Il professor Onni: «Processo difficile da ribaltare ma il turismo può dare una mano ai piccoli centri», di Claudio Zoccheddu

Conto alla rovescia per invertire le tendenza

Considerate le condizioni, il ritardo nelle misure di contrasto e l’assenza di servizi nelle zone interne, lo spopolamento è quasi una condizione irreversibile, che però può essere combattuta, rallentata, al punto da allungare sensibilmente la prospettiva di vita dei paesi, ma anche della città. Perché se prima si scappava dai centri dell’interno verso le coste, adesso si scappa dalle coste verso le grandi città europee.

. Le spiegazioni le fornisce Giuseppe Onni, docente al dipartimento di Architettura dell’Università di Sassari che ha curato diversi saggi dedicati proprio allo spopolamento: «È un processo iniziato già durante la prima guerra mondiale - spiega -. e proseguito nel tempo senza alcuna interruzione. In quegli anni è cambiata la società, sono cambiate le esigenze e le persone hanno iniziato a spostarsi. Solo che prima non se parlava, adesso sì. La differenza è questa».

Se prima erano solo le zone interne dell’isola a perdere abitanti a favore delle coste, adesso l’effetto “ciambella” ha perso valore: «Anche questo è un processo naturale – continua Onni -, il tasso di invecchiamento è salito anche nei luoghi che avevano acquisito popolazione nel corso degli anni e con un tasso di natalità pari allo 0,99 figli per donna, i conti sono chiari».

I sardi sono sempre più vecchi, i nuovi nati sempre meno e così anche le aree costiere cresciute a dismisura negli ultimi decenni hanno iniziato a perdere abitanti. Le prospettive, poi, non possono che essere peggiori dell’attualità: «La popolazione dovrebbe continuare a diiminuire nei prossimi anni - aggiunge il professore - ma non deve passare il messaggio che questa sia un’esclusiva della Sardegna. Purtroppo è un fenomeno generalizzato e accade anche nel resto del Paese». A questo punto, la domanda è solo una: si può invertire la tendenza? «Difficile – replica Onni -, molto difficile. Stiamo assistendo ad un percorso di calo demografico sostanziale, che è complicatissimo invertire. Dovrebbero cambiare le condizioni in cui viviamo».

Ma il processo può essere tamponato, forse addirittura ridotto ai minimi termini. Giuseppe Onni ne è convinto: «Per prima cosa è più facile ripopolare i piccoli centri. Minore è la dimensione, più è facile riuscire a fare casi pilota straordinari. Certo non vale il discorso del ritorno alla terra che andava di moda durante il primo lockdown. Alle condizioni attuali vivere in un paese dell’interno,o in un’area isolata, è costosissimo perché mancano tutti i servizi. Abitarci, in queste condizioni, è quasi eroico».

Per questo anche le azioni di contrasto devono essere diversificate: «Se si investisse per cercare di contenere il calo della popolazione, sarebbe ideale differenziare gli investimenti. I cloni non funzionano. Le case ad un euro vanno bene, ma solo in alcuni casi. Meglio opzioni dissimili tra loro, in modo da garantire unicità al luogo che in questa maniera diventerebbe attrattivo». E poi, c’è una mano può arrivare dal turismo: «Non quello di massa, però. L’incremento della popolazione, anche quella temporanea, aiuta. C’è poi chi acquista casa, chi si trasferisce. Spesso, però, si tratta di anziani, che magari non contribuiranno ad aumentare l’aspettativa di vita dei paesi a rischio, ma che hanno maggiore capacità di spesa e possono garantirsi un percorso temporale sereno», conclude il professore.

 

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