A SAN GAVINO: la fonderia sta chiudendo, di Gigi Pittau

Dopo una lunga storia iniziata il 10 giugno del 1932 con la colata del primo piombo, rischia di fermarsi per sempre la gloriosa storia della fonderia di San Gavino Monreale, che fa capo alla Portovesme Srl, del colosso svizzero Glencore.

Il piombo – un tempo estratto dalle miniere di Montevecchio – fino a poco tempo fa arrivava dalle industrie di Portoscuso, ma ora le scorte sono terminate e gli ultimi lingotti saranno fusi in questi giorni. Da quel momento nel giro di tre settimane saranno prodotti gli ultimi lingotti in argento e in un mese gli ultimi lingotti d’oro. Così, dopo quasi 93 anni di una storia gloriosa che ha trasformato San Gavino Monreale da paese agricolo a centro industriale, potrebbe essere messa la parola fine alla produzione dei metalli della fonderia.

Il dramma: lo vivono i circa 200 lavoratori tra dipendenti diretti e quelli delle ditte d’appalto in un territorio diventato un cimitero di fabbriche.

La situazione è drammatica, come evidenzia Enrico Porceddu, 44 anni, che lavora dal 2002 in fonderia prima nelle ditte esterne poi nell’organico dell’azienda ed è uno dei componenti della Rsu per conto della Cgil: «Sarà una tragedia per tutti noi e le nostre famiglie. Io ho tre figli e un mutuo. Stiamo attraversando una situazione complicata dal punto di vista economico prima a causa della pandemia di Covid ed ora a causa della crisi energetica. La Fonderia di San Gavino sta subendo le conseguenze maggiori nel Medio Campidano facente parte di una realtà industriale energivora. Aspettiamo con fiducia l’aiuto delle istituzioni per colmare il gap dei prezzi che ci differenzia dalle altre realtà della Penisola o un altro intervento che possa dar respiro alle aziende produttive sarde. Ancora non conosciamo il futuro del “dopo” visto che ancora oggi non abbiamo un ruolo definito nella tanto acclamata riconversione degli impianti».

È drammatica la situazione per gli oltre 40 lavoratori delle ditte esterne che potrebbero non avere neppure la cassa integrazione, come spiega l’elettricista Daniele Demontis, 45 anni: «Lavoro in fonderia dall’età di 19 anni. Sono dipendente di una delle tante ditte esterne, la Cso, e a noi nessuno dice niente di certo. Ho famiglia e due figli: il futuro è appeso a un filo».

E nello stabilimento ci sono stati diversi incontri tenuti dai sindacati alla presenza costante degli Rsu Enrico Porceddu (Cisl), Carlo Ambus (Uil) e Cristiano Lixi (Cgil): «Siamo alla fine dei giochi – spiega quest’ultimo – tra un mese non avremo più un grammo di piombo da lavorare, e ovvio che in caso di mancato riavvio della linea piombo si andrà decretare la chiusura definitiva di uno stabilimento che ha quasi 100 anni. A oggi noi sindacalisti interni non abbiamo ricevuto ancora una convocazione da parte dell’azienda per discutere il futuro dello stabilimento e dei lavoratori e di un eventuale cassa integrazione che possa garantire un reddito dignitoso . I lavoratori interinali sono in una situazione drammatica: non sappiamo ancora se potranno usufruire degli ammortizzatori sociali».

Salvatore Manno, 71 anni, presidente dell’Università della Terza Età del Monreale: «Anche io ho vissuto la storia della fonderia, mio padre ci ha lavorato per 30 anni. Con la fonderia chiude un pezzo di storia della nostra comunità. I srebidoris pian piano sono diventati operai, col loro stipendio e la loro dignità. Le famiglie sono cresciute e i loro figli hanno potuto studiare e realizzarsi nella società».

Antonio Garau, 76 anni, ricorda gli anni trascorsi al lavoro: «La chiusura della fonderia sarà un colpo mortale per l’economia del paese. Il rapporto con questa fabbrica è sempre stato di odio e di amore. Odio perché portava tante cose nocive come le malattie, ma amore perché portava il pane e quindi sicurezza per le famiglie».

L’unione sarda 26 febbraio 2023

 

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