Lombardi Satriani e la cultura del Sud, di Mario Faticoni
Giorni fa è scomparso a 85 anni l’antropologo calabrese Luigi Maria Lombardi Satriani, che nel dicembre del 1978 tenne a Macomer una relazione al convegno “Per un teatro nel meridione, strutture-spettacoli-cultura folklorica”, promosso dall’Associazione nazionale critici di teatro, la Cooperativa Teatro di Sardegna braccio esecutivo, con la partecipazione di critici e studiosi della penisola, operatori teatrali sardi e meridionali, studiosi delle tradizioni popolari. Dominanti, negli interventi degli operatori, le difficoltà e il disagio del fare teatro nell’isola. Nella relazione chiedevo indicazioni di formule inedite di teatralità che tenessero conto della specificità culturale, di quanto l’isola aveva già realizzato in merito e dell’esperienza nazionale: quali Stabili, quali Circuiti, quali Scuole. Non ci furono risposte.
L’alibi lo diede la scomposta massiccia denuncia dei gruppi. Il convegno doveva svolgersi a Santu Lussurgiu, al rifugio La Madonnina, ma una tempesta di neve fa saltare la cabina della luce nella zona.
Accompagno di notte in auto Ghigo De Chiara, vediamo cavalli bianchi che corrono sbandati sotto la tempesta di neve, al Rifugio troviamo gli avanguardisti del direttivo che, scesi dalle camere, sono lì, sugli ultimi gradini, in vestaglia, una candela in mano, Tian in testa, che con tono brusco frenato dall’educazione: “Faticoni, ci spiegherai…”.
Risolvo dirottando il convegno ad un motel a quindici chilometri. Dirà Maricla Boggio: “Il discorso del teatro non poteva scindersi dalla memoria di secoli di emarginazione, di responsabilità politiche ben al di là della carenza di sovvenzioni o strutture.
Sarà difficilissimo immaginare le le ipotesi di un teatro in Sardegna; dato che devono fare i conti con questa condizione che abbiamo appreso, satura di una grandissima tensione e aggressività, dalla quale il rapporto non può sfuggire…Questo rimanda ancora una responsabilità a tutti voi che lavorate nel teatro in Sardegna”.
La relazione di Lombardi Satriani aveva un tono forte e contestativo. “La storia della Sardegna documenta un abbandono da parte della classe dirigente. Di solito tale disattenzione viene denunciata sollecitando interventi risolutori. Ideologia della dimenticanza: le classi dominanti nazionali avrebbero trascurato le regioni meridionali storicamente arretrate, si tratta di farle decollare, con opportune iniziative governative; alla colpevole trascuratezza dei governi precedenti si porrebbe rimedio con la solerzia attuale. In realtà non di trascuratezza bisogna parlare, ma al contrario di consapevole strategia, di attenzione. Non di stato assente ma di stato presente.
Una presenza totalmente repressiva. Lo Stato italiano si è realizzato nel meridione sostanzialmente come fattore di disgregazione, negazione della sua specificità, distruzione della sua identità culturale. La cultura ufficiale è stata oggettivamente complice di tale gigantesca opera di distruzione”.
“Acuto, colto, eclettico, ispiratore di intere generazioni di colleghi, una carriera accademica lunga e prestigiosa, un maestro del libero pensiero e dell’osservazione sociale attenta alle classi popolari e ai mutamenti del Bel paese”: così ricorda il suo maestro sul Corriere la studiosa Elisabetta Moro. “Le sue lezioni erano un fiume in piena di rimandi alla grande letteratura, alla storia, alle Arti. Infrangeva volentieri gli steccati disciplinari. Nel Sessantotto elabora il concetto di folklore come forma di contestazione, che fa uscire la civiltà contadina dall’angolo buio della storia, e la ripropone come cultura del presente, non semplice sopravvivenza. Restituisce una dignità culturale a braccianti e veggenti, tarantolate e poeti contadini, migranti e proletari. La libertà del pensiero è la sua vera grande eredità”. Mario Faticoni
L’Unione Sarda, 11 giugno 2022