Nel Sulcis di muore di cancro ai polmoni, di Mauro Pili

La  mortalità polmonare è superiore del 50%. Il dato, confermato in uno dei magistrali servizi che Mauro Pili offre all’attenzione e all’interesse dei cittadini sardi, era già stato anciticipato dai medici dell’ambiente guidati dal compianto Vincenzo Migaleddu.


Le ciminiere svettano nel cielo torvo di Portovesme come canne di fucile puntate alle tempie di un paesaggio segnato dal tempo. Ci sono le vecchie, rimaste sospese nella storia di una industrializzazione calata a suon di promesse mirabolanti posate sulle profonde viscere di blenda e galena, fattesi piombo e zinco. Ci sono le nuove, conficcate come grattacieli di fumo a due passi da quel che resta della rotta dei fenicotteri di Boi Cerbus, la laguna avvelenata a ridosso della frazione di Paringianu. Il reticolato di avenue e street di questa Manhattan industriale ha perso i cartelli rifrangenti di un tempo, sono rimasti i catorci aggrovigliati di fallimenti e chiusure. Capannoni spalancati dalle intemperie e dai saccheggi di ferro e rame, espropriati da pipistrelli e volatili di ogni genere, accampati da decenni tra forni spenti e cumuli di polveri trasformati in crogioli di veleno vetrificato. Tutto, qui, sembra essersi fermato. Marciano solo i forni della Portovesme srl, bandiera svizzera, effige mondiale della Glencore, erede dell’Eni nell’estrazione metallurgica di piombo e zinco. E si agitano solo le benne delle gru che agguantano carbone a piene mani dalle navi che da ogni dove si rifugiano a ridosso delle “zattere-traghetto” che fanno spola quotidiana tra l’Isola di San Pietro e il molo “nero” di Portoscuso.

Dal porto passeggeri scorre un perenne via vai di camion carichi di carbone. Alimentano l’ultima centrale a carbone, impunemente dedicata alla donna di “Canne al vento”, “Grazia Deledda”. In questo recinto elettrico sventola la bandiera italianissima, quella dell’Enel, la mano pubblica fattasi privata nel governo dell’energia elettrica in terra sarda. La ciminiera la intravvedi forte e chiara sin dalla costa di Buggerru, dal villaggio levigato dal vento e dalla storia di Pranu Sartu a l’inquietante Punta Cortis che da secoli incombe come un macigno sul borgo minerario di Masua. Duecentocinquanta (250) metri di cemento armato inerpicati sul cielo, il più alto edificio della Sardegna, uno dei più alti d’Italia, insieme alla ciminiera di Porto Tolle, nella Padania veneta. Giorgio Ruffolo, Ministro dell’Ambiente nei governi di Giovanni Goria, Ciriaco De Mita e Giulio Andreotti, sin dal suo avvento, aveva deciso che quell’area doveva essere dichiarata ad «elevato rischio ambientale». Da quella delibera del Consiglio dei Ministri, era il 30 novembre del 1990, sono passati 32 anni. Un fiume in piena di soldi spesi a destra e a manca per affermare un diritto sacrosanto: lavorare, senza morire a lavoro. Di quel piano di disinquinamento si è saputo poco e niente. Rendiconti nascosti e smarriti nei meandri segreti del pubblico e del privato. Tutti hanno incassato ricchi premi, dalle fabbriche private a quelle pubbliche. L’obiettivo era mettersi in regola, arginare e bloccare quelle silenziose e mimetizzate emissioni di veleni in atmosfera, ovvero quell’aria che arriva dritta dritta nei polmoni, di chi lavora e vive in questi territori. Per molto tempo si è professato il silenzio, per non perdere lavoro e pagnotta. Poi, però, per molti, sono venuti meno sia l’uno che l’altra. Le fabbriche hanno lasciato il passo all’ultima spiaggia dello Stato sociale, cassa integrazione in tutte le salse, tempi biblici trascorsi nel limbo del nulla fare e nulla sperare. Sino all’avvento «green». L’Enel annuncia che chiude tutto. Se ne va via, dopo decenni di costi energetici alle stelle. La centrale, quella della ciminiera più grande, chiude. Se non ci avesse pensato Putin a ridare fiato al carbone, già dal 2025 la fabbrica di energia elettrica avrebbe smesso, senza colpo ferire, di far marciare gli ultimi forni ancora rimasti accesi. In realtà, però, in questa terra promessa e votata alla disoccupazione e all’inquinamento si muore, purtroppo e drammaticamente, sempre di più. A riaccendere i riflettori sulla vita e sulla morte ci hanno pensato Draghi e Cingolani, il premier e il Ministro della Transizione “eolica” in terra e mare di Sardegna. Con il “Decreto Energia”, impugnato come “coloniale” dalla Regione sarda, hanno deciso di piazzare nel porto più desolatamente vuoto dell’Isola, una nave-rigassificatore. In teoria per dare un po’ di gas all’Enel che, però, ha messo nero su bianco il suo rifiuto: «Non ci serve». L’Istituto Superiore di Sanità, il massimo organo tecnico sulla salute degli italiani, e in teoria anche dei sardi, scrive al ministero della Transizione: «Quella nave gasiera a Portovesme inquina, è incompatibile con la già devastata condizione ambientale e sanitaria della popolazione». Quel diniego alla potente Snam è una dichiarazione di guerra. Il fuoco incrociato si consuma in volumi di documenti che la società del gas trasmette direttamente al dicastero ambientale il 16 agosto scorso, quando ferragosto era appena tramontato. Carte pesanti, scritte in codice, alfanumerico e criptato, per addetti ai lavori. Centinaia di pagine con dati, analisi e confessioni da brividi. La Snam, ne abbiamo dato conto qualche settimana fa, aveva chiesto, senza mai riceverli, alla Regione sarda i riscontri pubblici su piano ambientale, registri tumori e mortalità. Ha persino chiesto un faccia a faccia con le strutture sanitarie locali. La società dei gasdotti di Stato, però, ha fretta. Il silenzio su quei dati ha obbligato la multinazionale del metano a incaricare una società di analisi e progettazione per tentare di scardinare il data base del ministero della salute per incrociare proiezioni e riscontri. C’è da stabilire se quell’inquinamento ha alterato, come, quando e quanto, le condizioni di salute degli abitanti di quell’area. Il riscontro è devastante. Le cifre e le analisi sono da shock senza precedenti. Tutti numeri messi nero su bianco, esplicitati anche per coloro che non avessero ben compreso quanto sta accadendo in questa terra da sempre sfuggita agli occhi distratti di chi dovrebbe salvaguardare lavoro e salute. La frase cruciale è circostanziata, esplicita come se quelle canne di fucile proiettate sul cielo avessero deciso di sparare dritte sui polmoni di questo territorio. La relazione Snam sui rapporti Istat per la mortalità 2015-2019, gli ultimi disponibili, è senza appello: «Esaminata nel complesso, la mortalità dei circa 53.000 abitanti dei sei comuni facenti parte dell’area a rischio si caratterizza per un aumento dei decessi per Malattie dell’Apparato Respiratorio sia nella popolazione maschile che in quella femminile, corrispondente ad un aumento di poco meno del 50% rispetto alle attese su base regionale. Tale eccesso appare in relazione ad un aumento dei casi di malattie acute dell’Apparato Respiratorio in entrambi i generi, e dei casi di asma limitatamente alla popolazione femminile, entrambi accentrati nei comuni di Carloforte e Carbonia». L’affermazione toglie il fiato: rispetto ai dati ordinari di mortalità, nei 53 mila abitanti residenti nei sei comuni dell’area industriale, per le malattie dell’apparato respiratorio, si muore il 50% in più rispetto a quanto se ne prevedeva in base alle normali attese. Quell’incremento rilevantissimo di morti per malattie respiratorie è una media territoriale, questo significa che in due comuni, Carbonia soprattutto, i dati sono anche superiori. In questo caso, al riscontro sulle malattie respiratorie, va aggiunto il capitolo tumori. Relativamente al Comune di Portoscuso si legge: «I soli soggetti maschi del Comune di Portoscuso mostrano un eccesso significativo di tumori del colon-retto». Il passaggio successivo è ancora più rilevante: «Il tumore di trachea, bronchi, polmoni, sono in eccesso per i soli maschi in tutti i Comuni (ad eccezione di Carloforte), eccesso che diventa significativo nel comune di Carbonia (e nell’intera area ma solo se si comprende il comune di Carbonia)». Il focus sugli ultimi cinque anni di decessi analizzati rivela proporzioni da tsunami. La sintesi è devastante: «La mortalità per malattie dell’apparato respiratorio risulta in eccesso in quasi tutti i comuni dell’area sia nei maschi che nelle femmine, eccesso che diventa significativo per il solo comune di Carbonia (in ciascuno dei due sessi) e per l’intera area quando in essa si considera anche il comune di Carbonia appunto. L’alta frequenza di mortalità per malattie respiratorie croniche nei maschi caratterizza tutta la provincia di Sud Sardegna, ma non è presente nelle femmine». Omertà e silenzi sono al capolinea. (1.continua)

L’Unione Sarda, 10 settembre 2022

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