Aiutatemi a non diventare un Killer”.

 

La saggezza del villaggio.

 

Spesso si manifesta con poche parole o con un proverbio detto al momento opportuno.

 

In un incontro alle poste un vecchio contadino, che sapeva della mia attività di vignaiolo a tempo perso, venne a salutarrni: “Comment’ andata sa ingia, su dottò?”

“Tempus de sciattura mala, thedda ‘Angiull’

 

“Oh! Candu est tempus meda cena proere est prus facili a proere” Da quel giorno ho smesso di mprecare contro iltempo.

 

Ironia del villaggio.

 

È quasi sempre un’ironia arguta e sottile. Uno dei nostri patriarchi quando arrivò all’ età di centoun anni, avendo saputo che mi interessavo del Gennargentu, dopo anni che glielo chiedevo decise che era giunto il momento di raccontarmi come mai avesse una gamba completamente deforme.

 

“Sigomente m’anti nau ca Issu connoscede su monte i di potto contari ... ” Mentre andava da un ovile a valle ad uno dei più alti del nostro terri­torio, nel 1919, decise di salire su un ontano per tagliare delle frasche, appese il fucile ad un ramo che si ruppe mentre era sull’ albero e gli spezzò la gamba. Cadde, si legò l’arto con una cordicella per bloccare l’emorra­gia, svenne e fu ritrovato dopo molte ore ancora in vita.

Lo portarono all’ ospedale militare di Cagliari dove un medico gli disse subito che bisognava amputare la gamba.

Lui rispose: “Dove dorme la testa dorme la gamba”.

Allora, mi disse sorridendo, cussu collega su mi ha detto: “Lei può fare

quello che vuole ma così campa poco”.    ”                             ..

È morto alcuni anni fa a centodue anru ed lO ho smesso di fare per I miei pazienti qualsiasi prognosi quoad vitam.

 

La giustizia del villaggio.

Segue un suo codice ben preciso che spesso non coincide con quello dello Stato, a volte per fortuna non coincide, ha i suoi tempi che possono essere anche nel villaggio molto lunghi come nell’ esempio che segue.

Quando tornai a fare il medico nel mio paese, nello scorrere l’elenco dei pazienti che per primi avevano deciso di scegliermi come curante, rimasi molto perplesso nel vedere il nome di un arzillo vecchietto che allo­ra aveva novantacinque anni. Stupito, perché costui era l’ultimo fratello vivente del più famoso bandito arzanese e nella storia delle nostre famiglie vi era stato un terribile fatto di sangue.

Questo famoso fuorilegge, alla fine dei suoi giorni e forse già in preda alla follia che precedette la morte, commise il suo delitto più efferato: uccise una bambina. Quella bambina era la sorella di mia madre. Il tempo aveva coperto con un velo pietoso su questa tragedia per la mia famiglia ma non per lui. Negli anni imparai ad apprezzare quest’uomo semplice e buono e quando compì cento anni andai a fargli gli auguri. Con grande sorpresa mi disse: Olia conoscere a figia sua Elisedda”, così lui chiamava

 

. mia figlia Elisabetta che proprio in quei giorni compiva gli stessi anni di mia zia quando venne uccisa. lo accompagnai Bettina, lui si alzò a fatica dallo sgabello, le diede un bacio sulla fronte e le fece un regalo.

 

Poi le strinse la mano e senza dire nulla decretò la fine di una storia anche per lui molto triste.

 

La memoria del villaggio.

È importante che del villaggio si scriva, si parli, è ancora più impor­tante che il villaggio venga vissuto da tutti anche solo per pochi giorni all’anno, però il villaggio è destinato a scomparire come entità culturale se viene meno la memoria storica, la tradizione orale della memoria stessa.

Il villaggio possiede da questo punto di vista un vantaggio peculiare.

Ancora da noi vi è un grande rispetto e amore per gli anziani, ancora solo in casi eccezionali gli anziani vengono ricoverati in ospizi. Questo ci per­mette di avere una memoria storica vivente che deve essere comunque protetta e rivalutata. Questo ho capito alcuni anni fa quando in un sere­no pomeriggio di autunno il mio babbo, persona dal carattere chiuso, del quale io, mio fratello e mia sorella intuivamo attraverso le foto sbirciate di nascosto in un vecchio album la vita avventurosa, decise finalmente di raccontarmi la sua storia. Ricordo che, nella nostra campagna, dopo una mattinata di caccia, decise di posare il fucile, di sedersi all’ ombra del gran­de fico sotto il quale era solito riposare e, parlando per delle ore, mi lasciò l’eredità più bella: la memoria della sua vita.

 

 

 

 

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    2 Comments to “COMENTE BIVEMUS IN BIDDAS NOSTRAS. Comunità di villaggio e serenità del vivere? di Raffaele Sestu”

    1. By giovanna, 28 gennaio 2012 @ 17:56

      Grande Raffa! :-)
      Splendido articolo, io mi sono commossa. La “cultura” del villaggio, quella della violenza, si cambia anche con gli esempi e tu ne sei uno magnifico! Il villaggio, ricco di valori, ricco di “altra cultura”, da tutelare, da difendere, da valorizzare. Fai tutto questo!
      Complimenti e un saluto carissimo! :-)

      g

    2. By Fulvio Michele Sioni, 28 gennaio 2012 @ 14:39

      Gràthias su Dottò pro custas emotziones Mannas…
      Cun sa Stima de semper

      Fùlviu Michèli Seòne