Il silenzio degli inizi della letteratura, anche in Sardegna (2), di Maria Michela Deriu.
Il silenzio degli inizi della letteratura, anche in Sardegna, di Maria Michela Deriu. Nella foto, illegibile, viene riprodotta la Carta di Cagliari, di cui alleghiamo il testo alla fine dell’articolo.
Come potremo notare nelle righe che seguono, il grande protagonista della storia e soprattutto della letteratura di Sardegna è “Il silenzio”. Cito Michela Murgia :”In Sardegna la lingua più parlata è il silenzio”; io, aggiungerei ancora più silente: la scrittura.
Dopo un lungo periodo di romanità, la potenza e la divulgazione della parola di Dio fu la prima grande frattura del silenzio dei sardi.
Paradossalmente, la Parola venne divulgata dagli esuli credenti in Cristo di fede giudaica, o, almeno così, concordemente, lo affermano gli storici.
Fu molto lenta la cristianizzazione nell’Isola ( c è chi afferma che non sia mai del tutto avvenuta), certo è che il riconoscimento del cristianesimo in Sardegna portò nella nostra terra una nuova visione del mondo . Oltre al coinvolgimento delle masse, portò una nuova concezione dell’arte e una nuova sensibilità negli uomini di cultura.
Siamo circa all’inizio del IV secolo e il grande terrore deI vertici del clero romano sono le eresie.
“ Fu proprio una delle maggiori lotte ereticali che la Chiesa di Roma abbia mai sostenuto : la controversia ariana, divenuta particolarmente critica dopo il sinodo milanese del 353 che rivelò Lucifero di Cagliari .Il concilio di Milano gli valse l’esilio e fece di lui un esule, ma portò alla luce il suo talento di scrittore cui spetta nella letteratura latina un onorevole posto anche se non pari a Girolamo e Agostino.”
Lucifero, vescovo sardo, non fu né filosofo , né teologo, tanto meno letterato.
Dove sta la sua forza che è arrivata fino a noi?
Difensore dell’ortodossia cristiana contro l’arianesimo, nei suoi scritti non fa che ribadire il concetto di fede nelle proprie idee senza variare di molto l’essenza del proprio pensiero.
“Non arte dunque; o meglio, se un’arte vi è in Lucifero è quella del grande oratore di piazza, che forte di poche, chiare idee, sempre le stesse con convinzione fideistica, senza possibilità di critica.”
Come sottolinea Alziator , tutto questo appartiene alla storia della Chiesa, a noi interessa la luce sotto la quale egli fu meno studiato: Lucifero scrittore.
Argomento comune a tutte le opere è la difesa dell’ortodossia di fronte all’eresia ariana, condotta violentemente contro l’imperatore Costanzo (di non celate simpatie ariane) e in difesa di Atanasio (per tutta la vita strenuo difensore del Credo Niceneo).
Questo continuo ribadire l’eresia dell’arianesimo potrebbe sembrare noioso, e sicuramente non giova alla fluidità del testo, eppure in quel continuo ripetersi e insolentirsi, c è qualcosa di incisivo e di potentemente drammatico, se si pensa che quelle pagine sono scritte in durissimi anni di esilio e scaturiscono da una fede pronta al martirio.
I resti del corpo di Lucifero, o presumibilmente quello che potrebbero essere le sue spoglie mortali, si trovano oggi nella cattedrale di Cagliari grazie alla poderosa ricerca di reliquie di Santi dell’ Arcivescovo Francesco d’Esquivel.
E’ pur vero che nell’area adiacente a San Saturnino venne riportata una lastra su cui erano incise le seguenti parole “Hic iacet BM Luciferus……” il
ritrovamento risale al 1623.
Lucifero quindi viene considerato il primo sardo ad aver utilizzato la scrittura sia in esilio, sia nella propria terra.
Nel lungo cammino della storia incontriamo i vescovi africani in contrasto con i Vandali: San Fulgenzio da Ruspe che portò con se le spogli di Sant’Agostino e fu prolifico di opere di grande interesse ne fu uno degli esponenti più autorevoli.
Ancora silenzio fino al Medio Evo dove, con brevi tracce abbiamo notizie del volgare sardo, idioma a noi ancora quasi ignorato e semisconosciuto.
L’argomento merita la massima attenzione proprio per la poca diffusione della materia.
Se si pensa alle lingue utilizzate in Sardegna, in genere ci si riferisce al sardo e poi allo spagnolo anche nei documenti ufficiali.
Ebbene la lingua sarda venne utilizzata in tutta una serie di testimonianze: tra queste , il documento attribuibile ad un periodo tra il 1070 e il 1080, una donazione del giudice Torchitorio di Ugunali e di sua mogli Bera all’arcivescovo cagliaritano, che ora si trovano all’archivio arcivescovile di Cagliari.
L’interesse di Alziator è preminentemente storico. Lo studioso volge la ricerca per testimoniare l’uso ufficiale di un volgare sardo, cioè della prima fase della scrittura sarda rimastaci nell’isola fin dal periodo giudicale.
Nel Medio Evo sardo è importante la preminenza del volgare indigeno sia sul latino che sul volgare italiano.
Politicamente la Sardegna è già campo libero tra le lotte tra Genovesi e Pisani.
Lamberto Visconti ha elevato sulla più alta collina di Cagliari il castello di San Michele, Benedetta, tra strenue vicissitudini, è morta senza lasciare traccia della loro lingua. Solo verso la fine della Signoria pisana troviamo il primo documento in volgare toscano.
Anche qui sono le lettere che parlano sull’iscrizione del Duomo di Iglesias
“ Lo magnifico signore- MESSER Pietro Canino – Podestà per lo Signore re……..”.
Piccola testimonianza mentre nella penisola nasce la prima vera poesia d’arte ; la Sardegna tace.
Tuttavia anche se l’isola è muta alla poesia ha la ventura di entrare nella Divina Commedia facendoci una pessima figura. Nell’inferno Michele Zanche e Frate Gomita sono noti barattieri, l’aria malsana dell’isola è paragonata alla decima bolgia dove giacciono putrefatti i bugiardi e infine Branca Doria soggiorna nel girone dei traditori.
Per non concludere in tristezza ci possiamo far vanto che a Iglesias è legato il più lungo documento sardo in lingua italiana: Il Breve di Villa di Chiesa.
Il Breve di Villa di Chiesa è l’unico documento di epoca pisana scampata all’incendio del 1354 quando, nel corso del conflitto tra Mariano IV, guidice d’Arboea, e Pietro IV d’Aragona, gli abitanti diedero alle fiamme la città per evitare la capitolazione di fronte al nemico.
L’incendio rase al suolo la città e tutti i documenti esistenti ad eccezione del Breve, che venne sottratta all’incendio data l’importanza attribuitagli dalla coscienza collettiva cittadina.
Il codice è scritto su una robusta pergamena.
La scrittura utilizzata è una gotica libraria, utilizzata nel 1300 in molte cancellerie pisane.
Il testo è scritto in un volgare della Toscana, secondo gli studiosi si tratta di una lingua “ coloniale” in cui compaiono anche diversi sardismi.
Da questo breve excursus letterario si può evincere che i sardi furono uomini di Chiesa, uomini d’armi, uomini di legge, ma tutt’altro che uomini romantici.
“Tanto gentile e tanto onesta pare ….” senza arrivare a cotanta bellezza non pare venga tramandata neppure una filastrocca amorosa neppure tra i ceti meno abbienti.
Ma di questo non siamo sicuri. Non c’era bisogno di scriverle: le emozioni dell’amore da sempre hanno sollecitato la poesia. Peccato non ci siano arrivate. In Sardegna come dappertutto, in quei tempi di silenzio della scrittura.
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CARTA CAGLIARITANA IN CARATTERI GRECI (DETTA ANCHE PRIMA CARTA CAGLIARITANA) 1089 – 1103
(Zassu: Chiesa di San Saturnino (1), TESTO IN SARDO (2), TESTO IN ITALIANO, commento di Francesco Alziator)
(Foedhos: dalla Charta)
In nomine de Pater et Filiu et Sanctu Ispiritu. Ego iudigi Salusi de Lacunu cun muiere mea donna (Ad)elasia, uoluntate de Donnu Deu potestando parte de KKaralis, assolbu llu Arresmundu,priori de sanctu Saturru, a fagiri si carta in co bolit. Et ego Arresmundu, l(eba)nd(u) ass(o)ltura daba (su) donnu miu iudegi Salusi de Lacunu, ki mi illu castigit Donnu Deu balaus (a)nnus rt bonus et a issi et a (muiere) sua, fazzu mi carta pro kertu ki fegi cun isus de Maara pro su saltu ubi si (…. ….)ari zizimi (..) Maara, ki est de sanctu Saturru. Intrei in kertu cun isus de Maara ca mi machelaa(nt) in issu saltu miu (et canpa)niarunt si megu, c’auea cun istimonius bonus ki furunt armadus a iurari, pro cantu kertàà cun, ca fuit totu de sanctu Sat(ur)ru su saltu. Et derunt mi in issu canpaniu daa petra de mama et filia derectu a ssu runcu terra de Gosantini de Baniu et derectu a bruncu d’argillas e derectu a piskina d’arenas e leuat cabizali derectu a sa bia de carru de su mudeglu et clonpit a su cabizali de uentu dextru de ssa doméstia de donnigellu Cumitayet leuet tuduy su cabizali et essit a ssas zinnigas de moori de silba, lassandu a manca serriu et clonpit deretu a ssu pizariu de sellas, ubi posirus sa dìì su tremini et leuat sa bia maiori de genna (de sa) terra al(ba et) lebat su moori (…) a sa terra de sanctu Saturru, lassandu lla issa a manca et lebat su moori lassandu a (manca) sas cortis d’oriinas de(….)si. Et apirus cummentu in su campaniu, ki fegir(us), d’arari issus sas terras ipsoru ki sunt in su saltu miu et (ll)u castiari s(u) saltu et issus hominis mius de Sinnay arari sas terras mias et issas terras issoru ki sunt in saltu de ssus et issus castiari su saltu(u i)ssoru. Custu fegirus plagendu mi a mimi et a issus homi(nis) mius de Sinnay et de totu billa de Maara. Istimonius ki furunt a ssegari su saltu de pari (et) a poniri sus treminis ….
donnu Cumita de Lacun, ki fut curatori de Canpitanu, Cumita d’Orrù (…….)du, A. Sufreri et Iohanni de Serra, filiu de su curatori, Petru Soriga et Gosantini Toccu Mullina, M(……..)gi Calcaniu de Pirri, C. de Solanas, C. Pullu de Dergei, Iorgi Cabra de Kerarius, Iorgi Sartoris, Laurenz(…..)ius, G. Toccu de Kerarius et P. Marzu de Quartu iossu et prebiteru Albuki de Kibullas et P. de Zippari et M. Gregu, M. de Sogus de Palma et G. Corsu de sancta Ilia et A. Carena, G. Artea de Palma et Oliueri de Kkarda (….) pisanu et issu gonpanioni. Et sunt istimonius de logu Arzzoccu de Maroniu et Gonnari de Laco(n) mancosu et Trogotori Dezzori de Dolia. Et est facta custa carta abendu si lla iudegi a manu sua sa curatoria de Canpitanu pro logu salbadori (et) ki ll’(aet) deuertere, apat anathema (daba) Pater et Filiu et Sanctu Ispiritu, daba XII Appostolos et IIII Euangelistas, XVI Prophetas, XXIV Seniores, CCC(XVIII) Sanctus Patris et sorti apat cun Iuda in ifernum inferiori. Siat et F. I. A. T.
TRADUZIONE Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Io re Salusio di Lacon, con mia moglie donna Adelasia, per volontà del Signore Dio governando il Regno di Cagliari, autorizzo Raimondo, priore di San Saturno, a predisporre il documento come egli desidera. Ed io Raimondo, ricevendo l’autorizzazione dal mio Signore re Salusio di Lacon, che me lo conservi il Signore Iddio molti anni e felici, lui e sua moglie, stendo la carta per la lite che tenni con quelli di Mara riguardo al territorio dove si (possa delimitare tra me e quelli di) Mara, che è di San Saturno. Entrai in lite con quelli di Mara perché uccidevano il mio bestiame nel mio territorio e si misero d’accordo con me perché avevano con me testimoni validi che furono disposti a giurare, per tutto il tempo della lite, che il territorio fu tutto di San Saturno. E me lo attribuirono nell’accordo dalla pietra “ de mama et filia” 17 fino alla sporgenza della terra di Costantinu de Baniu 18, e fino a “Bruncu d’argillas” 19, e fino a “Piskina d’arenas” 20, e prende il limite fino alla carraia del cisto 21, e arriva al limite di levante della domestia del donikello Comita 22, e prosegue lungo il limite ed esce presso i giunchi spinosi del sentiero del bosco 23, lasciando a sinistra il ruscello 24, ed arriva fino alla cima de “ Is Sellas” 25, dove, quel giorno stesso, ponemmo la pietra di confine, e prende la strada principale di “Genna (de sa) Terral(ba)” 26, e prende il sentiero (fino) alla terra di San Saturno, lasciandola a sinistra, e prende il sentiero lasciando (a sinistra) “ sas cortis d’orrinas de (…) si”. Ed abbiamo convenuto, nell’accordo che facemmo, che loro arino le loro terre che sono nel mio territorio e custodiscano il territorio ed i miei uomini di Sinnai arino le terre mie e le loro terre che sono nel loro territorio e che custodiscano il loro territorio. Questo abbiamo deciso, piacendo a me ed ai miei uomini di Sinnai ed a quelli di tutto il paese di Mara. I testimoni che furono presenti alla delimitazione del territorio, a porre insieme i limiti, (sono) ….
Signor Comita de Lacon, che fu curadore di Campidano, Comita d’Orrù (…)du, A(rzone) Sufreri e Giovanni de Serra, figlio del curadore, Pietro Soriga e Costantino Toccu Mullina, M(……..)gi Calcaniu di Pirri, C(omita) di Solanas, C(omita) di Dergei (Gerrei?), Giorgio Cabras di Selargius, Giorgio Sartoris, Lorenzo (di Selarg)ius, G. Toccu di Selargius, P(ietro) Marzu di Quartu iossu, e il prete Albuki di Kibullas (Cepola), e P(ietro) di Zipari (Separassiu) e M(ariano) Gregu, M(ariano) de Sogus di Palma e G. Corsu di Santa Ilia (Santa Gilla), e A(rzone) Carena, G. Artea di Palma e Oliviero di Karda (….) pisano e il compare. E sono assistenti all’atto Arzone di Maroniu di Gonario di Lacon mancino e Torchitorio Dezzori di Dolia. E questa carta è stata fatta mentre il re amministrava di persona la Curadoria di Campidano 27, quale lociservatore. E chi la renderà vana (la carta) sia maledetto dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo, dai dodici Apostoli, dai quattro Evangelisti, dai sedici Profeti, dai ventiquattro Seniori, dai trecentodiciotto Santi Padri ed abbia la stessa sorte di Giuda nell’inferno più profondo. Così sia e così sia fatto.