Il rapporto ambiguo tra la Chiesa cattolica e Silvio Berlusconi, , di Luca Leccis
Come è risultato ben evidente sin dalle prime ore successive alla notizia della sua scomparsa, Silvio Berlusconi è tornato al centro del dibattito pubblico-politico nazionale riaccendendo l’intessere verso una figura ritenuta, suo malgrado, divisiva. Tra le numerose dichiarazioni e interviste rilasciate da esponenti del mondo politico e della società civile, la più interessante per comprendere la centralità del ruolo svolto dal Cavaliere nella società italiana degli ultimi trent’anni è la dichiarazione del cardinale Camillo Ruini (nella foto, con il Cavaliere) secondo cui era “simpatico, credeva in Dio, e ha sconfitto gli eredi del Pci”.
Berlusconi ha indubbiamente segnato la storia politica ma anche rappresentato una figura controversa: un uomo certamente carismatico sul quale, a partire dal 26 gennaio 1994, dal momento cioè della sua “discesa in campo”, gli italiani si sono divisi tra entusiasti sostenitori e accesi oppositori.
Così è stato anche per il mondo cattolico, ancor più lacerato a causa delle rigide prese di posizione assunte dalla Conferenza episcopale italiana, guidata dal 1991 al 2007 da Ruini.
Negli anni del berlusconismo il presidente della Cei ha svolto un ruolo chiave nel tentativo di imprimere una matrice “cattolica” alla politica dei governi di centrodestra e rappresenta dunque una figura chiave per comprendere il rapporto tra il quattro volte Presidente del Consiglio e la Chiesa cattolica:
Berlusconi e Ruini sono stati infatti i protagonisti di un’inedita alleanza, fondata su uno scambio tra il sostegno dei vescovi italiani ai governi di centrodestra e la promozione dei principi non negoziabili a livello legislativo.
Una interazione strumentale che si basò su quella che era stata intesa dalla Chiesa come un’opportunità politica preziosa da cogliere; non altrettanto lesta, la gerarchia non seppe o non riuscì a cogliere l’innata fragilità di quel disegno neoconservatore: la difesa dei valori e della cultura cristiana era affidata a un leader politico con una chiara storia personale e imprenditoriale che contestualmente promuoveva una scristianizzazione della società italiana.
I milioni di voti raccolti da Forza Italia alle elezioni politiche del 1994 avevano però dimostrato non solo l’incapacità del Partito popolare italiano di farsi interprete unico dell’eredità della Dc, che per cinquant’anni aveva rappresentato l’unità politica dei cattolici, ma anche la necessità di un superamento del sostegno della Chiesa a un partito “dei cattolici”.
Secondo la Cei di Ruini, che godeva del pieno appoggio dell’allora Segretario di Stato Tarcisio Bertone, due dovevano essere gli obiettivi da perseguire: mantenere vivo nella società il ruolo pubblico della fede, secondo la linea dettata da papa Wojtyla al II Convegno ecclesiale di Loreto (1985); promuovere una presenza rilevante dei cattolici in tutte quelle forze politiche che si sarebbero dimostrate permeabili a tali istanze.
Non è un caso se a pochi mesi di distanza dall’insediamento del primo Governo Berlusconi, Ruini lanciò l’idea di un Progetto culturale cristianamente orientato, poi convalidato al III Congresso di Palermo (1995).
Da quel momento Berlusconi si è posto come paladino dell’identità cattolica italiana, rivelandosi un affidabile sostenitore dell’Episcopato: ha convintamente sostenuto i finanziamenti pubblici alle scuole cattoliche, riconoscendone il giusto contributo alla formazione umana e civile, ma ha anche appoggiato una legislazione restrittiva su importanti temi sociali, quali le unioni civili e il fine vita.
Nella coscienza dei cattolici si è frattanto acuito un dilemma: vale la pena scendere a compromessi con politici che difendono i valori cattolici in pubblico, anche se non sembrano rispettarli in privato? Se si può mostrare indulgenza verso l’umana fragilità, meno benigno è l’atteggiamento nei confronti di quelle istituzioni che si piegano alle contingenze del momento. Luca Lecis Università di Cagliari
L’Unione Sarda, 22 giugno 2023