…. è un fatto politico e come ogni sentimento è condizionato dalla storia, di Rosella Pastorino
Ho scritto spesso, anche su questo giornale, che dovremmo avere il diritto di non essere felici, mentre la società tende a stigmatizzare chi è infelice, a colpevolizzarlo. La società ci vuole forti, produttivi e felici. Ma che cos’è la felicità? Io la collego all’euforia di certe sere della giovinezza, alla sensazione di essere amati, allo spettacolo della bellezza cui si è grati di assistere, alla coscienza di un pericolo scampato, alla realizzazione di un sogno, al piacere fisico, a quelle rare occasioni in cui ci si dimentica di autocondannarsi per ciò che si è fatto o non si è saputo fare, per ciò che si è.
Nel suo libro Cosa c’entra la felicità? Marco Balzano si affida, per trovare la risposta, alla ricerca etimologica, il cui scopo è secondo lui la militanza, la «capacità di intervenire e reagire ricordando la lunga storia che ogni parola si porta dietro», contro possibili «appropriazioni indebite e utilitaristiche». Mi pare una strada originale e affascinante.
Sono quattro le lingue che prende in considerazione – il greco e il latino della tradizione classica, l’ebraico della tradizione giudaico-cristiana, l’inglese, codice universale del nostro tempo – fino a scoprire che in ciascuno di questi idiomi la felicità è un percorso ( e non un attimo eccezionale), che chiama in causa l’altro. È la dimensione politica dell’ eudaimonia greca, che interpreta l’essere umano come animale sociale capace di conoscere sé stesso solo nell’incontro: chi diventa felice deve restituire qualcosa alla poIis, che glielo ha permesso. È la felicitàs latina, la madre che gode nell’allattare il figlio, ossia nel donare. È la beatitudine dell’ashrè, termine ebraico che deriva da ashar, «andare avanti», e racchiude il movimento di un intero popolo. All’inizio la fede cristiana era «la via» (hodés, da cui es-odo, «lontano dalla vìa»): lungo il cammino, è servendo il mondo che si prova gioia di vivere. Infine, c’è la happiness della Dichiarazione di indipendenza americana – anche se nel saggio La Russia “eterna di Luca Gori ho letto che le prime versioni del documento contenevano invece il vocabolo property. Gori mette a confronto la rottura rivoluzionaria degli Usa con il conservatorismo russo, fondato sulla mitologia del sacrificio ( che la leggenda del Grande Inquisitore rivela magistralmente), e per il quale la felicità non è un diritto.
Ho sempre pensato che nessun sentimento fosse individuale, libero da condizionamenti culturali, dalla Storia stessa, che dei sentimenti può persino determinare il corso: in fondo, è quanto tento di raccontare nei miei romanzi. Perché essere felici o no è un fatto politico, che a volte riesce a smascherare le ideologie in cui siamo costretti.
da SETTE-CORRIERE DELLA SERA, 7.10.2022