LUIGI OGGIANU, UN UOMO DEI SARDI, di Salvatore Cubeddu
L’impegno sociale e il ruolo del Senatore sardista siniscolese prima e dopo la I guerra mondiale, dal 1913 al 1948. Pubblichiamo la relazione riportata nel libro che viene presentato attraverso la locandina che segue.
LUIGI OGGIANU, UN UOMO DEI SARDI, di Salvatore Cubeddu
L’impegno sociale e il ruolo del Senatore sardista siniscolese prima e dopo la I guerra mondiale, dal 1913 al 1948.
Premessa
E’ bene parlare di Luigi Oggiano ricordandolo nel centenario della ricorrenza della nascita del Partito Sardo d’Azione, di cui è stato tra i fondatori nel 1921 e sempre in vita ne fu l’apostolo. Per questo, già nelle ultime solenni celebrazioni della nascita del Partito, quelle del suo settantesimo nel 1991, le pubbliche e solenni celebrazioni ebbero inizio con il convegno del 9 marzo, a lui dedicato a Siniscola dal comitato promotore e dalla federazione sardista di Nuoro. Quella giornata vide l’allora parlamentare europeo on. Mario Melis quale oratore nella commemorazione ufficiale svolta al mattino, con lo scoprimento della lapide presso la casa natale, e Antonio Soro, Giovanni Battista Columbu e Salvatore Cubeddu relatori nel convegno del pomeriggio, svolto presso l’aula magna dell’ istituto medio superiore a lui dedicato.
Si ripropone qui la relazione di allora, trent’anni più tardi[i].
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E’ bene parlare di Luigi Oggiano, oggi: un uomo al servizio di altri uomini. Un Sardo che considerava e chiamava gli altri Sardi ‘fratelli’. L’avvocato che tutti difendeva di fronte alla legge e il politico che ha dedicato la vita alla difesa dei suoi compatrioti. Gli uomini prima delle idee. Le idee capaci di difendere gli uomini[ii]. Oggi più che mai abbiamo bisogno di riflettere facendoci aiutare dal pensiero, dalle opere e dall’esempio di uomini come lui.
Quando il 19 gennaio 1981 la vita di Luigi Oggiano si spense, erano passati diciassette anni dall’ultimo rifiuto e dall’ultima insistenza degli altri affinché accettasse incarichi.
I giornali quotidiani sardi riportano il gustoso episodio dell’assemblea della sezione sardista di Nuoro, convocata per decidere le candidature alle elezioni comunali dell’autunno 1964. L’avvocato Oggiano è consigliere uscente e capogruppo consiliare sardista in quel comune retto autorevolmente alla fine degli anni Cinquanta da Pietro Mastino. Questi, infatti, presiede come tantissime altre volte anche quella riunione. Cito dal giornale:
….. Non sono mancate le insistenze, le pressioni e persino le minacce (la più grave, quella che il suo rifiuto venisse seguito anche dagli altri candidati) per indurre (soprattutto) Oggiano, che è in precarie condizioni di salute, a tornare sulla sua irrevocabile decisione. E solo una pronta e felice battuta dell’on. Mastino, il quale durante l’acceso dibattito ha intonato i primi versi dell’inno di Garibaldi (“Si scopron le tombe, si levano i morti …”) ha fatto capire ai divertiti e sorpresi sostenitori della candidatura delle massime autorità del Partito che l’età e lo stato di salute meritano considerazione e rispetto. La battuta, infatti, ha sbloccato la situazione.[iii]
Oggiano e Mastino: cinquanta anni insieme nel PSd’A[iv] a Nuoro. Un impegno che segna un periodo della vita della città e della provincia, ma non solo. Dopo i noti dissensi della fine degli anni Sessanta tra il vecchio Mastino e il Partito sardo nuorese, Luigi Oggiano telegrafa al suo inseparabile compagno di lotta, intendendo che tutti sapessero:
Nessun provvedimento come quello pubblicato ieri sulla stampa isolana né alcun altro possono distruggere e neppure far dimenticare la tua appartenenza e la tua attuale presenza nell’idea, nei principi e nella vita del Partito sardo, che hai servito sempre in tutte le battaglie e in tutte le vicende con assoluta dedizione, con grande nobiltà e con altissimo prestigio.
Luigi Oggiano, che mai mise in dubbio la legittimità dell’esistenza e l’adesione piena e personale al Partito che tanto aveva contribuito a fondare, appartiene ai pochi (come Camillo Bellieni) del Movimento dei Combattenti, che già prima della Grande Guerra avevano intrapreso un’attività sociale e politica. Non si può dire della propria formazione ciò che Emilio Lussu e Luigi Battista Puggioni affermano di sé e della propria formazione. Scriverà di sé Puggioni:
La guerra fu un violento pugno sul viso. Nessuno di noi sapeva niente della vita: avvezzi ai placidi ozii cittadini, immersi nelle letture dei romanzi francesi e italiani, occupati dalle discipline scolastiche, maturando nel cervello la determinazione per la scelta della professione, tutto ci appariva informe e impreciso. Rifuggendo dall’azione per principio e per temperamento, sommersi in un ambiente che precludeva la via ad agire, nessuno di noi conosceva la vita nella sua concreta ruvidezza, nelle sue lotte e nelle su concrete delusioni.
…… Passando alla caserma o direttamente alla trincea conoscemmo un fattore a noi ignoto: il senso della responsabilità. Responsabilità di noi stessi, delle cose e degli uomini affidati alla nostra custodia o alla nostra guida. Non sapevamo come si custodiscono o difendono le cose, come si guidano gli uomini; non lo sapevamo affatto. Eppure in breve tempo comprendemmo e imparammo a capire gli uomini e a guidarli.
Anche Emilio Lussu sottolineerà la funzione illuminatrice della guerra per la propria emancipazione politica e umana.
Luigi Oggiano arrivò alla guerra con un patrimonio di sensibilità sociale più maturo. Camillo Bellieni fa iniziare la biografia di Lussu con la guerra: non si interessa degli antecedenti, la vita per lui è quella tra i suoi soldati; il mito è nato tra le folgori delle trincee. Oggiano è già quello che sarà nei primi suoi scritti.
Luigi era figlio di Ignazio Oggiano, contadino, e di Caterina Pau. Nasce a Siniscola il 7 gennaio 1892, ove frequenta le scuole elementari fino alla terza, per concluderle a Bitti. Continuerà a Nuoro la scuola media inferiore e a Sassari il ginnasio e il liceo. Si laurerà in leggi a Torino.
Appunti del suo giovanile diario ci presentano le letture che la scuola italiana proponeva alla formazione di Luigi come degli altri giovani che accedevano alla carriera attraverso gli studi classici: il libro ‘Cuore’ di Edmondo De Amicis e ‘I promessi sposi’ di Alessandro Manzoni innanzitutto[v]. I passaggi scolastici confermarono in lui un naturale ed intima ‘com-passione con la sua gente, con i più poveri soprattutto. Luigi Oggianu non pratica la chiesa , non è cattolico, ‘perché a lui fa velo la gestione che del cristianesimo compie il clero’[vi]. Ci sono invece restate esplicite testimonianze e documenti di una sua passione umanitaria nel senso letterale e culturale del termine, già nel 1913, mentre compiva i suoi studi a Sassari e a Torino.
E’ il periodo della protesta antiprotezionista, protesta (ricordiamo il nuorese Attilio Deffenu) dove confluivano all’inizio del secolo le elaborazioni progressiste della fase di pentimento e di rincrescimento per l’errore della ‘fusione perfetta’ della Sardegna con il Piemonte, come pure la dura esperienza del protezionismo governativo della fine dell’Ottocento che, per sviluppare le industrie del Nord, aveva affossato l’agricoltura del Mezzogiorno e gli allevamenti della Sardegna. A Torino Oggiano è partecipe delle corrente anarco-sindacalista, in cui primeggia Attilio Deffenu con la sua rivista “Sardegna”.
Il giovane Oggiano – scrive nel gennaio 1913[vii] – già da due anni è tormentato dall’idea di “proporre ai giovani sardi un’associazione giovanile”. Si fa coraggio finalmente e propone pubblicamente la fondazione dell’Unione Giovanile Sarda, sul modello dell’Unione Popolare Sassarese.
Egli è pienamente consapevole dell’arretratezza dell’Isola, di cui i conterranei che incontra fuori di essa (“gli isolani inverniciati di modernità”) si vergognano (“condannano senza riserve la terra da dove sono usciti”), e che disprezzano. Per lui invece
“….. non basta aggiungere o sottrarre qualche elemento alla vita economica … occorre far sentire ai contadini e ai pastori l’esigenza di una trasformazione … si deve muovere da tutti ad una educazione radicale, la più completa che sia possibile, del cuore e della mente del popolo in ogni villaggio dell’isola … Sarebbero conferenze semplici, piane, alla buona, sulle cose e sui fatti di più diretta osservazione e necessità”.
L’elevazione del popolo sardo, unendo “educazione ed elevazione”, è il programma di questa figura nuova ed entusiasta di intellettuale, che nelle emozioni e nel tratto ricorda Giovanni Battista Tuveri, il campione del federalismo sardo del compiersi dell’unità d’Italia:
“ … perché mi si stringe il cuore a pensare che tutto il patrimonio intellettuale della gente nostra, tutto il tesoro di energie di cui sarebbe stata capace, s’è inaridito e frantumato nella bieca rassegnazione alle tristezza della vita che ripete da secoli il suo ritmo abituale di perdizione”.
Convinto della debole efficacia dell’intervento del singolo, egli chiede che vengano “riunite tutte le forze della gioventù sarda, presenti nell’Isola e dispersi nella Penisola; si riuniscano nell’Unione, si incontrino a “congresso” una volta all’anno, si dividano in ‘sezioni’ in ogni circondario, e si specializzino in ‘sfere’ di azione per realizzare un programma senza colore politico”.
Per tutto l’inverno di quel 1913 egli ritorna sulla “necessità dell’Unione, fondandosi sull’idea del dovere espressa in Giuseppe Mazzini[viii] e sull’approfondimento delle questioni economico-sociali di E. George, nella convinzione che “la natura umana, come la terra, raramente soffoca i semi che vi siano stati sparsi: quasi sempre li fa fermentare e sviluppare”[ix].
L’insistenza sulla funzione dell’educazione, che non è tanto l’orgoglio di sapere leggere e scrivere, ma l’interesse profondo alla trasformazione della società (ancora senza la direzione della dirigenza sardista) a favore dei meno abbienti:
“…. Una società giusta e libera: è dovere nostro preparare fin da ora uomini degni di essa … I circoli di cultura popolare si propongono, anzitutto, una cooptazione delle idee. Quelli che sanno si mettono insieme a coloro che non sanno per renderli partecipi delle loro cognizioni, per accomunare i pensieri e i sentimenti.
Nell’ultimo scritto di quella stagione insisteva ancora:
“Che fanno i giovani? Io mi lusingo che essi daranno l’opera loro alla formazione delle coscienze e del carattere sardo, perché nell’avvenire e la vita pubblica e la vita privata siano fonti di maggiore benessere .. e più non ci si accusi di esser ei beduini d’Italia”[x].
Non sappiamo molto quali maestri, oltre l’esperienza talora dolorosa della vita dei paesi in cui era nato e che conosceva, abbiano influito sulla formazione così profondamente umanitaria e filantropica del giovane Oggiano, portato evidentemente (lo si vede nella bibliografia che cita) agli studi storici e sociali. E’ certo però che in quell’animo sensibile, profondo, volitivo l’esperienza della prima guerra mondiale deve esser sceso come un dramma che confermava tutte le sue convinzioni.
Partito volontario come Lussu e molti altri giovani intellettuali, sottotenente all’Accademia di Modena e quindi mandato in un reggimento di fanteria, viene ferito permanentemente a un braccio e decorato con medaglia d’argento al valore militare. Rientrato forzatamente in Sardegna, lo troviamo tra i più entusiasti organizzatori prima dell’Associazione Mutilati e Invalidi di Guerra – che, intorno ad Efisio Mameli e a Camillo Bellieni con la loro preziosa rivista “La Voce dei Combattenti”[xi], davano inizio nella provincia di Sassari, di cui il territorio del Nuorese faceva parte, al veloce e intenso sviluppo prima dell’Associazione Nazionale dei Combattenti – e poi del gioiello politico dei giovani reduci, il loro Partito Sardo d’Azione.
Nel ‘Manifesto al Paese’ e nell’articolo “Per la Sardegna” tornano i motivi del malessere sardo e la carenza delle strutture civili: ferrovie, trasporti marittimi, miniere, foreste, etc. Non si chiedono, però, più elemosine al governo. Rivolgendosi “ai compagni della provincia di Cagliari” i Sassaresi (Bellieni e Puggioni, che verrà smobilitato di lì a poco) chiedono[xii] la collaborazione di tutti i Sardi per il rinnovamento dell’Isola[xiii]: “ ….. l’avvenire è nelle nostre mani. Gli uomini che ritornano dalle trincee hanno molti diritti, ma anche molti doveri” – incalza Camillo Bellieni, che già nel numero quattro della rivista (26 aprile 1919) delinea la necessità del “partito dei combattenti, che devono occuparsi delle riforme dello stato, della politica, dell’economia attraverso il totale distacco dai vecchi partiti, dove “vediamo l’acre contesa di piccoli uomini per la soddisfazione di piccole ambizioni”, e il distanziamento totale dagli uomini della maggioranza liberale come dall’opposizione socialista..
L’organizzazione dei reduci dalla trincea è veloce, intensa, combattiva (nell’aprile dello stesso 1919 i combattenti di Lula cacciano dal municipio il sindaco e il segretario comunale, con il plauso del giornale dei combattenti), aggregante (“I preti sardi devono essere con noi” è un titolo: in quanto uomini del popolo non possono essere contro di noi, contro il popolo”), propositiva (si va a costruire il programma sociale, politico e istituzionale degli ex combattenti).
Luigi Oggiano è l’anima del Movimento dei Combattenti a Nuoro[xiv], presidente onorario e organizzatore, in quanto eletto delegato delle sezioni di Siniscola, Lodè e Torpè, nel 1° Congresso dei Combattenti, Mutilati e Invalidi” che, sotto la guida politica di Camillo Bellieni, getterà le basi della Federazione regionale dei combattenti nel giugno 1919[xv].
Oltre ai problemi pensionistici e assicurativi (c’è anche un progetto di banca per i combattenti) diventa centrale il problema dell’organizzazione (e stampa) e dell’“azione pubblica dei combattenti”, anticipando quella che dovrà porsi come questione centrale del dibattito interno alla Federazione Regionale nei due anni che precederanno il primo congresso del Partito sardo d’azione.
Spinto prima da un ordine del giorno della sezione (del 14 dicembre 1919), il congresso provinciale dell’ANC di Sassari dell’8 gennaio 1920, – al quale Siniscola si fa rappresentare da Luigi Battista Puggioni – e subito dopo da quello di Cagliari (l’11 gennaio), il congresso deve affrontare il tema della lotta elettorale per le elezioni amministrative dell’anno, il problema delle cooperative come intervento sul sociale e il nodo che divide il Movimento (e per cui nella riunione di Nuoro Luigi Oggiano era stato eletto nella commissione dove era stato acclamato presidente, dato che ancora non era stato smobilitato Emilio Lussu): devono i non combattenti partecipare al nuovo partito?.
Sotto la spinta di Bellieni, di Oggiano e di Pietro Mastino, il giovanissimo Luigi Battista Puggioni riferisce sull’ordine del giorno per la formazione di un partito in cui i combattenti debbano affidare alla sezioni combattentistiche i compiti assistenziali ed economici: i combattenti sarebbero stati, il nucleo forte delle “vive forze sarde, dirette al conseguimento di un utile e di un bene comune”, destinato ad aprirsi a tutti coloro che, avversando i vecchi partiti, erano disponibili per i principi dell’autonomismo e del liberismo antiprotezionistico[xvi].
La sensibilità dei Cagliaritani, più marcatamente combattentistica nella difesa gelosa dell’organizzazione dell’ANC da infiltrazioni carrieristiche esterne, era ricca di ascendenze anarco-sindacaliste, influenzata dalle indicazioni politiche di Attilio Deffenu e in posizione di totale rottura con lo stato italiano e con il parlamentarismo tradizionale.
Fu questa tendenza che, grazie ad Emilio Lussu e a Lionello De Lisi[xvii], riuscì a prevalere nel 3° Congresso di Macomer (8–9 agosto 1920). Qui però Camillo Bellieni riuscì senza difficoltà ad ottenere il generale ed unanime consenso su un più preciso programma istituzionale (forma repubblicana dello stato; autonomia regionale che non è solo decentramento amministrativo ma dotazione di precise attribuzioni in materie economiche e politiche; istituzione di un demanio e soppressione dei dazi doganale). Il contrasto si presentò sul documento di Lussu – De Lisi, ispirato alle dottrine di Sorel, dove un socialismo sui generis, antistatalista e filo sindacale (espresso nel concetto di “fusione di capitale e di lavoro nelle stesse mani dei lavoratori”), non marxista ma che accettava l’uso della violenza (“espropriazione del capitale mediante azione diretta, cioè illegale e violenta”).
A questa importante riunione di Macomer dell’agosto 1920 le sezioni della Baronia non sono rappresentate né vi è presente Luigi Oggiano.
Nonostante l’attesa imposta ai Sassaresi di Bellieni e Puggioni, l’enorme e veloce sviluppo del Movimento (30.000 soci e 142 cooperative) e una certa libertà d’azione, nel marzo 1920 i combattenti di Tempio fondano per conto loro ( e con l’appoggio non nascosto di Bellieni) la prima sezione di quello che proprio Bellieni ha chiamato Partito Sardo d’Azione richimandosi all’ideologia repubblicana e federalista sconfitta nel corso del Risorgimento italiano nella prima fase unitaria che gettò le basi del futuro attraverso il prevalere della monarchia e dei liberali.
A questo punto si dimostra preziosa l’opera di mediazione (tra i Sassaresi di Bellienie i Cagliaritani di Lussu) dei Nuoresi guidati da Luigi Oggiano e Pietro Mastino[xviii]. Il 21 novembre 1920 si svolge a Nuoro, all’interno della palestra coperta della Scuola Normale, il 2° Congresso Circondariale di Nuoro, con la partecipazioni di Puggioni in rappresentanza del delegato regionale Bellieni. Lo apre Luigi Oggiano, da poco eletto consigliere provinciale a Sassari in rappresentanza della circoscrizione di Siniscola, che relaziona sull’esito delle recenti elezioni comunali (la Baronia è tutta in mano ai combattenti), sui programmi amministrativi, sull’agricoltura e sulla stampa del movimento. “La Voce” elogia l’avvocato siniscolese che pratica ormai con successo ed entusiasmo ciò che da giovanissimo aveva atteso e annunciato.
Il nuovo appuntamento è ormai per il IV congresso dell’Associazione dei Combattenti, quello del 16 aprile 1921, riunito nella ex cappella del convento degli Scolopi ad Oristano, che ospiterà il giorno dopo il I Congresso del Partito Sardo d’Azione.
L’intervento dei Nuoresi attenuerà alcune espressioni marcatamente massimaliste , antistatali e anarcoidi dei Cagliaritani e contribuirà a fondere le loro istanze con quelle meridionalistiche e salveminiane dei Sassresi.
A Oristano, infatti, Luigi Oggiano interviene subito dopo la relazione di Camillo Bellieni svolgendo un duro e convincente attacco a due punti significativi del documento di Macomer ottenendone la trasformazione: a) dell metodo e dello strumento della lotta di classe: Oggiano afferma che essa può risultare necessaria e fruttuosa dove esista una struttura di tipo capitalista, ma è inutile e irrealizzabile per i contadini e i pastori in una Sardegna precapitalista; b) a proposito dell’utilizzo della violenza per la trasformazione delle condizioni sociali e istituzionali del potere, concorda, pur con differenti motivazioni, con Bellieni: invece di un’immediata azione violenta, c’è bisogno di “una sovranità popolare” da edificare gradualmente, senza scosse perturbatrici e rovinose, attraverso l’organizzazione profonda e la diffusione della cultura e della disciplina, la valorizzazione delle cooperative di produzione e di lavoro e gli organismi sindacali di resistenza.
Da questo primo congresso fondativo di Oristano, cui ne seguirà un secondo agli inizi del 1922, nella stessa città dove Paolo Pili prenderà il posto di Camillo Bellieni nel ruolo di direttore (segretario) del Partito sardo. Il terzo congresso attenderà il segretario circondariale nuorese all’appuntamento del terzo grande e grave congresso regionale convocato a Nuoro in coincidenza di quel 28 ottobre 1922 che vedrà Benito Mussolini concludere la ‘marcia su Roma e ricevere dal re Vittorio Emanuele III l’incarico di formare il governo. Toccherà a Luigi Oggiano, nuovo direttore del Partito sardo, affrontare i mesi drammatici che seguirono rappresentando l’unica organizzazione regionale dei combattenti che in Italia fosse rimasta integra, incorrotta e militante.
Quella sera del 29 ottobre 1922, a congresso appena concluso, i dirigenti sardisti si riuniscono riservatamente in casa di Pietro Mastino con all’ordine del giorno l’attivazione dei combattenti sardi contro il fascismo. Già prima del congresso si erano resi disponibili con il prefetto di Cagliari alla mobilitazione per la difesa della legalità costituzionale nel caso il governo e il re avessero impedito la marcia su Roma. Questa linea era stata confermata in sede congressuale a seguito dalla grande manifestazione antifascista promossa da Paolo Pili e da Antonio Putzolu (rispettivamente direttore del Partito e delegato dei combattenti, uscenti) che nel mattino aveva visto sfilare nella strade della città barbaricina le migliaia di sardisti, delegati congressuali e militanti. Dopo quella che rimarrà la più grande manifestazione antifascista della storia della Sardegna, in casa Mastino[xix] la situazione si farà drammatica. Alcuni propongono di mobilitare le sezioni dei combattenti e occupare militarmente la Sardegna per difendere la democrazia. Ma poi la maggioranza dei presenti si indirizzerà per valutare meglio in attesa della decisione del re e dell’evolversi degli eventi. L’appuntamento è da lì ad alcuni giorni, alla manifestazione del 4 novembre a Cagliari. Troppo tardi. Il re sconfessò il governo e diede l’incarico a Mussolini. Il prefetto di Cagliari accolse la manifestazione dei combattenti lungo la via Roma con le mitragliatrici piazzate in bella mostra. In quella “notte di Nuoro” ‘si trascurò’ una coraggiosa decisione e per vent’anni si perse il filo di una storia che sarebbe potuta presentarsi diversa. Forse riflettendo su quell’occasione mancata, Emilio Lussu – al quale probabilmente si dovette l’ultima parola di quella notte – svilupperà in seguito la sua vera analisi politico-operativa originale, quella ‘teoria dell’insurrezione’ che quella notte era stata vista possibile e realizzabile da un gruppo di dirigenti sardisti che discutevano in casa Mastino di come muoversi contro il fascismo.
Luigi Oggiano, alla fine degli anni Sessanta, testimonierà allo storico Savatore Sechi che il governo di Mussolini, appena insediato, aveva mandato una corazzata a presidiare le coste dell’Isola e inviato un battaglione dei carabinieri. A fungere da confidente di Mussolini era stato un autorevole esponente sardista, l’onorevole Paolo Orano, che portò questo ruolo di spia quale dote per l’iscrizione al fascio.
Nel III congresso regionale di Nuoro Luigi Oggiano viene eletto direttore del PSd’A, mentre l’ingegnere Dino Giacobbe diviene il delegato regionale dei combattenti[xx].
Inizia la drammatica fase del rapporto/scontro tra sardismo e fascismo, tra il forte, giovane, nuovo, originale movimento autonomistico sardo e l’oscuramento dei valori democratici nella Penisola italiana.
Il fascismo era alle sue prime prove di governo; anch’esso poteva vantare ascendenze combattentistiche; era un grande esaltatore dei Sardi della Brigata; teneva molto al legame con il PSd’A, a costo di sacrificare i propri uomini della prima ora guidati da Ferruccio Sorcinelli, padrone di miniere e de L’Unione Sarda; il generale Asclepia Gandolfo, mandato da Roma quale prefetto di Cagliari per agevolare e concludere la fusione tra fascisti e sardisti era stato un ufficiale apprezzato dai suoi soldati.
Solo Bellieni e Fancello – da Napoli e da Roma – avevano una visione lucida sui caratteri del fascismo, ma operavano fuori della Sardegna. Puggioni, da Sassari, era estremamente diffidente verso le profferte del generale Gandolfo, che trattava con un Lussu tutto sommato incerto, confuso e dubbioso sul da farsi. Ma Lussu rappresentava ed era continuamente in contatto con l’insieme della dirigenza sardista.
Gli storici più recenti di questa vicenda, sottolineando l’oggettiva difficoltà della situazione e la sostanziale buona fede sia degli entristi che di coloro che continuarono nel PSd’A fino al 1925, non possono non affrontare lo snodo problematico delle scelte tra sardismo e fascismo in quel momento. Restavano poche soluzioni al disorientamento della masse sardiste: opporsi al regime costituendone uno indipendente da esso in Sardegna (vedi la guerra in corso in Irlanda); trattare con il fascismo; fuggire. Alla prima si era di fatto rinunciato nella ‘notte di Nuoro’; nella seconda ci si era avventurati sotto la pressione del fascismo che aveva mostrato il bastone (l’arrivo della nave da guerra, lo sbarco del battaglione dei carabinieri, l’attentato a Lussu nel novembre, l’incendio della tipografia dove veniva stampato il quotidiano sardista ‘il Solco’) e poi offriva ‘la carota’, per molti allettante. Lussu si ritirò incoraggiando Pili e Putzolu a concludere l’accordo, continuò nel suo ruolo di parlamentare finché, dopo i fatti di Piazza Martiri a Cagliari del 31 ottobre 1926, fu arrestato, mandato al confino a Lipari, da cui fuggì il 27 luglio 1927.
A livello di massa restò un brontolio tra adesione al fascismo, scontento e attesa, soprattutto dopo il fallimento dell’esperienza ‘sardofascista’ di Paolo Pili, e la continuità della presenza dei bravissimi avvocati che nei fori di Nuoro (Mastino, Oggiano, Pinna, Melis) e di Sassari (Puggioni soprattutto) testimoniavano una promessa per il futuro.
Emilio Lussu – dopo l’assalto alla sua casa, la condanna, l’esilio, la fuga e la Resistenza -proseguiva nel suo destino di eroe la figura di uomo tra i più amati che l’Isola abbia avuto nella sua vicenda storica.
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Questi uomini che si aspettavano, si ritrovarono nel 1943 nella Sardegna liberata dai tedeschi in ritirata e la loro sostituzione con gli angloamericani.
Quale testimonianza dell’affetto, della stima e del reciproco apprezzamento, Luigi Battista Puggioni, direttore del PSd’A, riassume in un libretto la presentazione della linea politica e degli uomini che ne sono all’origine promuovendone la pubblicazione di brevi biografie: Puggioni parlerà di Bellieni; di Lussu aveva scritto Bellieni già negli anni ’20; Luigi Oggiano scrive ora di Dino Giacobbe, di questo gigante nuorese, intelligente e buono, eroe della guerra di Spagna, emigrato negli Stati Uniti e da ingegnere fattosi operaio per continuare la battaglia per la democrazia.
Nell’immediato secondo dopoguerra il PSd’A è il primo e più forte partito di massa presente in Sardegna: dirigenti, sezioni, comitati di concertazione antifascista, Consulta regionale per elaborare il nuovo statuto della Sardegna, impegno nel sindacato (nel 1945 – 46 la camera del lavoro di Nuoro è in maggioranza sardista). Al VI congresso di Macomer il PSd’a dichiara 37.000 iscritti, organizzati in 291 sezioni.
Emilio Lussu arriva a Cagliari il 30 giugno 1944: in Italia va organizzandosi la Resistenza e lui ne è uno dei capi. I suoi pensieri sono per l’Italia e per l’Europa. Non accetta, anzi respinge, la richiesta di porsi finalmente a capo dei Sardi. Dopo avere visitato le città, riparte poco prima dell’entusiastico e commosso VI congresso (Macomer, 29 – 30 luglio 1944), lasciando Francesco Fancello e il ministro Stefano Siglienti a sostenere la proposta di fusione tra il Partito Sardo d’Azione e il Partito Italiano d’Azione
Luigi Oggiano, che ben conosce i fermenti indipendentistici presenti nel Partito sardo, forti soprattutto nel cagliaritano, si batte per un’ipotesi intermedia:
Si può, anzi si deve intendere l’autonomia senza la resecazione dall’Italia, senza troncamento delle relazioni del continente italiano.
Egli è favorevole al rapporto stretto con gli azionisti almeno per quanto riguarda l’attività al livello della politica nazionale. E’ con il suo discorso calmo e persuasivo che a Macomer si può uscire con una disponibilità, che non è fusione, verso Lussu e il PId’A, che permetterà al leader sardista di Giustizia e Libertà di vincere il congresso di Cosenza. Il PSd’A mantiene il suo entusiasmo operativo.
Si deciderà poi, l’anno seguente, di spostare l’attivissimo Titino Melis da Nuoro a Cagliari, per tenere i contatti con Lussu e meglio governare quella provincia. Riapre ‘il Solco’ (il 4 marzo 1945) e Oggiano vi presenta la sua “Essenza del Sardismo”, in quanto è convinto che nella nuova situazione (gestione da parte dell’Alto Commissario e funzionamento della Consulta) il sardismo e il Partito sardo devono operare più che mai, perché
… resta, nella sua inquadratura e nella sua inconfondibile derivazione da peculiari condizioni dell’Isola, come espressione, non di uno stato d’animo transitorio, ma di una forma di vita che deve assicurare, finalmente dopo secoli, la trasformazione morale e materiale della nostra regione.
Ma altre logiche e nuove tentazioni venivano a minare l’unità dei Sardi non appena la fine della guerra contro il nazifascismo si trasformò nel confronto tra i blocchi, nella loro divisione e scontro e nella guerra fredda. Democrazia Cristiana e Fronte Popolare si dividevano il campo. Chi si poneva nel mezzo doveva scomparire.
Il Partito sardo scelse la libertà qual valore essenziale e principale dell’appartenenza occidentale con l’adesione al processo democratico, rifiutando le promesse del comunismo egemone nel Fronte.
Al IX congresso di Cagliari (4 luglio 1948) toccò a Oggiano precisare nei confronti di Lussu che
….. mai abbiamo dimenticato che l’autonomia doveva e deve essere il mezzo, lo strumento della trasformazione sociale; e mai ci siamo estraniati dalle questioni sociali, ma ci siamo tenuti ardentemente e generosamente in mezzo ad esse, per i lavoratori e per il popolo …
….. è giusto che il sentimento ci porti vicino alle organizzazioni operaie e al movimento socialista; ma chi appartiene a un partito politico come il nostro e serve la Sardegna deve avere non soltanto quel sentimento ma idee precise … sul dovere di difendere gli interessi dell’Isola nostra.
Ritorna il tema dell’ “essenza del sardismo”:
“ … non occorre richiamare le ragioni di ordine etnico, geografico, economico, storico e morale per le quali la battaglia per l’Isola non può essere allo stesso modo dei Sardi e dei non Sardi …
…. il Partito è nella fede ed è la stessa fede nell’avvenire che si vuole creare in Sardegna.
Regione – istituzioni locali – federalismo: era e rimane il contenuto della fede di Luigi Oggiano. Per essi egli è vissuto, perché pensava al sardismo come il più importante strumento di liberazione dei Sardi.
Permettetemi, cittadini di Siniscola e della Baronia, di ringraziarVi per conto del Partito Sardo d’Azione per averci offerto l’occasione di questo viaggio dentro la nostra storia a partire da questo Uomo, vostro e nostro concittadino.
[i] Questo testo rappresenta il primo scritto dell’Autore che andava ad impostare il primo volume della sua opera: “SARDISTI, viaggio nel Partito Sardo d’Azione tra cronaca e storia”, vol. I – 1993, vol. II – 1996, vol. III – 2021, Edes, Sassari. Attraverso l’indice dei nomi è facile seguire il complesso della vicenda politica di Luigi Oggiano, prima impegnato da senatore a Roma e poi costantemente presente nella vita del Partito sardo fino al 1968. Nell’ultimo decennio l’uomo diradò il proprio impegno ma non scomparve del tutto. Di lui si parlerà anche nel terzo volume.
Molto su di lui si è detto e scritto dopo questa testimonianza, che va presa per quella che intendeva essere, l’apprezzamento per un uomo e per un modello di vita e di militanza sardista.
[ii] E non solo oggi: lo stesso Oggiano scrisse la biografia di Dino Giacobbe (1886-1984), vivente, nel 1943 e che poi gli sopravvisse di tre anni.
[iii] L’Unione Sarda, 31 ottobre 1964.
[iv] PSd’A era la sigla originaria e prevalente del Partito Sardo d’Azione fino agli inizi degli anni Settanta, da quando la ‘z’ finale viene utilizzata soprattutto sulla stampa e negli altri media.
[v] ”Quanto è triste il passo di colui che anche volontariamente si allontana dal luogo natio e dai suoi cari” è il passaggio dell’ ‘addio di Lucia’ al suo paesello.
[vi] Elettrio Corda, Due storie parallele. Pietro Mastino, Luigi Oggiano, avvocati, senatori, galantuomini, Nuoro, Edizioni Devilla, 1996.
[vii] La Nuova Sardegna, 12 – 13 gennaio 1913.
[viii] Ivi, 22-23 gennaio 1913.
[ix] Ivi, 27 – 28 gennaio 1913.
[x] Ivi, 8 – 9 marzo 1913.
[xi] Il primo numero de La Voce dei Combattenti esce a Sassari il 16 marzo 1919.
[xii] L’Associazione Nazionale dei Combattenti (ANC) riunisce già 7.000 soci su un totale di quarantacinquemila soldati smobilitati.
[xiii] Ivi, 2 aprile 1919, n° 2.
[xiv] Oggiano rappresenterà sempre la Baronia nel Partito sardo e nelle istituzioni.
[xv] Nel 1919 fonderanno a Siniscola una cooperativa di lavoro tra ex-combattenti e dappertutto si discuterà di casse rurali e di cooperative.
[xvi] Sassaresi Camillo Bellieni e Luigi Battista Puggioni partecipavano al filone meridionalistico in collegamento con Gaetano Salvemini.
[xvii] Si trasferì nel 1913 ventottenne dall’Università di Padova a Cagliari, dove doveva rimanere ventidue anni, divenendo nel 1914 aiuto presso la clinica delle malattie nervose e mentali diretta da C. Ceni e ottenendo nel 1916 la libera docenza. Reduce dalla guerra del ’15-’18, cui partecipò come ufficiale medico, difese, con passione ed energia, i diritti degli ex combattenti inquadrati nel Partito sardo d’azione (Enciclopedia Treccani).
[xviii] Pietro Mastino, insieme a Paolo Orano e a Mauro Angioni, era stato eletto deputato nelle elezioni politiche del 1919. Le elezioni politiche italiane del 1919 si sono svolte il 16 novembre 1919. Furono le prime elezioni in Italia a fare uso di una legge elettorale proporzionale.
[xix] Su questa ‘notte di Nuoro’, ancora non del tutto valutata dagli storici nella sua importanza e drammaticità, come invece risulta dagli appunti inviati a Gaetano Salvemini da parte di Dino Giacobbe, rimandiamo al nostro primo volume di “SARDISTI, cit. vol. I, pag. 550 ss. .
[xx] Il binomio direttore del PSd’A/delegato dei combattenti era iniziato con i sassaresi Bellieni – Puggioni, era proseguito con gli oristanesi (di Seneghe) Pili-Putzolu e ora vedeva i nuoresi Oggiano-Giacobbe. L’alternanza tra le sedi e l’unificazione locale delle due cariche era necessitata dalle difficoltà delle comunicazioni.
Quella lettera-testimonianza di Luigi Oggiano sui rapporti PSd’A-Fascismo nel 1922. di Gianfranco Murtas
Di recente si sono recuperati dalle memorie magne della democrazia sarda, degni – per il pregio morale e d’umanità e la finezza della cultura democratica – di quelli di un Tuveri o di un Asproni, e anche di un Lussu, il nome, la testimonianza e il magistero di Luigi Oggiano, uno dei fondatori del Partito Sardo d’Azione, ora sono più di novant’anni.
Di formazione mazziniana – così come di formazione democratica nel vasto e vario arco di quanto la cultura progressista italiana ha prodotto e proposto nei lunghi decenni fra Ottocento e Novecento, fra Cattaneo e Salvemini, l’antiprotezionismo e il “socialismo contadino” maturato poi nel tentativo, nato e spentosi fra 1921 e 1922 (per le infedeltà molisane), del Partito Italiano d’Azione – Oggiano fu segretario del PSd’A ed in tale veste, unitamente al direttore dei Combattenti, Dino Giacobbe, ebbe parte in certe interlocuzioni con Mussolini. Non per cedere a Mussolini, al contrario, per notificargli il no assoluto dell’anima democratica del sardismo ad ogni progetto di unificazione, anzi di confluenza nel Partito Nazionale Fascista.
La Nuova Sardegna trattò la materia in una serie di articoli a firma di Arnaldo Satta Branca, usciti in cinque puntate il 4, 5, 6, 7 e 8 novembre 1969. Essi erano, a loro volta, in risposta critica o avversaria a quanto sostenuto a più riprese da Luigi Nieddu, il quale tendeva a ridimensionare la caratura antifascista di Emilio Lussu nelle settimane e nei mesi nei quali, dopo l’andata del duce al governo, si cercò l’approccio “combattentistico” fra fascisti e sardisti (così ne aveva scritto lo storico sassarese in una lettera a Frumentario il 5 agosto 1969 e ne avrebbe ancora scritto in una “lettera al direttore” il 1° novembre dello stesso anno). Nel dibattito era intervenuto Manlio Brigaglia il 7 luglio raccogliendo gli utili spunti forniti dallo stesso Satta-Branca nella sua prima esternazione del 23 giugno, ed era intervenuto, da Roma, Emilio Lussu con una lettera pubblicata l’8 settembre 1969. A quanto riferito dal direttore della Nuova – galantuomo e democratico inattaccabile anche lui, intimo di quel Michele Saba che fu forse l’anima più nobile, perché politicamente più sola, dell’antifascismo sassarese – Oggiano ritenne di dover fornire qualche rettifica o precisazione, indirizzando una lettera-testimonianza uscita sul giornale del 9 novembre.
Ho piacere di donare al documento rinnovata attualità perché esso, anche esso, restituisce luce di dignità piena al sardismo delle origini, al sardismo consapevolmente figlio della cultura democratica italiana e suo maggior interprete nella realtà nostra isolana, fuori dal socialismo e fuori dal liberalismo: così in quei complessi e tremendi primi anni ’20 antedittatura, come sarebbe stato – con Oggiano stesso fra i protagonisti – nei decenni seguenti, contro il regime e per la repubblica, per le nuove istituzioni repubblicane e la politica di Rinascita e della programmazione concertata (avvenne al tempo del primo centro-sinistra, quando Giovanni Battista Melis svolgeva – con competenza, dedizione e grande dignità – le sue funzioni di deputato da sardista nel gruppo repubblicano, fianco a fianco di Ugo La Malfa).
D’altra parte non è difficile rintracciare il filo diretto fra la democrazia italiana e il Partito Sardo d’Azione costituitosi nel 1921 sol che si abbiano chiare che linee-forza della cultura democratica distinte da quelle del socialismo e del liberalismo, cioè delle correnti ideali e politiche che dal secondo Ottocento giunsero a noi plasmando interamente il Novecento: e quelle linee-forza sono nella prevalenza, come centro di libertà, del civile ed istituzionale sull’economico. Quello che il socialismo e il liberalismo ponevano nelle categorie l’uno dell’unità di classe, magari della dittatura del proletariato e comunque nella pubblicizzazione dei mezzi di produzione, l’altro della libera iniziativa e del mercato aperto, la democrazia lo poneva nella istanza istituzionale del suffragio universale – l’emancipazionismo femminile e il fenomeno delle suffraggette sono di marca democratica in Europa e in Italia! –, della repubblica, delle autonomie territoriali.
Queste erano le dottrine e il sardismo nato all’indomani della grande guerra, che fu – per l’Italia – la quarta guerra d’indipendenza perché portò nei confini della patria gli italiani fino ad allora “imprigionati” negli status austro-ungarici (sudditi non cittadini), derivò dai padri – da Mazzini il comunalista e da Cattaneo il federalista – i riferimenti orientatori della sua battaglia autonomistica. «La devozione all’Italia ed alla Sardegna…», l’impegno per un «destino migliore della Sardegna in seno all’Italia una ma rinnovata» – parole di Oggiano del 1922 come del 1969 – segnalano questa permanente cornice valoriale, ideale, teorica e politica. La cosa valse nella fatica dell’antifascismo, anche dell’antifascismo testimoniale “degli avvocati” in quel di Nuoro, che fu nobilissimo (quale che ne sia stato poi il giudizio tranchant e ingeneroso di Lussu), valse nella fatica della Costituente del 1946-1947.
Sento questa materia che attiene alla storia del sardismo sempre pervasa di attualità, a fronte purtroppo del nulla elaborativo del PSd’A di oggi e degli ultimi quarant’anni, altro che con gli slogan dell’effimero facile: lo è per il dibattito che spesso si cerca di rilanciare sul regionalismo come nella costituzione è statuito e come la politica vorrebbe rideclinarlo, considerando il nuovo quadro europeo, la crisi degli stati nazionali, le relazioni necessarie che le regioni territorialmente marginali – com’è stato proprio di recente per la Sardegna con la Corsica e le isole Baleari – possono e debbono avviare, nei raccordi generali ma con autonoma e autorevole forza propositiva, in materia di trasporti, ma certamente non soltanto di trasporti. Sempre accompagnando, si badi bene, la qualità del disegno innovatore con quella di una classe dirigente e operativa animata da un senso morale.
«La devozione all’Italia ed alla Sardegna incita a resistere ai devastatori ed agli assassini»
Caro Direttore, dall’accenno fatto nel tuo articolo nella «Nuova Sardegna» n. 255: «La verità sulla iniziativa di Lussu per la pacificazione in Sardegna nel 1923», potrebbe sembrare che la lettera indirizzata da Mussolini a me fosse in relazione a miei passi per trattative di fusione del Partito Sardo d’Azione col Fascismo. Ad evitare che tale impressione si abbia e, comunque, per correggerla sono costretto (malgrado le mie non buone condizioni di salute) ad intervenire per smentire e precisare. Io ero direttore del Partito mentre Dino Giacobbe era direttore regionale dei Combattenti Sardi che agivano, nella loro organizzazione, in pieno accordo col Partito Sardo; del resto non poteva essere diversamente perché organizzazione combattentistica sarda e partito sardo erano si può dire la stessa cosa.
Sono note le aggressioni e addirittura le spedizioni così dette punitive dei fascisti di quel periodo (novembre – dicembre 1922). Il Partito Sardo coi Combattenti si era preparato a ben difendersi ed aveva cercato di far pervenire alle sezioni (tra quali difficoltà e con quali risultati è facile immaginare) la seguente lettera-circolare. Se a distanza di tanti anni non si può stabilire se ed a quanti sardisti e combattenti la lettera sia arrivata, essa però ha importanza assai notevole in relazione ai passi successivi fatti presso il governo.
«Federazione Regionale Combattenti Sardi – Partito Sardo d’Azione – A tutte le Sezioni dei Combattenti – A tutte le Sezioni del partito Sardo d’Azione – Nuoro, 22 dicembre 1922.
«Fratelli! Mai come ora ci siamo sentiti oppressi dal peso delle sciagure dell’Isola. Al delittuoso abbandono di governanti e di partiti si è aggiunto il delitto sistematico studiato organizzato consumato contro le persone e gli averi dai mestieranti delle armi rassicurati dalla vigile protezione del governo. Il nostro Partito, il quale conserva intatte nelle sue file le anime pure di mutilati invalidi combattenti cittadini tra i più valorosi e devoti alle fortune d’Italia, è fatto oggetto di rappresaglie e di persecuzioni che richiamano per il paragone i tempi più tristi delle dominazioni straniere. A molti dei nostri fratelli non resta che la scelta tra il sacrificio supremo e lo abbandono della casa che quattro anni di guerra in nome della Patria della giustizia e della libertà umane credevano avessero resa sicura da ogni violazione.
«Nell’Iglesiente una ubriacatura di violenze ha reso impossibile da vari giorni lo svolgimento della vita del paese, già così meraviglioso per conquiste e per promesse di civile progresso; a Cagliari il 20 ed il 21 dicembre si sono ripetute le scene di terrore del 26 novembre e si è andati anche più in là: il “Solco”, il giornale che fieramente bandiva per l’isola tutta ed oltre mare la nostra parola di liberi e fedeli preparatori di un destino migliore della Sardegna in seno all’Italia una ma rinnovata, è stato distrutto; le sedi dell’Associazione dei Combattenti, del Partito Sardo, del Circolo Giovanile Sardegna e Universitario Autonomistico, e persino dell’Ufficio Provinciale di assistenza ai Combattenti dipendente dall’Opera Nazionale, occupate; lo studio dell’on. Lussu, in sua assenza, spogliato di oggetti a lui cari; l’on. Cao costretto a recarsi nella sede del fascio e per essersi ribellato a qualunque coartazione del suo pensiero cinicamente minacciato; cittadini di onestà intemerata sottoposti alle più umilianti sevizie. Tutto ciò con il concorso delle autorità e dei militi da esse dipendenti.
«La Sardegna tutta è minacciata nella sua esistenza: in diversi paesi si vedono terribili, per opera dei cosiddetti fascisti, i segni della distruzione. Fratelli nostri, schiavi di un disegno che tende a dividerci per indebolirci e dominarci, levano le armi contro di noi. Fratelli! Noi avremmo bene nel cuore e nelle mani la forza e la costanza di respingere tutte le forme di violenza e, ripetendo le prove di abnegazione date in ogni tempo dalla razza, potremmo far pagare loro dappertutto ogni insano tentativo. Abbiamo presenti però i nuovi più grandi dolori che graverebbero sull’Isola che finirebbe, sola, per essere vittima della più spietata rappresaglia di governo, e pensiamo che per essa e per l’Italia sia necessario raccogliere le parole del comandante d’Annunzio ai suoi legionari: “troncare ogni occasione ogni pretesto che comunque renda possibili urti dolorosi tra fratelli”.
«Ma ovunque questa nostra disposizione sia soprafatta dal proposito avversario di offendere ad ogni costo, devono ogni socio del Partito, ogni combattente sentire l’obbligo della difesa per la dignità per l’onore per la sicurezza personale e dei cari.
«La devozione all’Italia ed alla Sardegna, come consiglia ad evitare la guerra civile, incita a resistere ai devastatori ed agli assassini. La distruzione del “Solco” non impedirà che ai fratelli del Continente giungano le notizie di questa nostra passione: noi abbiamo fiducia che nell’Isola e nel Continente quanti hanno senso di responsabilità si leveranno in piedi ad imporre la fine della esaltazione fascista sarda ed a richiamare lo stesso governo, del quale fa pure parte un cittadino sardo dimentico del proprio compito, e che si dice espressione della gloria di Vittorio Veneto, al rispetto di noi che fummo artefici celebrati della Vittoria. Nuoro 22 dicembre 1922».
Subito dopo ciò, il doveroso proposito di fare ogni tentativo per evitare lo spargimento di sangue fraterno in Sardegna, con lo scatenarsi di una guerra civile che sarebbe stata – data la preparazione – assai terribile e gravida cli conseguenze per lunga serie di anni, consigliò di chiedere un abboccamento col capo del governo. Fu così che io – quale direttore del Partito Sardo – e Giacobbe – quale direttore regionale dei Combattenti Sardi, accompagnati da amici delle due direzioni, partimmo per Roma ed ebbimo l’incontro con Mussolini.
Non si trattò affatto di fusione e l’argomento fu quello delle violenze e del pericolo della guerra civile. Mussolini in risposta alla nostra esposizione, mostrandosi sdegnato di quanto era avvenuto e poteva accadere ad opera dei fascisti e assicurando che questi ultimi avrebbero cessato senz’altro le loro aggressioni, dette assicurazioni che la violenza sarebbe cessata; aggiunse che proprio per mettere a posto le cose intendeva mandare in Sardegna il generale Gandolfo, noto per il suo valore in guerra ed ammiratore – diceva Mussolini – dei Combattenti Sardi. Al quale proposito ci chiese se volevamo incontrarci cori lui; noi rispondemmo di no e che preferivamo far pervenire a lui (Mussolini) una lettera promemoria. Così – almeno per allora – le aggressioni e le spedizioni cessarono (non è male ricordare che persino una squadraccia di Civitavecchia una mattina era sbarcata di buon mattino, col postale di linea, ad Olbia, ed aveva sottoposto a sevizie l’avv. Antonio Sotgiu ed Alessandro Nanni, ed era ripartita subito dopo, ben protetta).
Alla nostra lettera, preparata a Roma anche col concorso costante di Francesco Fancelio, credette di rispondere Mussolini con la sua del 19 gennaio 1923 e che riproduco per intero.
«All’avv. Luigi Oggiano – Nuoro. Dopo 18 giorni da quello in cui mi avete rimesso la Vostra lettera, mi appare quasi superflua una risposta in vista delle pratiche che il gen. Gandolio sta, secondo quanto mi annunzia, facendo per unificare il movimento sardista col movimento fascista. Come capo del Governo e del Fascismo vedrei molto volentieri questa unificazione che potrebbe avvenire sulla base di una rivalutazione regionale di tutti i problemi che travagliano la vostra isola e che stanno vivamente a cuore al Governo. Posso dire soltanto che non appena vi saranno delle disponibilità finanziarie, molte delle questioni che attendono una soluzione l’avranno. Saluti – Mussolini».
Ancora ripeto che né io né altri che erano in mia compagnia a Roma, né a Roma né altrove, avevamo parlato, e neppure fatto il minimo cenno, di fusione o di unificazione del movimento sardista col movimento fascista. Il gen. Gandolfo lavorava a Cagliari e trattava con gli elementi di Cagliari che poi ritennero di potere collaborare, e in seguito collaborarono, con lui.
Tutto ciò è documentato nei numeri del “Popolo Sardo” che con grande sacrificio si riuscì a pubblicare (ricordo, a proposito, l’aiuto e il sacrificio personale dell’ing. Rodolfo Prunas di Sassari, che io sempre ho tenuto e tengo presente con affetto per la sua devota dedizione al Partito Sardo); e mi pare sia opportuno rimandare alla lettura di quel giornale quanti abbiano desiderio di accertarsi e di approfondire. Quei numeri contengono, fra l’altro, una completa e non breve mia relazione su quel viaggio e sugli avvenimenti successivi.
A proposito dell’opera che svolgeva il gen. Gandolfo devo dire che, mentre il Partito Sardo non cedette ed è falso che io abbia preso parte a trattative di alcun genere o firmato appelli od altre dichiarazioni che avrebbero significato il tramonto del Partito, molti (me compreso) erano disposti a ritirarsi dalla vita politica e mettersi in un angolo ed in ombra, ove avesse prevalso la tendenza ad una intesa che avesse portato realmente alla soluzione dei secolari problemi della Sardegna ed assicurarle l’avvenire di progresso, per cui si erano mossi i combattenti sardi e si era formato il Partito Sardo.
Tengo ancora a dichiarare che – anche per le condizioni in cui sono venuto a trovarmi per le ferite e per il lavoro che solo mi dà da vivere – ho tenuto sempre ad osservare il necessario riserbo su avvenimenti che da chi non li ha vissuti possono essere erroneamente interpretati, valutati e riferiti. Ma non devo trascurare dl rilevare che il Partito Sardo nelle circostanze su accennate ha tenuto la sua onesta e generosa linea con assoluta coerenza, con rettitudine, e con indiscussa inspirazione ai più alti e nobili ideali, anche dal punto di vista etico.
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- Sardisti – Vol. 1/2/3
Somiglianze e distinzioni fra azionismo e sardismo: che materia straordinaria di discussione intelligente e colta – si può dire? – in tempi in cui c’è chi crede che i soggetti collettivi denominati una volta forza italia o cinque stelle, un’altra verdiniani o leghisti (di varia obbedienza salviniana bossiana bogheziana calderoliana) o truppa di governativi semplificatori, siano anch’essi della partita politica. Dico della partita che dovrebbe riempirsi di analisi e di impegno sempre e soltanto nel nome dell’interesse generale. Con rigore di metodo e lo sguardo lungo della classe dirigente meritevole della qualifica. Come un tempo De Gasperi, o Einaudi, o La Malfa, l’uno nella maggioranza, gli altri nella minoranza. Come avveniva settant’anni fa, e anche qualcosa di più, mentre ci si preparava alla novità della democrazia tutta da costruire con l’allargamento del suffragio, sperabilmente con un altro regime costituzionale in chiave repubblicana, con presìdi saldi di libertà civile ed economica, laicità dell’ordinamento e, secondo il sogno che era stato dei mazziniani da più d’un secolo, dignitosa e feconda integrazione continentale. E collocazione occidentalista ed atlantica. Comprendendo che i nuovi statuti sarebbero stati certamente un superamento della dittatura ma anche un avanzamento rispetto allo standing del liberalismo notabilare degli anni ’10 e successivi.
Si ricostituivano le sezioni dei partiti, dopo l’8 settembre 1943, mentre le armate alleate risalivano dalla Sicilia la penisola intera e liberavano Roma a giugno e Firenze ad agosto dell’anno successivo, rallentando per gli ostacoli della linea gotica e giungendo alla pianura Padania – altro che la Padania pontificata dagli sgrammaticati del peggio immaginabile – per liberare, nell’aprile 1945, le grandi città, da Bologna a Genova, da Torino a Milano a Venezia. Si ricostituivano i gruppi politici, nelle città via via tornate alla libertà entravano in necessaria supplenza dei vertici amministrativi travolti dalla caduta della dittatura i comitati di concentrazione antifascista, segmenti nucleari ora locali ora provinciali del CLN operativo nella capitale e ispiratore o regista dei governi esapartiti, in logica ancora paritaria fra le varie componenti comunista e socialista, azionista e liberale, democristiana e demolaburista. Restavano fuori, per autonoma scelta, i repubblicani, antifascisti anch’essi della più bell’acqua, minoranza salda nella storia secolare della patria, ma irrigiditi sulla pregiudiziale istituzionale, o sulla tempistica stretta di quella santa pregiudiziale. Era il trionfo dei valori universali – la libertà partecipativa, l’imparzialità della pubblica amministrazione – che danno sempre sostanza alla politica vera, integrando gli interessi dei territori e delle classi dentro le maggiori categorie della convivenza nazionale.
Si animava il confronto così sui giornali tornati liberi e aperti (e per qualche tempo essi stessi a gestione concentrazionista) come nei comizi in piazza, nella fatica della selezione della nuova classe dirigente in recupero ora di esperienze ante-dittatura ora pescando nella nuova generazione presto maturata dalle difficoltà belliche, dai sofferti richiami militari o dalla prigionia subita e spesso prolungata, comunque dall’avarizia materiale di un tempo che cercava un nuovo orientamento al suo corso.
Anche in Sardegna, che pur non aveva conosciuto le dure prove della resistenza sulle montagne o nelle città occupate, e addirittura con qualche precedenza rispetto a larghe parti della penisola, prima di Roma stessa, per non dire delle regioni del centro-nord. Rinasceva la democrazia, da noi, anche con il contributo appassionato del Partito Sardo d’Azione, che pur scontava, non meno di altri settori politici, le povertà imposte dal ventennio della cattività, per la mancanza del libero confronto, impedimento ideale da sommare a quello fisico degli spostamenti da e per l’Isola. Ma rinasceva la democrazia e il contributo del sardismo veniva in gran parte dalla dignitosa e talvolta ardita testimonianza del grosso del suo ceto dirigente, quello dei Mastino e dei Melis, degli Oggiano e dei Puggioni e di altri cento.
Sicché le concentrazioni antifasciste nell’Isola dovevano qualificarsi non come esapartite ma eptapartite, proprio per la partecipazione anche del PSd’A, e di più ancora, per la partecipazione qui, seppure a macchie di leopardo, anche dei repubblicani, a fronte spesso della defezione, per inconsistenza organizzativa, dei demolaburisti (partito di rimando a certo radicalismo anche filoministeriale degli anni ’10 e ’20, ma ora con un profilo istituzionale certamente repubblicano).
I fratelli della democrazia
Nel novero erano – così per un anno circa, da settembre 1943 a settembre 1944 – anche gli azionisti, che in Sardegna si richiamavano, pure nelle intestazioni dei documenti ufficiali, al movimento di Giustizia e Libertà, che invero aveva assunto nei suoi ranghi clandestini, nei tempi più calamitosi delle retate di polizia e più tardi nelle prove di guerra in Spagna, anche molti sardisti così come diversi repubblicani sardi (e numerosi della penisola). Perché comune e condiviso era l’albero della cultura democratica di radici risorgimentali impregnate di un mazzinianesimo etico forse più che ideologico, e sardismo e azionismo e repubblicanesimo erano fratelli forse più ancora che cugini. Sarebbe poi entrata la variabile socialista – come dottrina applicata all’economia – a dividere i fratelli e a renderli cugini mutuamente (e in crescendo) diffidenti.
Ad animare il dibattito – mi limito qui soltanto alla famiglia dei fratelli della democrazia, a sardisti e azionisti e repubblicani cioè – erano uomini come Lussu e Mastino, Fancello e Siglienti, Pintus e Melis, Puggioni e Pinna e Oggiano, e quanti altri con loro. E ciascuno poteva dire di sé, e quantificare i giorni o i mesi o gli anni del carcere e del confino, quelli della esclusione dalle attività (e dagli albi) professionali nonché da quei minimi diritti che anche la dittatura poteva riconoscere ai cittadini-sudditi. Melis era entrato in carcere a 23 anni soltanto, più tardi aveva fornito l’inchiostro simpatico per la lettera (imputativa) che Pintus doveva recapitare, tramite Fancello, a Lussu ormai esule-fuggiasco a Parigi, Siglienti per pochi mesi era stato ospite dei tedeschi in un campo di prigionia da cui l’aveva fatto evadere la sua meravigliosa Ines Berlinguer prima che fosse indirizzato anche lui alle Fosse Ardeatine –, Mastino e Pinna e Oggiano avevano anch’essi da poter elencare le occasioni della propria pubblica testimonianza e anche dei prezzi pagati per questo a Nuoro, mostrando come l’intelligenza e la coscienza potevano arginare la pervadenza imbecille del regime, Pintus – nato repubblicano – poteva dire dei cinque anni di carcere e dei tre di vigilanza speciale, e anche delle conseguenze sui suoi polmoni che nel 1948 l’avrebbero portato anzitempo alla tomba, e anche Fancello poteva riferire del cumulo dei tredici anni fra cercere e confino caricati sulla sua schiena, lui che era il più vecchio di tutti. Qualcuno avrebbe presto aggiunto le proprie esperienze internazionali, di guerra internazionale, come Giacobbe, e Lussu la sua tela antifascista sul campo largo dell’Europa e anche dell’America. Viva in lui la memoria tutta speciale di un repubblicano cagliaritano caduto per la gloria della democrazia a soli trent’anni, in una terra lontana, nome Silvio Mastio.
Questo il quadro, e ogni distinzione fra l’uno e l’altro, negli anni ’40, a guerra finita o quasi finita, negli anni della ricostruzione, non era per diminuire o abbattere l’altro, era per donare il di più del quale l’esperienza umana e quella politica maturata li avevano resi capaci. Certo sarebbe stato il crescente radicalismo socialista di Lussu a rompere gli equilibri, a introdurre un corpo ritenuto dai più, anche dai vicini e vicinissimi (che l’avrebbero anche seguito in qualche evoluzione del posizionamento), estraneo alla cultura consolidata della democrazia repubblicana ed autonomista (direi nata autonomista).
Le conseguenze sarebbero state pesanti e divaricanti nell’ultima stagione: perché si sarebbe arrivati alla scissione del PSd’A, in chiave di sardo-socialismo, nell’estate del 1948, all’indomani cioè delle prime elezioni parlamentari, si sarebbe anche arrivati l’anno dopo alla concorrenza elettorale nella conta politica all’esordio della autonomia speciale (sette gli eletti del PSd’A, tre quelli del PSd’A socialista). Si sarebbe perfino arrivati, a fine 1949, alla confluenza del sardo-socialismo dicentesi federalista nel PSI di Pietro Nenni e Lelio Basso (paradossalmente il partito più centralista fra tutti quelli dell’arco democratico). Una parabola conclusasi con un nuovo inizio ereticale, con l’avvio della militanza socialista di Emilio Lussu, battezzato dalla consegna a lui ed ai suoi della tessera del PSI datata 1919. Lo racconta Lussu stesso in una delle pagine conclusive del suo Sul Partito d’Azione e gli altri, Milano, Mursia, 1968: «Nell’atto scritto della fusione di questo [il Partito Sardo d’Azione socialista] col PSI a Lussu e a 200 dei vecchi suoi compagni del movimento, fu assegnata la tessera del Partito Socialista Italiano del 1919, riconoscendo, così, l’originaria natura socialista del movimento; e a tutti gli altri la tessera socialista alla data della loro iscrizione nel PSd’A e nel PSd’A socialista».
Appunti su un dibattito
Lo scorso martedì 14 dicembre [2016], ad iniziativa insieme della sezione cagliaritana dell’Associazione Mazziniana Italiana – una sezione intitolata all’indimenticato Salvatore Ghirra ed attualmente guidata da Antonello Mascia – e dell’Associazione Cesare Pintus, pure del capoluogo, presieduta da Gianni Liguori, si è svolta presso i locali della Società Operaia, nella via XX Settembre, una bella serata di discussione sul tema della relazione fra azionisti e sardisti a Cagliari e nell’Isola in quel tempo che fu di alta febbre ideale e politica. Non importa il numero dei presenti, le minoranze hanno il gusto di interessare gli individui, non le masse. Dell’argomento dovevo trattare io (per la parte azionista prevalentemente) e Salvatore Cubeddu – autore di una corposa biografia politica del PSd’A dalle origini agli anni ’70 (cfr. Sardisti. Viaggio nel Partito Sardo d’Azione tra cronaca e storia: documenti, testimonianze, dati e commenti, Sassari, Edes, due voll., 1993 e 1995), qualcosa come 1.370 succose pagine; dovevano poi portare la loro testimonianza di coprotagonisti di vicende che li avevano visti presenti ancorché soltanto ancora adolescenti o giovanissimi, fra Nuoro e Cagliari, Lello Puddu e Marcello Tuveri. Aperto agli altri ogni spazio di intervento per integrazioni o domande di approfondimento.
Vero è che questo impianto è stato rispettato per il grosso, vero è anche però che un mio introduttivo riferimento alla severità “italianista” degli azionisti isolani chiamati da Lussu a confluire nelle sezioni sardiste come prezzo (o concambio) per ottenere dal PSd’A il riconoscimento del Partito d’Azione quale formazione di riferimento nella politica nazionale ed internazionale, ma poi più concretamente per ingrossare, all’apparenza almeno, la corrente appunto lussiana dettasi socialista, ha deviato – sul piano dei contenuti – tutto il dibattito. Che è andato per il più alla misurazione del tasso di lealismo italianista (da me sempre sostenuto) o di pulsività separatiste del PSd’A (presenti invece in una parte ampiamente minoritaria del partito, forse anche consapevole dell’irrealismo della prospettiva affacciata senza alcuna approfondita riflessione). Con qualche opportuna e acuta riflessione di Tuveri circa il doppio livello che rendeva obiettivamente difficile l’incontro fra Pd’A e PSd’A: per il fatto, a dirla in breve, che il primo puntava tutto al progetto politico e mostrava, pur fra le contraddizioni interne (forse non tutte percepite nell’Isola), un formidabile senso della storia e conoscenza delle dimensioni di tutti i problemi in campo, ed il secondo era tirato nelle considerazioni di vita della pressante quotidianità popolare.
Quella che segue è la scaletta degli argomenti come l’avevo preparata e avrebbe meglio delineato i percorsi faticosi della prossimità e delle distanze, se il dibattito avesse seguito l’ipotizzato svolgimento.
Resta la schematicità degli appunti, ho qui soltanto aggiunto qualche verbo a dare un minimo di compiutezza grammaticale agli alinea tematici.
E sarei partito, intendendo dimostrare la complessità politico-ideale dell’azionismo assumendola come valore positivo, cui avrei sognato si fosse saputo dare una migliore sintesi, rivelando quanta altra complessità avrei io stesso trovato nel Partito Repubblicano Italiano, che in parte, sommandosi o integrandosi al tronco storico dei mazziniani, dalla storia azionista derivava: quel partito al quale mi iscrissi (nella Federazione Giovanile) diciottenne nella sede cagliaritana di via Sonnino, quasi nei giorni in cui Bruno Josto Anedda lavorava intensamente al suo Angius prima che al suo Asproni. Combinando così energie personali e spazi alla storia del risorgimento e alle prospettazioni moderniste del repubblicanesimo lamalfiano.
Ma a tutto avrei anteposto una pagina che ricordo mi colpì e accese, ancora adolescente, leggendo (nella sua edizione pocket, 350 lire accessibili anche a uno squattrinato assoluto come me) quel Papato socialista di Giovanni Spadolini – al tempo direttore del Corriere della Sera e collaudato facondo professore a Firenze – al quale ero stato indirizzato per orientare la mente ad altre e maggiori complessità che non quelle che avrei trovato nella politica, intendo quelle della storia e della storia magna dei rapporti fra Stato e Chiesa, sempre dilaceranti in Italia.
Fu forse quello, quasi cinquant’anni fa, il primo incontro con l’azionismo, quale me lo rappresentava lo Spadolini, storico di formazione crociana, certamente con rispetto e quasi devozione per l’altezza ideale dei suoi apostoli, ma anche caricandolo della responsabilità di aver talmente radicalizzato, in termini etico-politici, la sua presenza sulla scena nazionale del post-fascismo da aver crocifisso tutto quanto aveva portato alla dittatura (tanto più nella galassia liberale, magari notabilare e giolittiana), ma con questo facendo inevitabilmente spazio alla repubblica guelfa, alla repubblica governata (e tanto spesso malgovernata) dai democristiani.
Il Pd’A e il “Papato socialista” di Spadolini
«Ai più acuti fra i pensatori cattolici non poteva sfuggire, nell’immediato dopoguerra, la crisi ideale del Risorgimento, che trovava nei “comitati di liberazione nazionale” i suoi ultimi guizzi rivoluzionari, ormai destinati all’esaurimento…
«La negazione, la confutazione, la discussione spesso feroce e senza riserve dei raggiungimenti dell’Ottocento dava a tutti la sensazione che un processo ideale si era veramente chiuso, che lo Stato nato dalla fortuna monarchica aveva perduto ormai il suo “stellone”, dissolvendo nella sconfitta i miti che lo reggevano…
«Le nuove generazioni erano sorde a tutti gli appelli della mitologia patriottica; la corrosione era nelle coscienze prima che negli atteggiamenti e nulla poteva sanarla, nulla poteva infrenarla. La Monarchia stessa era in discussione, proprio perché era in discussione il Risorgimento, in cui essa si rifletteva e quasi s’identificava. I valori “nazionali”, screditati dalle degenerazioni del fascismo, i principi liberali e laici, criticati oggi non meno di ieri, tutta l’eredità della patria era all’incanto: e chi avrebbe avuto il coraggio di rivendicarla?…
«Agli intellettuali, agli uomini della cultura laica, importava soltanto rilevare le responsabilità del passato remoto o recente: era la gara per la ricerca dei colpevoli. Lontani o vicini, morti o vivi non interessava: purché colpevoli. Colpevoli di quel che non era avvenuto o di quel che era avvenuto poco e male, della libertà insufficiente, della moralità scadente, dei fiacchi costumi, dello scarso spirito pubblico, del cattivo funzionamento degli istituti politici…
«Il partito d’azione, che raccoglieva tanti degli eredi dello spirito gobettiano, che conservava in sé le ansie del revisionismo salveminiano e del puritanesimo della Voce; il partito d’azione, che era l’ultimo filo della corrente ereticale italiana, l’ultima eco protestante in Italia; il partito d’azione, che perfino nelle figure fisiche, nei suoi giornali, nei suoi congressi, nei suoi gesti era tutto risorgimentale, tutto giacobino, alla Alberto Mario o alla Pisacane; il partito d’azione, che era il più spietato nella ricerca delle responsabilità, nella denuncia delle colpe, nell’inseguimento dei colpevoli, in realtà lavorava per i suoi nemici, spazzava il terreno che avrebbe servito ad accogliere la repubblica guelfa».
Pluralismo ideologico nel PRI
Fatto lamalfiano per attrazione, per il carisma intellettuale e civile di un uomo dell’antifascismo e della resistenza che aveva l’orgoglio della minoranza, avrei col tempo, maturando con l’età, le letture e le esperienze, messo meglio a fuoco, progressivamente, tutta la ricchezza morale e culturale, prima che politica del repubblicanesimo italiano, scoprendo in esso le molte fronde originate dall’unico albero. Così era stato, e meglio sarebbe stato, anche in Sardegna, per almeno due decenni, fra anni ’60 e anni ’70.
Questo dunque avrei acquisito.
Ugo La Malfa al 29° congresso nazionale repubblicano, del 1965, in cui assume la segreteria politica: «Ho finito, amici repubblicani. Che cosa sono nel vostro partito? Sono mazziniano, sono cattaniano, sono gobettiano? Ebbene, nell’umiltà delle mie forze, sono tutto questo. E’ inutile, Zuccarini, che mi combatti, c’è la tua battaglia nella mia coscienza, te lo posso dire. C’è anche la battaglia di Conti, di Ghisleri, di Mazzini, di Cattaneo, di Salvemini, di Amendola, di Gobetti. E c’è anche la battaglia di Gramsci. C’è la grande amara sofferenza del pensiero politico democratico… ma con grande responsabilità.
«Mi volete solo mazziniano, per la divisione degli utili, l’azionariato operaio? No… ma se uno solo di questi elementi, di questa sofferenza, di questa passione di sinistra, di questo dramma della sinistra democratica italiana c’è in me, ebbene, siate indulgenti, non chiedetemi il certificato di origine, perché questo è nella mia coscienza, non è nella mia tessera…».
Oronzo Reale al 30° congresso nazionale repubblicano, del 1968, a forte sostegno della segreteria La Malfa: «Fra l’altro voglio dire che mi è piaciuta l’affermazione che l’amico La Malfa fa nella sua relazione, quella rivendicazione della ispirazione ideologica fondamentale del Partito repubblicano, visto che la stampa, gran parte della stampa, ha interpretato questo congresso in chiave di contrapposizione fra tradizione e modernità. E’ una chiave che noi rifiutiamo perché non apre nessuna porta…
«L’affermazione di La Malfa mi è piaciuta, non perché io appartenga alla schiera di coloro che recitano il Pater Noster mazziniano ogni giorno… ma perché questa affermazione era necessaria per rassicurare i repubblicani che erano rimasti – in parte almeno – un po’ impressionati dal fatto della intitolazione alla ideologia…
«Non ci si allontana dalla tradizione repubblicana quando si discute la validità di certe formule temporali, nelle quali si è espressa la nostra dottrina. Perché il fondamento ideologico del repubblicanesimo, della scuola repubblicana, della dottrina repubblicana, non sta nelle formule temporali, transeunti e strumentali, nelle quali si è espressa in certi momenti storici. Alcune di queste formule vanno ripensate di fronte alla realtà economica e sociale dei giorni nostri. E, comunque, esse non sono formule risolutive dei problemi di fronte ai quali ci troviamo, considerati sia nel loro aspetto quantitativo, dimensionale, sia nel loro aspetto qualitativo…
«E mi ricordo, amico La Malfa, che, nei primi tempi del Partito d’azione, siamo andati insieme a fare una visita all’onorevole Giovanni Conti, che era un maestro del repubblicanesimo tradizionale: in quell’occasione La Malfa è rimasto quasi sorpreso di sentire dire da Conti queste cose, e cioè questo storicismo, questa flessibilità in relazione alle formule delle soluzioni economiche.
«Quindi non siamo fuori dalla tradizione repubblicana quando diciamo che alcune di queste formule vanno ripensate…».
E Ugo La Malfa allo stesso congresso, nelle conclusioni: «E’ stata questa una mia preoccupazione: di proiettare all’esterno il patrimonio storico, culturale del partito, di muovermi su di un filo dottrinario, ideologico, che dai grandi del Risorgimento giunge ai nostri giorni. E’ stato un lavoro difficile, tenace, quello di cercare di rispecchiare questo grande patrimonio ideale della democrazia del nostro paese, che passa attraverso spiriti immensi, immensamente più grandi di ciò che noi rappresentiamo.
«Ho financo il pudore di fare dei nomi. Mi si è detto di aver citato solo il nome di Mazzini, ma ciò corrispondeva alle mie intenzioni. Io dovevo partire da uno dei nomi più grandi che registra la storia del pensiero democratico del nostro paese, ma poi, per non commettere ingiustizie per omissione nelle citazioni, ho evitato di collocargli a fianco gli altri grandi.
«Io ho coscienza di aver rispettato la continuità del pensiero democratico. Il mio sforzo è stato solo quello di tradurlo in termini moderni, perché il pensiero democratico, formatosi storicamente in età diverse, può ancora vivere, sta alla nostra responsabilità collocarlo nella società moderna».
Ancora Ugo La Malfa al 32° congresso nazionale repubblicano, del 1975 (quando lascia la segreteria per assumere la presidenza del partito): «Io sono fiero di essere tra di voi, vecchio partito, antico partito, antica nobiltà. Sono fiero e vi ringrazio, con umiltà, di avermi accolto e di avermi dato tante soddisfazioni. Ma anche quello è stato un passaggio glorioso, amici repubblicani.
«Stando tra voi io non posso dimenticare (allora ero giovane) i giovani che alle Fosse Ardeatine sono morti per il Partito d’azione. Essi sono nella mia coscienza, come voi tutti, vivi, siete nella mia coscienza, come i padri del Risorgimento sono nella mia coscienza…
«Nel 1945 io ebbi una lunga e clamorosa polemica con Pietro Nenni, che si può leggere ormai nei libri di storia: io dicevo a Pietro Nenni: Lo schieramento del PSI non può essere accanto al PCI, in nome dell’unità della classe operaia. Noi insieme, repubblicani, azionisti, socialisti, costituiamo una grande forza laica. E se quella proposta fosse stata accolta non avremmo oggi né l’egemonia dei cattolici, né l’egemonia dei comunisti. Avremmo avuto, allora alla vigilia della Costituente, la grande bandiera democratica, laica e socialista, come forza direttrice della democrazia nel nostro Paese. Pietro Nenni mi rispose che per lui l’unità della classe operaia era il valore fondamentale, e che noi non avevamo alcun titolo a questo riguardo…».
Pluralismo ideologico nel Pd’A
Dall’altra parte restava il mito di Emilio Lussu, sardo come me e per questo sentito come un lare, ancorché vivo e attivo negli anni del mio approccio alla politica (lo andai a visitare, nella sua casa di Cagliari, nell’estate del 1972, e fu un incontro luminoso). Avrei avuto modo di approfondire la sua impostazione ed elaborazione nei lunghi anni dell’antifascismo e della costruzione della repubblica.
Così dunque Emilio Lussu nel terzo capitolo del suo Sul Partito d’Azione e gli altri (Mursia, 1968), titolo “Il convegno clandestino del Pd’A a Firenze”: «… a Firenze, il 5 e il 6 settembre ’43, ebbe luogo quello che doveva essere il primo convegno nazionale del Pd’A. Era un convegno, e non un congresso… e il convegno non era neppure propriamente nazionale. Vi mancavano infatti, oltre a molti rappresentanti del Nord e del Centro, tutti i rappresentanti del Mezzogiorno e delle Isole. Il convegno era clandestino… Il primo giorno presiedeva Bauer e il secondo Leone Ginzburg… Delle sedute non venne redatto verbale né fatto l’elenco dei presenti… Qualche gruppetto rimase a Firenze anche il 7, per accordarsi sui collegamenti interregionali…
«I presenti superavano certamente la cinquantina… dal Lazio dieci:… Francesco Fancello… Leone Ginzburg, Ugo La Malfa, Oronzo Reale… Stefano Siglienti, Bruno Visentini, e infine Joyce Lussu ed Emilio Lussu provenienti dall’estero…
«E’ da quel convegno che è derivata la costituzione di un gruppo dirigente, al quale si deve principalmente la guida politica del partito nel momento più critico della nuova situazione che veniva a crearsi…
«Il convegno dimostrò quanto sia difficile, nel lungo periodo di una dittatura di polizia, discutere in molti, trovare una linea politica comune di pensiero e di azione e di concludere, politicamente, fra compagni provenienti da luoghi ed esperienze e cultura differenti… In un partito politico nuovo, e peggio ancora in un nuovo movimento che ha i suoi aderenti dispersi e all’estero e nel territorio nazionale, la formazoine di un’organizzazione centrale collegata a quella periferica, presenta difficoltà pressoché insormontabili…
«Prima di aprire la seduta, a gruppetti si dava uno sguardo al dattiloscritto della breve relazione che era stata distribuita, non in molte copie. Io stesso avevo fatto circolare un diecina di copie dell’ultimo mio stampato clandestino in Francia, La ricostruzione dello Stato, che Joyce Lussu ed io stesso avevamo potuto, col nostro rientro, far passare in Italia. E si scambiavano le idee sul socialismo liberale di Carlo Rosselli, sul liberal-socialismo toscano, sui repubblicani socialisti e sui sindacalisti socialisti, sul PSI, sui ceti medi e sul proletariato…
«La relazione esponeva il programma dei “7 punti”. Il primo comprendeva l’esigenza della repubblica parlamentare con la classica divisione dei poteri… Il II allo stato centralizzato opponeva la riorganizzazione dei comuni e delle province, che venivano mantenute; le regioni vi apparivano autonome in forma indefinita. Era una concezione arretrata, di fronte alla visione federalista-regionale dello Stato italiano, avanzata da GL fin dal marzo ’33, con uno scritto di Lussu approvato all’unanimità… Il III comprendeva da un lato la nazionalizzazione dei complessi industriali e assicurativi, delle imprese a carattere di monopolio e d’interesse collettivo, e dall’altra la proprietà individuale e associata. Era l’economia a due settori del programma GL del 1932… ll IV presentava la riforma agraria, tesa sì a immettere vaste masse di lavoratori nella terra, mentre la mezzadria e l’affittanza si presentavano suscettibili solo di essere trasformate nei loro rapporti… Nel V avevano posto le libere organizzazioni sindacali, con la rappresentanza unitaria delle varie categorie e la partecipazione dei lavoratori agli utili dell’impresa. Nel VI… si affermava la separazione del potere civile da quello religioso. Il VII infine avanzava la necessità della federazione europea di Liberi Paesi democratici…
«Per dare una rapida idea delle divergenze fra i “7 punti” e il pensiero politico di GL così come lo esprimevo nell’opuscolo La ricostruzione dello Stato… ricorderò che Parri… ne era rimasto sensibilmente contrariato. Tale accoglienza non mi aveva particolarmente colpito, per il fatto che lo stesso Carlo Rosselli, che considerava Parri “la sua seconda coscienza”, lo definiva un conservatore illuminato…
«Oltre la sommaria rievocazione del contenuto de La ricostruzione dello Stato, precisavo quello che era il mio pensiero dominante e che più tardi, durante la Resistenza romana, avrei dovuto esporre nei 10 punti a La Malfa e nei 21 al Pd’A e cioè: “GL è l’organizzazione politica degli operai, dei contadini, dei tecnici, degli artigiani, degli intellettuali e di quanti vivono del proprio lavoro. GL dev’essere il partito unitario dei lavoratori italiani senza distinzione di religione, di razza o di sesso”…
«Questi compagni, costituitisi nel Pd’A al di fuori della corrente di GL saranno le minoranze sconfitte al congresso di Cosenza e a quello di Roma… Ritengo che al convegno neppure un terzo condividesse le tesi di Lussu… Dottrine nuove e nuove definizioni sul Pd’A furono esposte da più di un delegato. L’affermazione che il Pd’A dovesse esser la voce della coscienza del partito comunista cui avrebbe dovuto fornire i quadri intermedi, e nello stesso tempo un partito della piccola borghesia cittadina, mi colpì molto, perché dopo la Liberazione una simile enunciazione è apparsa in un libretto d’uno scrittore non ignoto, che si richiamava a Gobetti [Augusto Monti]…
«Altri parlarono del Pd’A come solo grande partito dei ceti medi. Fra quanti parlarono pochissimo, e con idee chiare, vi fu Duccio Galimberti, che presentò la regione come organizzazione diretta di democrazia, a difesa dagli arbitri e dalle offensive dello Stato centralizzato anche se repubblicano.
«A conclusione del dibattito sui “7 punti” si poteva dire che non vi fossero cinque o sei compagni che potessero riconoscersi attorno a una stessa tesi. Neppure attorno a La Malfa che, pur palesandosi tra i più attivi, e ben deciso nelle proprie idee, sembrava pronto a transigere su molti punti, ma non sulla struttura dello stato capitalistico, ordinamento ideale, correggibile ma non sostituibile, della civiltà del mondo moderno…
«Nella sua composizione principale, il convegno era, in modo certo, l’espressione dei ceti medi, ma di ceti medi che, per la prima volta nella storia nazionale, si orientavano verso il socialismo sia pure in forme estremamente differenziate… Solo la libertà costituiva un’aspirazione comune, ma non bastava».
A dire di quella multiformità ideale/ideologica dell’azionismo sarà in anni più recenti anche e ancora Ugo La Malfa, che risponde ad Alberto Ronchey in Intervista sul non-governo (Laterza, 1977): «Nel Partito d’azione vi erano posizioni piuttosto divergenti dal punto di vista ideologico. Vi era una corrente che, sotto l’influenza di Carlo Rosselli e poi di Emilio Lussu, si richiamava al socialismo; un’altra, sotto l’influenza di Calogero, che si richiamava al liberal-socialismo; ancora un’altra, che si poteva definire democratica di sinistra che, attraverso me e altri, si richiamava ad Amendola e culturalmente a Croce; e infine, vi era la corrente discendente dalla tradizione repubblicana, impersonata da Oronzo Reale. Un equilibrio tra queste correnti era stato raggiunto attraverso la formulazione concreta del programma e l’azione politica. Ciò che cominciò a minare l’equilibrio raggiunto fu prima il convegno di Firenze, avvenuto fra il 25 luglio e l’8 settembre 1943, che diede a Lussu possibilità di influire sulla nomina dell’esecutivo del partito che doveva guidare l’azione durante l’occupazione tedesca e poi, dopo la Liberazione, il fatto che il Partito d’azione accettò con molto entusiasmo la presidenza Parri del governo costituito dopo la liberazione del Nord. La caduta di quel governo, per gli errori compiuti, oltre che per l’azione congiunta liberale e democristiana, determinò un pesante strascico polemico nel partito e lo portò ormai diviso al primo suo congresso. Eravamo rimasti nel governo De Gasperi succeduto al governo Parri, come rappresentanti del Partito d’azione, io stesso, considerato rappresentante della frazione non socialista del partito, e Lussu che era considerato il rappresentante maggiore della corrente orientata sul socialismo. Io e Lussu ci eravamo messi d’accordo, alla vigilia del congresso, per non inasprirne le divisioni, e rispettare lo statu quo, ma una gran parte degli altri esponenti si era messa d’accordo per fare il cosiddetto “taglio delle ali”, cioè per relegare in posizioni di minoranza sia Lussu che me. L’operazione non riuscì, poiché Parri si schierò completamente contro Lussu e mi diede quindi la possiblità di confluire nella maggioranza che avrebbe riportato la vittoria. Ma quando Parri sorprendentemente ritirò la sua mozione desistendo dalla battaglia iniziata, e diede a Lussu la possibilità di conseguire la vittoria, si aprì la strada a un’immediata scissione, con l’uscita dal partito di Parri, di me e di altri esponenti».
Pluralismo ideologico in GL
Il punto è sempre questo. Il pluralismo ideale/ideologico e quindi politico nelle formazioni anche di minoranza e perfino di estrema minoranza – nei repubblicani degli anni ’60 e ’70, come negli azionisti del dopoguerra alla “fabbrica della Repubblica” – e più a monte ancora, nel movimento di Giustizia e Libertà.
Ricorda Giuseppe Fiori in Il cavaliere dei Rossomori: «La guida del movimento è affidata a un triumvirato espressivo delle tendenze su cui GL si fonda: Rosselli socialista, Lussu sardista-repubblicano, Tarchiani liberale».
Certamente queste sarebbero state qualificazioni mobili, rivedibili e riviste. Si pensi fra il molto altro al repubblicanesimo socialista di Fernando Schiavetti, che pure era stato segretario nazionale del PRI (e in quanto tale in visita in Sardegna nel 1921) e che attraverso Giustizia e Libertà approderà a convinzioni socialiste e sarà deputato costituente, nel 1946, per gli azionisti ormai tutti di fede socialista. Rimane la varietà iniziale e la ricerca faticosa della sintesi.
Parentesi. Si è sempre parlato, ma non ho il supporto documentario, della appartenenza di Emilio Lussu negli anni della sua iscrizione universitaria, dunque all’inizio del secondo decennio del Novecento, alla sezione repubblicana di Cagliari. E comunque potrebbe dirsi che un certo suo spirito interventista si saldava bene al sentimento diffuso nella democrazia, né liberal-giolittiana, né socialista, né cattolica, del tempo in ordine alla partecipazione dell’Italia al conflitto europeo in chiave antiasburgica, poer il compimento risorgimentale, con Trento e Trieste finalmente nei confini della patria. Da qui e anche, pur dopo i ripensamenti destinati alla summa di Un anno sull’altipiano, che è del 1938, dalla esperienza parlamentare di quattro anni, dalle competizioni elettorali del 1921 e più ancora del 1924 (si pensi al quotidiano Sardegna, cofirmato da Raffaele Angius sardista e Silvio Mastio repubblicano, tutto in chiave lussiana, e si pensi anche alla intervista di Cesare Pintus a Emilio Lussu uscita sulla prima pagina de La Voce Repubblicana), e a quanto ne seguì nell’Aventino, può darsi per coerente quella prossimità repubblicana attribuitagli nel 1929 all’atto della fondazione di Giustizia e Libertà.
Le sintesi di compatibilità si sarebbero cercate negli anni ’40 fra azionismo e sardismo, nel nome di Lussu, con forzature di varia natura, e la maggiore non sarebbe stata quella dell’apparentamento – che pur ebbe la maggior tribuna anche delle polemiche e dei dubbi – ma nel carico di socialismo che Lussu avrebbe cercato di portare all’interno del sardismo, invece storicamente interclassista per origine e ragione.
Anni ’20, il magma combattentista incapace di sintesi
Altre sintesi si sarebbero cercate, e infine però non trovate sotto il profilo puramente politico, dal PSd’A con le altre formazioni cosiddette azioniste del continente nei mediani anni ’20, alla vigilia della dittatura. Tanto più con il Partito Molisano d’Azione. Tutto quel magma politico/ideologico che avrebbe agitato la scena nel dopoguerra e ancora per un lustro circa, combinando l’Associazione Nazionale Combattenti che discuteva della propria apoliticità e il partito cosiddetto di Rinnovamento, nel quale avrebbero trovato spazio la prima pattuglia di deputati sardisti/presardisti eletti nel 1919 con la lista dell’Elmetto nonché appunto le formazioni azioniste, e magari del socialismo contadino, che s’erano affacciate in riviste come Volontà di Vincenzo Torraca – cui dalla Sardegna collaborarono Bellieni e Fancello/Cino d’Oristano e Lussu stesso –, tutto quel magma non avrebbe prodotto una linea chiara, e a monte una soggettività individuabile ed organizzata, della nuova politica contro il montante pericolo fascista.
Nuovi i popolari, e cioè i cattolici che finalmente erano stati sdoganati dalla grande guerra per la partecipazione alla vita delle istituzioni nazionali; nuovi i socialisti, che pur vivevano il contrasto fra tendenze riformiste e massimaliste, e perfino comuniste; divisi nelle strategie e anche nelle tattiche politiche e parlamentari i liberali della galassia comprensiva dei giolittiani e dei nittiani, degli amendoliani e di una destra tutta conservatrice e lealista; restava di fianco a certo riformismo e ai repubblicani di Giovanni Conti e magari di Oliviero Zuccarini – alla cui Critica Politica collaboravano ancora Bellieni e Fancello –, il magma dell’azionismo meridionale ed insulare con le sue istanze autonomiste, restava il magma dell’azionismo ruralista presto allettato e soffocato dal fascismo in vista di farsi regime – anche in Sardegna – sicché le sintesi fra le diverse anime di un’unica famiglia diventarono impraticabili e anzi impensabili.
Negli anni ‘40 la ricerca delle sintesi avrebbe riguardato sardisti ed azionisti, dico gli azionisti del Partito d’Azione, così in politica economica come in politica istituzionale. Ma, è da ripetersi, se questa sintesi poteva trovarsi, tramite Lussu, nelle formulazioni, invero soltanto accennate, autonomiste o federaliste, certo fu un equivoco grande il contagio socialista che il Partito Sardo rifiutò con nettezza soltanto alla fine ma che, subito in non cale, dette risultato al congresso della scissione azionista del 1946, perché vinse Lussu, sedicente (?) leader morale-politico del sardismo, con il suo programma appunto socialista.
E si ha memoria, a questo proposito, dei rimbrotti de Il Solco a Parri, presidente del Consiglio uscente, e uscente anche dal Partito d’Azione insieme con La Malfa e molti altri, Siglienti fra essi. Perché – va ancora rimarcato – il Partito Sardo sosteneva, pur dall’esterno, le posizioni lussiane senza valutare l’alto tasso di socialismo che quelle posizioni contenevano e che esso intimamente avversava. E senza valutare con la giusta freddezza l’ammonimento di Ugo La Malfa che indicava nell’associazione lussiana socialismo-federalismo quasi un ossimoro, una contraddizione in nuce, data l’esperienza storica. (Ben altra la storia negli anni ’60, tanto più nella quarta legislatura repubblicana, della relazione fra sardisti e repubblicani, che avrebbe portato Giovanni Battista Melis al seggio parlamentare e alla vigilanza critica sulla attuazione del piano di Rinascita. Le difficoltà finali non sarebbero state addebitabili in alcun modo alla politica economica ma a quella dello strisciante separatismo di Simon Mossa in uno con la mitologia delle lingue tagliate).
Tutto interno al tatticismo lussiano, la dirigenza del PSd’A non seppe vedere con lucidità tale contraddizione, che si sarebbe rivelata ai loro occhi già fra il 1947 ed il 1948, con la pervadenza classista nel programma di Lussu, così da portare questi alla scissione sardista del luglio 1948 e infine alla confluenza nel PSI.
Il resistente influsso azionista nella prima Repubblica
Certo sarebbe da dire che, pur nella varietà delle opzioni politico-programmatiche, la migliore dirigenza del Partito d’Azione – che verrebbe da dire essere… l’intera dirigenza del Partito d’Azione! – fu segnata da una impronta culturale ed etico-civile di primissimo riguardo, tale da potersi affermare nei più diversi campi, non soltanto politici, della vita repubblicana quale si sarebbe espressa per molti decenni. A darne una rapida (e parzialissima) prova si consideri la nomenclatura:
PRI: La Malfa – Reale – Visentini – Cifarelli
PSI: Lombardi – De Martino – Lussu – M. Berlinguer – Vittorelli (Codignola, Fancello)
PSDI: Calamandrei - Garosci
Sinistra indipendente: Parri – Antonicelli (ex CDR)
Federalisti: Altiero Spinelli
Radicali: Ernesto Rossi – Bruno Zevi – Leo Valiani
Società Umanitaria: Riccardo Bauer
Università: Norberto Bobbio – Guido Calogero – Luigi Salvatorelli – Guido Candeloro – Federico Chabod
Giornalismo: Giorgio Bocca – Francesco Fancello
Letteratura: Carlo Levi
Magistatura: Alessandro Galante Garrone
Corte Costituzionale: Ettore Gallo
Economia: Carlo Azeglio Ciampi – Enrico Cuccia
CGIL: Vittorio Foa
Azionisti/Sardisti anni 1943-1949, rassegna degli episodi
- All’indomani dell’armistizio abbandonano la Sardegna 25mila/32mila soldati della Wermacht il cui comando è presso Collinas/Gonnostramatza (le forze italiane ammontano a circa 130mila uomini)
- I tedeschi “quasi” senza colpo ferire lasciano l’Isola alla volta della Corsica (episodi Ponte Mannu, La Maddalena, affondamento corazzata Roma, ecc.)
- postArmistizio, ricostituzione dei partiti
- gli azionisti cagliaritani targati “GL” (negli avvisi/manchette dei giornali, vedi L’unione Sarda con Cesare Pintus caporedattore) – a Sassari L’Isola defascistizzata con direzione Satta Branca e Riscossa
- Flashback: Giustizia e libertà e Partito Sardo d’Azione: Lussu cofondatore con Rosselli e Tarchiani
- Giustizia e libertà, Centro romano – Fancello-Siglienti (entrambi di origine sardista, Dorgali-Oristano e Sassari)
- Giustizia e Libertà, Sardegna: coordinatore Sassari è Luigi Battista Puggioni, a Nuoro Dino Giacobbe, a Cagliari Cesare Pintus (i primi due di origine sardista, il terzo repubblicano in comunione con il PSd’A: nel 1925 Mazzini celebrato nella sede de Il Solco)
- arresti ottobre-novembre 1930 (la retata di Bauer-Ceva-Parri-Rossi-Luigino Battisti, ecc.): fra Montepulciano e Cagliari arrestati Fancello e Pintus – (Girolamo/Pintus ha scritto a Mariano/Fancello includendovi un messaggio in inchiostro simpatico, procurato da Titino Melis, di Froid/Pintus e Carciofo/Lussu per informarlo della organizzazione ed attività di GL in Sardegna) – ballano i nomi di Sogliola, Mastro, Vescovo… e altri
- in Sardegna arrestati Anselmo Contu – Efisio Liggi – Eugenio Cao – Antonino Lussu – Giovanni Pirisi – Michele Saba (tutti sardisti, l’ultimo repubblicano)
- guerra di Spagna, Giuseppe Zuddas sardista monserratino (Monte Pelato), Dino Giacobbe (batteria Rosselli, 60 italiani e 30 spagnoli, già combattenti nella grande guerra ma anche 17enni) – Lettere d’amore e di guerra, libro curato da Simonetta Giacobbe
- Lussu persona-chiave degli snodi GL-Pd’A-PSd’A
- nel settembre 1943 a Firenze partecipa al gruppo degli aderenti al nuovo Partito d’Azione (vedi Sul Partito d’Azione e gli altri)
- articolazione territoriale dell’azionismo (in parte di ispirazione GL, in parte no): Cagliari/Pintus, Sassari/Berlinguer-Cottoni, inizialmente manca Nuoro (Gonario Pinna è ancora esponente repubblicano)
- l’azionismo sardo acquista una presenza nel Nuorese quando Pinna partecipa, per il PRI, al congresso dei partiti antifascisti (riuniti in CLN provinciali) convocato a Bari nel gennaio 1944 ed apprende (per equivoco) che i repubblicani sono tout court confluiti nel Partito d’Azione
- anticipazione: lettera di Pintus e Pinna a Lussu (estate 1944) sulla realtà sociale-ideale degli azionisti sardi in PSd’A
La lettera-verità di Pintus e Pinna a Lussu, settembre 1944
L’antefatto, in sintesi estrema, è il seguente: Lussu, sulla convinzione che il suo personale carisma avrebbe determinato le scelte sardiste alla ripresa delle libertà politiche, tenta la confluenza del PSd’A nel Partito d’Azione, assicurando che egli stesso sarebbe stato la garanzia della prosecuzione della ispirazione autonomista/federalista del partito nel nuovo contesto nazionale e all’interno della nuova formazione distintasi per il rigore antifascista. Peraltro con lui uomini del livello di Francesco Fancello e Stefano Siglienti ben poteva assicurare la coerenza ideale e politica fra PSd’A e Pd’A. Questa linea egli sostiene al rientro in Sardegna, nei numerosi comizi tenuti nei principali centri isolani. Questa linea viene con argomentazioni stringenti sostenuta da Fancello e Siglienti al congresso di Macomer del Partito Sardo, dove infine, contro le resistenze ed ostilità di una parte apertamente separatista, il grande centro di Mastino-Oggiano-Melis afferma non la confluenza ma la prossimità all’azionismo.
Da parte sua, Lussu, non potendo raggiungere il maggior obiettivo della sperata confluenza (in funzione del rafforzamento del suo indirizzo socialista avverso alla linea dei democratici), rapidamente punta su una subordinata: sarebbero gli azionisti sardi a confluire nelle sezioni sardiste, in cambio del riconoscimento del Pd’A quale referente nazionale (e sulla politica anche internazionale) del Partito Sardo. Sostiene questa scelta, trattandone con i suoi – cioè con gli azionisti sardi – argomentando che il movimento azionista sia costituito, di fatto, nell’Isola, da sardisti militanti prima della dittatura.
E’ appunto a tale giustificazione, ritenuta strumentale, che ribattono Cesare Pintus e Gonario Pinna quando in una lettera a Lussu fanno presente quanto i quadri azionisti isolani, tanto più quelli sassaresi e certamente anche quelli nuoresi, sono estranei alla storia del sardismo, ma vantano altre provenienze.
Ecco il testo della lettera (l’inedito è stato pubblicato nel mio Cesare Pintus e l’Azionismo lussiano, Cagliari, Alternos, 1990: trovai il documento, insieme con tutti gli altri riferiti ai patti che sarebbero stati sottoscritti il 15 settembre 1944 a Macomer, in una cartella riservata custodita da Antonino Lussu, da questi mostratami in occasione di un incontro privato, e concessami con liberalità per i motivi della ricerca, tempo dopo, dal nipote dello stesso dottor Lussu, l’allora giovanissimo Massimiliano Rais):
«Caro Emilio,
«Ho avuto la tua lettera, datata 2 agosto, che ho letto a Gonario Pinna col quale siamo rimasti d’accordo per inviarti la seguente risposta, che devi ritenere come risposta di tutti i nostri compagni delle due province. Non mi è stato possibile recarmi a Sassari per comunicare ai nostri compagni il testo della tua lettera, e quindi questa risposta non li impegna; appena potrò mettermi in comunicazione con loro, mi affretterò a farti conoscere il loro pensiero e le loro decisioni. Rispondiamo, punto per punto, alla tua lettera.
«Hai scritto: “Le costituzioni delle sezioni del partito italiano d’azione sono indubbiamente artificiose. Esse sono, in realtà, sezioni del partito sardo di azione; tutte, nessuna esclusa, a quanto ho potuto personalmente constatare”.
«Non è esatto quanto affermi. Tu hai parlato ai compagni della sezione di Sassari del partito italiano d’azione, per esempio; nessuno degli inscritti a quella sezione ha mai fatto parte del partito sardo e non ne ha mai condiviso le idee. Si tratta in prevalenza di giovani provenienti dal liberalismo, dal socialismo, dal mazzinianismo. Puoi controllarlo quando vorrai. In provincia è la stessa cosa; i sardisti, non appena si è resa possibile la riorganizzazione dei partiti, hanno ricostituito le loro sezioni, che con le nostre nulla hanno mai avuto di comune. I nostri compagni di Sassari (in particolar modo Spano-Satta, Passigli, Merella, Cottoni) hanno svolto in quella provincia attiva propaganda sin dal luglio 1943 ed erano già in precedenza in rapporto con Calogero e con l’ambiente universitario di Pisa, dal quale alcuni di loro provengono, e compilarono e distribuirono opuscoli di propaganda, che nulla, assolutamente nulla, hanno a che fare col programma del partito sardo di azione, e infine, tennero in provincia di Sassari anche molti comizi nei quali illustrarono e diffusero il programma politico e sociale del partito d’azione, che qui in Sardegna – per non essere confuso appunto col partito sardo d’azione, e per non creare degli equivoci – fu chiamato italiano. In seguito è venuta la tua intervista romana, ed è ben naturale che noi, in Sardegna, affermassimo che tu eri uno dei maggiori esponenti del partito italiano d’azione.
«In provincia di Cagliari è avvenuto presso a poco lo stesso, sebbene in tono minore per la impossibilità in cui mi sono trovato di fare opera attiva di propaganda. Ma anche io ho diffuso molta stampa del partito d’azione, e tu, che conosci molto bene le mie origini politiche, non puoi avere dubbio alcuno sul carattere della propaganda che ho svolto e sul fatto che ciò facendo io abbia sempre inteso fare opera ben distinta da quella della propaganda sardista. Le Sezioni nella provincia di Cagliari si sono costituite dopo che i simpatizzanti hanno preso conoscenza ed approvato il programma del partito. Anche con Liggi di Serramanna, come potrai controllare facilmente, ho agito con la massima lealtà; ma siccome conoscevo il suo attaccamento per la tua persona, l’ho consigliato, al fine di evitare prevedibili sbandamenti pericolosi verso destra, di costituire la sezione del partito italiano di azione con l’intesa esplicita che al tuo arrivo in Sardegna tu avresti sul posto chiarito la situazione. Lo stesso linguaggio ho tenuto nel Gerrei.
«Ma a Solarussa, a Ghilarza, a Sorradile, ad Ardauli, ed in tutta la zona del bacino del Tirso si sono costituite delle sezioni del partito italiano d’azione, e ti posso assicurare che gli inscritti non sono molto favorevoli all’idea di fondersi con i sardisti.
«Hai scritto: “A mio parere, tutte le sezioni del partito italiano d’azione debbono subito riprendere la loro vera forma e chiamarsi partito sardo d’azione”.
«In queste condizioni, né io, né Antonino Lussu, né Gonario Pinna, né molti compagni delle tre province, avremo rapporti con i dirigenti sardisti: è chiaro. E nessuno di noi pronuncerà mai una parola contro l’unità dello stato italiano, né farà mai propaganda di separatismo. Il tuo ritorno fra noi è quindi necessario, come forse sarebbe stato necessario che io e Pinna fossimo andati a Cosenza. Non siamo partiti perché dopo le tue dichiarazioni di Samassi e dopo la protesta di Puggioni sulla stampa, e soprattutto dopo i risultati del congresso di Macomer, noi non sapevamo se potessimo essere i veri rappresentanti del partito d’azione in Sardegna.
«Ma veniamo per un momento al congresso sardista di Macomer. Credo sia stato informato su quanto è accaduto e conosca l’ordine del giorno che è stato votato. Esso non poteva essere diverso, perché la questione dei rapporti fra i due partiti e le possibilità di una fusione avrebbero dovuto essere trattate con calma e senza forzare i tempi, come si è fatto. Noi comprendiamo che tu avevi bisogno di portare al Congresso di Cosenza l’adesione del partito sardo (i 50.000 voti di cui ha parlato Schiano) per far trionfare la tua tesi che è anche la nostra; ma devi pur riconoscere che in fatto di chiarificazione non si è fatto un passo avanti, e si è giunti all’assurdo di stilare un ordine del giorno, pieno di riserve e di contraddizioni, che, se fosse stato letto a Cosenza, avrebbe suscitato viva ilarità.
«Lasciamo stare l’astuzia dei sardisti a Macomer, per poterci in un prossimo avvenire chiudere la bocca, provvedendo con la massima urgenza alle nomine dei comitati e fiduciari regionali, provinciali e di zona. Nessuno di noi ambiva a cariche; per quanto riguarda me e Pinna, puoi esserne assolutamente sicuro. Ma sta di fatto che con l’ermetica chiusura dei quadri, votata (ed in che modo Dio solo lo sa!) nel congresso di Macomer, il nostro apporto nel partito, e cioè la nostra opera di propaganda in favore del programma del partito italiano d’azione, sarebbe stato reso impossibile. Stando così le cose, io, Pinna, ed i compagni di Sassari, ci riuniremo presto e decideremo sul da farsi. Questo è, in sintesi, quanto avevamo il dovere di rispondere alla tua lettera.
«Caro Emilio, ti sono molto grato per le buone parole di personale attaccamento e sai bene quanto grande sia il mio affetto per te. Ma siccome hai voluto accennare alla mia situazone politica particolare, mi permetto di dirti che essa è chiarissima. E’ la stessa del povero Silvio Mastio, che, se fosse fra i vivi, direbbe a te la stessa cosa che io ti dico. E non insistere, ti prego, sulla questione Puggioni. E’ una questione mia personale, che non tocca altre persone e che non ha niente a che fare con la fusione dei due partiti. Per me essa è chiusa, definitivamente chiusa.
«Saluti cordialmente dal tuo.
«Post scriptum – Io, Pinna, e credo, anche Cottoni, siamo sempre disposti di venire a Roma, entro il giorno 20 settembre, per conferire in proposito con te e con l’Esecutivo del partito. Natualmente, dovreste prenotarci i posti sull’aereo per l’andata e per il ritorno. Grazie».
Il quadro politico nazionale fra 1943 e 1944
- cos’è questa realtà politica nazionale-italiana dell’azionismo? in breve, nel 1942 – in clandestinità, poiché il fascismo è ancora al potere – i gruppi milanesi costituisi attorno a Ferruccio Parri (Edison, dopo la carcerazione, nuovamente arrestato febbraio 1942) ed a Ugo La Malfa (Comit, dopo la carcerazione del 1928) si danno convegno, con compagni di varie città (censiti da Ragghianti incaricato da Parri):
- dapprima a Milano (presente Siglienti) per approvare i “7 punti”,
- poi a Roma a casa Comandini
- (mancano liberalsocialisti di Calogero/gruppo Pisa, arrestati – necessari per La Malfa, pur anticrociani)
- la linea (Vinciguerra) è:
1) la questione sociale si affronta soltanto in una dimensione politica (istanza democratica) e
2) la mediazione fra liberalismo e socialismo si realizza “nel fare del governo”
- 1943, dopo la caduta del fascismo e il rientro di vari GL (Lussu compreso) dall’estero, altre riunioni e in progress entrano elementi di socialismo – incontro di Firenze
- prosegue la guerra fra nazi-fascisti e anglo-americani
- . liberazione di Napoli (settembre 1943)
- . liberazione di Roma (4 giugno 1944)
- . proseguiranno Firenze (agosto 1944)
- . e oltre la linea gotica nell’aprile 1945 Bologna, Genova, Torino, Milano, Venezia
- . intanto episodi della resistenza e carneficine nazi-fasciste (stragi 1944: Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto, ecc.)
- . brigate Mazzini e brigate GL
- esce in clandestinità L’Italia libera (direzione Fancello) – pubblicato nel gennaio 1944 Il Partito d’Azione nei suoi metodi e nei suoi fini (Fancello, quaderni de L’Italia libera), magna charta dell’azionismo: “Il Partito d’azone tiene pertanto a collegarsi alle più nobili tradizioni morali del nostro Risorgimento, e segnatamente ai motivi perenni che vivono nell’insegnamento di Giuseppe Mazzini”
- Lussu, Ines Berlinguer e Fanuccio Siglienti (Ai Nipoti)
- Siglienti via Tasso arrestato novembre 1943, liberato marzo 1944 – poi ministro CLN!
- a livello nazionale la vita del Partito d’Azione si snoda, fra 1944 e 1945, su quattro fronti:
. quello di continuazione nella lotta anche militare al nazifascismo (fino al 25 aprile 1945)
. quello di continuazione nella solidarietà del CLN e partecipazione ai governi (meno al Bonomi2)
. quello di definizione della propria proposta politica complessiva
. quello del contrasto ideologico fra l’anima democratica e quella socialista
- luglio 1944, Lussu torna in Sardegna (dopo 17 anni), nei suoi comizi affaccia il socialismo
- dopo la liberazione di Roma primo governo CLN Bonomi esapartito (con Pd’A, Siglienti alle Finanze)
- i governi CLN semestrali (Bonomi 2 senza Pd’A-PSI), Parri (post 25 aprile 1945), De Gasperi
- luglio 1944, VI congresso sardista a Macomer con ospiti Fancello e Siglienti e grande centro Mastino-Melis
- agosto 1944, congresso Partito d’Azione (meridionale) a Cosenza:Lussu afferma il carattere socialista del Pd’A (“il nostro socialismo non è quello tradizionale, marxista e classista, ma scaturisce da profonde esigenze etiche, da una visione umana e spritualistica del mondo sociale, un socialismo che deve essere considerato in funzione di libertà”) – invece La Malfa sostiene che “il Pd’A postula il superamento storico del liberalismo e del socialismo in una creazione rivoluzionaria di libertà e di giustizia”)
- su Riscossa ne scrive Salvatore Cottoni
- la corrente liberal-democratica o democratica tout court, o riformatrice (non riformista) pone il centro della libertà (come storicamente ha fatto la democrazia che antepone la riforma politica a quella economica) nell’istituzionale e nel civile – il “partito della democrazia” di Salvatorelli
- la corrente socialista, oltre ai postulati politico-istituzionali introduce in una pari dignità l’istanza sociale
- sul piano delle dottrine politiche: la differenza fra il filone democratico e quello liberale e/o socialista: il centro della libertà nell’istituzionale (suffragio universale, repubblica, autonomie territoriali, separatismo Stato/Chiesa) piuttosto che nell’economico (libertà d’intrapresa, unità di classe)
- la tavola dei 7 punti media fra le due impostazioni, delineando uno stato repubblicano-democratico-laico-autonomista (abbattimento Stato centralista e burocratico)-ad economia mista (con riforma agraria e nazionalizzazioni grandi complessi industriali-finanziari-assicurativi monopolistici con prevalente interesse pubblico)-europeista
- elaborato nel 1942 (e pubblicato nel gennaio 1943), da Ugo La Malfa e Adolfo Tino – Comit – e Carlo Lodovico Ragghianti
- in vista del congresso di Cosenza i 7 punti diventano, per mano di Lussu e altri, 16 punti, marcando un’espansione dei postulati socialisti – nel congresso sono illustrati da Francesco De Martino
- importa rilevare le coerenze istituzionali (repubblica, autonomie, laicità) e di respiro internazionale (europeismo: il Manifesto di Ventotene è del 1941, pubblicato nel 1944), e la maggiore nettezza dei postulati economici del secondo documento
- la questione sardista è il “collegamento”, la questione azionista è il “socialismo”
I programmi del Partito d’Azione
I 7 punti
1°) In considerazione del fallimento monarco/fascista responsabili dello della rovina dello Stato, si rende necessario un rinnovamento totale delle Istituzioni dello Stato con una democrazia Repubblicana per il ripristino delle libertà politiche,civili e sindacali.
2°) La separazione dei poteri dello stato.
3°) L’abbattimento dello Stato centralista e burocratico a favore delle autonomie degli enti locali.
4°) La nazionalizzazione dei grandi complessi industriali,finanziari e assicurativi aventi carattere monopolistico e di rilevante interesse collettivo.
5) La riforma agraria con la revisione dei patti colonici
6) La laicità dello Stato
7) Gli Stati Uniti d’Europa
Questi punti programmatici vengono considerati massimalisti dal Mario Paggi e Sergio Fenoaltea e moderati dalla corrente liberal-socialista di Guido Calogero e di Tristano Codignola. Più severo il giudizio di Emilio Lussu.
Per attenuare i pesanti giudizi sul programma, Ugo La Malfa, Guido Calogero e Carlo Ludovico Ragghianti pubblicano una precisazione:
Facciamo nostra la rivendicazione e l’ulteriore promozione di tutti quelli quegli istituti della libertà democratica che hanno assicurato il fiorire dello Stato moderno,ma siamo convinti di potere procedere in tal senso solo affrontando e risolvendo insieme anche il problema sociale. Vogliamo che agli uomini siano assicurate non soltanto le garanzie istituzionali,giuridiche e politiche della libertà,ma anche le condizioni economiche,che permettano ad essi di valersene per la piena espansione della loro vita Alla libertà di parola e di voto, non vogliamo che si accompagni la libertà di morire di fame.
I 16 punti – Dopo le critiche al programma dei 7 punti,viene preparato con il concorso soprattutto di Emilio Lussu,un nuovo documento di 16 punti in cui compare per la prima volta il termine “socialismo”
1°)Il Partito d’Azione è un movimento politico ispirato all’unità inscindibile fra la libertà politica e la giustizia sociale, dove confluiscono le più vitali correnti repubblicane, socialiste, liberalsocialiste e di radicalismo liberale, che in Giustizia e Libertà avevano già iniziato il loro processo di unificazione.
2°) Il Partito d’Azione aspira alla fondazione di una società di uomini liberi,in cui l’uguaglianza politica e sociale di tutti i cittadini segni la fine di ogni oppressione dell’uomo sull’uomo. Il Partito d’azione è perciò innanzi tutto l’interprete delle aspirazioni di giustizia e libertà dei lavoratori: operai, contadini,artigiani,tecnici, intellettuali e quanti altri vivono del proprio lavoro senza sfruttare il lavoro altrui. Ma i lavoratori hanno appreso dalle passate esperienze che quelle aspirazioni,motivo vitale del socialismo, non possono realizzarsi nel quadro dei principi e metodi tradizionali dei vecchi partiti.
3°) Il Partito d’Azione pertanto imposta il problema della democrazia e delle realizzazioni socialiste su di un piano nuovo e concreto di trasformazione strutturale della vita italiana,nell’ambito della presente realtà storica. Esso s’impegna con spirito realistico ma con estrema risolutezza a costruire il nuovo ordine democratico che realizzi il pieno sviluppo della personalità umana, e attui il principio che il lavoro è un diritto e un dovere per tutti.
4°) Il Partito d’Azione combatte la monarchia considerandola necessariamente legata alla reazione,sia come forma istituzionale,sia come realtà concreta nella vita dello Stato italiano.
5°) Il Partito d’Azione propugna una costituzione repubblicana e democratica che garantisca ai cittadini la libertà di parola,di stampa,di associazione,di culto; l’eguaglianza giuridica di razza,di religione,di sesso,nonché il pieno esercizio della sovranità politica attraverso istituti fondati sul suffragio universali.
6°) In diretto rapporto coi postulati di libertà e di autonomia il Partito d’Azione propugna una radicale trasformazione di tutte le burocrazie e della polizia mediante il controllo e le limitazioni delle varie competenze. Una magistratura spogliata da ogni spirito di classe e di casta e costituzionalmente garantita nella sua indipendenza, offrirà sicura difesa ai diritti individuali ed eserciterà il controllo di legittimità sull’attività dell’esecutivo e di tutta la pubblica amministrazione, nei complessi rapporti politici e sociali sorgenti dal nuovo ordine democratico.
7°) Il Partito d’Azione addita nell’ordinamento privatistico dei maggiori complessi aziendali uno dei fattori più diretti dell’alleanza fra borghesia plutocratica e fascismo e della conseguente politica corporativa la quale, aggravando lo sfruttamento dei ceti proletari e piccolo borghesi,ha finito per coinvolgere nella stessa rovina anche le medie imprese e la media borghesia. Il Partito d’Azione propugna perciò la trasformazione di quei grandi complessi in imprese di interesse pubblico. La loro immediata socializzazione abbatterà il dominio della reazione fascista e promuoverà l’addestramento degli operai e tecnici alla gestione diretta delle aziende, nell’interes-se della produzione e del consumo e sotto il controllo della pubblica amministraz.
8°) Il Partito d’Azione propugna una economia organizzata su due coesistenti setto-ri, uno a gestione pubblica dei grandi complessi industriali, commerciali, finanziari, assicurativi e fondiari, l’altro a gestione libera – individuale,cooperativa o altrimenti associata – nel quale si cimentino il rischio e lo spirito di iniziativa personale.
9°) L’intero sistema delle aziende,socializzate o private, dovrà assicurare adeguato tenore di vita ai lavoratori e sostenere il peso di moderni servizi di assistenza e di previdenza. Nelle aziende private si attuerà il controllo degli operai, impiegati e tecnici attraverso commissioni interne,le quali,oltre a esercitare compiti di tutela sociale e di applicazione degli accordi sindacali, assicureranno ai dipendenti la conoscenza dello stato economico dell’azienda e li faranno partecipare alla pratica gestione.
10°) Il Partito d’Azione riafferma il postulato della terra ai contadini.
11°) Il Partito d’Azione propugna immediate misure di espropriazione senza indennizzo necessarie per la liquidazione della plutocrazia reazionaria complice del fascismo, anche in rapporto alla politica socializzatrice, nonché un regime fiscale e successorio che incida radicalmente sui grandi patrimoni e ne impedisca la ricostituzione. Nel quadro delle ridotte dimensioni patrimoniali, la pubblica finanza dovrà essere alimentata da un sistema di imposte a carattere progressivo che, pur non menomando la produttività delle piccole e medie imprese e dei relativi investimenti,riduca la sperequazione dei redditi.
12°) Il Partito d’Azione assegna al nuovo Stato il compito di un piano di ricostruzio-ne nazionale che dovrà essere inquadrato in un piano europeo e mondiale di più razionale distribuzione delle materie prime,delle industrie produttive,dei traffici e delle forze del lavoro. Tale coordinamento economico,il cui fine deve essere di sviluppare al massimo la circolazione libera degli uomini e delle merci sulla terra, è alla base del nuovo ordine democratico internazionale.
13°) Il Partito d’Azione dichiara la riforma della scuola di interesse essenziale per l’avvenire del Paese. Sta al centro di questa riforma il rinnovamento dei metodi educativi in speciale modo di quella umanistica e faccia meglio valere nella scuola le esigenze delle vita e prepari nell’uomo non solo il professionista ma anche il cittadino.
14°) Il Partito d’Azione ritiene incompatibile con la libertà religiosa e l’eguaglianza dei culti di ogni regime di religione o Chiesa di stato. Afferma che lo Stato deve riconoscere alla Chiesa cattolica,come alle altre Chiese,indipendenza di organizzazione e di azione entro i limiti della legge comune. Auspica la partecipazione di tutte le forze spirituali del paese all’opera di ricostruzione,che non deve essere soltanto economia e politica, ma anche profondamente morale.
15°) Il Partito d’Azione, constata una identità di problemi politici e sociali in tutti i paesi devastati dal nazifascismo ed individua nella loro comune soluzione il maggiore contributo all’unificazione europea nel quadro di una intesa mondiale.
16°) Il Partito d’Azione afferma che il successo del fascismo in Italia ed in altri paesi europei costituisce un avvenimento la cui importanza deve mantenere perenne valore di insegnamento e di monito. In rapporto a tali esperienze esso considera egualmente interessati all’instaurazione e al consolidamento della democrazia il proletariato operaio e contadino e gli altri multiformi ceti produttivi non proletari: per essi tutto lo Stato democratico deve essere aspirazione,conquista e difesa comune. Ma afferma altresì che senza profonde trasformazioni strutturali sociali e politiche del Paese, per cui profonde masse di lavoratori in ogni categorie partecipino direttamente alla vita dello Stato democratico, la democrazia sarebbe attaccata e demolita dalla risorgente reazione. Il Partito d’Azione favorirà pertanto la formazione di un fronte unico del lavoro nel quale riafferma la sua posizione d’avanguardia.
Le distanze di formazione fra La Malfa e Lussu
- Lussu – dall’ANC al sardismo rivoluzionario alle debolezze del 1923 nel Cons. provinciale, alle deputazioni del 1921 e del 1924, all’arresto 1926, Buoncammino un anno, confino a Lipari 1927-1929, fuga (con Carlo Rosselli e Francesco Fausto Nitti) per la Francia, fondazione GL con Rosselli e Alberto Tarchiani, Alberto Cianca, ottobre 1943 certifica identità GL/Pd’A …
- entrambi ministri del governo Parri (Trasporti – Assistenza postbellica)
- La Malfa – da Democrazia Sociale di Silvio Trentin (radicalismo riformulato nel primo dopoguerra) all’amendolismo (Unione Democratica Nazionale del 1925), all’arresto del 1928, all’esperienza professionale al centro studi della Comit, all’azionismo riformatore (1942, Tino, Ragghianti) con riferimento il new deal e certo labourismo inglese, interessato al cattaneismo in quanto al pragmatismo economico, al mazzinianesimo in quanto alla tensione nazionale, ad entrambi in quanto all’europeismo
La nomenclatura Pd’A, fra governo, Consulta e Costituente
Così, schematicamente, può rappresentarsi la dirigenza del Partito d’Azione fra 1944 e 1946:
- azionisti nei governi di CLN
.anteCLN-Badoglio – Adolfo Omodeo (Educazione Nazionale), Alberto Tarchiani (LL.PP.) – sottosegretari: Filippo Caracciolo (Interno)
. Bonomi 1 – Alberto Cianca (senza portafoglio), Guido De Ruggiero (P.I.) e Stefano Siglienti (Finanze) – sottosegretari: Sergio Fenoaltea (presidenza), Giuseppe Bruno (LL.PP.) e Antonio Ramirez (Marina)
. Bonomi 2 – non partecipa il Pd’A
. Parri (presidente, Interno e Africa italiana) – Ugo La Malfa (Trasporti), Emilio Lussu (Assistenza postbellica: qui s.segr. Mario Ferrara) – sottosegretari: Pietro Mastino (PSd’A, Tesoro, danni di guerra), Giuseppe Bruno (LL.PP.), Carlo Lodovico Ragghianti (P.I.), Ernesto Rossi (Ricostruzione)
- .De Gasperi/Nenni – Ugo La Malfa (un mese, poi Mario Bracci – Commercio con l’estero; id Ricostruzione, subito soppresso), Emilio Lussu (un mese, poi Alberto Cianca – Consulta nazionale) – sottosegretari: Bruno Visentini (Finanze), Giuseppe Bruno (LL.PP.), Pasquale Schiano (Marina), Riccardo Lombardi (Trasporti), Pietro Mastino (PSd’A, Tesoro, danni di guerra)
- azionisti nella Consulta nazionale (da settembre 1945 – presieduta da Sforza, in Badoglio e in Bonomi 1): nominati dal governo Parri 304 consultori di cui 156 politici, altri tecnici, reduci, sindacalisti, ex parlamentari – gruppi paritetici- lavorano 10 commissioni
- i consultori azionisti includono il sardista Luigi Battista Puggioni (poi dimissionario)
- gli azionisti sardi sono Lussu, Berlinguer, Fancello, Siglienti e la Bastianina Martini Musu (+), inoltre Mastino – dei gruppi politici gli azionisti hanno più sardi (7): DC 3 (Delitala-Maxia-Segni) – PCI 2 (Spano-Virdis) – PSIUP 2 (Giua-SattaGalfrè) – PLI 1 (CoccoOrtu) – DL 2 Sotgiu-Stangoni)-
- maggio 1946, proposta degli azionisti sardi Berlinguer-Fancello-Siglienti di estendere alla Sardegna lo statuto siciliano, ma la Consulta regionale (e la componente sardista nonostante delibera del direttorio PSd’A) sono contrari – ne dirà Giovanni Battista Melis negli appunti autobiografici
- i sardi leader dell’azionismo nazionale si possono distinguere in due filoni: amendoliani (Mario Berlinguer) e sardisti (Francesco Fancello e Stefano Siglienti, cognato di Berlinguer, oltre che Lussu)
- Mario Berlinguer avvocato, è cresciuto in una famiglia repubblicana (Enrico Berlinguer sr – La Nuova Sardegna – l’Unione Popolare), è stato consigliere provinciale prima del fascismo, deputato nel 1924 nella lista di democrazia liberale (Cocco Ortu), amendoliano della Unione Nazionale (dove incontrò il giovane La Malfa)
- nel 1944 per breve tempo è aggiunto di Carlo Sforza come alto commissario per l’epurazione (dopo Tito Zaniboni); nel 1945 vicepresidente della commissione Giustizia della Consulta Nazionale
- Francesco Fancello, già medagliato della grande guerra, dirigente ospedalità pubblica a Roma, ha collaborato col Solco e Critica Politica e Volontà (con Bellieni e Lussu, e Parri; socialismo contadino) – arrestato nel 1930 (in cella con Pintus a Civitavecchia), dieci anni di carcere, poi Ponza e Ventotene – consultore nazionale, romanziere (Il diavolo tra i pastori, Il salto delle pecore matte/Francesco Brundu)
La questione Puggioni interna al PSd’A
Si situa nel contesto del dibattito politico circa il prossimo ordinamento repubblicano ricettivo delle istanze autonomistiche dei territori più periferici, una lettera del consultore nazionale di matrice sardista, ma in quota azionista, Luigi Battista Puggioni al direttore regionale del PSd’A Giovanni Battista Melis.
Il tenore della lettera bene inquadra le questioni dibattute e di dissenso interno al Partito Sardo. E’ ancora Lussu, sul doppio cavallo romano e sardo, ad ispirare – stavolta senza influssi ideologici socialisti, ma sullo stretto fronte istituzionale – la linea del PSd’A su un piano realistico e positivo.
Le aspettative insieme romantiche e autoreferenziali (di un sardismo, o di una Sardegna autorefenziale) espresse da Puggioni non hanno seguito, e la conseguenza è nella sua dichiarazione di rinuncia allo stallo di consultore a Montecitorio.
La denuncia e la rinuncia di Puggioni non avranno conseguenze pratiche e l’avvocato sassarese (nativo di Ozieri, legatissimo a Bellieni) resterà nel gruppo dirigente del Partito Sardo e fra i più attivi suoi apostoli anche con la scrittura (firmandosi più spesso Sardo Patore, così anche nel numero speciale dedicato alla Sardegna dalla prestigiosa rivista Il Ponte, a direzione Calamandrei – il già azionista Calamandrei –, nel 1951). Resta di Puggioni l’ottima antologia di scritti curata da Luigi Nieddu per i tipi di Fossataro nel 1962: Luigi B. Puggioni e il PSd’A.
Reperii la lettera, senza data ma databile forse al 31 dicembre 1945 o al capodanno 1946, nei primissimi anni ’90, presso l’archivio Mastino, per la liberale disponibilità dell’allora giovanissimo Martino Salis, pronipote del senatore:
«Caro Melis, la decisione del Direttorio Regionale del Partito di sottoporre all’approvazione del Governo o dell’Assemblea Costituente, e cioè dello Stato Italiano, l’ordinamento interno della regione autonoma significa una cosa molto grave, che avrà le sue conseguenze funeste nell’avvenire.
«Significa che la libera Sardegna non si costruisce alla base per libera decisione del popolo sardo, in piena ed incontrastata sovranità, ma viene creata artificialmente con un provvedimento che cade dall’alto come una graziosa elargizione.
«A mio avviso l’ordinamento regionale deve essere il frutto di una elaborazione dell’Assemblea Costituente Sarda entro i limiti di sovranità che le saranno stati assegnati.
«Comprendo bene, e vi consento, che la carta statutaria che consacri le competenze dell’ente autonomo regionale, e fissi le attribuzioni ed i limiti dei poteri dello Stato nazionale non possa essere il frutto che di un compromesso fra la regione e la nazione, ma, una volta compiuta questa netta divisione di poteri e di attribuzioni, deve cessare ogni ingerenza del potere centrale nella vita regionale.
«Questo principio fondamentale che sta alla base della dottrina del partito, che tutti noi abbiamo sempre illustrato, difeso e divulgato, che è in sostanza tutto il nostro partito, dalla decisione del direttorio nella notte del 30 dicembre 1945, è non soltanto snaturato, ma distrutto.
«Pertanto, il dissenso insorto fra me e Lussu (che, infine, gli altri membri presenti del direttorio hanno creduto di seguire) non è un contrasto di puro dettaglio, ma di due concezioni antitetiche, ed inconciliabili malgrado ogni accorgimento formale per superarlo. Durante la lunga ed ostinata discussione credo di aver chiarito il mio pensiero, e, rientrato da Nuoro, ho continuato a riflettervi profondamente.
«In sostanza, nessuno ha conestato l’esattezza e la vertià della mia concezione, nessuno ha contestato che questa esprimesse il pensiero genuino del partito e lo spirito della sua dottrina, ma Lussu ha dichiarato che, nell’attuale momento storico e politico del paese, non era neppure pensabile che essa potesse trionfare; che il proposito di una costituente sarda per la creazione dell’ordinamento interno regionale sarebbe un nonsenso, una volta che non vi era stata una rivoluzione sarda.
«Era quindi necessario e fatale il compromesso da lui proposto. A me appare, attualmente e storicamente, inesatta l’affermazione che ogni assemblea costituente, anche quella modesta per la formulazione di un ordinamento interno regionale, sia stata e e debba essere preceduta da una rivoluzione.
«Recentemente la Francia ha avuto la costituente senza una rivoluzione e nel maggio prossimo l’Italia avrà la sua, pure senza una rivoluzione. Rivoluzione o no, è la concorde e decisa volontà dei popoli quella che conta.
«Codesta volontà il popolo sardo la possiede ed è assai grave che voi, invece di rafforzarla e guidarla alla sua naturale conquista, la vogliate snaturare e deviare, attraverso un ben strano compromesso.
«Tutto è compromesso oggi in Italia, ha detto Lussu.
«Si voleva la monarchia e si ha la luogotenenza; si voleva l’epurazione radicale e se ne ha una addomesticata.
«Così deve essere per la Sardegna: si voleva un’autonomia conquistata dal basso col concorso effettivo del popolo sardo, ma conviene accontentarsi di un’autonomia concessa dall’alto. Una specie di repubblica per decreto reale.
«E’ il medesimo errore commesso durante il risorgimento, per lo statuto e per l’unità attraverso la conquista regia di cui anche oggi stiamo assaporando i frutti amarissimi.
«L’ordinamento interno della Sardegna approvato dalla Costituente significa un ordinamento concesso dallo stato centrale, significa l’impossibilità per il popolo sardo di modificarlo quando ne riconoscesse l’opportunità, significa spostare la fonte della sovranità legittima e quindi aprire la porta a più facili usurpazioni di potere nell’avvenire. Significa anche spezzare lo slancio vitale e spegnere l’orgoglio e l’amore dei sardi per i propri liberi ordinamenti.
«Il popolo sardo in avvenire, in un momento di pericolo, non sarebbe affezionato alle proprie istituzioni e non sarebbe deciso a combattere e a morire per la loro difesa, non avendo concorso a crearle; così come gli italiani non hanno difeso la vecchia costituzione perché non era la loro costituzione.
«Ed è per me estremamente doloroso il constatare come tanti vecchi e fedeli amici del partito non abbiano compreso l’importanza decisiva di questo fattore spirituale.
«Ed infine, quale sarebbe il valore pratico di questo compromesso? Io affermo che esso, non solamente ci costringe all’abbandono definitivo della nostra dottrina per una conquista snaturata e senza vitalità, ma è anche un imperdonabile errore tattico.
«Non si può iniziare la lotta con un compromesso che spegnerebbe ogni entusiasmo ed ogni spirito combattivo, che svuoterebbe di ogni contenuto serio e profondo la conquista da realizzare.
«Se un compromesso si dovesse rendere necessario, esso dovrebbe essere accettato solamente quando l’esito della lotta dovesse apparirci assai difficile o incerto. Ma la lotta non è ancora iniziata.
«La battaglia per la costituente darà la misura delle nostre forze, esprimerà l’ampiezza della volontà del popolo sardo, e noi abbiamo il preciso dovere di non impegnare il suo avvenire con un compromesso che annulla in partenza il valore di una sua eventuale vittoria.
«Penso altresì che il direttorio non abbia il diritto statutario e morale di capovolgere e deformare il programma e la dottrina del partito proprio alla vigilia della battaglia decisiva.
«Avrei tante altre cose da dire, ma mi pare di aver scritto abbastanza per spiegare la decisione alla quale sono giunto.
«Non intendo rinnegare quanto ho creduto e detto per venticinque anni, e che ha dato un senso alla mia battaglia.
«Il farlo, l’accettare un compromesso mi sembrerebbe un annullamento della mia personalità ed un danno all’avvenire della nostra Sardegna. Non dubito della vostra buona fede e del vostro sincero attaccamento per la nostra terra, ma vi ritengo traviati da un grave orrore e non mi sento più di seguirvi sulla via che avete intrapreso.
«Auguro alla vostra sempre nobile fatica ogni migliore successo, però, personalmente rinunzio ad ogni attività politica pur restando sempre come gregario oscuro e nodesto, nelle file del partito.
«La conservazione della tessera significa che mi asterrò da qualsiasi azione di critica e di propaganda che possa turbare il vostro lavoro e indebolire la vostra opera.
«Non sono, come qualcuno pensa e dice, il debole millantatore, il ridicolo rugantino romano.
«Quando il dovere me lo impone, ed è dovere sacro non tradire mai la propria coscienza, so assumere le mie responsabilità e fare le mie rinunzie, senza ricerca di effetti teatrali.
«Ti prego di provvedere alla mia sostituzione come consultore nazionale poiché dichiaro di dimettermi dalla carica di cui la vostra fiducia mi ha onorato e ti sarò grato se vorrai dare conoscenza al direttorio di questa mia lettera nella prossima riunione di Macomer.
«Poiché ne avevo già preso impegno, e non voglio deludere ancora una volta gli amici che mi attendono, il giorno sei gennaio andrò a La Maddalena ove pronunzierò il mio discorso di addio alla politica militante. Credo che la presente dovrà essere inserita fra gli atti del direttorio regionale.
«Con immutato affetto, sempre tuo, Luigi Battista Puggioni».
Le compatibilità (o no) fra azionismo e sardismo
- misurerà la anomalia della elaborazione sardista nel 1946-47-48 la prossimità politica (soltanto in nome del federalismo, istanza peraltro impraticabile nel dopoguerra e ancora per lunghi anni) con Lussu (polemica con Parri) mentre si conferma l’interclassismo del PSd’A
- 15 settembre 1944, Macomer – Lussu promuove gli accordi Pd’A sardo/PSd’A (confluenza azionista in Sardegna, Pd’A riferimento nazionale e internazionale del PSd’A)
- il collegamento del PSd’A con il Pd’A sarà trattato ancora nel congresso PSd’A di Oristano del 1945 (solo Lussu è autorizzato alla doppia tessera – ai sardisti che risiedono sul continente si concede il tesseramento al Pd’A: Fancello e Siglienti, non Berlinguer mai stato sardista)
- più sfumati o inesistenti ai congressi PSd’A del 1947 e del 1948 a Cagliari, perché intanto il Partito d’Azione si è diviso fra democratici riformatori (La Malfa-Parri-Reale-Visentini—Siglienti) e socialisti (Lussu-Lombardi-De Martino—Fancello)
- luglio 1944 (fino al dicembre 1946) l’esperienza di Riscossa (direttore Francesco Spanu Satta, Michele Saba fra gli articolisti e rubricisti più autorevoli) e gli altri giornali di partito nell’Isola, non repubblicani e non azionisti
- congresso di Roma del febbraio 1946 – rottura, scissione dei democratici
- costituzione del gruppo Democrazia Repubblicana, poi federato con altri gruppi: Dorso, liberali progressisti ecc. e confluito nella Concentrazione Democratica Repubblicana, 2 eletti alla Costituente
- settembre 1946, ingresso di La Malfa e Parri (e altri) nel PRI storico di Pacciardi e Conti
Gli azionisti e la Costituente, poi la confluenza nel PSI
- Lussu ormai egemone nel Partito d’Azione, ma minoranza nel PSd’A
- alle elezioni della Costituente eletto con Mastino: dibattito interno al PSd’A, laicismo (strumentalizzazioni DC, lettera-report di Marianna Bussalay a Mastino) – PSd’A distinto dal Pd’A (il quale non presenta lista in Sardegna)
- però gruppo unitario “delle autonomie”:i due sardisti Lussu e Mastino a Montecitorio insieme con i sette azionisti eletti: Cianca, Calamandrei, Codignola, Foa, Lombardi, Schiavetti, Valiani - ed al valdostano Giulio Bordon
- gli eletti repubblicani sono 23, più La Malfa e Parri che confluiscono nel PRI
- il Partito d’Azione (socialista) confluisce nel PSI a fine 1947, dopo la scissione socialdemocratica di Palazzo Barberini: nel dibattito interno il partito si divide fra l’adesione al PSLI (Valiani-Codignola) e quella al PSI (Lombardi-Foa), mentre Lussu propone di federare i vari partiti socialisti compreso il PCI
- dopo un congresso a marzo (il 2° della serie) si arriverà all’autunno quando i 2/3 del comitato centrale presieduto da Lombardi delibera la confluenza nel PSI
- azionisti sardi che confluiscono nel PSI: Fancello, Berlinguer
- Lussu non formalizza subito la sua confluenza nel PSI (ancora fino al luglio 1948) essendo vincolato al PSd’A
- permanendo in una doppia affiliazione Pd’A(soc.) e PSd’A alle elezioni parlamentari dell’aprile 1948 egli appoggia, ancorché indirettamente, il fronte social-comunista, contro la linea del Partito Sardo che sostiene una collocazione centrista
- il PSd’A elegge deputato Giovanni Battista (Titino) Melis e Luigi Oggiano al Senato
- sono senatori di diritto (limitatamente alla prima legislatura repubblicana) perché parlamentari dichiarati decaduti dal fascismo nel 1925 Lussu e Mastino
- sia Lussu che Mastino, che Oggiano stesso, fanno parte a Palazzo Madama del gruppo Democratico di sinistra insieme con altri sette senatori di varia estrazione
- al congresso di luglio 1948 Lussu guida la scissione del PSd’A verso il PSd’A socialista, con cui combatterà la campagna elettorale per le regionali del 1949 e quando verrà eletto consigliere regionale (per dimettersi essendo senatore di diritto, subentrandogli Carlo Sanna)
- il PSd’A socialista confluisce nel PSI nel novembre 1949.
MONUMENTO A LUIGI OGGIANO, “l’avvocato dei poveri’, a cent’anni dalla nascita, dedicatogli dai suoi concittadini di Siniscola
Una nota di sito SINISCOLA NOTIZIE, l’importante saggio di L. Oggiano sui caratteri dell’AUTONOMIA sarda e sul programma politico sardista (luglio 1944), un commento di Michele Columbu nel 1976.
Nel giorno della sua nascita, avvenuta il 7 gennaio del 1892, Siniscola ha ricordato la figura di Luigi Oggiano, avvocato dei poveri, antifascista e senatore del Psd’az, partito che aveva contribuito a fondare insieme a Emilio Lussu e Camillo Bellieni.
Cinque gli appuntamenti promossi dall’amministrazione in collaborazione con la Biblioteca gramsciana e l’Università della terza età: due convegni (uno al mattino per gli studenti e uno di pomeriggio) nell’istituto tecnico che porta il suo nome; due cerimonie di scoprimento (il busto in bronzo realizzato da Alfonso Silba in piazza del mercato e una ceramica realizzata da Mimmo Bove presso la casa Oggiano); la presentazione del dvd “Luigi Oggiano: Una biografia per immagini”.
All’inaugurazione del busto, oltre ai tanti cittadini accorsi, hanno preso parte i sindaci del territorio, alcuni di essi (come Roberto Tola di Posada e Angelo Carta di Dorgali) esponenti del partito sardo d’azione. Partito presente anche con il drappo dei quattro mori bordato di nero, brandito al vento da due esponenti della sezione locale, e con il presidente Christian Solinas che si è soffermato sui valori di Oggiano e sull’attualità del suo pensiero. Concetti già espressi dal sindaco Celentano nel suo intervento di inaugurazione della statua. Non è mancata la benedizione del parroco don Orunesu e la recitazione di un’ottava in italiano.
La tappa pomeridiana alla Casa Oggiano, con la presentazione della ceramica di Mimmo Bove (che ha dichiarato di aver voluto rappresentare la maturità dell’avvocato) e la proiezione del dvd, ha anticipato il secondo convegno della giornata.
All’appuntamento, moderato dal presidente dell’Ute Antonio Murru, hanno preso la parola cinque relatori: il sindaco Celentano (che è ritornato sull’attualità del pensiero oggianese); il presidente dell’Ordine degli avvocati di Nuoro Roberto Corrias (secondo il quale «Oggiano si è comportato da avvocato in tutta la sua esistenza»); Luigi Manias della Biblioteca Gramsciana (intervenuto sugli atti del convegno del 2014 e sulle prospettive di ampliamento della ricerca); lo storico sassarese Guido Melis (soffermatosi sull’antifascismo nuorese e sul ruolo degli avvocati in contatto con la realtà barbaricina); il giornalista Giacomo Mameli («con le sue lezioni sulla cooperazione, sull’autonomia e sull’istruzione, Oggiano era il teorico del partito insieme a Bellieni»). Assente il senatore del Pd Luigi Cucca.
A seguito delle relazioni è stato aperto il dibattito al pubblico. Ciò ha dato la possibilità di sviluppare ulteriori temi quali lo scontro di visioni con Emilio Lussu (Lorenzo Palermo), il difficile rapporto con l’elettorato siniscolese a causa del ruolo della Democrazia cristiana (Franco Floris), il muro alla deriva sardofascista del Psd’az (Bachisio Porru), la questione del sovversivismo attribuito ad Oggiano (Rita Bomboi). Intervenuto anche il sindaco di Nuoro Andrea Soddu («Luigi Oggiano era il “maestro” di mio padre»).
REGIONE – ENTE REGIONALE – FEDERALISMO, di Luigi Oggiano
(articolo uscito su FORZA PARIS!, numero unico dedicato ai lavori del VI congresso regionale del Partito sardo d’Azione (Macomer 29 – 30 luglio 1944), pubblicato a Nuoro il 20 agosto 1944 direttore responsabile: G. B. Melisi Tipografia Editrice Nuorese.
Siamo già ad un momento di notevole maturazione del nostro pensiero politico: le idee sono più i istituti più o meglio definiti.
Nel 1921 noi del Partito Sardo sapevamo già quale funzione doveva essere riservata e riconosciuta alla Regione, ed in ogni caso alla Sardegna, e verso quale assetto doveva avviarsi lo Stato perché avesse luogo il rinnovamento che, dopo la prova dell’unitarismo e dell’accentramento imposti da una piccola parte al resto dell’Italia nel timore che questa non prendesse vera e robusta consistenza, appariva assolutamente indispensabile. .
E, pur non potendo allora pensare ad imporre la soluzione del problema istituzionale poiché soprattutto importava combattere a fissare ed attuare le premesse di tale problema e le condizioni dell’autonomismo, sapevamo ed affermavamo che la nostra battaglia, ove le altre Regioni (soprattutto del Meridione) ci avessero seguito, doveva concludersi col Federalismo.
Vi fu – in queste prime affermazioni della nostra pratica politica e per necessità superiori contingenti – una sosta, non una rinunzia e nemmeno un ammorbidimento o una esitazione, nel perseguire quell’ultimo fine. Dovevano riunire tutte le coscienze e tutte le volontà isolane, anche quelle che non percepivano bene l’importanza di quel fine, per l’attuazione del primo proposito e scopo: il risveglio, l’unione e la esaltazione delle energie nel SARDISMO per la creazione del nuovo, e veramente rivoluzionario, movimento politico. In un impeto, che non sarà mai dimenticato e sarà sempre considerato come uno dei principali fattori della vitalità, profondità e generalità del successo, conquistavamo le amministrazioni comunali, l’amministrazione provinciale di Sassari, buona parte di quella di Cagliari, e vari seggi alla Camera. Dappertutto, nonostante la furibonda e spesso sleale ostilità delle vecchie formazioni o conserterie politiche, giungevano il soffio rinnovatore, la nuova azione, il fervore e la fede del Partito Sardo. Mutato o in mutamento l’aspetto politico dell’Isola, si avviava a trasformazione, con una celerità che appariva (tanta rispondenza aveva nelle masse) l’assetto economico-sociale: a centinaia sorgevano e fiorivano le cooperative di produzione, di lavoro, di consumo. Chiunque esamini ora i risultati di quello sforzo e sia pure i non riusciti o
non fortunati tentativi, e però non sia accecato da contraria preconcetta passione di parte, deve riconoscere che forse nessun altro partito riuscì mai, in nessun luogo, a compiere in così breve tempo opera tanto vasta e risanatrice.
D’altra parte i motivi della battaglia prevedevano (dovevano prevedere) il caso che le altre regioni non potessero e non volessero seguire la Sardegna nell’assalto alle vecchie istituzioni e posizioni; e per questo il Sardismo affermava il linea teorica e pratica che, Federalismo o no, l’Isola nostra doveva avere la sua AUTONOMIA, cioè la sua creazione particolare di Ente o Stato Regionale, da attuare in raccordo con lo Stato italiano ove questo non contrastasse, ed in opposizione o senza raccordo con lo Stato Italiano ove questo contrastasse e soprattutto pensasse a distruggere il nostro movimento.
Ecco quindi ben precisata la natura e la posizione della Regione nella compagine della Nazione o, in estrema ipotesi, contro di essa.
Su questo punto non è intervenuto e non può intervenire modificazione. Se gli «altri» non vorranno, vorremo noi della Sardegna, per noi stessi, indipendentemente dagli altri e, ove occorra, contro gli altri.
G li «altri» però ora comprendono meglio e sono già in molti a considerare che solo sulla base dei principi del Partito Sardo può essere assicurata anche la salvezza loro.
Dal punto di vista nostro la Regione deve essere un Organismo capace di soddisfare alle esigenze dell’Isola in tutti i casi. L’Organismo è, si può dire, eguale tanto se tutte le Regioni italiane reclamino o impongano la soluzione che può. chiamarsi «nostra», quanto se esse stiano neghittose o indifferenti a battere l’antico passo e il contrasto si riduca al regolamento dei rapporti fra la -Sardegna e l’Italia. L’Organismo si completa, con attribuzioni di natura generale e di superiore sovranità, se il contrasto non possa, «per incomprensione o per inconsiderata resistenza» dell’Italia, essere pacificamente regolato. Al Partito Sardo non può essere mossa l’accusa di non aver posto e di non mantenere chiari i termini del problema, e neppure di non averne prospettato con eguale chiarezza le soluzioni.
«ENTE REGIONALE, dunque, con poteri legislativi, esecutivi ed in parte anche giudiziari (quanto meno in riferimento alla organizzazione del servizio della giustizia) per tutte le Regioni d’Italia e comunque, in particolare, per la Sardegna». ENTE REGIONALE che viene ad avere attribuzioni di uno Stato, ma con la coordinazione e la dipendenza, rispetto allo Stato Italiano più sovrano, «per la trattazione e la decisione di. tutte le questioni che non riguardino l’Isola e siano invece d’indole e d’interesse nazionale, come ad es: l’indirizzo generale politico interno ed esterno, la garanzia dei diritti, la difesa nazionale, etc.».
N on è difficile trovare riscontri nella storia politica attuale o in quella passata: le creazioni statali della Svizzera di fronte allo Stato svizzero costituiscono l’esempio migliore della trasformazione alla quale tende il Partito Sardo, per tutte le Regioni italiane o per un parte di esse (ci si ripete) o comunque per la sola Sardegna rispetto allo Stato Italiano.
Fissato questo concetto, non è difficile precisare quali devono essere i compiti dell’ENTE REGIONALE, quali i suoi poteri di governo autonomo, quali gli organi a mezzo dei quali il popolo (non più questa o quella èlite, ma la massa popolare che lavora, che produce e che si organizza nelle forme e nei limiti della costituzione nuova) realizza la sua partecipazione, su una base che è politica, economica, sociale e veramente moderna. Nel nostro programma (al quale peraltro il prossimo Congresso del Partito darà forma più definita, e dal quale riportiamo le frasi e parole tra virgolette) sono indicate le materie di esclusiva competenza dell’ENTE REGIONALE. Si tratta di un complesso di affari che costituiscono o pressuppongono una vera struttura statale. In sede di attuazione si potrebbe ancora vedere se i poteri e le funzioni non debbano ancora essere allargati, ed in ogni caso come meglio, e con quali garanzie, ne debba essere assicurato l’esercizio. È appena da dire che un programma non può contenere i particolari della regolamentazione, e che si tratta di materia e di questioni, le quali, entro i limiti delle premesse e dei fini che devono essere tenuti sempre presenti e preservati, sono e devono essere in continuo processo di elaborazione per il meglio.
Ed è però da sottolineare che espressioni fra le più tipicamente autonome dell’Ente vengono ad essere il CONSIGLIo REGIONALE, su base elettiva popolare (come una Camera di deputati rappresentanti) ed il DEMANIO REGIONALE.
In ordine a questo occorrerà sottoporre ad attento esame, per le eventuali riforme nel quadro autonomistico regionale, gli istituti finanziari, doganali, ect.; in ordine a quello sarà da decidere (ma a mio avviso la questione, per tante ragioni e riflessi di ordine amministrativo, ambientale ed anche … topografico rispetto alla sede dell’Ente, non sarà di
facile soluzione) se debbano essere conservate, o con quali criteri riformate e riorganizzate, le Prefetture.
*****-
Orbene, da un assetto come quello che si è prospettato sorge naturale l’altra figura, più marcatamente politica, dello Stato N azionale a cui gli Enti o Stati Regionali vengono raccordati.
Si torna così alla enunciazione fatta in principio: in caso di raccordo generale delle Regioni o Gruppi di Regioni (la Sardegna farebbe sempre parte per se stessa) si avrebbe lo STATO FEDERATIVO per eccellenza; in quello di raccordo della sola Isola nostra, essa sola sarebbe federata allo Stato Italiano.
Naturalmente costituirà problema di vitalissima importanza lo stabilire i limiti di giurisdizione e competenza fra Stato Federativo e Stato o Ente Regionale Federato: e per esso saranno messi alla prova la capacità, la preparazione, la fede ed anche l’entusiasmo (quante spine saranno, se già non sono, riservate ai più animosi fra i realizzatori dell’autonomia sarda!) dei figli migliori dell’Isola. Ma la posta è troppo alta e troppo nobile, perché coloro, che la fiducia dei conterranei o la sorte designeranno all’arduo compito, non siano portati ad affrontare ogni sacrificio e tentare di superare ogni difficoltà.
*****
E vi è l’ultimo caso: quello che nessun raccordo si realizzi, e perciò la Sardegna segua egualmente la sua strada. Si comprende subito a quale forma di autonomia dovrebbe essa giungere … Ma di ciò ora-non si vuole parlare.
Luigi Oggiano
Dalla relazione di MICHELE COLUMBU al XVIII congresso del Partito Sardo,
ORISTANO, 11 – 12 dicembre 1976
…………………………………………….
Nel numero unico FORZA PARIS, dedicato ali lavori del VI Congresso Regionale e pubblicato a Nuoro il 20 agosto 1944, spicca fra gli altri un articolo di Luibi Oggiano, uno dei fondatori del PSd’Az. Esso riassume il nostro intero programma politico. Lasciando che ve lo leggiate o rileggiate nella stesura integrale (Lo scritto di Oggiano si legge a pag. 119 del volume “Periodici democratici e numeri unici dal 1943 al 1949, curato da Virgilio Laì “, edizioni . EDES, Cagliari, 1975) ), stralcio qualche breve ma significante passo dell’articolo citato:
“( ••• ) La nostra battaglia, ove le altre regioni ci avessero seguito, doveva concludersi col federalismo (….. ) federalismo o no” l’Isola nostra doveva avere la sua AUTONOMIA, cioè la sua creazione particolare di Ente o Stato regionale da attuare in raccordo con lo Stato italiano ove questo non contrastasse” e in opposizione o senza raccordo con lo ‘Stato italiano” ove questo contrastasse e soprattutto pensasse a distruggere il nostro Movimento”. “Ecco quindi”, prosegue Luigi Oggiano, “ben precisata la natura e ‘La posizione della Regione nella compagine della Nazione o, in estrema sintesi, contro di essa”. Questa “estrema ipotesi”, ricorre spesso: poco più avanti infatti si legge che “Se gli altri non vorranno” vorremo noi della Sardegna” per noi stessi” indipendentemente dagli altri e”ove occorra” contro gli altri”. Oggiano conclude ‘che “Si comprende subito a quale forma di autonomia ‘la Sardegna dovrebbe giungere ( ••• )”.. Già, s i comprende subito. E io credevo di aver compreso , ma due anni fa, dall’on. Oggiano, in risposta a una mia lettera , ricevetti la viva raccomandazione di guardare il Partito sardo da ogni forma di
“separatismo”.
Ora non so, mi viene il dubbio di avere male interpretato il pensiero del senatore Oggiano oppure di essere stati male interpretati da lui, io e i miei compagni federalisti, per quelle poche e deformate notizie che possono essergli pervenute.
Senatore Oggiano, da questo XVIII Congresso del Partito sardo d’azione, sempre vivo e vitale, a nome di tutta l’assemblea, Le rivolgo un affettuoso saluto e, quantomeno a mio nome, Le assicuro che non si vuole condurre il Partito su sterili posizioni separatiste.
Anche noi siamo autonomisti e federalisti, come l’avvocato Oggiano che scriveva nel ’44. Oggi però, in forza di tanti eventi sopraggiunti e maturati nel corso di trent’ anni, non possiamo più parlare di federalismo limitatamente alla Sardegna e all’Italia, sia perché “nessun raccordo” si è realizzato con l’Italia, che è rimasta sostanzialmente sorda alle nostre istanze sardiste, e sia perché oggi si impone alla nostra attenzione un mondo immensamente più vasto, più articolato, più ricco di fermenti autonomistici:l’Europa e i Paesi del Mediterraneo.
In questa nostra posizione non c’è nulla di nuovo, nulla di degenere, perché non ci discostiamo dagli originari obiettivi del Partito più di quanto si discosti’ una fronda novella da un vecchio tronco. Le visioni internazionaliste e federaliste si vanno affermando sull’onda di una nuova cultura politica che viaggia con la rapidità di tutti i mezzi moderni di comunicazione. Così non più ci riferiamo esclusivamente, come nel passato, al meridionalismo italiano, al cosiddetto problema del Mezzogiorno; oggi sappiamo che “il profondo Sud” ha dimensioni molto più ampie e presenta analoghi problemi irrisolti in ogni parte del mondo, dovunque ci sia ancora del colonialismo e dell’oppressione capitalista. Ci sentiamo solidali con tutto il mondo degli oppressi ma per la vicinanza geografica e per una maggiore affinità culturale dovuta alle vicende storiche, guardiamo con interesse più specifico e urgente ai meridionali, per modo di dire, agli esclusi, alle etnie emarginate dagli attuali stati europei fondati e delimitati, con la punta delle spade. Oggi il sardismo non può essere considerato, neppure da noi, come una ribellione unica e singolare contro il colonialismo e contro il centralismo. Molti popoli ci hanno preceduto in questa lotta, altri ci hanno seguito; alcuni di questi ultimi ci hanno rapidamente sopravanzato. Non vorrei fare citazioni perché esistono casi analoghi, ma non esistono casi eguali al nostro: gli algerini, che si sono mossi dopo di noi nella lotta per l’autonomia, hanno già l’autonomia e la piena sovranità. Il loro precedente rapporto con la Francia, però, somigliava poco al nostro rapporto con l’Italia. Il loro contrasto con la Francia non era mascherato da eufemismi e da ipocrisie: l’Algeria era, dichiaratamente, un possedimento francese; e c’era di mezzo la storia, la lingua, la religione, il colore della pelle. Per la Sardegna invece la lingua, la storia, la cultura e il diverso colore della pelle non contano, perché l’Italia, a parole, ci fa sapere che facciamo parte del suo territorio metropolitano. Un sardo – così strettamente imparentato con un berbero algerino – essendo stato sfruttato da romani, genovesi, piemontesi e infine dagli italiani, non ostante i suoi connotati mediterranei antichissimi, può passare per un italiano, non tanto nella considerazione degli italiani, quanto per la sua viva disponibilità a essere italiano, come nel 1847 era smanioso di farsi piemontese. E non importa se non trova posto nella sua Isola così scarsamente popolata, naturalmente ricca e grande, non importa se per tornare in Sardegna qualche volta si ritrova come un cane sui moli di Genova e Civitavecchia, e dal Ministro si sente dire che le cose vanno fin troppo bene. Un sardo la patria ce l’avrebbe in casa sua, ma non l’ha ancora riconosciuta e va disperatamente cercandola in casa dei padroni.
Un sardo può diventare senatore o deputato della Repubblica; può diventare ministro o sottosegretario di Stato. A un sardo, in Italia, può toccare in sorte la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Presidenza della Repubblica; però il sardo, in ogni caso, fa tutto il suo dovere di sardo fedelissimo e lascia la Sardegna nella brutta situazione in cui si trova. Un sardo, quando abbia raggiunto l’ambita condizione di braccio del governo, sia col grado di generale o sia con la mansione di scrivanello, impegna tutte le sue forze per cancellarsi di dosso ogni traccia di sardità. Come le sciagurate guide indiane del Far West che portavano i lunghi coltelli” contro i propri villaggi, sperando forse di diventare “visi ‘pallidi” , poiché’ la storia ripete i medesimi eventi in secoli diversi e nei più diversi paesi del mondo, molti sardi si illudono di poter sedere, volta a volta, alla stessa tavola dei commercianti di Cartagine, dei magistrati romani e, via via, dell’aristocrazia militare piemontese e dei grossi speculatori italiani. Ma non dobbiamo scagliare pietre contro nessuno, né condannare né disprezzare i sardi per questo; perché difendersi dal terrore e dal fascino che esercitano i forti conquistatori è molto difficile, e ‘se non si è dotati della fiera magnanimità di Vercingetorige non c’è di meglio che servire fedelmente Giulio Cesare.
l
[1] Questo testo rappresenta il primo scritto dell’Autore che andava ad impostare il primo volume della sua opera: “SARDISTI, viaggio nel Partito Sardo d’Azione tra cronaca e storia”, vol. I – 1993, vol. II – 1996, vol. III – 2021, Edes, Sassari. Attraverso l’indice dei nomi è facile seguire il complesso della vicenda politica di Luigi Oggiano, prima impegnato da senatore a Roma e poi costantemente presente nella vita del Partito sardo fino al 1968. Nell’ultimo decennio l’uomo diradò il proprio impegno ma non scomparve del tutto. Di lui si parlerà anche nel terzo volume.
Molto su di lui si è detto e scritto dopo questa testimonianza, che va presa per quella che intendeva essere, l’apprezzamento per un uomo e per un modello di vita e di militanza sardista.
[1] E non solo oggi: lo stesso Oggiano scrisse la biografia di Dino Giacobbe (1886-1984), vivente, nel 1943 e che poi gli sopravvisse di tre anni.
[1] L’Unione Sarda, 31 ottobre 1964.
[1] PSd’A era la sigla originaria e prevalente del Partito Sardo d’Azione fino agli inizi degli anni Settanta, da quando la ‘z’ finale viene utilizzata soprattutto sulla stampa e negli altri media.
[1] ”Quanto è triste il passo di colui che anche volontariamente si allontana dal luogo natio e dai suoi cari” è il passaggio dell’ ‘addio di Lucia’ al suo paesello.
[1] Elettrio Corda, Due storie parallele. Pietro Mastino, Luigi Oggiano, avvocati, senatori, galantuomini, Nuoro, Edizioni Devilla, 1996.
[1] La Nuova Sardegna, 12 – 13 gennaio 1913.
[1] Ivi, 22-23 gennaio 1913.
[1] Ivi, 27 – 28 gennaio 1913.
[1] Ivi, 8 – 9 marzo 1913.
[1] Il primo numero de La Voce dei Combattenti esce a Sassari il 16 marzo 1919.
[1] L’Associazione Nazionale dei Combattenti (ANC) riunisce già 7.000 soci su un totale di quarantacinquemila soldati smobilitati.
[1] Ivi, 2 aprile 1919, n° 2.
[1] Oggiano rappresenterà sempre la Baronia nel Partito sardo e nelle istituzioni.
[1] Nel 1919 fonderanno a Siniscola una cooperativa di lavoro tra ex-combattenti e dappertutto si discuterà di casse rurali e di cooperative.
[1] Sassaresi Camillo Bellieni e Luigi Battista Puggioni partecipavano al filone meridionalistico in collegamento con Gaetano Salvemini.
[1] Si trasferì nel 1913 ventottenne dall’Università di Padova a Cagliari, dove doveva rimanere ventidue anni, divenendo nel 1914 aiuto presso la clinica delle malattie nervose e mentali diretta da C. Ceni e ottenendo nel 1916 la libera docenza. Reduce dalla guerra del ’15-’18, cui partecipò come ufficiale medico, difese, con passione ed energia, i diritti degli ex combattenti inquadrati nel Partito sardo d’azione (Enciclopedia Treccani).
[1] Pietro Mastino, insieme a Paolo Orano e a Mauro Angioni, era stato eletto deputato nelle elezioni politiche del 1919. Le elezioni politiche italiane del 1919 si sono svolte il 16 novembre 1919. Furono le prime elezioni in Italia a fare uso di una legge elettorale proporzionale.
[1] Su questa ‘notte di Nuoro’, ancora non del tutto valutata dagli storici nella sua importanza e drammaticità, come invece risulta dagli appunti inviati a Gaetano Salvemini da parte di Dino Giacobbe, rimandiamo al nostro primo volume di “SARDISTI, cit. vol. I, pag. 550 ss. .
[1] Il binomio direttore del PSd’A/delegato dei combattenti era iniziato con i sassaresi Bellieni – Puggioni, era proseguito con gli oristanesi (di Seneghe) Pili-Putzolu e ora vedeva i nuoresi Oggiano-Giacobbe. L’alternanza tra le sedi e l’unificazione locale delle due cariche era necessitata dalle difficoltà delle comunicazioni.
LUIGI OGGIANU, UN UOMO DEI SARDI, di Salvatore Cubeddu
L’impegno sociale e il ruolo del Senatore sardista siniscolese prima e dopo la I guerra mondiale, dal 1913 al 1948.
Premessa
E’ bene parlare di Luigi Oggiano ricordandolo nel centenario della ricorrenza della nascita del Partito Sardo d’Azione, di cui è stato tra i fondatori nel 1921 e sempre in vita ne fu l’apostolo. Per questo, già nelle ultime solenni celebrazioni della nascita del Partito, quelle del suo settantesimo nel 1991, le pubbliche e solenni celebrazioni ebbero inizio con il convegno del 9 marzo, a lui dedicato a Siniscola dal comitato promotore e dalla federazione sardista di Nuoro. Quella giornata vide l’allora parlamentare europeo on. Mario Melis quale oratore nella commemorazione ufficiale svolta al mattino, con lo scoprimento della lapide presso la casa natale, e Antonio Soro, Giovanni Battista Columbu e Salvatore Cubeddu relatori nel convegno del pomeriggio, svolto presso l’aula magna dell’ istituto medio superiore a lui dedicato.
Si ripropone qui la relazione di allora, trent’anni più tardi[1].
*****
E’ bene parlare di Luigi Oggiano, oggi: un uomo al servizio di altri uomini. Un Sardo che considerava e chiamava gli altri Sardi ‘fratelli’. L’avvocato che tutti difendeva di fronte alla legge e il politico che ha dedicato la vita alla difesa dei suoi compatrioti. Gli uomini prima delle idee. Le idee capaci di difendere gli uomini[2]. Oggi più che mai abbiamo bisogno di riflettere facendoci aiutare dal pensiero, dalle opere e dall’esempio di uomini come lui.
Quando il 19 gennaio 1981 la vita di Luigi Oggiano si spense, erano passati diciassette anni dall’ultimo rifiuto e dall’ultima insistenza degli altri affinché accettasse incarichi.
I giornali quotidiani sardi riportano il gustoso episodio dell’assemblea della sezione sardista di Nuoro, convocata per decidere le candidature alle elezioni comunali dell’autunno 1964. L’avvocato Oggiano è consigliere uscente e capogruppo consiliare sardista in quel comune retto autorevolmente alla fine degli anni Cinquanta da Pietro Mastino. Questi, infatti, presiede come tantissime altre volte anche quella riunione. Cito dal giornale:
….. Non sono mancate le insistenze, le pressioni e persino le minacce (la più grave, quella che il suo rifiuto venisse seguito anche dagli altri candidati) per indurre (soprattutto) Oggiano, che è in precarie condizioni di salute, a tornare sulla sua irrevocabile decisione. E solo una pronta e felice battuta dell’on. Mastino, il quale durante l’acceso dibattito ha intonato i primi versi dell’inno di Garibaldi (“Si scopron le tombe, si levano i morti …”) ha fatto capire ai divertiti e sorpresi sostenitori della candidatura delle massime autorità del Partito che l’età e lo stato di salute meritano considerazione e rispetto. La battuta, infatti, ha sbloccato la situazione.[3]
Oggiano e Mastino: cinquanta anni insieme nel PSd’A[4] a Nuoro. Un impegno che segna un periodo della vita della città e della provincia, ma non solo. Dopo i noti dissensi della fine degli anni Sessanta tra il vecchio Mastino e il Partito sardo nuorese, Luigi Oggiano telegrafa al suo inseparabile compagno di lotta, intendendo che tutti sapessero:
Nessun provvedimento come quello pubblicato ieri sulla stampa isolana né alcun altro possono distruggere e neppure far dimenticare la tua appartenenza e la tua attuale presenza nell’idea, nei principi e nella vita del Partito sardo, che hai servito sempre in tutte le battaglie e in tutte le vicende con assoluta dedizione, con grande nobiltà e con altissimo prestigio.
Luigi Oggiano, che mai mise in dubbio la legittimità dell’esistenza e l’adesione piena e personale al Partito che tanto aveva contribuito a fondare, appartiene ai pochi (come Camillo Bellieni) del Movimento dei Combattenti, che già prima della Grande Guerra avevano intrapreso un’attività sociale e politica. Non si può dire della propria formazione ciò che Emilio Lussu e Luigi Battista Puggioni affermano di sé e della propria formazione. Scriverà di sé Puggioni:
La guerra fu un violento pugno sul viso. Nessuno di noi sapeva niente della vita: avvezzi ai placidi ozii cittadini, immersi nelle letture dei romanzi francesi e italiani, occupati dalle discipline scolastiche, maturando nel cervello la determinazione per la scelta della professione, tutto ci appariva informe e impreciso. Rifuggendo dall’azione per principio e per temperamento, sommersi in un ambiente che precludeva la via ad agire, nessuno di noi conosceva la vita nella sua concreta ruvidezza, nelle sue lotte e nelle su concrete delusioni.
…… Passando alla caserma o direttamente alla trincea conoscemmo un fattore a noi ignoto: il senso della responsabilità. Responsabilità di noi stessi, delle cose e degli uomini affidati alla nostra custodia o alla nostra guida. Non sapevamo come si custodiscono o difendono le cose, come si guidano gli uomini; non lo sapevamo affatto. Eppure in breve tempo comprendemmo e imparammo a capire gli uomini e a guidarli.
Anche Emilio Lussu sottolineerà la funzione illuminatrice della guerra per la propria emancipazione politica e umana.
Luigi Oggiano arrivò alla guerra con un patrimonio di sensibilità sociale più maturo. Camillo Bellieni fa iniziare la biografia di Lussu con la guerra: non si interessa degli antecedenti, la vita per lui è quella tra i suoi soldati; il mito è nato tra le folgori delle trincee. Oggiano è già quello che sarà nei primi suoi scritti.
Luigi era figlio di Ignazio Oggiano, contadino, e di Caterina Pau. Nasce a Siniscola il 7 gennaio 1892, ove frequenta le scuole elementari fino alla terza, per concluderle a Bitti. Continuerà a Nuoro la scuola media inferiore e a Sassari il ginnasio e il liceo. Si laurerà in leggi a Torino.
Appunti del suo giovanile diario ci presentano le letture che la scuola italiana proponeva alla formazione di Luigi come degli altri giovani che accedevano alla carriera attraverso gli studi classici: il libro ‘Cuore’ di Edmondo De Amicis e ‘I promessi sposi’ di Alessandro Manzoni innanzitutto[5]. I passaggi scolastici confermarono in lui un naturale ed intima ‘com-passione con la sua gente, con i più poveri soprattutto. Luigi Oggianu non pratica la chiesa , non è cattolico, ‘perché a lui fa velo la gestione che del cristianesimo compie il clero’[6]. Ci sono invece restate esplicite testimonianze e documenti di una sua passione umanitaria nel senso letterale e culturale del termine, già nel 1913, mentre compiva i suoi studi a Sassari e a Torino.
E’ il periodo della protesta antiprotezionista, protesta (ricordiamo il nuorese Attilio Deffenu) dove confluivano all’inizio del secolo le elaborazioni progressiste della fase di pentimento e di rincrescimento per l’errore della ‘fusione perfetta’ della Sardegna con il Piemonte, come pure la dura esperienza del protezionismo governativo della fine dell’Ottocento che, per sviluppare le industrie del Nord, aveva affossato l’agricoltura del Mezzogiorno e gli allevamenti della Sardegna. A Torino Oggiano è partecipe delle corrente anarco-sindacalista, in cui primeggia Attilio Deffenu con la sua rivista “Sardegna”.
Il giovane Oggiano – scrive nel gennaio 1913[7] – già da due anni è tormentato dall’idea di “proporre ai giovani sardi un’associazione giovanile”. Si fa coraggio finalmente e propone pubblicamente la fondazione dell’Unione Giovanile Sarda, sul modello dell’Unione Popolare Sassarese.
Egli è pienamente consapevole dell’arretratezza dell’Isola, di cui i conterranei che incontra fuori di essa (“gli isolani inverniciati di modernità”) si vergognano (“condannano senza riserve la terra da dove sono usciti”), e che disprezzano. Per lui invece
“….. non basta aggiungere o sottrarre qualche elemento alla vita economica … occorre far sentire ai contadini e ai pastori l’esigenza di una trasformazione … si deve muovere da tutti ad una educazione radicale, la più completa che sia possibile, del cuore e della mente del popolo in ogni villaggio dell’isola … Sarebbero conferenze semplici, piane, alla buona, sulle cose e sui fatti di più diretta osservazione e necessità”.
L’elevazione del popolo sardo, unendo “educazione ed elevazione”, è il programma di questa figura nuova ed entusiasta di intellettuale, che nelle emozioni e nel tratto ricorda Giovanni Battista Tuveri, il campione del federalismo sardo del compiersi dell’unità d’Italia:
“ … perché mi si stringe il cuore a pensare che tutto il patrimonio intellettuale della gente nostra, tutto il tesoro di energie di cui sarebbe stata capace, s’è inaridito e frantumato nella bieca rassegnazione alle tristezza della vita che ripete da secoli il suo ritmo abituale di perdizione”.
Convinto della debole efficacia dell’intervento del singolo, egli chiede che vengano “riunite tutte le forze della gioventù sarda, presenti nell’Isola e dispersi nella Penisola; si riuniscano nell’Unione, si incontrino a “congresso” una volta all’anno, si dividano in ‘sezioni’ in ogni circondario, e si specializzino in ‘sfere’ di azione per realizzare un programma senza colore politico”.
Per tutto l’inverno di quel 1913 egli ritorna sulla “necessità dell’Unione, fondandosi sull’idea del dovere espressa in Giuseppe Mazzini[8] e sull’approfondimento delle questioni economico-sociali di E. George, nella convinzione che “la natura umana, come la terra, raramente soffoca i semi che vi siano stati sparsi: quasi sempre li fa fermentare e sviluppare”[9].
L’insistenza sulla funzione dell’educazione, che non è tanto l’orgoglio di sapere leggere e scrivere, ma l’interesse profondo alla trasformazione della società (ancora senza la direzione della dirigenza sardista) a favore dei meno abbienti:
“…. Una società giusta e libera: è dovere nostro preparare fin da ora uomini degni di essa … I circoli di cultura popolare si propongono, anzitutto, una cooptazione delle idee. Quelli che sanno si mettono insieme a coloro che non sanno per renderli partecipi delle loro cognizioni, per accomunare i pensieri e i sentimenti.
Nell’ultimo scritto di quella stagione insisteva ancora:
“Che fanno i giovani?
Io mi lusingo che essi daranno l’opera loro alla formazione delle coscienze e del carattere sardo, perché nell’avvenire e la vita pubblica e la vita privata siano fonti di maggiore benessere .. e più non ci si accusi di esser ei beduini d’Italia”[10].
Non sappiamo molto quali maestri, oltre l’esperienza talora dolorosa della vita dei paesi in cui era nato e che conosceva, abbiano influito sulla formazione così profondamente umanitaria e filantropica del giovane Oggiano, portato evidentemente (lo si vede nella bibliografia che cita) agli studi storici e sociali. E’ certo però che in quell’animo sensibile, profondo, volitivo l’esperienza della prima guerra mondiale deve esser sceso come un dramma che confermava tutte le sue convinzioni.
Partito volontario come Lussu e molti altri giovani intellettuali, sottotenente all’Accademia di Modena e quindi mandato in un reggimento di fanteria, viene ferito permanentemente a un braccio e decorato con medaglia d’argento al valore militare. Rientrato forzatamente in Sardegna, lo troviamo tra i più entusiasti organizzatori prima dell’Associazione Mutilati e Invalidi di Guerra – che, intorno ad Efisio Mameli e a Camillo Bellieni con la loro preziosa rivista “La Voce dei Combattenti”[11], davano inizio nella provincia di Sassari, di cui il territorio del Nuorese faceva parte, al veloce e intenso sviluppo prima dell’Associazione Nazionale dei Combattenti – e poi del gioiello politico dei giovani reduci, il loro Partito Sardo d’Azione.
Nel ‘Manifesto al Paese’ e nell’articolo “Per la Sardegna” tornano i motivi del malessere sardo e la carenza delle strutture civili: ferrovie, trasporti marittimi, miniere, foreste, etc. Non si chiedono, però, più elemosine al governo. Rivolgendosi “ai compagni della provincia di Cagliari” i Sassaresi (Bellieni e Puggioni, che verrà smobilitato di lì a poco) chiedono[12] la collaborazione di tutti i Sardi per il rinnovamento dell’Isola[13]: “ ….. l’avvenire è nelle nostre mani. Gli uomini che ritornano dalle trincee hanno molti diritti, ma anche molti doveri” – incalza Camillo Bellieni, che già nel numero quattro della rivista (26 aprile 1919) delinea la necessità del “partito dei combattenti, che devono occuparsi delle riforme dello stato, della politica, dell’economia attraverso il totale distacco dai vecchi partiti, dove “vediamo l’acre contesa di piccoli uomini per la soddisfazione di piccole ambizioni”, e il distanziamento totale dagli uomini della maggioranza liberale come dall’opposizione socialista..
L’organizzazione dei reduci dalla trincea è veloce, intensa, combattiva (nell’aprile dello stesso 1919 i combattenti di Lula cacciano dal municipio il sindaco e il segretario comunale, con il plauso del giornale dei combattenti), aggregante (“I preti sardi devono essere con noi” è un titolo: in quanto uomini del popolo non possono essere contro di noi, contro il popolo”), propositiva (si va a costruire il programma sociale, politico e istituzionale degli ex combattenti).
Luigi Oggiano è l’anima del Movimento dei Combattenti a Nuoro[14], presidente onorario e organizzatore, in quanto eletto delegato delle sezioni di Siniscola, Lodè e Torpè, nel 1° Congresso dei Combattenti, Mutilati e Invalidi” che, sotto la guida politica di Camillo Bellieni, getterà le basi della Federazione regionale dei combattenti nel giugno 1919[15].
Oltre ai problemi pensionistici e assicurativi (c’è anche un progetto di banca per i combattenti) diventa centrale il problema dell’organizzazione (e stampa) e dell’“azione pubblica dei combattenti”, anticipando quella che dovrà porsi come questione centrale del dibattito interno alla Federazione Regionale nei due anni che precederanno il primo congresso del Partito sardo d’azione.
Spinto prima da un ordine del giorno della sezione (del 14 dicembre 1919), il congresso provinciale dell’ANC di Sassari dell’8 gennaio 1920, – al quale Siniscola si fa rappresentare da Luigi Battista Puggioni – e subito dopo da quello di Cagliari (l’11 gennaio), il congresso deve affrontare il tema della lotta elettorale per le elezioni amministrative dell’anno, il problema delle cooperative come intervento sul sociale e il nodo che divide il Movimento (e per cui nella riunione di Nuoro Luigi Oggiano era stato eletto nella commissione dove era stato acclamato presidente, dato che ancora non era stato smobilitato Emilio Lussu): devono i non combattenti partecipare al nuovo partito?.
Sotto la spinta di Bellieni, di Oggiano e di Pietro Mastino, il giovanissimo Luigi Battista Puggioni riferisce sull’ordine del giorno per la formazione di un partito in cui i combattenti debbano affidare alla sezioni combattentistiche i compiti assistenziali ed economici: i combattenti sarebbero stati, il nucleo forte delle “vive forze sarde, dirette al conseguimento di un utile e di un bene comune”, destinato ad aprirsi a tutti coloro che, avversando i vecchi partiti, erano disponibili per i principi dell’autonomismo e del liberismo antiprotezionistico[16].
La sensibilità dei Cagliaritani, più marcatamente combattentistica nella difesa gelosa dell’organizzazione dell’ANC da infiltrazioni carrieristiche esterne, era ricca di ascendenze anarco-sindacaliste, influenzata dalle indicazioni politiche di Attilio Deffenu e in posizione di totale rottura con lo stato italiano e con il parlamentarismo tradizionale.
Fu questa tendenza che, grazie ad Emilio Lussu e a Lionello De Lisi[17], riuscì a prevalere nel 3° Congresso di Macomer (8–9 agosto 1920). Qui però Camillo Bellieni riuscì senza difficoltà ad ottenere il generale ed unanime consenso su un più preciso programma istituzionale (forma repubblicana dello stato; autonomia regionale che non è solo decentramento amministrativo ma dotazione di precise attribuzioni in materie economiche e politiche; istituzione di un demanio e soppressione dei dazi doganale). Il contrasto si presentò sul documento di Lussu – De Lisi, ispirato alle dottrine di Sorel, dove un socialismo sui generis, antistatalista e filo sindacale (espresso nel concetto di “fusione di capitale e di lavoro nelle stesse mani dei lavoratori”), non marxista ma che accettava l’uso della violenza (“espropriazione del capitale mediante azione diretta, cioè illegale e violenta”).
A questa importante riunione di Macomer dell’agosto 1920 le sezioni della Baronia non sono rappresentate né vi è presente Luigi Oggiano.
Nonostante l’attesa imposta ai Sassaresi di Bellieni e Puggioni, l’enorme e veloce sviluppo del Movimento (30.000 soci e 142 cooperative) e una certa libertà d’azione, nel marzo 1920 i combattenti di Tempio fondano per conto loro ( e con l’appoggio non nascosto di Bellieni) la prima sezione di quello che proprio Bellieni ha chiamato Partito Sardo d’Azione richimandosi all’ideologia repubblicana e federalista sconfitta nel corso del Risorgimento italiano nella prima fase unitaria che gettò le basi del futuro attraverso il prevalere della monarchia e dei liberali.
A questo punto si dimostra preziosa l’opera di mediazione (tra i Sassaresi di Bellienie i Cagliaritani di Lussu) dei Nuoresi guidati da Luigi Oggiano e Pietro Mastino[18]. Il 21 novembre 1920 si svolge a Nuoro, all’interno della palestra coperta della Scuola Normale, il 2° Congresso Circondariale di Nuoro, con la partecipazioni di Puggioni in rappresentanza del delegato regionale Bellieni. Lo apre Luigi Oggiano, da poco eletto consigliere provinciale a Sassari in rappresentanza della circoscrizione di Siniscola, che relaziona sull’esito delle recenti elezioni comunali (la Baronia è tutta in mano ai combattenti), sui programmi amministrativi, sull’agricoltura e sulla stampa del movimento. “La Voce” elogia l’avvocato siniscolese che pratica ormai con successo ed entusiasmo ciò che da giovanissimo aveva atteso e annunciato.
Il nuovo appuntamento è ormai per il IV congresso dell’Associazione dei Combattenti, quello del 16 aprile 1921, riunito nella ex cappella del convento degli Scolopi ad Oristano, che ospiterà il giorno dopo il I Congresso del Partito Sardo d’Azione.
L’intervento dei Nuoresi attenuerà alcune espressioni marcatamente massimaliste , antistatali e anarcoidi dei Cagliaritani e contribuirà a fondere le loro istanze con quelle meridionalistiche e salveminiane dei Sassresi.
A Oristano, infatti, Luigi Oggiano interviene subito dopo la relazione di Camillo Bellieni svolgendo un duro e convincente attacco a due punti significativi del documento di Macomer ottenendone la trasformazione: a) dell metodo e dello strumento della lotta di classe: Oggiano afferma che essa può risultare necessaria e fruttuosa dove esista una struttura di tipo capitalista, ma è inutile e irrealizzabile per i contadini e i pastori in una Sardegna precapitalista; b) a proposito dell’utilizzo della violenza per la trasformazione delle condizioni sociali e istituzionali del potere, concorda, pur con differenti motivazioni, con Bellieni: invece di un’immediata azione violenta, c’è bisogno di “una sovranità popolare” da edificare gradualmente, senza scosse perturbatrici e rovinose, attraverso l’organizzazione profonda e la diffusione della cultura e della disciplina, la valorizzazione delle cooperative di produzione e di lavoro e gli organismi sindacali di resistenza.
Da questo primo congresso fondativo di Oristano, cui ne seguirà un secondo agli inizi del 1922, nella stessa città dove Paolo Pili prenderà il posto di Camillo Bellieni nel ruolo di direttore (segretario) del Partito sardo. Il terzo congresso attenderà il segretario circondariale nuorese all’appuntamento del terzo grande e grave congresso regionale convocato a Nuoro in coincidenza di quel 28 ottobre 1922 che vedrà Benito Mussolini concludere la ‘marcia su Roma e ricevere dal re Vittorio Emanuele III l’incarico di formare il governo. Toccherà a Luigi Oggiano, nuovo direttore del Partito sardo, affrontare i mesi drammatici che seguirono rappresentando l’unica organizzazione regionale dei combattenti che in Italia fosse rimasta integra, incorrotta e militante.
Quella sera del 29 ottobre 1922, a congresso appena concluso, i dirigenti sardisti si riuniscono riservatamente in casa di Pietro Mastino con all’ordine del giorno l’attivazione dei combattenti sardi contro il fascismo. Già prima del congresso si erano resi disponibili con il prefetto di Cagliari alla mobilitazione per la difesa della legalità costituzionale nel caso il governo e il re avessero impedito la marcia su Roma. Questa linea era stata confermata in sede congressuale a seguito dalla grande manifestazione antifascista promossa da Paolo Pili e da Antonio Putzolu (rispettivamente direttore del Partito e delegato dei combattenti, uscenti) che nel mattino aveva visto sfilare nella strade della città barbaricina le migliaia di sardisti, delegati congressuali e militanti. Dopo quella che rimarrà la più grande manifestazione antifascista della storia della Sardegna, in casa Mastino[19] la situazione si farà drammatica. Alcuni propongono di mobilitare le sezioni dei combattenti e occupare militarmente la Sardegna per difendere la democrazia. Ma poi la maggioranza dei presenti si indirizzerà per valutare meglio in attesa della decisione del re e dell’evolversi degli eventi. L’appuntamento è da lì ad alcuni giorni, alla manifestazione del 4 novembre a Cagliari. Troppo tardi. Il re sconfessò il governo e diede l’incarico a Mussolini. Il prefetto di Cagliari accolse la manifestazione dei combattenti lungo la via Roma con le mitragliatrici piazzate in bella mostra. In quella “notte di Nuoro” ‘si trascurò’ una coraggiosa decisione e per vent’anni si perse il filo di una storia che sarebbe potuta presentarsi diversa. Forse riflettendo su quell’occasione mancata, Emilio Lussu – al quale probabilmente si dovette l’ultima parola di quella notte – svilupperà in seguito la sua vera analisi politico-operativa originale, quella ‘teoria dell’insurrezione’ che quella notte era stata vista possibile e realizzabile da un gruppo di dirigenti sardisti che discutevano in casa Mastino di come muoversi contro il fascismo.
Luigi Oggiano, alla fine degli anni Sessanta, testimonierà allo storico Savatore Sechi che il governo di Mussolini, appena insediato, aveva mandato una corazzata a presidiare le coste dell’Isola e inviato un battaglione dei carabinieri. A fungere da confidente di Mussolini era stato un autorevole esponente sardista, l’onorevole Paolo Orano, che portò questo ruolo di spia quale dote per l’iscrizione al fascio.
Nel III congresso regionale di Nuoro Luigi Oggiano viene eletto direttore del PSd’A, mentre l’ingegnere Dino Giacobbe diviene il delegato regionale dei combattenti[20].
Inizia la drammatica fase del rapporto/scontro tra sardismo e fascismo, tra il forte, giovane, nuovo, originale movimento autonomistico sardo e l’oscuramento dei valori democratici nella Penisola italiana.
Il fascismo era alle sue prime prove di governo; anch’esso poteva vantare ascendenze combattentistiche; era un grande esaltatore dei Sardi della Brigata; teneva molto al legame con il PSd’A, a costo di sacrificare i propri uomini della prima ora guidati da Ferruccio Sorcinelli, padrone di miniere e de L’Unione Sarda; il generale Asclepia Gandolfo, mandato da Roma quale prefetto di Cagliari per agevolare e concludere la fusione tra fascisti e sardisti era stato un ufficiale apprezzato dai suoi soldati.
Solo Bellieni e Fancello – da Napoli e da Roma – avevano una visione lucida sui caratteri del fascismo, ma operavano fuori della Sardegna. Puggioni, da Sassari, era estremamente diffidente verso le profferte del generale Gandolfo, che trattava con un Lussu tutto sommato incerto, confuso e dubbioso sul da farsi. Ma Lussu rappresentava ed era continuamente in contatto con l’insieme della dirigenza sardista.
Gli storici più recenti di questa vicenda, sottolineando l’oggettiva difficoltà della situazione e la sostanziale buona fede sia degli entristi che di coloro che continuarono nel PSd’A fino al 1925, non possono non affrontare lo snodo problematico delle scelte tra sardismo e fascismo in quel momento. Restavano poche soluzioni al disorientamento della masse sardiste: opporsi al regime costituendone uno indipendente da esso in Sardegna (vedi la guerra in corso in Irlanda); trattare con il fascismo; fuggire. Alla prima si era di fatto rinunciato nella ‘notte di Nuoro’; nella seconda ci si era avventurati sotto la pressione del fascismo che aveva mostrato il bastone (l’arrivo della nave da guerra, lo sbarco del battaglione dei carabinieri, l’attentato a Lussu nel novembre, l’incendio della tipografia dove veniva stampato il quotidiano sardista ‘il Solco’) e poi offriva ‘la carota’, per molti allettante. Lussu si ritirò incoraggiando Pili e Putzolu a concludere l’accordo, continuò nel suo ruolo di parlamentare finché, dopo i fatti di Piazza Martiri a Cagliari del 31 ottobre 1926, fu arrestato, mandato al confino a Lipari, da cui fuggì il 27 luglio 1927.
A livello di massa restò un brontolio tra adesione al fascismo, scontento e attesa, soprattutto dopo il fallimento dell’esperienza ‘sardofascista’ di Paolo Pili, e la continuità della presenza dei bravissimi avvocati che nei fori di Nuoro (Mastino, Oggiano, Pinna, Melis) e di Sassari (Puggioni soprattutto) testimoniavano una promessa per il futuro.
Emilio Lussu – dopo l’assalto alla sua casa, la condanna, l’esilio, la fuga e la Resistenza -proseguiva nel suo destino di eroe la figura di uomo tra i più amati che l’Isola abbia avuto nella sua vicenda storica.
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Questi uomini che si aspettavano, si ritrovarono nel 1943 nella Sardegna liberata dai tedeschi in ritirata e la loro sostituzione con gli angloamericani.
Quale testimonianza dell’affetto, della stima e del reciproco apprezzamento, Luigi Battista Puggioni, direttore del PSd’A, riassume in un libretto la presentazione della linea politica e degli uomini che ne sono all’origine promuovendone la pubblicazione di brevi biografie: Puggioni parlerà di Bellieni; di Lussu aveva scritto Bellieni già negli anni ’20; Luigi Oggiano scrive ora di Dino Giacobbe, di questo gigante nuorese, intelligente e buono, eroe della guerra di Spagna, emigrato negli Stati Uniti e da ingegnere fattosi operaio per continuare la battaglia per la democrazia.
Nell’immediato secondo dopoguerra il PSd’A è il primo e più forte partito di massa presente in Sardegna: dirigenti, sezioni, comitati di concertazione antifascista, Consulta regionale per elaborare il nuovo statuto della Sardegna, impegno nel sindacato (nel 1945 – 46 la camera del lavoro di Nuoro è in maggioranza sardista). Al VI congresso di Macomer il PSd’a dichiara 37.000 iscritti, organizzati in 291 sezioni.
Emilio Lussu arriva a Cagliari il 30 giugno 1944: in Italia va organizzandosi la Resistenza e lui ne è uno dei capi. I suoi pensieri sono per l’Italia e per l’Europa. Non accetta, anzi respinge, la richiesta di porsi finalmente a capo dei Sardi. Dopo avere visitato le città, riparte poco prima dell’entusiastico e commosso VI congresso (Macomer, 29 – 30 luglio 1944), lasciando Francesco Fancello e il ministro Stefano Siglienti a sostenere la proposta di fusione tra il Partito Sardo d’Azione e il Partito Italiano d’Azione
Luigi Oggiano, che ben conosce i fermenti indipendentistici presenti nel Partito sardo, forti soprattutto nel cagliaritano, si batte per un’ipotesi intermedia:
Si può, anzi si deve intendere l’autonomia senza la resecazione dall’Italia, senza troncamento delle relazioni del continente italiano.
Egli è favorevole al rapporto stretto con gli azionisti almeno per quanto riguarda l’attività al livello della politica nazionale. E’ con il suo discorso calmo e persuasivo che a Macomer si può uscire con una disponibilità, che non è fusione, verso Lussu e il PId’A, che permetterà al leader sardista di Giustizia e Libertà di vincere il congresso di Cosenza. Il PSd’A mantiene il suo entusiasmo operativo.
Si deciderà poi, l’anno seguente, di spostare l’attivissimo Titino Melis da Nuoro a Cagliari, per tenere i contatti con Lussu e meglio governare quella provincia. Riapre ‘il Solco’ (il 4 marzo 1945) e Oggiano vi presenta la sua “Essenza del Sardismo”, in quanto è convinto che nella nuova situazione (gestione da parte dell’Alto Commissario e funzionamento della Consulta) il sardismo e il Partito sardo devono operare più che mai, perché
… resta, nella sua inquadratura e nella sua inconfondibile derivazione da peculiari condizioni dell’Isola, come espressione, non di uno stato d’animo transitorio, ma di una forma di vita che deve assicurare, finalmente dopo secoli, la trasformazione morale e materiale della nostra regione.
Ma altre logiche e nuove tentazioni venivano a minare l’unità dei Sardi non appena la fine della guerra contro il nazifascismo si trasformò nel confronto tra i blocchi, nella loro divisione e scontro e nella guerra fredda. Democrazia Cristiana e Fronte Popolare si dividevano il campo. Chi si poneva nel mezzo doveva scomparire.
Il Partito sardo scelse la libertà qual valore essenziale e principale dell’appartenenza occidentale con l’adesione al processo democratico, rifiutando le promesse del comunismo egemone nel Fronte.
Al IX congresso di Cagliari (4 luglio 1948) toccò a Oggiano precisare nei confronti di Lussu che
….. mai abbiamo dimenticato che l’autonomia doveva e deve essere il mezzo, lo strumento della trasformazione sociale; e mai ci siamo estraniati dalle questioni sociali, ma ci siamo tenuti ardentemente e generosamente in mezzo ad esse, per i lavoratori e per il popolo …
….. è giusto che il sentimento ci porti vicino alle organizzazioni operaie e al movimento socialista; ma chi appartiene a un partito politico come il nostro e serve la Sardegna deve avere non soltanto quel sentimento ma idee precise … sul dovere di difendere gli interessi dell’Isola nostra.
Ritorna il tema dell’ “essenza del sardismo”:
“ … non occorre richiamare le ragioni di ordine etnico, geografico, economico, storico e morale per le quali la battaglia per l’Isola non può essere allo stesso modo dei Sardi e dei non Sardi …
…. il Partito è nella fede ed è la stessa fede nell’avvenire che si vuole creare in Sardegna.
Regione – istituzioni locali – federalismo: era e rimane il contenuto della fede di Luigi Oggiano. Per essi egli è vissuto, perché pensava al sardismo come il più importante strumento di liberazione dei Sardi.
Permettetemi, cittadini di Siniscola e della Baronia, di ringraziarVi per conto del Partito Sardo d’Azione per averci offerto l’occasione di questo viaggio dentro la nostra storia a partire da questo Uomo, vostro e nostro concittadino.
[1] Questo testo rappresenta il primo scritto dell’Autore che andava ad impostare il primo volume della sua opera: “SARDISTI, viaggio nel Partito Sardo d’Azione tra cronaca e storia”, vol. I – 1993, vol. II – 1996, vol. III – 2021, Edes, Sassari. Attraverso l’indice dei nomi è facile seguire il complesso della vicenda politica di Luigi Oggiano, prima impegnato da senatore a Roma e poi costantemente presente nella vita del Partito sardo fino al 1968. Nell’ultimo decennio l’uomo diradò il proprio impegno ma non scomparve del tutto. Di lui si parlerà anche nel terzo volume.
Molto su di lui si è detto e scritto dopo questa testimonianza, che va presa per quella che intendeva essere, l’apprezzamento per un uomo e per un modello di vita e di militanza sardista.
[2] E non solo oggi: lo stesso Oggiano scrisse la biografia di Dino Giacobbe (1886-1984), vivente, nel 1943 e che poi gli sopravvisse di tre anni.
[3] L’Unione Sarda, 31 ottobre 1964.
[4] PSd’A era la sigla originaria e prevalente del Partito Sardo d’Azione fino agli inizi degli anni Settanta, da quando la ‘z’ finale viene utilizzata soprattutto sulla stampa e negli altri media.
[5] ”Quanto è triste il passo di colui che anche volontariamente si allontana dal luogo natio e dai suoi cari” è il passaggio dell’ ‘addio di Lucia’ al suo paesello.
[6] Elettrio Corda, Due storie parallele. Pietro Mastino, Luigi Oggiano, avvocati, senatori, galantuomini, Nuoro, Edizioni Devilla, 1996.
[7] La Nuova Sardegna, 12 – 13 gennaio 1913.
[8] Ivi, 22-23 gennaio 1913.
[9] Ivi, 27 – 28 gennaio 1913.
[10] Ivi, 8 – 9 marzo 1913.
[11] Il primo numero de La Voce dei Combattenti esce a Sassari il 16 marzo 1919.
[12] L’Associazione Nazionale dei Combattenti (ANC) riunisce già 7.000 soci su un totale di quarantacinquemila soldati smobilitati.
[13] Ivi, 2 aprile 1919, n° 2.
[14] Oggiano rappresenterà sempre la Baronia nel Partito sardo e nelle istituzioni.
[15] Nel 1919 fonderanno a Siniscola una cooperativa di lavoro tra ex-combattenti e dappertutto si discuterà di casse rurali e di cooperative.
[16] Sassaresi Camillo Bellieni e Luigi Battista Puggioni partecipavano al filone meridionalistico in collegamento con Gaetano Salvemini.
[17] Si trasferì nel 1913 ventottenne dall’Università di Padova a Cagliari, dove doveva rimanere ventidue anni, divenendo nel 1914 aiuto presso la clinica delle malattie nervose e mentali diretta da C. Ceni e ottenendo nel 1916 la libera docenza. Reduce dalla guerra del ’15-’18, cui partecipò come ufficiale medico, difese, con passione ed energia, i diritti degli ex combattenti inquadrati nel Partito sardo d’azione (Enciclopedia Treccani).
[18] Pietro Mastino, insieme a Paolo Orano e a Mauro Angioni, era stato eletto deputato nelle elezioni politiche del 1919. Le elezioni politiche italiane del 1919 si sono svolte il 16 novembre 1919. Furono le prime elezioni in Italia a fare uso di una legge elettorale proporzionale.
[19] Su questa ‘notte di Nuoro’, ancora non del tutto valutata dagli storici nella sua importanza e drammaticità, come invece risulta dagli appunti inviati a Gaetano Salvemini da parte di Dino Giacobbe, rimandiamo al nostro primo volume di “SARDISTI, cit. vol. I, pag. 550 ss. .
[20] Il binomio direttore del PSd’A/delegato dei combattenti era iniziato con i sassaresi Bellieni – Puggioni, era proseguito con gli oristanesi (di Seneghe) Pili-Putzolu e ora vedeva i nuoresi Oggiano-Giacobbe. L’alternanza tra le sedi e l’unificazione locale delle due cariche era necessitata dalle difficoltà delle comunicazioni.
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