Ci rappresenteranno i Continentali?, di Luigi Almiento
«La politica nazionale ha fatto due sgambetti alla Sardegna e alle altre regioni poco popolate: il primo è lo scellerato taglio dei parlamentari, che ridurrà la nostra rappresentanza da 25 a 16 deputati e senatori. Il secondo è che questi sedici seggi nemmeno ce li lasciano tutti, visto che le segreterie dei partiti candidano nell’Isola gente che, con noi, non ha mai avuto nulla a che fare».
Alessandra Giudici, ex presidente dem della Provincia di Sassari, potrebbe sembrare arrabbiata, ma è solo un’impressione: in realtà è furibonda. I nove parlamentari in meno che eleggeremo nell’Isola (è legato al taglio dei deputati, che passano da 630 a 400, e dei senatori, ridotti da 315 a 200) «sono una menomazione della nostra rappresentanza a Roma: ci restano 16 nomine, e da Roma cercano di sottrarcene alcune con i candidati paracadutati da fuori». Che, massimamente, nemmeno le garbano: «Quando vedo Di Maio in lista in Sardegna per Impegno civico-Centro democratico, penso che allora non è vero che è meglio puntare sui giovani, ma se guardo ai vecchi mi ritrovo l’ex presidente del Senato, Marcello Pera, per Fratelli d’Italia. E allora mi chiedo: chi sarà il meno peggio cui dare il mio voto, in queste elezioni anticipate pericolose per il Paese?». “Stranieri in campo” Giudici ricorda bene che, nell’Isola, anche nel passato sono stati candidati personaggi che non avevano alcun legame con questa terra. E che si prendevano i voti, conquistavano il seggio e poi addio. Il 25 settembre nelle liste, oltre a Pera e al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, schierato per Impegno civico-Centro democratico, nel terzo polo Azione-Italia viva c’è la ministra per le Pari opportunità Elena Bonetti, sarda quanto un vichingo (in realtà, è del Mantovano). E per Fdi è schierata la deputata uscente Paola Frassinetti, rossoblù sì, ma come la maglia del Genoa, una delle squadre della sua città. Sempre il partito di Giorgia Meloni candida, per il Senato, Giovannino Satta, dentista di Buddusò che vive e lavora a Roma. Se la capolista Antonella Zedda ce la farà nell’uninominale, risulterà eletto con certezza perché diventerà il primo in lista. Del resto, la tradizione di far atterrare nell’Isola candidati non sardi non è nuova, anzi è accaduto diverse volte. Nel 1992, nelle liste del Partito liberale i sardi elessero Vittorio Sgarbi, e nel 2008 atterrò sull’Isola con vento favorevole – per il Popolo delle libertà – anche l’attore Luca Barbareschi: era quello che mancava a metà delle sedute «perché mica posso vivere con il solo stipendio da parlamentare» (23mila euro al mese). Bandiera con i Quattro mori, sempre nel 2008, per la romana Luciana Sbarbati, eletta in Sardegna per il Pd al Senato. Fa parte dell’informata del 2008 anche il siciliano Paolo Vella, eletto alla Camera con i voti dei sardi perché imposto da Berlusconi ma non voluto da Forza Italia Sardegna. Nello stesso anno Filippo Saltamartini, del Maceratese, conquista nell’Isola un seggio a Palazzo Madama. Nella legislatura successiva (voto nel 2013), i sardi spalancano le porte della Camera a Lello Di Gioia, pugliese, candidato del Partito democratico. Ma sono solo alcuni esempi di una lista lunghissima, che ne comprende numerosi altri. Le poltrone “sicure” A destare ulteriori preoccupazioni sulla rappresentanza sarda in Parlamento dopo il 25 settembre è Franco Cuccureddu, ex consigliere regionale di Insieme per le autonomie (dal 2009 al 2014), tre volte sindaco di Castelsardo, presidente della Rete dei porti: «I paracadutati da altre regioni», analizza Cuccureddu, «sono per posti che vengono dati per sicuri, cioè i sei seggi uninominali, quattro alla Camera e due al Senato, e quello di Oristano e Nuoro per la Camera, dov’è candidata la responsabile di Fdi non di quelle province, bensì di Sassari, Barbara Polo. Insomma, ci rubiamo i collegi anche tra sardi». Per Cuccureddu, «il senso dell’uninominale è affidare a qualcuno del luogo, stimato e conosciuto, la rappresentanza certo nazionale ma anche del proprio luogo al Parlamento: per questo, con il Patto Segni, mi impegnai a suo tempo nella battaglia per i collegi uninominali. Ma se questi collegi sono dati agli amici del capo del partito, peraltro nemmeno sardi, allora niente ha più un senso». Vero, ma non per i paracadutati. «Le nostre battaglie» «Abbiamo combattuto la battaglia per il riconoscimento dell’insularità in Costituzione, molte altre sono in corso, fra cui quella per una vera continuità territoriale. E allora, che ci fanno i candidati non sardi sulle nostre schede?». È irritata Maria Grazia Caligaris, consigliera regionale eletta nella lista di Renato Soru nel 2004, referente di Socialismo diritti e riforme, un movimento che si batte per le condizioni dei detenuti nelle carceri, «molte delle quali non hanno un direttore». Caligaris sa che «chi conosce il territorio e la realtà dell’Isola debba essere eletto per rappresentarne le istanze. Non ci servono persone che, come in passato, sono state elette qui e poi non le abbiamo mai più viste». «Estranei sulla scheda» «Candidare i paracadutati significa snaturare il senso stesso della politica e l’esistenza delle liste a livello locale». È netta la posizione di Edoardo Tocco, presidente del Consiglio comunale di Cagliari per Forza Italia: «Se mi dicessero: ti candido nel collegio di Pavia perché sei blindato penserei “sarebbe comodo”, ma rifiuterei perché è snaturare la politica vicina ai cittadini. È un’operazione senza senso, non la sposo. Queste cose continuano ad allontanare la gente dalla politica: si ha bisogno di un riferimento nelle istituzioni».
Da L’UNIONE SARDA, 28 agosto 2022
By Benedetto Sechi, 5 settembre 2022 @ 10:24
Giuste lamentele. Tuttavia non si tratta che della punta dell’isberg. In realtà la disaffezione dei cittadini dalla politica è un fatto enorme, che sta mettendo in pregiudizio la forma democratica dell’Italia e di molti stati occidentali. Però, per risolvere questo problema, sarebbe sufficiente il ripristino delle preferenze. Per la Sardegna e per le regioni a statuto speciale, invece, sarebbe necessaria una profonda riforma del patto con lo stato. La forma delloi stato italiano, che via, via, si sta facendo sempre più sovranità, cancella ed annulla, il già insufficiente e logoro “autonomismo”, per questo anche una legge elettorale che obbligasse i partiti a presentare liste autoctone, non risolverebbe certo il problema. Sarebbe giunto il momento di attuare una profonda riforma del modello di stato, avviando una forma di federalismo autentico, che sappia incidere sull’autogoverno della Sardegna. Inutile avere nel proprio statuto il perseguimento dell’indipendentismo, se poi si permette ai partiti italiani, di venire qui a “fare la spesa”.
By Mario Pudhu, 5 settembre 2022 @ 10:03
Ma si is Sardus seus iscallaus, evaporaus, quisquilia, arrogalla, pimpiralla, pruini, istérrius a tapeto e fintzas asuta de su tapeto, bellus isceti a fai sa política miseràbbili de is pedidoris, prexaus istichius in sa buciachedha de apalas de is cratzonis, acanta a su fragu e a su callenti chi essit de su pertusu de s’Itàlia e no seus bellus si no a fai cussa política infami de tempus e tempórius chentza nudha imparai de séculus de domíniu si no servilismu de aprofitamentu personali, ita andant a criticai is criticadoris? Ita andant a murrungiai is murrungiadoris?
Teneus s’identidadi de is mamutzones, merdules, tzurpos e àteras màscaras, ge ndi tenint o ndhi imbentant in totu is bidhas po fai ‘turismu’ e pompa bódia, a barra de barrosia, po calincunu sodhu e po apariéntzia ca assinuncas mancu iscieus de èssi in su mundu e prus pagu in terra nosta, no iscieus ancora ne chini seus e aundi portaus is peis e prus pagu aundi portaus o teneus libbertadi e responsabbilidadi!
Nosu no seus genti, no seus pópulu, seus tallus de crabas mérias cun ‘pastoris’ ancora prus macus bonus a fai una política miseràbbili, infami, po torracontus personalis o de butedhedha mancai in nòmini de calincuna pedidoria po sa Sardigna a iscusa e ingannu po pinnigai vous.