LAVORARE PER L A SPERANZA. L’ARDUA FATICA DI METTERE INSIEME I SARDI, ANCHE OGGI. di Benedetto Sechi

 

Benedetto Sechi. Amministratore della CEIS soc. coop.. Dal 2006 è Presidente di Legacoop per le provincie del Nord Sardegna e  responsabile regionale di Lega Pesca. Già operaio metalmeccanico negli anni ’70, viene eletto dirigente della Federatzione Sarda Metalmeccanicos e segretario confederale della CISL sassarese.

E’ meritorio ed  attuale, ma lo sarebbe stato in qualunque altro momento della vita politica della Sardegna, il dibattito promosso dalla Fondazione Sardinia, che ci interroga su chi siamo, su chi siamo stati. E’ attuale perché si tratta di nodi mai risolti: da una parte un popolo che fa fatica a tenere il passo dell’emancipazione dello sviluppo economico, dall’altra la sua classe dirigente, più segnatamente quella che fa riferimento ai valori identitari, che si trova ad interrogarsi, perché incompresa e spesso frustrata, quando decide di fare il bilancio della propria vita politica.

Nessuno di loro dica di non avercela mai avuta con questo popolo che nella storia moderna si è rivelato, di volta in volta, ingrato, indeciso, servile, disunito, incattivito, malato di individualismo, per dirla con Lussu.

Anche coloro i quali sono sempre pronti ad assolverlo, non possono negare l’insopportabile sensazione di avere, talvolta, pensato di aver sprecato il proprio tempo, la propria competenza e intelligenza.

Rileggendo gli scritti di Emilio Lussu, di Titino Melis, di Michele Columbu e la bellissima lettera di Michelangelo Pira si riscontrano, in tutti, ragioni fondate e stati d’animo comprensibili, seppure in contrasto tra loro; seppure l’uno tenda a confutare le ragioni dell’altro. Ma che bello il rispetto e l’umanità che emerge da questi brani, nonostante nessuno di loro rinunci a sostenere, con forza, le proprie tesi! Toni, purtroppo, oggi sconosciuti, qualcuno direbbe demodé, ma di grande valore educativo e morale.

Si potrà dire che si trattava di una Sardegna fotografata molti decenni fa: eppure tutte quelle ragioni, quegli interrogativi, io li trovo straordinariamente attuali.

Certo lasciamo pure ai sociologi ed agli storici, il compito di spiegare se avesse più ragione Lussu, con il suo pessimismo, o  Pira, che gli rimprovera di non aver voluto assumersi la responsabilità di guidare la rivoluzione, pacifica, del  popolo sardo. Ma, alla, politica di oggi cosa chiediamo? Cosa chiediamo all’attuale classe dirigente sarda? Perché è ad essa che compete la ricerca di soluzioni che non siano precarie, che non siano improntate alla contingenza italo – europea che appassiona  tanto il dibattito politico e giornalistico di questi giorni. In che modo essa riuscirà a creare coesione nel popolo sardo? Tra le diverse classi sociali? Sapendo che la sua composizione è, oggi, molto più simile a quella di altri popoli europei e perfino simile a quella dei tunisini, dei libici e degli egiziani, che sono in cammino verso forme di democrazia reale.

Come intende fare i conti con il carattere ostile dei sardi a stare insieme, per difendere meglio i propri interessi, sapendo della loro scarsa propensione ad ogni forma di cooperazione interna?

Perché è certo che, anche volendo andare oltre la discussione avviata sul carattere ostico dei sardi, è con esso che ci si deve confrontare.

Per mestiere mi occupo di mettere insieme persone, di convincerle a stare unite in forme d’impresa che hanno la loro ragione fondante nella coesione. Dirò subito che è una fatica ardua, in ogni settore economico. Chi arriva dalla sponda continentale non comprende la nostra rissosità e spesso ne approfitta per fare man bassa di appalti di opere e servizi, potendo vantare una struttura organizzativa poderosa e coesa nel perseguire il proprio interesse economico. Ed è anche vero che non hanno maggiori competenze o intelligenze, anzi, spesso i nostri sono più preparati e per dimostralo non esitano a mettersi a disposizione dei forestieri, spesso andando anche contro i loro interessi.

Abbiamo esempi incomprensibili ed insostenibili economicamente, per una terra di poco più di un milione e mezzo di individui. Nel solo settore dei servizi alla persona contiamo oltre trecento sessanta cooperative sociali, un numero triplo a quello dell’Emilia Romagna. Vi sono cittadine di diecimila abitanti con dieci cooperative di questo genere, tutte nate a seguito di diverbi interni e scissioni.  Non va meglio in altri settori quali la cultura, l’agroalimentare e la pesca. Questa manifesta incapacità di stare insieme, di cui potrei fare numerosi esempi, anche tra enti istituzionali è, ad esempio, una delle maggiori cause della nostra scarsa capacità di spesa dei Fondi Comunitari

Insomma, penso sia interessante osservare lo spaccato dell’economia sarda, anche per comprendere, ciò che i sardi oggi sono; non  troppo diversi, purtroppo, dai loro padri e dai loro nonni.

Questa tendenza a frazionare e a dividersi coinvolge anche tutto il mondo del volontariato Erroneamente si descrive come una ricchezza il gran numero delle associazioni volontaristiche sarde, in realtà in esse si nasconde l’incapacità a stare insieme, spesso consumando, vanamante, energie e risorse.

Perfino nel mondo del calcio – se si esclude il periodo del grande Cagliari dello scudetto, forse uno dei pochi momenti della storia sarda del dopoguerra che ha unificato l’intera Sardegna in un sentimento di orgogliosa appartenenza –  è possibile rilevare la caratteristica al frazionamento. Infatti, dopo quella straordinaria  parentesi, i sardi in gran parte ritornano a tifare per i grandi club lombardi e piemontesi.

E che dire del panorama dei partiti? Tra quelli dichiaratamente indipendentisti: è giustificata la loro nascita per insanabili motivazioni politiche e strategiche? O non sono anch’essi il risultato dell’incapacità dei loro leader a coesistere per combattere una causa comune? Tragicamente, io penso, incarnano anch’essi il carattere rissoso e poco propenso all’ascolto delle ragioni dell’altro. Ma questo vale, ovviamente, anche per tutto l’insieme degli altri partiti politici della Sardegna, oggi tentati da goffi percorsi neo-sardisti.

D’altra parte è lecito interrogarsi sul motivo per il quale i sardi non abbiano mai realizzato un’ unità politica attorno ad una forza autenticamente sardista e si siano accontentati di appartenere a forze politiche nazionali, quasi a volersi accreditare con maggiore vigore allo stato italiano, vantandosi, senza ragione, di aver dato ad esso due presidenti alla Repubblica.

Ma per tornare a Lussu, che sento più vicino, se non altro per stato d’animo, mi correggo nell’averlo qualificato come pessimista, in realtà egli sostiene infine che: “ Certamente la Sardegna conoscerà  una resurrezione…”; ed ancora “La Sardegna risorgerà e saremo noi gli artefici del nostro avvenire”.  Non c’è perciò da affliggersi più di tanto, si tratta solo di dar corso ad un “sardismo socialmente e politicamente diffuso” in luogo di quello partitico, presente strumentalmente in tutte le forze politiche, di destra e di sinistra, al resto penseranno le nuove generazioni che certamente non si vergognano più di dirsi sardi ed hanno buone intelligenze da mettere a disposizione.

Benedetto Sechi

Porto Torres 07/01/2012

 

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    3 Comments to “LAVORARE PER L A SPERANZA. L’ARDUA FATICA DI METTERE INSIEME I SARDI, ANCHE OGGI. di Benedetto Sechi”

    1. By Tore, 13 gennaio 2012 @ 21:14

      …………………………”Chi arriva dalla sponda continentale non comprende la nostra rissosità e spesso ne approfitta per fare man bassa di appalti di opere e servizi, potendo vantare una struttura organizzativa poderosa e coesa nel perseguire il proprio interesse economico. Ed è anche vero che non hanno maggiori competenze o intelligenze, anzi, spesso i nostri sono più preparati e per dimostralo non esitano a mettersi a disposizione dei forestieri, spesso andando anche contro i loro interessi.”

      Mai analisi è stata così lucida e realistica.

      Mi vanto di essere amico di Benedetto.

    2. By Luigi Martinetti, 9 gennaio 2012 @ 18:25

      Sono riflessioni molto interesanti, orginate dall’analisi di nostre fondate peculiarità caratteriali che nella storia tendono a ripetersi. Primo tra tutti e grande ostacolo il nostro scarso spirito cooperativo che ci porta a dividere le forze e a frantumarci in mille deboli rivoli. Diventando facile preda di chi molto più organizzato e abituato a intraprese collettive viene da fuori. Caratteri che dobbiamo sforzarci di modificare e volgere al meglio, adoperandoci per fondare una forza politica squisitamente sardista, progressista, coesa e nello stesso tempo internazionalista aperta alle diverse voci del mondo, tra le quali vivisime nella loro lotta per la libertà e la democrazia sono quelle vicinissime dei paesi africani del mediterraneo nostri dirimpettai.

    3. By gianfranco, 9 gennaio 2012 @ 12:55

      Riflessioni decisamente interessanti e pienamente condivisibili per l’esperienza che da oltre dieci anni stò vivendo in isola dopo che ho deciso di lasciare il Veneto .”La Sardegna risorgerà e saremo noi gli artefici del nostro avvenire”………Se i sardi ( e chi vive la sardegna con amore e passione ) sapranno ripartire da quì, ci sarà futuro. Altrimenti se non ce la fà più l’italia, se non ce la fà più l’Europa come potremmo pensare di uscirne noi dilaniati e divisi come siamo attualmente ? Per ogni cosa ci vuola la giusta molla che fà scattare la svolta. Il popolo sardo deve trovare questa molla prima che……….sia troppo tardi.