Un strada maestra per le finalità del nostro lavorare: l’economia circolare, di Giorgio Asuni

Siamo in una economia di guerra mondiale, certo combattuta con le armi su un Paese limitato, ma che coinvolge tutto il mondo per le sue ricadute economiche, finanziarie e umanitarie.

Gli effetti di quanto sta accadendo tra la Russia e l’Ucraina cambieranno gli assetti geopolitici mondiali in due blocchi, da un lato l’Occidente, dall’altro i Paesi più o meno omogenei, con Russia e Cina protagonisti. La conseguenza sarà il cambiamento degli sviluppi globali, dei sistemi economici, finanziari e mercantili e i sistemi industriali, che non saranno più interscambiabili, ma isolati. In soli 6 anni sono stati estratti 500 miliardi di tonnellate di materie prime per soddisfare i bisogni e i desideri dell’umanità. È una realtà che non conosceremo più quando finirà la guerra.

Tornare indietro dalla globalizzazione impoverirà tutti da un punto di vista umano, e su quello economico obbligherà il mondo a calarsi in una realtà profondamente modificata.

Ci sarà inevitabilmente una reindustrializzazione dell’Occidente che riporterà nei singoli Paesi attività che prima erano state decentrate fuori. In una economia di guerra si possono porre le basi per una crescita post bellica che possono portare a grandi ristrutturazioni del sistema industriale e produttivo dei singoli Paesi.

Già oggi l’industria della produzione energetica sta cambiando con determinazione, cambia la filiera agroalimentare perché mancano le materie prime, cambia la difesa con grandi accelerazioni sulla cybersecurity.

Davanti alla mancanza di materie prime e al conseguente aumento dei prezzi cui si accompagnano spietate speculazioni che arricchiscono solo alcuni, governi e imprese di tutto il mondo devono ormai fare i conti con questa realtà sempre più drammatica.

L’economia dell’Italia e anche della Sardegna, che vive questa drammatica situazione in modo pesantissimo, può cogliere l’opportunità di riportare intere filiere produttive che nei decenni scorsi sono state trasferite in altri Paesi, puntando ad una reindustrializzazione in grado di far ripartire l’economia e l’occupazione “buona”, dando un nuovo impulso ai servizi e alla logistica di terra e di mare.

Il pensiero “ecologista” del Papa espresso di recente ad Assisi, su quanto sia importante per un Paese privo di materie prime, il modello di economia circolare, ovvero passare dallo schema “materia prima-produzione-consumo-scarto” ad uno dove successivamente al consumo non c’è necessariamente lo scarto, ma il riciclo e il riuso dei materiali, invita con forza sulla necessità di riflettere su un mondo ormai precipitato e totalmente asservito al mercantismo di una élite mondiale.

Non è solo il gas che ci cambia la vita, ma il cobalto, il litio, il grano e i fertilizzanti per la trasformazione agricola, le argille per le piastrelle e così via.

L’Italia e la Sardegna non siedono certo in territori ricchi di materie prime, dobbiamo quindi ricorrere al riuso di ciò che utilizziamo. In Italia e purtroppo in Sardegna, ancora troppi rifiuti finiscono in discarica e spesso la Sardegna è teatro di ulteriori rifiuti che provengono da altre regioni, col consenso di classi politiche che non amano certo la propria terra.

È ancora a livelli di oltre 20 punti percentuali le quantità di rifiuti che finiscono in discarica, dobbiamo assolutamente invertire questa tendenza, dobbiamo fermare le scellerate azioni che vedono interrare residui fognari e trasformarli in biometano, togliendoli dalle mani di chi fa business distruggendo ricchezza.

Per fare questo, in Sardegna si deve puntare con decisione al recupero del divario impiantistico e fare in modo che ciò che non può essere riciclato e poi riutilizzato, serva a generare energia e non a colmare buchi nel terreno.

Insomma passare dalle parole ai fatti, perseguendo due strade: la realizzazione di impianti per il recupero energetico da rifiuti indifferenziati che, sebbene subordinati al recupero di materie, sono da preferire alle discariche; la costruzione di impianti con ciclo anaerobico in grado di trattare la frazione organica che genera materia (compost) ed energia (bio-metano) piuttosto che rendere l’aria irrespirabile, come accade oggi alle popolazioni che vivono vicino a questi impianti; la costruzione di piattaforme in grado di recuperare i minerali (cobalto, litio, rame, nichel) dalle apparecchiature informatiche, compresi i cellulari.

La generazione di energia dal rifiuto è un’opportunità che va perseguita senza se e senza ma.

 

L’Unione Sarda, 10 novembre 2022

 

 

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