COSA VOGLIONO GLI UOMINI? DECIDERE DELLA LORO VITA, MA METTENDOSI ALLA PROVA, di Mauro Bonazzi
Jean-Paul Sartre lo aveva spiegato con una formula brillante, ma l’idea era ben più antica, risaliva al Rinascimento. L’uomo è l’essere la cui esistenza viene prima dell’essenza, aveva scritto il filosofo francese. Più o meno la stessa idea di Giovanni Pico della Mirandola, il grande umanista italiano, quando aveva celebrato la nostra libertà di scegliere chi vogliamo diventare. In questo immenso universo che ci circonda, scriveva, ogni cosa sembra possedere una natura propria da cui è determinato. È nella natura del leone cacciare ed è nella natura della gazzella fuggire. Inutile pretendere da loro comportamenti diversi. L’essere umano è invece libero di determinarsi: potrà vivere la vita di una pianta se si accontenterà di nutrirsi e dormire, o quella di un animale, se si asservirà ai suoi istinti più brutali. Ma può anche altro. Era quello che intendeva appunto Sartre: non abbiamo un’essenza fissa che ci determina; sarà l’esistenza – la vita che sceglieremo di vivere, le decisioni che prenderemo – a rivelare chi siamo. È una sfida appassionante e spaventosa allo stesso tempo.
Tra Pico e Sartre, idee analoghe hanno stimolato il pensiero anche di altrì due grandi filosofi, Michel de Montaigne e Friedrich Nietzsche. Sono loro che più di tutti hanno saputo celebrare la libertà umana. In Pico, in effetti, questa libertà si traduceva alla fine nella libertà di riscoprire la propria natura divina – l’essere umano può sollevarsi dal mondo bestiale rivelando le proprie potenzialità divine. Ma questo riduce le possibilità di una scelta davvero indipendente. In Sartre invece questa libertà si accompagnava a un senso di disgusto e disperazione, che avvolge la nostra libertà in tinte oscure. Ben diverso è il caso degli altri due. Con buona pace di Pico, la condizione umana si caratterizza per la sua libertà e l’assenza di direzioni predeterminate: siamo veramente liberi. E, con buona pace di Sartre, non c’è niente di spaventevole in questa libertà, anzi.
Se c’è una tesi di Nietzsche avvolta da una fama sinistra è di celio quella del superuomo. Con qualche ragione, visto l’uso che ne avrebbero fatto gli ideologici nazisti. Ma Nietzsche non intendeva certo quelle follie razziste. Piuttosto, tra le altre cose, pensava proprio al suo adorato Montaigne, che aveva in effetti dedicato un piccolo saggio agli «uomini eccellenti»: vale a dire superiori, capaci di andare al di là dei pregiudizi, aprendosi alla diversità e ai cambiamenti. Il superuomo è chi vuole crearsi da sé stesso, senza lasciare che altri stabiliscano chi debba diventare ed essere. È colui che vuole decidere della propria esistenza. Ma questo può avvenire solo nel confronto con gli alni, nella disponibilità a lasciare aperta la possibilità di cambiare, guardando in tutte le direzioni. La sfida è insomma quella di sapersi continuamente mettere alla prova, confrontandosi con una realtà sempre mutevole. Solo così potremo scoprire le nostre potenzialità. In fondo, è un invito a resistere alla tentazione delle abitudini, che ostacola la nostra capacità di rinnovarci. È impegnativo, certo – ma c’è qualcosa di più importante di scoprire quali possibilità albergano dentro di noi?
SETTE.CORRIERE.02.12.2022