La generosità dei sardi, di Andrea Mereu
I funerali sono i luoghi di ritrovo nei piccoli paesi. I funerali nei dì di festa sono ritrovi ove spesso capitano adunate fra persone emigrate lontane nel mondo e confluite per ritrovarsi con le famiglie. E dai confronti nascono presupposti che conducono a pensieri più remoti.
I miei giorni festivi sono stati alquanto movimentati. Bimba ricoverata d’urgenza. La discesa tempestiva all’ospedale Brotzu. I viaggi dentro la Sardegna. I disagi, la paura. Per fortuna a lieto fine.
Ai miei compagni ho raccontato il decoro di esperienze che ricorderò tutta la vita. La Sardegna è una terra di eccellenze umane, rare come i nostri nuraghes inconfondibili.
Vivo a Londra, ho a che fare quotidianamente per lavoro con culture provenienti da tutto il mondo. La nostra generosità spartana ha una qualità nostrana davvero unica per quantità. Praticamente illimitata. Improvvisa, tempestiva, talvolta esagerata.
La disponibilità delle persone è perfino commovente. Spesso, presi dalle combutte del tempo quotidiano che ci isolano e rinchiudono, trascuriamo l’importanza di un aiuto, gratuito e spontaneo, proveniente dall’innata generosità che ci distingue.
Ho avuto l’impressione di un’auto con il motore da formula uno e la carrozzeria scassata che si muove fra strade tortuose perlopiù dissestate. Abbiamo l’anima divina e la veste logorata.
Questa dualità impattante non ha davvero eguali nel mondo che io tasto ogni giorno lavorando all’interno di una compagnia ebraica. Voi suggeritemi qualche orpello culturale in cui siamo carenti e io, non altrimenti, ribatterò apponendovi altre qualità esaltanti spesso trascurate.
Ho ricevuto cento mani di aiuto. Qualcuna decisiva. Ora, provenendo da una cultura – quella inglese- che fa del merito una cattedrale, avere a che fare con la conoscenza che apre la porta è sempre una scorta abbastanza illiceale.
Però ho imparato ad adottare un altro metro. E mi sono detto che conoscere è aiutare e l’aiuto detiene il principio del perpetuo ritorno. Tutti aiutiamo tutti, sempre. È una legge non scritta di virtù adamantina. È per tale ragione che certe crisi con picchi improvvisi che paiono abbattere il morale, ci attraversano quasi senza lasciare traccia. Perché noi possediamo una forza tellurica che la poesia definisce balentìa e invece ci rammenta il mito di Sansone.
Un caro amico scrittore, Eliano Cau, scrisse un bel libro di racconti sulle balentìas. E il balente, il valente, era l’uomo che deteneva l’arte oscura della giustizia umana contro chi usava la giustizia per imperversare sui derelitti. Ditemi quale impeto morale usare per combattere le nefandezze, e io vi risponderò: il metro de s’omine de gambale.
Volevo inoltre rammentarvi i luoghi. Gli scorci, i paesaggi, i paesi. Usando anche la retorica. Le discese in Campidano hanno un andamento poetico dal ritmo metrico coincidente coi chilometri di strada. Tutto dirada, spiana e confluisce entro l’orizzonte sormontato dal cielo di un azzurro senza paragoni altrove. A un certo punto, trovandomi ad aspettare il passaggio del treno alla meravigliosa stazione di Pabillonis immersa nei verdissimi campi coltivati, ho avuto un sussulto di commozione.
Certo che ho il rammarico. Partirò con il magone. Mercoledì scorso, seduto al bar di un amico sorgonese in Piazza Yenne, ho sorseggiato un vino eccellente confabulando con turisti inglesi ammaliati dall’atmosfera. «È tutto così soave» mi ha detto un musicista lirico. «Sembra di stare su un’isola lontana dal mondo» ha ribadito una gallerista d’arte. Nessuno ha detto «ci vedremo a Londra».
Un saluto educato, gentile, freddo. Per nulla empatico. Ecco l’editto dell’uomo moderno ignavo e schiavo delle mode. Passare senza lasciare tracce nel cuore della gente.
Chiunque conosca un sardo ne parlerà come un testardo dalla generosità impagabile. Uscite, datevi agli amici. Ai conoscenti. Coltivate la natura umana. L’uomo che conosce ha tutte le porte aperte. E la vita si misura da quanti si dispongono ad aprirci e accoglierci con un abbraccio.
Viva i sardi. Quelli testardi. Che dicono eja e sollevano la testa. Perché il bene resta e il resto è crastula.
L0UNIONE SARDA, 22 aprile 2022