La morte di papa Benedetto XV è la fine di un mondo e la ricerca (difficile) di nuovi equilibri, di Andrea Riccardi

L’autore dell’articolo è il fondatore della Comunità di S. Egidio, a Roma.

Il clima dei funerali di Benedetto XVI era triste. Non era solo la mestizia funebre. Aumentava la sensazione la nebbia, rara a Roma. Ratzinger è stato una personalità grande: come intellettuale e Papa. Morto – direbbe la Bibbia – «sazio di giorni». Eppure un senso di fine aleggiava sulla liturgia: Francesco, con le rosse vesti del lutto papale, aveva un volto grave e non ha nascosto le lacrime dopo il commiato.
La fine di un uomo e di un mondo. Wojtyla fu il primo Papa non italiano dal 1553. Sembrò un salto. Ma, con Ratzinger, si vide che un Papa europeo, polacco dell’asburgica Cracovia o bavarese, non era lontano da un italiano (il bresciano Montini o il bergamasco Papa Giovanni). II papato italo-europeo era considerato capace di gestire la Chiesa universale. Dopo la forza carismatica di Wojtyla (che, per il cardinal Martini, copriva un po’ i problemi), il papato di Ratzinger ha invece mostrato le fragilità della Chiesa e l’ingovemabilità della macchina vaticana.
Sia Ratzinger che Wojtyla hanno creduto alla funzione centrale dell’Europa nell’ecumene cattolica, origine dello slancio mondiale del Papa polacco. Questi disse drammaticamente: «Se si perde l’Europa, tanto è perduto del cattolicesimo». I funerali di ieri hanno mostrato la fine del papato europeo già manifestata dall’elezione di Francesco, venuto «quasi dalla fine del mondo» . Il cattolicesimo si è ammalato della crisi europea o forse è parte di essa. Lo mostrano i pochi praticanti, le scarse vocazioni (in un continente che inviava missionari ovunque).
Il funerale di ieri non ha mostrato la forza dei conservatori e dei tradizionalisti. Il numero dei fedeli in piazza era relativo. L’operazione di fare del Papa emerito un anti Francesco non funziona. Il mondo tradizionalista non ha coesione. E poi quanti cattolici s’interessano ai «due Papi»? Il problema del cattolicesimo oggi è che vive nel tempo dell’«io», il soggettivismo rapido dei social, mentre il «noi», la Chiesa o le varie realtà sociali, si sfarinano. Ma non ci sono due correnti nella Chiesa, bensì un fenomeno di frantumazione e poche visioni comuni, come nella società europea. Lo stesso ceto dirigente della Chiesa, non più centrato su un coagulo europeo, non ha trovato nuovi equilibri. I cambiamenti — lo insegna Montini — si fanno con una rinnovata classe dirigente.
Il funerale di ieri era abitato dalla stanchezza, come in Europa. La risposta dei «forti»leader sovranisti, il polacco o l’ungherese, venuti ad omaggiare il Papa della tradizione, non è risolutiva. Francesco, di fronte a questo scenario, non ha parlato di storia o di futuro, limitandosi a evocative parole credenti. La sobrietà del funerale sta nelle parole più che nel rito. Forse il Papa l’ha fatto consapevole che l’antica Chiesa dì Roma vive una transizione verso un futuro ancora un po’ nebbioso.

Il corriere della sera, 6 gennaio 2023

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