La prima grande assemblea della classe dirigente sarda moderna (Roma, Castel S’Angelo, 10 – 1914), promossa e organizzata dall’Associazione dei Sardi a Roma.
Elaborazione drammatica di Piero Marcialis dalla ricerca e la documentazione di Salvatore Cubeddu. ATTO UNICO presentato sul palco da Mario Faticoni, Piero Marcialis, Rita Atzeri, Salvatore Cubeddu.
Sommario: PREAMBOLO, I QUATTRO PERSONAGGI (prima del Congresso: Francesco Cocco Ortu, Grazia Deledda, Attilio Deffenu, Giuseppe Cavallera), IL CONGRESSO, ASPETTI RILEVANTI DEL CONGRESSO, I QUATTRO PERSONAGGI DOPO IL CONGRESSO, EPILOGO.
Sul palco: Mario Faticoni, Piero Marcialis, Rita Atzeri, Salvatore Cubeddu.
PREAMBOLO (Piero, anche a braccio)
Quale era la situazione della Sardegna cinquant’anni dopo l’unità d’Italia? Quale coscienza si aveva della situazione? Quali progetti animavano i sardi più avvertiti? Con quali speranze per il futuro?
L’Unità con l’Italia aveva avuto il suo precedente il 29 novembre 1847 con la Fusione Perfetta dell’Isola con gli Stati di Terraferma.
Una finta mobilitazione popolare, che in realtà aveva interessato pochi elementi della borghesia sassarese e cagliaritana, aveva consentito quell’operazione politica per la quale la Sardegna perdeva i suoi, pochi, privilegi e le caratteristiche di regno a sè stante: non più un proprio Parlamento, non più un vicerè a Cagliari, tutto dipende da Torino, in cambio della presunta parità coi presunti privilegi degli Stati di Terraferma.
La Sardegna manderà al Parlamento di Torino i propri rappresentanti, 24 su 204, eletti dal 2% della popolazione.
Ben presto a chi si era opposto alla fusione, come Giovanni Battista Tuveri, si aggiunsero, nella delusione, anche quelli che l’avevano sostenuta, come Giovanni Siotto Pintor.
La Sardegna di metà ‘800 registra un’esasperata pressione fiscale ed una crescente emarginazione economica.
Dal 1850 al 1870 crescono fenomeni di banditismo, con furti di bestiame, bardane e sequestri.
La prima Commissione d’Inchiesta parlamentare, proposta da Giorgio Asproni e condotta da Agostino Depretis, con Quintino Sella e altri, tra il 1868 e il 1871, se non altro diede il risultato di una maggiore attenzione della pubblica opinione sui problemi dell’Isola: spopolamento, agricoltura arretrata, scarse vie di comunicazione, analfabetismo, carenza di scuole tecniche, insicurezza sociale, disimpegno del Governo.
L’avvento della Sinistra al potere nel 1876 non portò modifiche sostanziali. Se nel 1868 Nuoro si rivoltò (Su Connotu), nel 1881 la rivolta è a Sanluri.
Nel 1885 la relazione sull’agricoltura sarda del deputato Francesco Salaris segnalava l’estrema frammentazione della proprietà fondiaria, il gravame eccessivo delle imposte, gli errori del catasto.
Il finire del secolo, col fallimento delle banche isolane, la guerra doganale con la Francia (che chiuse ai prodotti isolani il mercato dell’allevamento, della viticoltura e dell’ olivicoltura), con la filossera e la terribile siccità, vide un ulteriore fase di crisi, aumento della disoccupazione, emigrazione e banditismo.
Una nuova inchiesta, affidata a Francesco Pais Serra, nel 1894, oltre ad analizzare la gravità della situazione, fornì numerose proposte che furono in gran parte raccolte nella legislazione speciale, formulata nel 1897 da Francesco Cocco Ortu, uno dei personaggi che qui presenteremo.
Salvatore – (anche a braccio)
Come si arriva al Congresso dei Sardi di Castel Sant’Angelo? Nasce casualmente, in occasione di una bicchierata in onore del celebre tenore sardo Bernardo de Muro nel Caffè Latour di Roma. Perchè non fare un Congresso dei Sardi a Roma, e parlare di Sardegna, uniti finalmente al di là di divisioni di qualunque genere, di parte o di campanile, per un migliore futuro dell’Isola?
Come dice Dante, quando si incontrano i sardi, fosse pure all’inferno
A dir di Sardegna
Le lingue lor non si sentono stanche.
All’inizio sembra quasi uno scherzo, una battuta uscita dai bicchieri. Ma poi la cosa prende forma, le adesioni aumentano. Il Congresso si farà.
Si terrà dal 10 al 15 maggio 1914, promosso e organizzato dall’Associazione dei Sardi a Roma.
Esso si propone di “esaminare con intenti pratici i principali e più urgenti problemi, non solo, ma indicarne la migliore soluzione”.
Non mancarono delle critiche prima ancora del Congresso, non tanto contro il Congresso, ma contro il Governo, visto come incapace comunque di mettere in pratica le eventuali buone proposte che dal Congresso potessero scaturire.
(legge) Scriveva Lucio Secchi sulla rivista “Sardegna”:
“…quando pure il governo, in un’ora di incredibile resipiscenza, volesse accettare nella sua lusinghiera integrità il completo programma di riforme che i dotti del Congresso sardo-romano avranno accortamente combinato, si troverà nell’impossibilità di attuarlo, od almeno ciò potra sostenere con molte apparenze di verità. In cinquant’anni di vita nazionale, nella quale la Sardegna non ha portato altro che la sua umiltà e la sua rassegnazione, il Governo italiano non è riuscito a risolvere alcuno dei problemi che la interessano; e, se può essere dubbio che per risolverli in questo momento sia troppo tardi o troppo presto, bisognerebbe essere ciechi e sordi per non vedere e non sentire che l’ora che volge è poco propizia per parlare agli italiani della Sardegna. Essi hanno da pensare alle loro nuove colonie, ed ognuno capisce che trascurare oggi la Libia per occuparsi di questa miserabile isola nostra ben soggiogata e asservita, sarebbe delitto di lesa patria.
Vero è che ci fu un tempo nel quale molti rimproveravano all’Italia di sperperare le sue migliori risorse nelle sabbie africane invece di dedicarle alla vita delle sue più sfortunate regioni. Ma quei tempi sono tanto lontani, e il linguaggio che allora diede commozioni e suscitò ire e tempeste, oggi farebbe solamente sorridere.
Verità è che in Italia non si è ancora riusciti a cementare in maniera degna la sua cosidetta unità, che la solidarietà nazionale è stata sempre ed è ancora una favola buona pei gonzi, che non s’è fatto mai altro che una politica regionale, una politica di favore, cioè, per le regioni più ricche e più colte e più forti, a tutto danno delle più misere e deboli.
Verità è che la Sardegna non potrà sperar nulla di serio dall’Italia fino a tanto che dinanzi a lei continuerà a rimanere piegata, ignara del diritto che le spetta d’esser trattata da eguale, della giustizia che la vorrebbe partecipe a tutte le fortune conquistate col sangue e col denaro di tutti.
Chi dirà queste cose al Congresso di Roma, chi chiederà una buona volta all’Italia, in nome della Sardegna, le ragioni ideali, i fini e i vantaggi della sua dominazione?
E chi, quando tutto sarà finito e finito nel nulla, si sentirà di tornare in mezzo a questa misera plebe che aspetta ogni giorno un miracolo che non viene mai, per annunciare che nulla è ancora mutato nel suo destino e nulla potrà mutare?”
Speaker (Rita) - Al Congresso, nonostante critiche e dubbi, prendono però parte, convenuti da varie parti della Sardegna e dell’Italia, molti personaggi notevoli: Salvatore Farina, Ettore Pais, Filippo Garavetti, Enrico Carboni Boi.
Quattro personaggi spiccano su tanti altri che o vi intervennero di persona (Cocco Ortu e Cavallera), o che aderirono (Grazia Deledda), o che lo seguirono coi loro commenti (Deffenu): sono dunque Attilio Deffenu, Grazia Deledda, Giuseppe Cavallera e, rilevante su tutti, l’on. Francesco Cocco Ortu.
(Gli interventi che seguono possibilmente a braccio)
I QUATTRO PERSONAGGI (prima del Congresso)
F. Cocco Ortu – FCO (Mario)– Io sono Francesco Cocco Ortu, cagliaritano, nato il 22 ottobre 1842, prima della Fusione.
Posso perfino ricordare i dibattiti con gli amici e le incertezze che mio padre e mio nonno, l’avvocato Giuseppe Ortu, manifestavano riguardo all’incondizionata fusione tra Sardegna e Piemonte.
Avevo un nonno rivoluzionario, aveva partecipato ai moti di fine Settecento, alla congiura di Palabanda del 1812.
Io al contrario sono un governativo, un uomo, come si dice, di potere. Laureatomi a 21 anni, fui in politica fin da giovane, ma fuori da logge massoniche e consorterie varie, sono stato consigliere comunale, sindaco di Cagliari, deputato e Ministro di Grazia e Giustizia, Ministro dell’Agricoltura e Commercio.
Godo ancora oggi, a 71 anni, di notevole influenza e sono probabilmente tra i sardi l’uomo che conta di più.
So bene di non essere amato, al contrario, da molti di quelli che verranno al Congresso, specie dai socialisti, che mi hanno addirittura definito “genio malefico”, ma sono sempre animato da una sincera volontà di operare per il bene della mia Isola.
Per questo sono tra coloro che hanno voluto questo incontro e sarò presente con tutta la mia influenza.
Nonostante tutte le critiche che ho ricevuto, posso dire però con orgoglio che, lavorando per l’Italia, ho fatto anche delle buone cose in favore dell’Italia e della Sardegna: dalla legislazione speciale, alla creazione del Corpo degli ispettori del lavoro; dall’assicurazione infortuni al riposo festivo; dalle Cattedre Ambulanti per l’agricoltura alla istituzione del Magistrato delle acque; dal credito agrario alla sistemazione idraulica, e se un giorno si realizzerà la grande diga sul Tirso, sarà anche merito mio.
G. Deledda (Rita) – Io sono Grazia Deledda, sono invitata a far parte del Comitato d’Onore al Congresso dei sardi.
Ho accettato volentieri, da anni vivo a Roma, ma nel cuore ho sempre la Sardegna, così nei miei pensieri, come nei miei romanzi.
Sono nata a Nuoro il 27 settembre 1871 e, a 43 anni, ho raggiunto il prestigio sufficiente a essere considerata tra i sardi un notevole personaggio.
Ho già pubblicato tantissimo: romanzi, racconti, novelle.
Appena un anno fa ho dato alle stampe “Canne al vento”, forse la mia opera più importante.
Perchè ho lasciato la Sardegna?
Non voglio dirne male, ma… sono nata in una famiglia benestante, eppure nel mio ambiente una donna che scrive, una intellettuale, è guardata con sospetto, mal sopportata.
Ho cercato di fuggire fin da giovane da un ambiente che mi soffocava, che soffocava il mio talento, la mia voglia di raccontare e di affermare la mia personalità.
Come tutte le fanciulle mi sono innamorata più volte, a volte ricambiata, a volte no, un giovane l’ho deluso io, un altro mi ha delusa lui, proprio amaramente, ma ho reagito, “sentirete parlare di me” fu allora il mio pensiero, ed ho mantenuto l’impegno.
Ho avuto la fortuna di incontrare a Cagliari, in casa di Maria Manca, direttrice della prima rivista femminile pubblicata in Sardegna, l’uomo della mia vita, Palmiro Madesani, un romano, funzionario del Ministero delle Finanze, “giovane, vestito di marrone dorato, con due meravigliosi baffi dello stesso colore e gli occhi lunghi, orientali”.
Così l’ho sposato, 14 anni fa, l’11 gennaio 1900 e sono andata con lui a vivere a Roma. Ho fatto vita abbastanza ritirata, non mi interesso di politica nè di femminismo, dedico il mio tempo ai miei amori: il marito, i due figli, Sardus, 14 anni, e Franz, 11 anni, e scrivere, scrivere tanto.
Come tutti i sardi lontani dall’Isola ne sento il richiamo e un’occasione come questa di incontrare tanti sardi, tutti insieme, senza divisioni, animati solo dal desiderio di operare per il bene della nostra terra, non potevo davvero perderla.
A. Deffenu (Salvatore) – Io sono Attilio Deffenu, 23 anni.
Sono nato a Nuoro il 28 dicembre 1890. Mio padre era Presidente della Società Operaia di Nuoro e io fin da ragazzo ho simpatizzato per il socialismo.
Da studente, a Sassari, collaboravo con una rivista socialista: “La Via”. A Pisa, dove mi sono laureato nel 1912 con una tesi su “La teoria marxista della concentrazione capitalista”, ho frequentato gli ambienti anarchici toscani, ho idealmente aderito al sindacalismo rivoluzionario di Sorel, ho rifiutato il socialismo riformista per aderire al socialismo rivoluzionario e pacifista.
Nei miei scritti giornalistici ho criticato l’ipocrisia di attribuire alla natura ingrata i mali della Sardegna, quando i suoi mali sono soltanto acuiti dalla siccità, dall’inclemenza del tempo, e hanno invece origine nel malgoverno.
L’uomo in Sardegna, oggi come ieri, è abbandonato a sè stesso, senza presidio di provvidenze e previdenze umane e sociali, nell’impari lotta contro la natura nemica: la furia degli elementi, il disordine idrogeologico, possono in un attimo solo distruggere ogni speranza di vita, mettere una moltitudine di fronte al tragico dilemma d’una esistenza di fame o di un’angosciosa fuga oltre l’oceano!
Per sostenere queste idee ho fondato quest’anno la rivista “Sardegna”. La Sardegna è stata una delle regioni più danneggiate dalla rottura del trattato commerciale con la Francia. I nostri allevatori e i viticultori sono stati rovinati e sono occorsi molti anni per potersi risollevare. Occorrevano macchine agricole, strade ferrate e treni in cambio dei nostri prodotti, dare libertà al commercio, perfezionare le tecniche, creare un’economia più complessa, sia pure capitalistica, ma tutto ciò è un sogno ancora lontano.
Per quanto socialista ho compreso che nel Nord Italia si è costituito un oscuro patto fra aristocrazia operaia e capitalismo industriale a danno delle regioni meridionali, come insegna Gaetano Salvemini sulle colonne dell’Unità.
Guardo con interesse al Congresso dei sardi con la precisa intenzione di ricordare ai governanti d’Italia anni recenti, il 1904, il 1906, macchiati di sangue e attraversati da sordi brontolii di ribellione.
G. Cavallera (Piero) – Sono Giuseppe Cavallera, socialista.
Non sono sardo, sono piemontese, nato in provincia di Cuneo il 2 gennaio 1873. Sono arrivato a Cagliari con una borsa di studio da studente di medicina, anche per cambiare aria, perchè dalle mie parti ero già sotto mira per la mia militanza socialista. Attivista socialista anche in Sardegna, rubando del tempo allo studio, quando mi misero a capo del movimento posi l’unica condizione che mi lasciassero il tempo per laurearmi. Una targa a Carloforte, sul muro della Casa del proletariato, dal 1907 ricorda quel fatidico 8 settembre 1897, quando fondammo la Lega dei battellieri, cui seguirono altre leghe e cooperative: la data di nascita, se volete, del socialismo e del sindacalismo in Sardegna.
Qualche anno dopo, per qualche sciopero, sono stato per 7 mesi ospite delle patrie galere. Nel 1904 ero a Buggerru, quando l’esercito sparò sui minatori in lotta, ciò che diede origine al primo sciopero generale della storia d’Italia.
Ero presente ai moti del 1906 contro il carovita, che da Cagliari interessarono tanti altri paesi.
Ancora una volta a Nebida e Gonnesa i soldati spararono contro i manifestanti, ancora morti.
Nel 1906 fui sindaco di Carloforte e un anno fa, sono stato eletto deputato nel Collegio di Iglesias, il primo deputato socialista nella storia sarda, nonostante il mio avversario avesse l’appoggio dei cattolici, grazie al Patto Gentiloni, benchè fosse massone, anticlericale e divorzista.
Questo dicembre 1913 sono intervenuto alla Camera sul discorso della Corona, ho descritto le misere condizioni dei lavoratori sardi e ho chiesto l’intervento immediato ed adeguato del Governo.
Non sono sardo, ma mi sento più sardo di molti presenti al Congresso, che per la Sardegna non han fatto nulla di bene, quando addirittura non fecero qualcosa di male.
Governare con esercito e polizia non era il meglio per la Sardegna e qualche sardo a questi Governi ha preso parte.
IL CONGRESSO (le parti andranno lette)
Speaker (Rita) – Il Congresso inizia il 10 maggio 1914.
Il Presidente Felice Crespo, nell’inaugurare “questo nostro primo congresso” dà la parola per primo all’on.
Francesco Cocco Ortu. Questi, esauriti i convenevoli, saluti, auguri, parole di plauso e ringraziamenti, dice:
F.C.O (legge) – … vediamo oggi qui riunite le Rappresentanze delle varie regioni isolane in una comunione d’intenti, animate dallo stesso sentimento di manifestare civilmente, nei limiti della legalità, le proprie aspirazioni.
Speaker - Cocco Ortu si dichiara commosso e rievoca poetiche immagini della Sardegna, la bellezza del paesaggio. Poi:
F.C.O. – Un Congresso che si proponga di studiare i buoni ordinamenti, atti a migliorare le condizioni di quelle terre benedette, torna sempre a proposito: e più ancora torna a proposito in questa Eterna Roma che, per lungo andare di secoli, fu maestra al mondo di civiltà.
In mezzo agli attestati magnifici e solenni della grandezza romana, ben potremo discutere gli interessi della Sardegna, i quali, in gran parte, sono anche collegati agli interessi della stessa Roma. Non sono forse i sardi che dai tempi più lontani forniscono il mercato romano di importanti prodotti?
E voi ben sapete che le correnti dei traffici sono sempre le vie migliori per il progredire dei popoli…
… ma non solo per questo un Congresso di Sardi a Roma riuscirà fattivo di bene. Roma, oggi come sempre, è il simbolo della patria una e indivisibile; gli occhi di tutto il popolo italiano sono sempre rivolti alla gran madre che, benigna ed amorevole, nei momenti di sconforto ne allevia i dolori e ne terge le lacrime, come nei momenti di giubilo si allegra e gioisce.
E pertanto della nostra riunione si interessano certamente tutti i cittadini…
Non poco gioverà alle finalità che si vorranno raggiungere la simpatica impressione che di questo Congresso potrà avere il popolo italiano: perchè voi ben sapete quanta influenza eserciti, anche nelle deliberazioni del Governo e del Parlamento, la pubblica opinione.
… noi non siamo qui convenuti per implorare dalle esauste finanze dello Stato inadeguate sovvenzioni di danaro, o favori. La Sardegna vuole l’applicazione immediata di quelle benefiche leggi che ancora non sono state applicate e la modificazione e l’ampliazione di quelle altre che ormai non potrebbero più essere praticamente adottate.
Nelle tristi condizioni dell’ora presente, per la grave crisi che la Sardegna attraversa, sarebbe davvero imperdonabile colpa se ci perdessimo in vane accademie.
Oggi più che mai si deve fare appello al patriottismo di quanti veramente amano la Sardegna, invocando quella concordia senza la quale sarebbe assai difficile raggiungere pratici risultati.
Il Governo, sono certo, non mancherà di adottare le provvidenze che la gravità del caso consiglia…
… non dovrà mancare in ogni singolo cittadino quella
fiducia nelle istituzioni e quella fraterna solidarietà, indispensabili per l’affermazione di qualsivoglia intrapresa.
… la mia fiducia è confortata nel sapere che iscritti a parlare su vari importanti argomenti sono chiarissimi nomi, come quelli dell’on.sen. Carlo Fadda, Sanjust di Teulada, Enrico Carboni Boi, prof. Giovanni Loriga ed altri…
Speaker – Cocco Ortu prosegue e conclude citando altri personaggi, omaggia le signore presenti (“una simpatica nota di festosa eleganza”), omaggia reverente Sua Maestà Vittorio Emanuele III (“faro luminoso di saggezza e di bontà”) e riceve infine vivi applausi e congratulazioni.
(Forse qui sarebbe opportuno un libero commento a braccio di Salvatore sul discorso di Cocco Ortu)
Speaker - Nei giorni successivi 11, 12, 13 e 14 maggio seguiranno numerose relazioni su svariati argomenti:
sistemazione idraulica e bonifiche, rimboschimenti, trasporti, leggi speciali per le Isole e il Mezzogiorno, emigrazione, credito agrario, credito e usura in Sardegna, la funzione delle imposte, la malaria, la lebbra, il tracoma…
Rilevante la relazione di Enrico Carboni Boi sulle imposte.
Alle relazioni seguiranno le discussioni, e inoltre varie comunicazioni. I lavori si concludono con l’approvazione di numerosi ordini del giorno. Seguono visite, ricevimenti, feste. Una visita ai Magazzini della Società romana per il formaggio pecorino, una visita alla scuola agraria, una visita ai Castelli Romani, un banchetto di chiusura.
Cavallera (a braccio) – Al Congresso sono intervenuto per esporre la mancanza in Sardegna delle cooperative di lavoro, ho chiesto che si desse riconoscimento legale alla loro costituzione, che il Governo e gli altri Enti, specie quelli che si occupano di lavori pubblici, le favoriscano e le incoraggino, privilegiandole nell’assegnazione.
Ho presentato al riguardo due ordini del giorno, sottoscritti anche dall’on. Pais-Serra e dal signor Cubeddu.
ASPETTI RILEVANTI DEL CONGRESSO
(Questa parte, che ricavo dal sito della Fondazione, Salvatore potrebbe farla a braccio, integrandola come crede meglio).
Ci sono diversi aspetti per cui questo Congresso dei sardi del 1914 è importante. Forse su tutti prevale quanto emerge dalla relazione svolta dall’on. Enrico Carboni Boi.
Nella sua relazione Carboni-Boi afferma innanzitutto che quanto lo Stato preleva da una regione dovrebbe essere commisurato alla effettiva ricchezza della popolazione di quel territorio: “sotto l’apparente giustizia dell’eguaglianza formale non ci sia la spoliazione del necessario, il balzello paralizzante di ogni forza produttiva e di risparmio per alcuni, mentre è onere lieve e risibile per altri”.
La Sardegna concorreva alle spese dello Stato in misura proporzianatamente superiore ad altre regioni più ricche, mentre da noi lo Stato spendeva di meno su varie questioni: ad esempio la profilassi e cura della malaria, della lebbra e del tracoma (questioni oggetto di altre relazioni specifiche); o il riordinamento del catasto, mentre l’imposta fondiaria si basava su un principio tributario “errato e strabiliante”, in base al quale si elevava il reddito dei terreni fino a giungere ad un’imposta decisa a priori, fuori dalla realtà.
Il carico insopportabile delle imposte determina espropri in Sardegna in numero pari agli espropri dell’Italia intera: 52.060 a fronte di 53.167 negli anni dal 1885 al 1897.
Per soprammercato, speculatori e saccheggiatori delle nostre risorse naturali e tanti altri andavano per la Penisola diffamando i sardi come “inetti, queruli ed infingardi”, rievocando le stolte teorie del Lombroso e di Niceforo.
Carboni Boi pone anche in risalto il tema dell’insularità, specie in rapporto all’ elevato costo dei trasporti navali.
Carboni Boi concludeva che l’isola era stata considerata dallo Stato alla stregua di una colonia.
Mancarono alcuni temi in questo Congresso: il tema della pur crepuscolare nascente industria, il tema della lingua.
Ma complessivamente un concetto divenne evidente: la Sardegna non è in debito con lo Stato italiano, al contrario è lo Stato italiano in debito con la Sardegna.
I QUATTRO PERSONAGGI DOPO IL CONGRESSO
(Possibilmente da interpretare a braccio gli interventi che seguono)
F. Cocco Ortu – Nel mio intervento in apertura del Congresso ho ricordato il tributo di sangue alla patria che i sardi generosamente avevano dato.
Non potevo certo immaginare che soltanto un mese dopo ci sarebbe stato un attentato a Sarajevo e che soltanto un anno dopo quel tributo di sangue sardo si sarebbe centuplicato.
La guerra ha messo in archivio tutti i discorsi.
Io sono rimasto l’uomo importante che ero prima della guerra e anche dopo, un uomo di potere, presidente del mio gruppo parlamentare.
Ma capita al potere di prendere strade sbagliate, di mettersi nelle mani sbagliate. Per quanto uomo di potere non ho voluto percorrere certe strade, non ho voluto stringere certe mani. A Sua Maestà, che definivo faro di saggezza, ho dovuto opporre un sereno rifiuto a prestarmi al gioco del fascismo. Gli dissi a voce ferma: “Ricordi che la storia registrerà che Sua Maestà si sarà pentito di aver dato i pieni poteri a Mussolini”. Così ho votato contro il governo Mussolini e mi sono dimesso dall’incarico.
Il fascismo poi si è preso meriti teorici e pratici che non gli competevano, rilanciando certe nostre proposte con la legge “del miliardo” nel 1924, portando a compimento nel 1926 la diga sul Tirso, che era un mio programma.
Ho visto l’inizio del dramma e mi sono ritirato, ma fino alla mia morte, a Roma, il 4 marzo del 1929, ho condiviso il sogno del mio amico e collaboratore Edmondo Sanjust:
Cagliari nell’anno 2000, con cresciuto benessere, il doppio popolata, con una superba passeggiata a mare dalla Reale Stazione a S.Bartolomeo, fiancheggiata da palazzi e portici, percorsa da tram elettrici, col porto rigurgitante di merci e di navi, ampliata la città, verso S.Lucifero e Villanova e verso S.Avendrace, magari una piccola via col mio nome.
Una generazione di uomini operosi, costanti, disposti al morale e civile progresso, uniti nel bene, nel vivo desiderio di non chiedere, non ottenere nulla da nessuno e di dover tutto a loro stessi.
Quando sarà così il resto verrà da sè.
- A. Deffenu – Alla guerra ero contrario, poi invece ho cambiato idea, non potevo restare in disparte.
Ho aderito alla tesi dell’intervento, insieme con Olivetti, De Ambris e altri, ai primi di ottobre abbiamo costituito i Comitati dei fasci di azione interventista rivoluzionaria.
C’erano anche Mussolini e Corridoni.
Malandato di salute, fui respinto dai corsi per allievo ufficiale per i miei precedenti politici, mentre i miei antichi compagni mi avevano voltato le spalle.
Malato di malaria venivo sbalestrato da un ospedale militare all’altro. Infine ho dovuto farmi raccomandare da un politico per essere ammesso al corso ufficiali a Modena.
Dapprima, per essere fisicamente debole e di salute cagionevole, mi avevano destinato alla propaganda, ma ho preteso di avere un mio plotone e di uscire di pattuglia come gli altri. Ho attirato così su di me le simpatie di ufficiali e soldati della Brigata Sassari, vedevano in me il futuro campione della riscossa dei sardi.
Sono uscito di pattuglia davanti a tutti.
Dovevo raggiungere il caposaldo di Croce di Fossalta.
L’ho raggiunto e lì mi son trovato circondato dal nemico. Una bomba mi colpì, ferito in varie parti del corpo, una scheggia mi ha spezzato la fronte.
Sono morto il 16 giugno 1918, a 27 anni.
Ho sognato il riscatto della Sardegna, non con leggi speciali, che sono causa di corporativismi e di maggiore clientelismo, ma attraverso una diversa politica economica: da un lato il totale rovesciamento della politica economica dello Stato, che affrontasse uniformemente il problema meridionale, dall’altro una nuova coscienza regionale dei sardi, ma questo sogno forse è morto con me.
G. Cavallera – Ho partecipato volontario alla Guerra, col grado di capitano medico della Marina militare.
Alle elezioni del ’19, visto che Angelo Corsi aveva preso il controllo dei socialisti riformisti a Iglesias, mi sono presentato non in Sardegna, ma nel collegio piemontese di Cuneo-Asti- Alessandria, roccaforte di Giolitti.
Ho avuto un successo strepitoso, ho tenuto testa a Giolitti stesso con 10.000 preferenze e, con quattro deputati, il partito ha eguagliato il risultato dei liberali.
Negli anni seguenti mi sono dedicato più all’attività sindacale che a quella parlamentare, tanto che nel ’21 mi fu di nuovo offerta la candidatura nel collegio di Iglesias, ma non fui eletto per i dissidi interni al partito.
Durante il fascismo ero attentamente vigilato, ho dovuto interrompere ogni attività. Fino al ’38 sono stato solamente medico condotto nel piccolo comune di Anticoli Corrado.
Dopo la caduta del regime mi sono reinserito nella vita politica, commissario straordinario dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, durante il ministero Bonomi.
Nel 1948 sono stato eletto senatore, ancora una volta nel collegio di Iglesias, con quasi 30 mila voti.
Sono morto a Roma il 22 giugno 1952, ma i miei resti giustamente riposano nel cimitero di Carloforte.
Ho fatto quanto ho potuto per i lavoratori sardi e per la Sardegna, anche se non sono riuscito a realizzare a pieno quanto avrei voluto.
G. Deledda – La guerra non ha toccato la mia famiglia.
I figli troppo giovani, il marito già maturo, ho continuato la mia vita come prima. D’estate ero solita andare in vacanza in Sardegna, poi ho diradato le mie visite, ho smesso dal 1920, quando ho scelto Cervia come luogo di vacanza.
Ho continuato a scrivere tanto.
Il mio amato marito, il “padrone” di casa, ha tanto lavorato per me, mi faceva da segretario, addirittura si è impegnato a studiare le lingue per poter seguire la traduzione delle mie opere in tutta Europa.
Ho avuto numerose soddisfazioni: teatro, cinema, trasposizioni delle mie opere. Nel ’16 la grande attrice Eleonora Duse ha interpretato al cinema, suo unico film, la madre nella versione del mio romanzo “Cenere”, del 1904.
Nel 1926 ho conseguito il maggiore riconoscimento per uno scrittore, il Premio Nobel per la letteratura: “per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natia, e che tratta con profondità e calore problemi di generale interesse umano”.
Devo dire che se io conto qualcosa nella letteratura italiana lo devo tutto alla mia Isola santa. L’ho sempre avuta nel cuore, come si ha nel cuore la casa della madre e del padre.
Non ho avuto sogni speciali per l’avvenire della Sardegna, come tanti altri miei contemporanei, conterranei e no.
A me piaceva il suo passato, quella terra conosciuta da bambina, nelle pazze corse a cavallo con mio fratello Andrea, in fughe segrete da casa, anche se da quella terra ho dovuto allontanarmi per raggiungere i miei traguardi.
Non fui la sola a credere che in Italia e dall’Italia avrei potuto conseguire quei risultati, anche altri lo hanno creduto. Persino tanti appassionati politici, critici con lo Stato e col Governo italiano, hanno pensato in fondo che dal miglioramento dell’Italia sarebbe venuto anche il miglioramento, la redenzione, della Sardegna, e questo non diversamente da quanto hanno creduto altri in posizioni di potere e di governo.
Al Congresso dei sardi formulammo questa speranza.
E’ stato utile? È stato inutile? E’ vana questa speranza?
Non lo so dire. Certo io non la vidi realizzarsi.
Ho continuato a scrivere fino alla vigilia della mia morte, che mi ha raggiunto il 15 agosto del ’36.
Nel mio ultimo romanzo “Cosima” ho raccontato della mia giovinezza e delle emozioni del mio primo libro pubblicato.
Là si capiscono meglio le ragioni del mio distacco dall’isola. Sono tornata nella mia terra dopo la morte.
I miei resti riposano ai piedi dell’Ortobene, presso la chiesa della Solitudine, “nel piccolo camposanto all’ombra glauca dei pini, tra i fiori azzurri del radicchio e le pigne spaccate che sembrano rose scolpite nel legno”.
EPILOGO
Qui sarebbe opportuno che intervenisse a braccio per evidenziare come ancora una volta in tempi recenti i sardi, i parlamentari sardi più precisamente, abbiano a Roma unitariamente rivolto al Governo l’appello a mutare atteggiamento e a prendersi davvero cura della Sardegna.
E’ vana questa speranza? La storia non ha insegnato nulla?
FINE