IL NURAGHE: uniti in una società segreta
Elaborazione drammatica di Piero Marcialis dalla ricerca e la documentazione di Salvatore Cubeddu
Nel novembre del 1993, al Convegno di studi della Fondazione Sardinia sul sardo-fascismo, viene presentato e commentato un foglio appartenuto a Dino Giacobbe, che lo aveva gelosamente custodito, nascosto piegato in quadratini sotto una mattonella, consunto dal tempo, incollato poi su un cartoncino per sostenerlo. In esso si descrive la cerimonia di iniziazione ad una società segreta; si descrive la sala delle adunanze, i preamboli del rito, il rito vero e proprio, che prevede un “Contratto di bardana”. Tutto porta a credere a una società segreta tra sardi che aveva come fine l’Autonomia.
Elaborazione drammatica di Piero Marcialis dalla ricerca e la documentazione di Salvatore Cubeddu
ATTO UNICO
Sul palco Mario Faticoni, Piero Marcialis, Rita Atzeri, Salvatore Cubeddu.
PREAMBOLO (Mario)
Abbiamo visto finora i legami di solidarietà tra i sardi che, come in un sentimento di unità nazionale, condussero personalità sarde e non sarde a celebrare il primo Congresso dei Sardi a Roma, Castel S. Angelo, nel 1914.
Ci siamo interrogati ancora sui modi in cui questo sentimento di unità nazionale è uscito rafforzato dalle trincee della Grande Guerra e ha generato prima il movimento degli ex-combattenti e da esso subito il Partito sardo d’azione.
Abbiamo rievocato il dramma dei sardisti, primi antagonisti del fascismo nascente, nei giorni in cui si celebrava a Nuoro il loro Congresso, mentre Roma cedeva al fascismo.
Entreremo oggi nei giorni, mesi, anni, convulsi e confusi, segnati da ambiguità e oscillazioni, che seguirono alla presa del potere di Mussolini. Che fanno i sardisti, il più forte e organizzato partito dell’Isola?
Abbiamo verificato come la disponibilità a combattere in armi contro il fascismo, in nome della legalità dello Stato, si arenò nel momento in cui fu lo Stato a divenire fascista e la questione era diventata combattere contro lo Stato.
A questa risoluzione due cose si opposero: l’incertezza da un lato dell’esito dello scontro – era possibile battere non solo e non tanto i fascisti sardi, ma l’esercito italiano messo a disposizione del Partito fascista? O era un prevedibile suicidio che passava per una sicura strage fratricida? -, d’altro lato si opponeva a una tale decisione l’impostazione lealista verso lo Stato italiano, al quale si chiedeva, dagli ex-ufficiali divenuti dirigenti politici, una non molto chiara “autonomia amministrativa”, teorizzata dai capi del Partito, pur avvertiti in qualche misura che ben più forte e diverso era il sentimento di indipendenza dall’Italia di quei pastori, contadini e artigiani sopravvissuti alla guerra per la difesa di confini abbastanza lontani da casa.
In questa situazione si finì per non decidere.
Ognuno, lentamente prese la sua strada, comunque non facile. La realtà sardista, se non poteva vincere lo scontro, costituiva comunque una presenza di non poco ingombro per la completa affermazione del fascismo, che – dopo i due mesi, novembre e dicembre 1922, di ‘guerra civile’ a Cagliari dei fascisti contro i sardisti (uccisione di Efisio Melis, grave ferimento di Emilio Lussu) – , cambiò il suo atteggiamento e rivolse ai sardisti proposte di intesa, di entrata, di disponibilità a chiudere coi fascisti della prima ora, di affidare le redini del potere locale a chi si converte.
Che fanno i sardisti? Trattano. In fin dei conti non è comune l’origine dei due movimenti? Non nascono entrambi dal fuoco e dal fango delle trincee? Asclepia Gandolfo, il generale mandato da Mussolini a trattare, non era forse nelle trascorse battaglie uno dei loro stimati comandanti? Dunque trattano. Finchè si tratta per un patto di non aggressione reciproca, nessun problema; quando si tratta però di aderire al partito avversario, le cose si complicano.
Salvatore – Lussu, incaricato di andare alla trattativa, firma un pubblico documento con il generale Gandolfo. Richiamato da Bellieni prima e da Fancello poi, si ritira, facendosi sostituire da Paolo Pili. Sappiamo che già il 14 febbraio del ‘23 un gruppo di sardisti aderisce al partito fascista.
Tra essi c’è addirittura quel Vittorio Tredici che a Nuoro, nella drammatica notte del 29 ottobre, aveva proposto di insorgere in armi contro il fascismo.
Una seconda adesione avviene il 26 aprile del 1923: in essa è compreso Paolo Pili, che diviene la figura più prestigiosa del fascismo a Cagliari, secondo solo a Asclepia Gandolfo.
I sardisti dunque si dividono.
C’è un ma… ma sono davvero divisi?
Alcune contraddizioni nei fatti che seguiranno lasciano perplessi, fanno pensare che negli anni che vanno dal ’22 al ‘26-’27, ci fosse tra loro una segreta intesa.
E in epoca recente ne abbiamo avuto conferma.
Nel novembre del ’93 Simonetta Giacobbe presenta al Convegno di studi della Fondazione Sardinia sul sardo-fascismo un foglietto appartenuto a Dino Giacobbe, suo padre, che lo aveva gelosamente custodito, nascosto piegato in quadratini, probabilmente sotto una mattonella, consunto dal tempo, incollato poi su un cartoncino per sostenerlo.
In esso si descrive la cerimonia di iniziazione ad una società segreta; si descrive la sala delle adunanze, i preamboli del rito, il rito vero e proprio, che prevede un “Contratto di bardana”. Tutto porta a credere a una società segreta tra sardi che aveva come fine l’Autonomia.
Ecco il testo.
Rita – Nella sala delle adunanze vi sarà un tavolino con la bandiera sarda coi bordi neri, sulla bandiera una carta geografica della Sardegna . Vicino al tavolino, rivolto alla porta, siede il Prinzipale Majore; su sgabelli lungo le pareti siedono i Prinzipales e i Massajos e questi non sanno quali siano i primi.
Dinanzi al tavolino è uno sgabello con sopra una Bibbia, vicino allo sgabello un piccolo inginocchiatoio.
Prima di inziare una seduta il P.M. farà sedere tutti al posto. A un suo cenno tutti si alzeranno.
Il P.M. dirà: VIVA LA SARDEGNA AUTONOMA!
Gli altri risponderanno: VIVA!
Allora tutti si siederanno e comincerà la discussione, che dovrà essere ordinata e serena; non sono ammesse interruzioni.
Dovendosi presentare un nuovo socio il P.M. inviterà il socio presentatore a condurre l’iniziando nel locale delle riunioni. Prima di essere introdotto nella sala, l’iniziando riceverà un foglio di carta, sul quale dovrà scrivere le risposte alle domande che sono prescritte dalla CARTA (che cos’è la Sardegna? Che cos’è l’Italia? Che cos’è il Re? Che cos’è l’Umanità?).
Intanto nelle sala il P.M. aprirà la seduta nei modi prescritti.
Piero – Appena pronte le risposte, il presentatore porterà il foglio al P.M. il quale le leggerà all’Assemblea. Se le risposte saranno soddisfacenti il P.M. inviterà il presentatore a introdurre l’iniziando.
Questi verrà presentato nella sala con gli occhi coperti da una benda nera e tutti i presenti metteranno una piccola maschera nera.
Il P.M. spiegherà all’iniziando gli scopi della Società, gli obblighi, le pene cui vanno incontro i traditori, ecc.
Indi gli domanderà “VUOI TU FAR PARTE DELLA SOCIETA’? SEI DISPOSTO AD ACCETTARE IL CONTRATTO DI BARDANA?” Se l’iniziando risponderà affermativamente, esso verrà fatto inginocchiare e con la mano destra sulla BIBBIA e la mano sinistra sul cuore verrà sottoposto al GIURAMENTO INDICATO DALLA CARTA.
Dopo il giuramento il P.M. dirà ancora all’iniziando “PRIMA CHE TI SIA DATA LA LUCE, RIPETI ANCORA CHE VUOI FAR PARTE DELLA SOCIETA’”.
Se l’iniziando risponderà affermativamente tutti i presenti lo circonderanno levando su di esso il pugnale con atto minaccioso; il socio presentatore lo farà alzare in piedi, lo sbenderà e il P.M. lo ammonirà: “OSSERVA I TUOI COMPAGNI, ESSI HANNO IL VISO COPERTO: GUAI A TE SE LI SCOPRIRAI! LE LAME CHE VEDI RIVOLTE VERSO DI TE SONO QUELLE CHE I TUOI COMPAGNI IMPUGNERANNO PER DIFENDERTI SE SARAI OFFESO, MA SONO ANCHE QUELLE CHE SERVIRANNO PER PUNIRTI SE TRADIRAI”.
Tutti allora toglieranno la maschera e l’iniziato verrà abbracciato prima dal P.M. e poi dai Compagni. Quindi tutti ritorneranno al posto e la seduta continuerà.
Alla fine, tutti in piedi, il P.M. dirà di nuovo: “VIVA LA SARDEGNA AUTONOMA!” e gli altri risponderanno: “VIVA!”. La seduta è tolta.
Salvatore – Di questa società segreta sardista è Paolo Pili che, nel suo libro “Grande Cronaca-Minima storia” (1946), ci dice nome e origine.
Si tratta de IL NURAGHE, società segreta fondata nel 1921 da lui stesso, con Emilio Lussu e Vitale Cao, primo direttore del giornale Il Solco.
Non dobbiamo meravigliarci che in seno al movimento degli ex-combattenti e del partito sardista, appena costituito, si sentisse il bisogno di costituirsi pure in società segreta, di riunirsi in gruppi più selezionati, rapidi a decidere e determinati a operare in maniera incisiva, animati comunque da intenti patriottici; tutto ciò senza neppure bisogno di ricordare la ben nota tradizione ottocentesca delle società carbonare, come anche di quelle massoniche.
Anche in ambito fascista si sarebbe tentato, è Sorcinelli precisamente a farlo, di mettere in piedi un’organizzazione segreta, denominata Mussolini e l’Italia, con l’intento di orchestrare (così risulta agli Atti del Ministero dell’Interno)
“una subdola campagna sobillatoria che, prendendo a pretesto la questione del caro-viveri, mirava ad eccitare progressivamente i bassi strati cittadini, per lanciarli violentemente contro il fascismo, dando al pubblico la sensazione che la situazione attuale potesse da un momento all’altro essere travolta”, per accusare inoltre il nuovo gruppo dirigente del Fascio di Cagliari, ormai di provenienza sardista, “di tradire la purezza degli ideali del fascismo”.
Nell’aprile del ’23 dunque Paolo Pili, divenuto progressivamente il massimo dirigente sardo del fascismo, dopo che gran parte del gruppo dirigente e della base sardista continuava a transitare nel Partito fascista, intende con alcuni di essi riprendere e mantenere attivo l’impegno concordato nel ‘21. Egli scrive:
“D’accordo con gli amici ex-sardisti, in una riunione tenuta segretamente a Cagliari, vennero stabilite alcune condizioni essenziali per la nostra condotta avvenire:
1. il reciproco impegno, stabilito già dal giuramento prestato nell’entrare a far parte dell’organizzazione segreta “IL NURAGHE” a suo tempo fondata dall’on. Lussu, da me e dal Dottor Vitale Cao, di rimanere sempre uniti e concordi per far sì che nel fascismo si potessero affermare al massimo per la Sardegna gli scopi che ci avevano portato a militare nel P.S. d’A.”
Mario – Quali erano questi scopi? Pili li elenca con precisione per i vari campi d’azione: in campo politico abbattere tutte le conventicole facenti capi ai vecchi uomini politici; nel campo sociale migliorare le condizioni dei contadini, dei pastori, e in generale di tutti i lavoratori “del pensiero e del braccio”; nel campo economico sottrarre l’economia isolana dallo stato di inferiorità causato dal sistema monopolistico imperante, specie nel mercato dei cereali e dei prodotti caseari; nel campo culturale la “creazione di un Ente di Cultura e di divulgazione” per far conoscere storia, letteratura, arte e ambiente economico e sociale dell’Isola. Pili elenca ancora i campi della tecnica, del credito, dei lavori pubblici, della cooperazione, delle amministrazioni locali.
Pili rivendica di aver agito nella sua attività fascista sempre perseguendo questi scopi:
“… tutta la nostra azione, concretata nei consessi politici del fascismo, fu quasi sempre promossa nelle riunioni segrete tra ex-sardisti facenti parte dell’organizzazione “IL NURAGHE”, riunioni che si tennero con una certa frequenza (…)
Attraverso queste riunioni segrete il Partito Sardo d’Azione della Provincia si mantenne integro e solidale nelle file fasciste fino al mese di agosto 1927, epoca nella quale, non certo per colpa mia, si sfasciò “IL NURAGHE”, apportando all’Isola immense e irreparabili perdite.”
Salvatore – Possiamo credere a quanto scrive Paolo Pili?
Certamente abbiamo prove a favore di quanto dice.
Possiamo citare il lavoro da lui svolto finché non fu il fascismo stesso a esautorarlo, ma cominciamo dal fatto più clamoroso e estremamente contradditorio.
Andiamo ai giorni dell’assalto fascista alla casa di Lussu in Piazza Martiri che terminò con la morte di Battista Porrà, il giovane che si era arrampicato fino alla finestra di casa Lussu e che Lussu fulminò con un colpo di pistola.
E’ il 31 ottobre 1926.
Lussu viene arrestato e incarcerato a Buoncammino.
Il giorno dopo L’Unione Sarda titola “L’on. Lussu assassina vilmente una giovanissima camicia nera”.
Sentiamo a questo punto che cosa dichiara nel 1947 l’avv. Giuseppe Spano, che era prefetto di Cagliari nel ‘26 .
Rita – “Da pochi giorni, cioè dal 18 ottobre 1926, ero prefetto di Cagliari, quando nelle ore serali del 31 di quel mese accaddero i dolorosi fatti di piazza dei Martiri.
L’indomani la città rigurgitava di fascisti accorsi anche da altri centri per prendere parte al corteo, che doveva effettuarsi nel pomeriggio. Gli animi erano molto eccitati e scarsissime erano le forze militari e di polizia.
… il Direttore dei Telegrafi mi inviò per il visto un telegramma diretto dal Segretario del Partito fascista on. Turati al Segretario federale on. Pili, formulato, ad un dipresso, nei seguenti termini: “Deputato sardista Lussu ha ucciso camerata Porrà. Fascismo sardo avrebbe dovuto assassinarlo. Con questi sentimenti mando mio saluto.”
Non mi era certo lecito fermare quel telegramma.
Dargli l’ordinario corso equivaleva a legittimare le violenze cui le masse fasciste apparivano disposte, con la preannunciata meta dell’assalto alle carceri, per infierire sull’on. Lussu, ivi rinchiuso.
In quella difficile situazione stimai opportuno convocare presso di me l’on. Pili. Gli consegnai il telegramma dicendogli che lo affidavo al suo senso di responsabilità.
Lettolo, si mostrò sdegnato delle inconsulte parole, che offendevano la Sardegna, e mi disse testualmente:
“Noi non assassiniamo nessuno. E poi Lussu era dei nostri, un valoroso della Brigata Sassari ed era in casa sua”.
Il telegramma Turati fu controperante, perchè mi offrì il modo di agire più efficacemente sull’animo del segretario federale, inducendolo a fare, per reazione, opera moderatrice”.
Piero – Che cosa fa Pili dopo questo incontro?
Egli è non solo il capo del Partito fascista a Cagliari, ma anche il direttore de L’Unione Sarda, a partire dall’inizio del 1926. Pili prende accordi col Questore, perchè disponga che gruppi di agenti e di carabinieri impediscano gli eccessi. Riunisce nella sede del giornale alcuni dirigenti fascisti a lui fedeli, dispone per fermare le violenze di alcune bande che si stavano dedicando ad azioni indegne, scrive un articoletto che uscirà l’indomani col titolo “Caricate!”, una vera e propria istigazione a procedere contro Lussu per vie spicce. Come giustifica l’uscita di un tale articolo, così palesemente in contrasto con quanto ha detto e fatto finora?
“… per avere sui fascisti più riottosi la necessaria autorità.
La mattina seguente (era il giorno del seppellimento del povero Porrà e temevo nuovi disordini) feci uscire l’articoletto Caricate! Perchè volevo dimostrare che assumevo io la posizione del Partito, che gli altri dovevano ubbidire e che nessuno doveva assumere iniziative personali di alcun genere. E tutto questo dovetti fare da solo, perchè i miei subalterni che si erano allontanati dalla piazza dopo la revolverata di Lussu, non avevano più nessun ascendente sulla massa.”
Mario – Dunque Pili recita la parte del più fascista di tutti, ma per impedire il linciaggio di Lussu, in contrasto con le direttive del Partito Nazionale Fascista, e anche contro le propensioni criminali della base fascista locale, come se i vecchi accordi segreti de IL NURAGHE siano per lui ancora validi nel 1926, quando sa bene che, almeno per Lussu, non lo sono più fin dal 1924.
Emilio Lussu, assolto in tribunale per legittima difesa, è però condannato, dalla Commissione di polizia, a 5 anni di confino a Lipari. Come commenta il fatto Paolo Pili?
“Che c’entro io col confino? E, d’altra parte, quale valore poteva avere la mia parola se ero già caduto in disgrazia?
E basta prendersi la briga di leggere i giornali di allora per vedere che, credo sullo stesso giornale o su quello di un giorno prima o di un giorno dopo, sono apparse contemporaneamente le notizie di Lussu al confino e della mia defenestrazione dalla carica di Federale.”
Nella carica di Federale Paolo Pili sarà sostituito da Giovanni Cao di S. Marco. Al momento della successione, è il novembre 1927, a Roma, Cao assicura Pili che si potrà continuare l’esperienza della Società segreta, ma subito dopo Pili capisce che Cao seguirà disciplinatamente le direttive del Partito da Roma.
IL NURAGHE non si riunirà più.
Così nel 1927 finisce anche per Pili il pericoloso gioco della società segreta IL NURAGHE.
Salvatore – La fine dell’anno 1927 mette dunque fine al periodo più confuso e contorto della storia sardista, il più difficile da leggere ancora oggi, quando ormai molte nebbie si stanno diradando.
I comportamenti sono stati dei più vari e contradditori, quasi nessuno è stato esente da dubbi, sospetti, ambiguità, escluso Paolo Orano, deputato eletto dagli ex-combattenti sardi, che passò per primo, unico e solo nel ‘22, dal Psd’A al Partito Fascista, guadagnandosi il titolo di traditore.
Lo stesso Emilio Lussu sembra oscillare: fa un discorso ambiguo, pubblicamente, in Consiglio Provinciale, nel febbraio 1923, davanti ad Asclepia Gandolfo, che si aspetta la sua adesione al fascismo in quanto ex-combattente, e davanti a tanti sardisti che aspettano: alcuni che egli resista, altri che egli dia, se non l’adesione, il beneplacito alla loro adesione. Lussu stesso definirà l’ambiguità del suo discorso di quel giorno come di un discorso “tra Scilla e Cariddi”.
“Parlo per l’ultima volta, poichè gli uomini che hanno rappresentato un partito sorto per il bene dell’Isola non devono essere sospettati di speculazione e quindi sentono il dovere, in ore come questa, di sparire.
…Il generale Gandolfo ha annunciato come fatto compiuto la fusione tra sardismo e fascismo; il fatto ufficialmente non è ancora avvenuto; avverrà nelle forme e nei modi che Sardegna conoscerà. Sin d’ora però dichiariamo che coloro che entreranno nel fascismo vi porteranno tutta la loro passione di combattenti, tutta la loro anima sarda nutrita di speranza, tutta la loro consapevolezza di sardi cui si può solo rimproverare la grande passione per la propria terra.”
Posizioni limpide in senso antifascista sono invece quelle di Bellieni e Fancello, che richiamano Lussu ad essere Lussu.
Pili è pronto al doppio gioco: aderirà al fascismo, ma resterà sardista, continuando il programma originario, eppure ancora nel dicembre del ‘22 sembrava pronto alla resistenza armata. Ce ne informa Dino Giacobbe.
Giacobbe sa della società segreta Il Nuraghe, non si capirebbe perchè altrimenti sia in possesso del suo rituale, ma non aderisce al fascio. Pure è possibile che abbia per un certo tempo tenuto i contatti con chi vi aveva aderito.
Fancello non sa de “Il Nuraghe”, se no non si capirebbero le sue considerazioni che in parte scoprirebbero il gioco dei transfughi rimasti sardisti.
Rita – Così scrive Francesco Fancello, è l’estate del ’23, nella rivista Critica Politica, in occasione della visita di Mussolini in Sardegna.:
“E’ veramente interessante constatare la fedeltà della maggior parte di codesti transfughi dalle idee autonomistiche che essi continuano a sostenere nella loro propaganda, mentre Il Littore sardo, settimanale fascista, parla a tutto spiano di imperialismo. E soprattutto la tenacia del loro atteggiamento contro le vecchie cricche: queste sono combattute senza quartiere dovunque il sardismo sia rappresentato da ex-sardisti. Evidentemente ciò non facilita il proselitismo, ma bisogna confessare che conferisce al fascismo una particolare sagoma morale”.
Fancello sottolineava anche l’esistenza di un sentimento “anticontinentale”, che consentiva loro di “agire senza preoccuparsi del fascismo nazionale”.
Solo dopo le elezioni del 1924 Fancello saprà di una società segreta, ma crederà che essa sia sorta solo per iniziativa dei sardisti già transitati al fascismo, quelli che lui chiama i “fusionisti”, e respingerà, come poi vedremo, ogni proposta di intesa segreta con loro.
Piero – Altro comportamento è quello di giovani sardisti come Enrico Endrich (deve ancora compiere 24 anni) che aderirono prima al sardismo, poi al fascismo, ritenendo in buona fede che non ci fosse contraddizione nelle due cose. Così si esprime Endrich nel rievocare quel periodo:
“Se l’adesione al fascismo fu un errore, fummo in molti a sbagliare. Quanti furono i sardisti che nel 1923 non passarono al fascismo? Anzitutto bisognerebbe chiedersi se quelli che allora non passarono sarebbero rimasti fuori se Lussu non si fosse repentinamente ritirato.
… Alcuni non si iscrissero mai al Partito fascista: tra essi Pietro Mastino, l’avv. Puggioni di Sassari, l’ing. Giacobbe che fu sempre fieramente avverso al fascismo.
… I più tra i sardisti passarono in massa al fascismo nel 1923. Qualcuno di coloro che allora esitarono fece il passo più tardi, come avvenne a Peppino Asquer.
Anselmo Contu, direttore de Il Solco, fece domanda, credo, a Lanusei, e non venne accolta.
Quando tornai in Sardegna negli anni Cinquanta, Contu, persona colta, scaltra e dotata di un’acuta intelligenza, era Presidente del Consiglio Regionale.
…Vittorio Tredici resse l’amministrazione comunale dal 1923 al 1928, anno in cui gli succedetti nella carica. Fece molto, moltissimo, per lo sviluppo di Cagliari, soprattutto nel campo dell’edilizia economica. Fondò la Cassa comunale di credito edilizio, che si rivelò veramente utile e provvida. Fu lui a riordinare il Corpo dei vigili urbani, fu lui a dare impulso all’edilizia scolastica, a dare incarico allo scultore Francesco Ciusa di completare lo scalone d’onore del Palazzo civico, ad affidare all’architetto Francesco Giarrizzo la progettazione e la costruzione della facciata della Cattedrale.”
Endrich ricorda che a quel tempo correva una battuta tra i cagliaritani: come si fa ad avere buone condizioni meteorologiche quando il prefetto si chiama Malinverno, l’arcivescovo Piovella e il Podestà Tredici?
Endrich chiarisce poi che nella famosa spedizione contro la casa di Lussu non era vero, come scrisse Lussu nel ’33, che Giovanni Cao di S. Marco capeggiasse la masnada.
Nel dopoguerra Giovanni Cao fu arrestato per quel fatto, ma fu Lussu stesso a dichiararne l’innocenza e a dire di aver scritto quelle cose a fini di propaganda politica.
Mario – Giovanni Cao, come abbiamo visto, sa della società segreta, il suo successivo allinearsi alle direttive nazionali del PNF è solo l’ultima goccia che fa dire a Pili che IL NURAGHE è finito.
Prima c’è stato il logoramento dei rapporti tra Pili e Putzolu, entrambi di Seneghe, entrambi eletti alla Camera, entrambi considerati la salvezza (fascista) della Sardegna.
Putzolu riesce a mettere da parte Pili.
Evidentemente per la salvezza uno era sufficiente.
Dice Endrich:
“Tra Pili e Putzolu, prima inseparabili e sempre concordi, era sorta una sorda contesa. Il Partito mandò a Cagliari un commissario federale, certo Romagnoli, e poi nominò segretario federale Giovanni Cao.
Nella contesa tra Pili e Putzolu, io, pur essendo amico di entrambi, mi ero schierato con Pili, perchè mi sembrava che l’atteggiamento di Putzolu fosse ingiustificato e fosse dannoso all’unità del Partito nella provincia.”
Forse il contrasto tra i due, a Endrich poco comprensibile, era nato nell’ambito della società segreta?
Salvatore – Le elezioni politiche del 1924 portano alla Camera, per la Sardegna: il generale Carlo Sanna, Pietro Lissia, Paolo Pili, Antonello Caprino, Antonio Leoni, Salvatore Siotto, Giovanni Cao di S. Marco, Antonio Putzolu, Emilio Lussu, Pietro Mastino, Palmerio Delitala, Mario Berlinguer. Pili e Putzolu sono eletti come fascisti, Lussu e Mastino come sardisti.
La campagna elettorale e le elezioni si sono svolte secondo Paolo Pili “senza nessun turbamento dell’ordine pubblico”, secondo Emilio Lussu praticamente con le armi in pugno.
La seduta inaugurale della legislatura si tiene il 24 maggio. Il 10 giugno Giacomo Matteotti fu ritrovato cadavere.
In quei giorni Pili e Putzolu si incontrano a Roma con Lussu e Fancello. Ecco il racconto di Fancello:
“… quando nelle elezioni del ’24 Pili e Putzolu furono eletti deputati del fascio, si incontrarono a Roma con Lussu e con me e insistettero nel progetto di mantenere tra noi dei rapporti clandestini. I dirigenti avevano creato una società segreta aperta a pochissimi iniziati per mantenere i contatti coi sardisti renitenti al rastrellamento fascista, allo scopo
di preparare insieme la immancabile riscossa. Lo scambio di idee fu lungo ed ebbe anche momenti emotivi.
‘Noi siamo bruciati in partenza – essi dicevano – ma terremo le posizioni e prepareremo le forze materiali che voi adopererete a tempo opportuno.
‘Dovete essere voi, che non vi siete compromessi, voi puri a tenere accesa la fiaccola dei nostri ideali, ma non rifiutate nel frattempo i segreti contatti con noi.’
Ricordo che tra piazza Venezia e piazza Colonna continuammo a camminare su e giù e discorremmo a lungo.
Putzolu si ritirò per primo, con le lacrime agli occhi.
Lussu ed io ragionammo ancora con Pili, dimostrando l’assurdità del progetto, che avrebbe squalificato gli uni e gli altri. Rimasto poi solo con Pili, gli rivolsi parole di una franchezza che in altra occasione avrebbero potuto essere scambiate per impertinenza.
‘Voi vi lascerete assorbire dal fascismo – gli dissi – o sarete stritolati. E’ passata la prima fase della lusinga, ora viene quella della disciplina.’ Gli commentai con molti esempi la politica di prepotenza e di corruzione che il fascismo era costretto a fare. ‘O lo aiuterete o ne sarete espulsi senza pietà. Questa è l’alternativa. E se lo aiuterete – conclusi – diventerete anche voi delle canaglie. Non c’è via di scampo.’ Pili mi guardò pallido e pensoso.
‘Hai ragione – disse – temo che per salvarci diventeremo anche noi delle canaglie.’”
(Poco tempo dopo Matteotti veniva assassinato dai fascisti.)
Mussolini il 3 gennaio ne assumeva la responsabilità politica. Gli ex-sardisti, come gli altri deputati fascisti, votarono per lui. La predizione di Pili si era già avverata.
CONCLUSIONI
Piero – Non si può trovare nulla di meglio delle parole di Francesco Fancello per capire quei giorni, quei mesi, quegli anni che abbiamo definito all’inizio “convulsi e confusi, segnati da ambiguità e da oscillazioni”, e per ricavarne le conclusioni più calzanti.
“… giornate penose di incertezze ed oscillazioni.
A quelle incertezze e a quelle oscillazioni si richiamano spesso nelle loro polemiche gli ex-sardisti passati al fascismo. Ma essi dimenticano che quel che conta nelle azioni umane è la decisione, non la serie degli stati d’animo e i dubbi che la precedono. Il fatto è che a conclusione di così contrastanti e perplessità varie, alcuni sardisti si sono fusi col fascismo, gli altri hanno scelto la via della resistenza e della lotta.
Ciò non significa che i ‘fusionisti’ fossero ‘allora’ in malafede, anzi ciò deve escludersi senz’altro per gran parte di essi, compresi i più autorevoli, che assunsero la responsabilità del grave passo.
Non si può inoltre fare a meno di riconoscere che era ben più facile valutare esattamente i rapporti tra P.S.d’A. e il fascismo, da lontano, piuttosto che stando al centro della mischia. Sarebbe ridicolo, ad esempio, che il cosiddetto gruppo romano si vantasse, come di un merito occasionale, di non aver mai avuto dubbi e perplessità sulla ‘fusione’.
Nei confronti dei nostri compagni che si trovavano in mezzo alla tempesta, noi eravamo infatti in condizioni di privilegio. Correvamo anche noi i nostri rischi, ma non eravamo travagliati da alcune terribili pressioni psicologiche di carattere locale.
Comunque io sono convinto che anche senza l’opera del “gruppo romano” il risultato sarebbe stato pressappoco lo stesso.
E tuttavia poiché nei fusionisti, se non mala fede, errore evidentemente vi fu, conviene esaminarne il carattere, anche per trarre dal passato un’esperienza più attuale.
A mio avviso l’errore fu duplice: l’uno fu quello di riguardare il problema sardo fuori da quello nazionale.
Si giunse all’ingenuità provinciale di credere che il fascismo potesse instaurare in Sardegna un regime di eccezione, contrastante con tutte le premesse e le esigenze della dittatura.
Per sciogliere i dubbi ideologici di molti sardisti, specie degli intellettuali, ‘Gerarchia’, rivista fondata da Mussolini, pubblicò uno studio di Mario Govi, evidentemente scritto su misura per la Sardegna.
In quello studio si tracciavano i lineamenti di un fantastico Stato decentrato, con ordinamenti regionali che in qualche modo arieggiassero le ‘autonomie’ dei combattenti sardi.
Il generale Gandolfo ne fece ampio cenno in un suo discorso e i sardisti più ‘sapienti’ andarono in brodo di giuggiole, senza immaginare che quell’articolo costituiva un’autentica beffa.
Un secondo e più grave errore fu quello di credere che si potesse partecipare al dispotismo senza divenirne complici.
In una corrispondenza confidenziale che ebbi con Paolo Pili, quando era ancora direttore del partito, ricordo che questo motivo fu ampiamente discusso. Egli sosteneva che impossessandosi del potere, sia pure con la camicia nera, i sardisti sarebbero diventati i padroni dell’Isola e ne avrebbero purificato l’atmosfera politica, risolvendo inoltre i più importanti problemi concreti.
Io gli risposi che nessuno ha il diritto di credere di esser nato col crisma dell’uomo puro e incorrutibile.
‘Metti me, dicevo, nella condizione di esercitare il potere assoluto e io diventerò necessariamente un tiranno.’
Ogni metodo ha la sua logica. Non si può essere fascisti e lavorare per la libertà, quali che siano le nostre intenzioni iniziali.”
CONCLUSIONI di Salvatore
(in parte a braccio, riprende i punti che ritiene importanti da chiarire, dire di più della biografia di altri sardisti, accennare al prossimo incontro del 30 maggio)
Salvatore – Che cosa resta de IL NURAGHE dopo il 1927?
Lussu è al confino, Pili è destituito di ogni potere.
Vitale Cao (uno dei tre fondatori della società segreta), giornalista, direttore della camera di Commercio, fu a un certo momento assunto come funzionario al Ministero della Real casa e rimase fedele al suo re fino all’ultimo. Nel 1953 si presentò in Sardegna alle elezioni politiche, candidato per i monarchici, non fu eletto.
Di quel che Lussu fece nel resto della vita si sa tutto.
Di Pili anche sappiamo come, dopo il brillante tentativo di animare il movimento cooperativo e di aver portato sulla soglia di risultati importanti la produzione e la vendita, anche sui mercati esteri, del formaggio sardo, non riuscì più, una volta rimosso, a praticare i suoi programmi e trascorse parte della sua esistenza privata a spiegare le sue motivazioni e i motivi del suo insuccesso.
Non abbiamo certezza dei nomi degli altri associati a IL NURAGHE, ma di tanti, che certamente o probabilmente lo erano, abbiamo detto: Giovanni Cao di S.Marco, Vittorio Tredici, ecc.
Di Dino Giacobbe avremmo modo di parlare la prossima volta, quando parleremo della presenza sardista nella guerra civile spagnola.