Raccontare la malattia, condividere il dolore, mostrare la paura: il dolore nell’era social, di Maria Francesca Chiappe
Raccontare la malattia, condividere il dolore, mostrare la paura: Fedez non è stato il primo, altri personaggi più o meno conosciuti mettono a disposizione della platea social il vissuto quotidiano funestato da mali capaci di terrorizzare chiunque. Lo ha fatto di recente pure Justin Bieber, colpito da una paralisi al volto. Giorgia Soleri ha invece usato la vetrina di Instagram per descrivere il suo calvario e arrivare al Parlamento con una legge che riconosca vulvodinia ed endometriosi come malattie croniche invalidanti. Perfino Gianluca Vialli ha parlato del cancro che lo minaccia da anni, rifiutando di definirsi un guerriero, mentre la blogger conosciuta col nome di Fraintesa ha lasciato un libro postumo “Vivi ogni giorno come se fosse il primo”.
Ma anche vicino a noi, in Sardegna, qualche tempo fa un giovane nuorese seguitissimo con il nick name Instintomaximo ha raccontato il suo male fino a che ha potuto.
Lo fanno per se stessi, perché verbalizzare è già metabolizzare e andare avanti, ma anche per gli altri, per chi come loro è dentro il tunnel e proprio come loro cerca la luce.
Fedez lo ha detto chiaro e tondo dopo essere andato oltre, molto oltre, con la pubblicazione della sua drammatica conversazione con lo psicologo non appena ricevuta la diagnosi di tumore al pancreas. Lo avevamo già visto terrorizzato davanti alla microcamera dello smartphone, e quanto strideva quel video con la vita social di un giovane ricco e famoso sposato a una donna super star e padre di due bambini belli e simpatici. Poi abbiamo seguito l’ospedale, la convalescenza, la ripresa, la canzone composta in quei giorni, tormentone di questo anticipo d’estate: “La vita senza amore dimmi tu che vita è”. Davanti alla morte restano le cose importanti, tutto il resto è noia.
Ma ora ha voluto farci sapere, dal vivo, con l’audio originale, che non voleva morire, che più di tutto temeva di non essere ricordato dai figli, fino al domandone finale, rivolto a se stesso e a ognuno di noi: cosa ci ha insegnato quello che abbiamo vissuto? “Prendete queste mie esternazioni come meglio credete. Voglia di condividere, manie di protagonismo, narcisismo fine a se stesso. Non me ne frega molto. Vorrei solo che chi sta affrontando una situazione simile sappia che è normale provare determinate sensazioni, non siete soli, non siete strani, là fuori c’è a chi tutto questo può far bene. E tanto mi basta”.
Non piacerà a tutti questo modo di svelare la propria intimità, qualcuno potrà intravedere una strumentalizzazione del cancro per fare clic che si traducono in soldi. Ma in un mondo dove ancora la malattia è vergogna da nascondere gesti come quello di Fedez fanno bene al cuore. Tanto, diciamocelo chiaro, mica solo lui ha paura della morte, del dolore, di essere dimenticato dalle persone care. Il rapper ha reso social qualcosa che ci appartiene nel profondo. E forse è un segnale preciso la scelta di pubblicare l’audio della grande paura dopo che il peggio è passato, perché l’intervento è andato bene e forse, dice e non dice incrociando le dita, il tumore non c’è più: dopo la malattia si può tornare alla normalità.
Meglio Fedez, allora, che piange e si dispera, dei tanti che davanti a mali aggressivi parlano di lotte, combattimenti, guerrieri che non si arrendono, come se la guarigione dipendesse solo e soltanto dal malato, e chi soccombe va da sé che non ha fatto abbastanza.
Meglio i tormenti di un giovane che non aveva messo in conto (ma chi lo mette in conto?) un risveglio così traumatico in una vita dorata della retorica dell’io non mollo. Su questa strada è già passato Vialli, anche lui con i lucciconi agli occhi, senza sentirsi un combattente in trincea. Mostrarsi fragili e vulnerabili, loro che per i comuni mortali sono privilegiati, equivale a fare un grande regalo a tutti: la loro non è forza ma solo umanità.
L’UNION SARDA 15 giugno 2022